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Chiesa di Sant'Andrea Apostolo (Verona)

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Chiesa di Sant'Andrea Apostolo Verona (1)
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La chiesa di Sant'Andrea Apostolo è la parrocchiale di Palazzina, frazione di Verona, in provincia e diocesi di Verona; fa parte del vicariato di Verona Sud.

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Chiesa di Sant'Andrea Apostolo (Verona)
Via Palazzina, Verona Sud

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Sant'Andrea Apostolo

Via Palazzina
37134 Verona, Sud
Veneto, Italia
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Chiesa di Sant'Andrea Apostolo Verona (1)
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Luoghi vicini

Forte Cà Vecchia
Forte Cà Vecchia

Forte Cà Vecchia, conosciuto anche con il nome di forte Garofalo dall’omonima corte agricola presente nelle vicinanze, e chiamato originariamente Werk Cà Vecchia, è stata una fortificazione posta a sud di Verona, parte del complesso sistema difensivo cittadino e più in particolare del secondo campo trincerato di pianura, messo in opera tra 1859 e 1866. La struttura fortificata fu realizzata nel 1866 e i lavori furono diretti dall’Imperiale Regio Ufficio delle Fortificazioni di Verona. Il forte è stato completamente demolito e spianato, e il sito originario è stato occupato dalle sedi stradali dell'Autostrada A4 e della tangenziale sud. Si tratta di un forte semipermanente di grandi dimensioni, a tracciato composito, poligonale e bastionato; si trovava in aperta campagna, in prossimità della corte Ca' Vecchia, accanto alla riva dell'Adige. Il forte è del tutto simile, per impianto architettonico e caratteristiche tecnico-logistiche, al forte Cà Bellina, distinguendosi solamente per il tracciato e per le maggiori dimensioni; il lato di base del fronte di gola misura 220 metri, contro i 173 metri del forte di riva sinistra. Esso stabiliva il caposaldo terminale, a oriente, del campo trincerato di riva destra. Situato nella posizione già individuata nel 1860 per il quinto forte della linea avanzata, faceva sistema sull'ala destra con il forte Tomba, e sulla sinistra incrociava i tiri con il forte San Michele, situato sulla riva opposta del fiume. L'abitato di San Giovanni Lupatoto, a 2 300 metri dal forte, era soggetto al fronte principale di combattimento. Le sue artiglierie da fortezza battevano, di fronte e di fianco, le strade provenienti da Ostiglia, Legnago, Albaredo e il corso discendente dell'Adige, esercitando una potente azione di fuoco contro le operazioni nemiche di passaggio del fiume, o di investimento della piazzaforte da sud. Una strada militare si dirigeva verso il fronte di gola del forte ed entrava nella piazza d'armi trincerata; due rampe portavano al piano del fosso asciutto, nel quale si ergeva la palizzata a tracciato bastionato, ordinata per la difesa di fucileria. Nei fianchi erano inseriti i passaggi d'ingresso, entrati nel recinto bastionato d'ingresso si imboccava la lunga poterna, a struttura lignea blindata, che metteva in comunicazione con il piazzale interno e terminava nella caponiera maggiore. La poterna era protetta da un rilevato che divideva in due parti il piazzale, con funzione di defilamento dai tiri nemici provenienti da un fianco. I ricoveri per la guarnigione erano inseriti sotto il terrapieno mentre un terzo ricovero era collocato sotto il terrapieno del fronte di gola, sull'esterno della cortina, protetto dall'antistante palizzata difensiva. Il corpo di guardia, sempre a struttura lignea blindata, era invece situato al piede del terrapieno. L'opera principale da combattimento, formata dal terrapieno, si elevava sull'impianto. Sul lato di gola, il rilevato rettilineo del paradorso proteggeva l'interno del forte contro i tiri nemici di rovescio; la sommità del tratto centrale era munita di parapetto per fucilieri. Ogni postazione d'artiglieria, a cielo aperto, era protetta da traverse: quelle del fronte principale erano dotate di ricovero blindato per i serventi ai pezzi, e di riservette giornaliere per le polveri. Quattro traverse di maggiori dimensioni, edificate con struttura muraria, contenevano le polveriere. La scarpa esterna del terrapieno scendeva al livello del fosso, dove era infissa la palancata perimetrale per ostacolare l'assalto. Tre caponiere fiancheggiavano il fosso; due di esse, a struttura blindata, sporgevano dai fianchi ed erano ordinate per fucilieri. A queste si accedeva, dal piazzale interno, attraverso due poterne blindate. La caponiera maggiore era di muratura, con la sola copertura blindata: essa era probabilmente ordinata anche per la difesa d'artiglieria, e vi conduceva la lunga poterna mediana, che collegava l'ingresso del forte, il piazzale e i ricoveri. Sul fronte di gola il paradorso separava dal resto del forte i due bastioni collaterali. Dal ricovero blindato inserito sotto la cortina di gola, per mezzo delle rampe laterali, gli artiglieri accedevano alle postazioni. La funzione delle bocche da fuoco dei bastioni era duplice: di fiancheggiamento, incrociando i tiri verso il centro; di combattimento, con i pezzi puntati verso l'aperta campagna, anche in concorso con i fianchi del forte. Al livello del fossato, il terrapieno dei bastioni era presidiato dalla palizzata. Insieme al fronte di gola, i due bastioni e il ricovero, separati dal forte, costituivano il ridotto dell'opera. L'armamento della fortificazione consisteva in: 4 cannoni ad anima rigata da 15 cm a retrocarica 5 cannoni ad anima rigata da 9,5 cm ad avancarica 22 cannoni di diverso calibro ad anima liscia Riserve di munizioni: 28 000 kg di polveri. Il presidio in caso di guerra della fortificazione consisteva in: 150 fanti 30 artiglieri Era inoltre possibile disporre un presidio di emergenza di 200 uomini. Verona Monumenti di Verona Sistema difensivo di Verona Andreas Tunkler

Canale Camuzzoni
Canale Camuzzoni

Il canale Camuzzoni è un canale artificiale, costruito alla fine del 1800 su progetto dell'ingegnere Enrico Carli, presso la città di Verona. Prende il nome da Giulio Camuzzoni, secondo sindaco della città e promotore della costruzione. È uno dei 3 canali veronesi insieme al Canale Milani e al Canale Biffis. Già a partire dal 1776 a Verona fu proposta la costruzione di un canale a sud dell'Adige. Ad occuparsene per primi sono l'architetto Adriano Cristofali e l'ingegnere Simone Bombieri. Il progetto, che non si discosta di molto da quello che verrà poi realizzato più di un secolo dopo, prevede un diversivo per il fiume Adige che staccandosi dal Chievo prosegue a sud della città, rientrando nel fiume nella località Colombarola. Lo scopo di questa opera era esclusivamente a difesa della città, minacciata dalle frequenti inondazioni dell'Adige. Precedentemente erano stati proposti altri sistemi per preservare la città dalle piene che consistevano in sfoghi e tagli del corso del fiume e che presentavano molte perplessità, il progetto di Cristofali era, invece, il primo a prevedere una soluzione quantomeno definitiva ed efficace. L'architetto Cristofali, oltre al progetto, produsse anche un dettagliato preventivo di spese che faceva capire che le difficoltà maggiori, per la realizzazione dell'opera, fossero finanziarie più che tecniche. La cifra totale che Cristofali indica per il compimento dell'opera è pari a: due milioni cinquemilla ottocento settanta quatro ducati d'argento. Tale indicazione si può trovare su di una mappa del 23 novembre 1779. Dopo un attento esame delle autorità cittadine il progetto fu così accantonato per motivi esclusivamente finanziari e venne deciso di abbandonare tale progetto e di ripiegare sull'otturazione di alcune fenditure sull'argine del fiume in cui poteva esondare; soluzione assai più economica. Le cronache del tempo riportano che all'architetto Cristofali rimase comunque la soddisfazione di vedersi rifuse le spese per il progetto: trentaquattro zecchini. Se per il progetto del Cristofali del XVIII secolo lo scopo prioritario dell'opera fu la salvaguardia della città dalle piene dell'Adige, verso la fine del XIX secolo vengono a crearsi ulteriori motivazioni. Fino al 1866, Verona era stata sottoposta alla rigida dominazione austriaca e alle sue servitù militari, che avevano provocato un rallentamento nella sua economia ed in particolare nello sviluppo industriale. Intorno al 1870 Verona non aveva ancora conosciuto la cosiddetta rivoluzione industriale che era invece sbocciata nelle altre città europee, la popolazione era per lo più impiegata nel settore agricolo e di piccola attività manifatturiera. Il sindaco di allora, Giulio Camuzzoni, si fece quindi carico di rafforzare la produttività veronese. L'ostacolo più grosso fu rappresentato dalla mancanza di una forza motrice in grado di far funzionare i macchinari industriali, essendo infatti la zona priva di giacimenti di carbone da utilizzare per le macchine a vapore. Da qui la proposta dell'ingegner Enrico Carli della costruzione di un canale industriale in grado di portare forza motrice verso la nascente zona industriale di Basso Acquar'. La motivazione industriale si aggiunse così a quella storica di salvare la città dalle inondazioni, tornata di attualità dopo la disastrosa inondazione del 1882. Nel 1870 prese l'avvio l'iniziativa della locale camera di commercio per la realizzazione di un canale industriale allo scopo di portare forza motrice al canapificio in costruzione nella zona di Porto San Pancrazio. Vennero redatti due progetti, con il contributo di 500 lire del comune (pari a metà del costo), da parte degli ingegneri Zanella e Gottardi. Nessuna delle proposte fu però accolta, in quanto la potenza resa fu giudicata modesta rispetto alla spesa preventivata per l'opera. Fu allora il sindaco della città, Giulio Camuzzoni, a incaricare nel 1872 l'ingegnere Enrico Carli di progettare il canale. Dopo soli 4 mesi il progetto viene terminato. Questo prevede la costruzione di un canale artificiale capace di generare 1250 cv di forza motrice a un costo di 500.000 lire di allora. Dopo un lungo dibattito interno al consiglio comunale, dove il progetto viene modificato portando a 1580 CV la forza motrice, viene approvato nel 1874. Grazie all'elevata potenza che offriva il canale, il costo unitario per cavallo di forza motrice prodotta era relativamente basso e questo, nelle intenzioni dei promotori, avrebbe attirato imprenditori e capitali. Ulteriori vantaggi del progetto del Carli erano la costante portata e caduta dell'acqua e la possibilità di navigazione del canale. Oltre al progetto di Carli furono presentate anche le proposte dell'ing. Carlo Donatoni (con presa tra Chievo e forte San Procolo che sarebbe poi transitato nei fossati intorno alle mura cittadine con una potenza di 877 cv.) e degli ingegneri Filippo Messedaglia e Ferdinando Benini (per una potenza di 881 cv.). Fattore decisivo perché la scelta ricadesse sul progetto di Carli fu l'appoggio delle autorità militari. Contro il progetto si schierò un nutrito gruppo di oppositori che vedevano in esso una minaccia all'agricoltura e auspicavano tutt'al più ad uno sviluppo delle piccole industrie. Per placare le opposizioni, il progetto venne rivisto dallo stesso Carli che ne cambiò parzialmente il tracciato e aggiunse due canali per l'irrigazione, uno con presa d'acqua a nord della città, uno con presa a sud e chiamato canale Giuliari dal nome del conte che prese l'iniziativa del progetto. Il 26 settembre 1881 il comune di Verona concluse l'accordo con le due società appaltatrici dei lavori: la Società Veneta della Costruzioni e la Compagnia generale delle acque per l'estero (società con sede a Parigi e già appaltatrice dei lavori di costruzione dell'acquedotto di Venezia). A causa dell'alluvione del 1882, i lavori subirono dei ritardi. Nel 1885 il canale viene terminato con un ulteriore aumento dei CV prodotti a 3200 per un costo di 3.000.000 di lire e nel 1887 viene reso operativo dopo 15 anni dall'inizio dei lavori. Nel frattempo però, l'industria manifatturiera inizia a fallire e il canale rimane completamente inutilizzato fino al 1889, anno in cui Pasquale Crespi, fratello dell'imprenditore Benigno Crespi, compra una piccola parte dei CV prodotti per costruire un opificio che chiuderà entro la fine del secolo. Il canale torna ad essere inutilizzato fino al 1920, quando le prime vere industrie si stabiliscono nella periferia sud di Verona. Queste sono le Cartiere Fedrigoni, il Cotonificio veneziano e i Mulini Consolaro. Per soddisfare le nuove e maggiori richieste di energia viene aumentata la portata, ottenuta attraverso il ponte Diga Chievo ideato dall'ing. Gaetano Rubinelli nel 1920 e portato a termine nel 1923. Il fotografo veronese Moritz Lotze ha documentato le fasi della costruzione dell'opera: AA.VV., Il canale Camuzzoni, Consorzio canale industriale Giulio Camuzzoni. ISBN non esistente Michela Morgante, Il canale e la città, Cierre 2006, ISBN 8883143523. Ingegneria idraulica Energia idroelettrica Storia di Verona Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Canale Camuzzoni

Forte Tomba
Forte Tomba

Forte Tomba, chiamato originariamente Werk Stadion, è una fortificazione posta a sud di Verona, parte del complesso sistema difensivo cittadino e più in particolare del secondo campo trincerato di pianura, messo in opera tra 1859 e 1866. La struttura fortificata fu realizzata tra 1860 e 1861 e i lavori furono diretti dall’Imperiale Regio Ufficio delle Fortificazioni di Verona. Nei primi anni cinquanta del Novecento, per dare lavoro ai disoccupati, vennero completamente spianate le opere di terra del forte, colmando il fosso, mentre negli anni seguente venne sventrato il ridotto per rettificare la strada proveniente da Ostiglia; infine lo stato di conservazione del forte è ulteriormente peggiorata negli anni novanta, quando fu costruito lo svincolo della tangenziale Sud. Il forte venne intitolato al feldmaresciallo Philipp von Stadion. Il forte, a tracciato poligonale (un sistema poligonale misto tipico della scuola fortificatoria neotedesca) con ridotto centrale, era collocato in aperta campagna, circa 700 metri oltre il borgo di Tomba. Era situato a cavaliere della strada postale per Ostiglia, che obbligava ad aggirarlo, prendendola con tiri d'infilata e di fianco. Faceva sistema con il forte Azzano, sull'ala destra, mentre sull'ala sinistra, assente il quinto forte di prima linea presso la riva dell'Adige, incrociava i tiri delle nuove artiglierie da fortezza con il forte San Michele, sulla riva sinistra. L'intervallo tra il forte e l'Adige era presidiato, in seconda linea, dalla torre Tombetta e dal forte Santa Caterina. Si trattava del forte maggiormente armato della prima linea, e le sue artiglierie da fortezza battevano di fronte e di fianco le strade provenienti da Ostiglia e da Legnago e il corso discendente dell'Adige, esercitando una potente azione di combattimento contro le operazioni nemiche di passaggio dell'Adige o di investimento della piazzaforte da sud. Il forte Tomba è simile, per impianto architettonico e caratteristiche tecnico-logistiche, ai forti Lugagnano e Dossobuono ma se ne distingue, tuttavia, per le maggiori dimensioni d'insieme: il fronte di gola misura infatti 232 metri, rispetto ai 200/204 metri degli altri due forti. L'ingresso al forte fu risolto dal progettista con una disposizione complessa, coordinata al doppio recinto di sicurezza interno. Nel terrapieno del fronte di gola rettilineo era inserita un'opera casamattata, alla quale era innestata la caponiera di gola, per artiglieria e fucileria, che difendeva l'accesso. La strada di accesso si sdoppiava quindi davanti alla caponiera arrotondata, in direzione dei due portali laterali, simmetrici, preceduti dal ponte levatoio. Dai due portali ad arco si accedeva al piazzale interno, sotto il tiro dei fucilieri. Al centro del forte si elevava, su due piani e con copertura casamattata, il ridotto a corpo lineare, piegato sul tracciato a lunetta, con raccordi d'angolo arrotondati. Lungo il cortile interno del ridotto, al centro della facciata, sporgeva un corpo su pianta trapezoidale contenente la scala e i servizi igienici. Sui due piani, nei locali a volta, erano disposti i ricoveri per la numerosa guarnigione e le varie funzioni logistiche, che rendevano l'opera autosufficiente. Il fronte principale del ridotto era ordinato per la difesa, su ogni piano, con galleria perimetrale a feritoie per fucilieri. Sul fronte secondario, concavo, il cortile era chiuso da un muro rettilineo di sicurezza. Nel mezzo, ai lati del passaggio per l'accesso al cortile, altri due muri paralleli si collegavano alle casematte del fronte di gola, delimitando un ulteriore compartimento di sicurezza. Il tutto formava un doppio recinto a feritoie che, assieme alle gallerie per fucilieri del fronte principale, assicurava la difesa progressiva dell'opera. Inoltre tre pozzi per le riserve d'acqua erano collocati agli angoli del piazzale interno, in nicchie casamattate. Attorno al ridotto, il grande terrapieno si elevava sull'impianto a lunetta pentagonale, e copriva in aderenza anche l'intero fronte di gola. Le postazioni di combattimento per l'artiglieria da fortezza, a cielo aperto, erano protette da numerose traverse, in parte casamattate. All'esterno, completavano l'opera la scarpa a pendenza naturale, rivestita dal muro aderente solo in corrispondenza delle tre caponiere. Dall'esterno, verso il fronte principale, si percepiva l'architettura di terra, con masse dai profili ben modellati dalla geometria del defilamento, mentre le opere murarie erano completamente sottratte alla vista. Nel fronte di gola, secondo un modello classico, spiccavano i portali monumentali, inseriti nelle severe membrature murarie. Nel nucleo del forte il ridotto assumeva duplice fisionomia: fortificatoria, nel prospetto esterno, convesso, con la serrata sequenza di feritoie su due ordini; quasi civile, nel prospetto concavo interno, che affacciava sulla corte, con la successione di bifore a sesto ribassato. Una rarità costruttiva la si incontrava nelle poterne principali, coperte da volte di laterizio a gradoni discendenti e con il tratto terminale a volta gotica. Ciottoli e listati di laterizio (come nella tradizione costruttiva del medioevo veronese) rivestivano i muri di controscarpa, mentre il tufo di Verona rivestiva gli altri edifici del forte, conferendogli un aspetto di straordinaria saldezza. L'armamento della fortificazione consisteva in: 6 cannoni ad anima rigata da 9 cm a retrocarica 6 cannoni ad anima liscia da 9,5 cm ad avancarica 20 cannoni di diverso calibro ad anima liscia 2 mortai Riserve di munizioni: 52 500 kg di polveri. Il presidio in caso di guerra della fortificazione consisteva in: 375 fanti 72 artiglieri Era inoltre possibile disporre un presidio di emergenza di 616 uomini. Verona Monumenti di Verona Sistema difensivo di Verona

Chiesa di Sorio
Chiesa di Sorio

La chiesa di Sorio, chiamata anche oratorio di San Pietro Martire e San Giorgio, è un piccolo oratorio probabilmente basato su di una forma architetturale di stampo romanico ed ampliata successivamente in tempi diversi. Dedicata a San Pietro Martire è situata a Sorio, una frazione di San Giovanni Lupatoto e si trova ai piedi del terrazzo dell'Adige, in un luogo di solitudine e di preghiera. L'edificio viene eretto nel 1585 con lo scopo di essere utilizzato come chiesa padronale. La decadenza della chiesetta è iniziata nell'800 quando, con il potenziamento dei collegamenti stradali e la caduta della Repubblica Veneta, la navigazione fluviale perse la sua importanza e di conseguenza anche la chiesa non era più un punto di riferimento. Viene restaurata nel 1982 e parzialmente restaurata in epoca recente. La chiesa di Sorio fu fondata nel 1585 per iniziativa della nobil signora Isotta Borghetti, moglie del nobil signor Guglielmo Guarienti, come chiesa padronale. Inizialmente fu messa sotto la giurisdizione della Santa Congregazione del Clero Intrinseco che ne nominava il cappellano. Qui vi si celebravano due messe feriali settimanali e tutte le feste di precetto e di devozione secondo la volontà del coniugi Borghetti. La decadenza della chiesetta iniziò all'incirca nel 1800. Con il potenziamento dei collegamenti stradali e la caduta della Repubblica Veneta, infatti, la navigazione del fiume Adige perse la sua importanza e di conseguenza anche la corte di Sorio. Nel 1900 il papa Leone XIII concesse alla chiesetta l'indulgenza plenaria applicata per sette anni ai defunti e a tutti i fedeli che, dopo essersi confessati, visitavano l'oratorio nella festa di san Pietro Martire o in uno dei sette giorni seguenti, pregando per la concordia dei principi cristiani, per l'estirpazione delle eresie, per la conversione dei peccatori e per l'esaltazione della santa Madre Chiesa. In questa chiesa vennero anche sepolti i nobili signori Borghetti-Cartolari. Durante il periodo in cui mons. L. Boscani era parroco, i nobili Cartolari donarono alla parrocchia di San Giovanni Lupatoto l'oratorio, la casa annessa e i due orti che affiancano la chiesa. Nel 1982 la chiesa è stata restaurata completamente. La chiesa è illuminata da tre finestre romaniche che si trovano sulla parete destra e dal rosone della facciata. La parete sinistra è adorna di una grande tela che “Joannes Humanus Ligoccia Pictor faciebat” in cui vi è rappresentato il Redentore affiancato da san Giovanni Battista e san Pietro Apostolo. L'altare laterale è dedicato alla Beata Vergine e ai Santissimi Michele Arcangelo e Giorgio Martire come ricorda il quadro di “D. F. 1610”. Il quadro però desta il sospetto di copia (forse del 1800) perché appare in buone condizioni. L'altare maggiore è in marmo bianco e rosso. Nell'abside una pala, dipinta da un ignoto, raffigura la Vergine col Bambino che guarda amorevolmente al martirio di san Pietro da Verona. La pala risale al 1600 circa ed è di scuola veronese. Gli affreschi sulle pareti rappresentano i Dodici Apostoli con santa Caterina d'Alessandria, riconoscibile dalla ruota, simbolo del suo martirio. Tutti hanno lo sguardo fisso verso la Vergine che viene assunta al cielo. Nel pavimento ci sono le epigrafi sepolcrali della famiglia Borghetti-Cartolari. In epoca recente, abbinato al restauro parziale della chiesa, è stato fatto uno studio in cui si sono cercati i riferimenti storico geometrici che hanno permesso di riconsiderare e valorizzare l'architettura dell'antico edificio per collocarlo nel suo preciso contesto storico architettonico. L'ipotesi formulata è che non abbia nulla a che vedere con la forma romanica accennata da alcuni studiosi. Nelle fasi del rilievo metrico e dell'analisi iconometrica sono state riscontrate, infatti, numerose analogie che hanno permesso di condurre ad una lettura del modello matematico che ha ordinato le proporzioni dell'intero manufatto, o quanto meno di una parte dello stesso, tanto da considerare l'ipotesi che l'edificio sia stato costruito ed ampliato in tempi diversi. Lo studio si conclude con la dimostrazione che la chiesa ha probabilmente un impianto architettonico basato su di una forma romanica, tuttavia successivamente ha subito importanti cambiamenti tanto da riconoscere nella pianta dell'edificio caratteristiche di tipologia rinascimentale. Don Vittorio Montorio, Contributi ad una storia di San Giovanni Lupatoto, ed. Mediaprint, San Giovanni Lupatoto 1991. Giuseppe Lavorenti, Storia di San Giovanni Lupatoto, ed. Golden Time Communication, Villafontana 1998. Sergio Martin, La chiesa di San Pietro martire a Sorio nel Comune di San Giovanni Lupatoto. Note per una ricerca storica iconometrica., Edizioni Stimmgraf, San Giovanni Lupatoto 1998. San Giovanni Lupatoto Bocche di Sorio Giuseppe Lavorenti