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Stazione di Catania Acquicella

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La stazione di Catania Acquicella, vista dal lato dei binari (1)
La stazione di Catania Acquicella, vista dal lato dei binari (1)

La stazione di Catania Acquicella è una delle stazioni ferroviarie di RFI a servizio della città di Catania; è posta al km 237+832 della ferrovia Messina-Siracusa. È situata nei pressi del Cimitero monumentale di Catania, dal quale è separata da via Zia Lisa, uno degli assi di ingresso della città da sud-ovest. L'edificio principale della stazione è posto a est dei binari, lato mare, e si affaccia su di una piazza dalla quale è possibile raggiungere il porto di Catania e la Plaia. La stazione è la prima a essere incontrata dai treni che provengono dalla stazione di Catania Centrale per le linee ferroviarie per Siracusa, Caltagirone e Caltanissetta Xirbi, Agrigento e Palermo. Un tempo molto frequentata dai viaggiatori pendolari, ha visto pesantemente ridurre la sua importanza in seguito alla chiusura degli importanti impianti ferroviari adiacenti che davano lavoro a migliaia di lavoratori dell'indotto. Nessun treno vi effettua più fermata per servizio viaggiatori . Adiacente alla stazione, sul lato est, è ancor oggi visibile il grande impianto dell'Officina Veicoli di Acquicella in cui venivano effettuate revisioni integrali e grandi riparazioni dei rotabili ferroviari e, per un certo periodo, anche di automotrici. Dal lato ovest invece sono visibili i capannoni della Squadra Rialzo delle FS. La stazione, denominata "Acquicella" dal nome del torrente che vi scorre a margine, venne costruita nell'ambito del programma di costruzione di ferrovie avviato dalla Società Vittorio Emanuele con l'intento di raggiungere le aree zolfifere dell'area centro-orientale della Sicilia per convogliarne i prodotti mediante la strada ferrata verso il porto di Catania. I progetti attuati in seguito vi fecero confluire anche i prodotti agricoli dell'area sud-orientale dell'Isola e della Piana di Catania. La stazione venne costruita in prossimità dell'imbocco della galleria dell'Acquicella, costruita per percorrere in sottopassaggio la zona sud della città, e venne inaugurata il 1º luglio 1869 in concomitanza con l'apertura all'esercizio della tratta ferroviaria Catania-Bicocca di 7.468 metri. Il 1º luglio 1869 era anche la data in cui la Stazione di Catania Centrale veniva collegata al fascio binari del porto mediante un raccordo in discesa lungo 914 metri. Il 10 settembre 1909 la denominazione dell'impianto venne mutata in "Catania Acquicella". La stazione è destinata a convertirsi in fermata metropolitana in conseguenza dei lavori ferroviari del Nodo Catania. La stazione di Catania Acquicella consiste di un notevole fabbricato viaggiatori a due piani, in austero stile ferroviario costituito, dal lato esterno, di due corpi laterali a sei luci ciascuno collegati da un corpo centrale prominente a tre luci con un lieve rientro laterale simmetrico, a una luce per lato, che alleggerisce la prospettiva d'insieme. Il fabbricato è posto in prossimità dell'imbocco della galleria dell'Acquicella in posizione dissimmetrica rispetto al fascio binari. Il fascio binari comprende un binario di transito e tre binari di precedenza, di cui due per servizio viaggiatori e uno per servizio merci. Solo il primo binario è munito di una pensilina classica con struttura in ferro e colonne di ghisa. I binari del fascio merci e di smistamento (complessivamente 20 binari tronchi) si trovano sul lato orientale della stazione; dallo stesso lato si dipartono i raccordi per la dismessa Officina Grandi Riparazioni di Acquicella e per l'abbandonato fascio merci di San Giuseppe la Rena con la carbonaia e i dismessi mercati generali. Dalla stazione, in direzione di Siracusa ha origine il breve tratto a doppio binario per la successiva stazione di Catania Bicocca. Un terzo binario di collegamento tra gli scali merci delle due stazioni contigue non è mai stato utilizzato dopo la sua costruzione. Lo scalo è dotato di vari magazzini merci con relativo piano caricatore, sagoma limite e due ponti a bilico da 40 t di cui uno da 8 m di lunghezza e uno da 9 m. È presente anche un rifornitore di acqua per locomotive a vapore con colonna idraulica e rifornitori di gasolio e di carbone. Le infrastrutture sono in atto parzialmente inutilizzate a causa delle ristrutturazioni e riclassificazioni d'uso attuate o in corso di attuazione sulla rete ferroviaria. L'orario ferroviario del 18 novembre 1938 riportava la fermata di 3 coppie di treni accelerati da e per Siracusa e di una coppia di accelerati da e per Palermo, una coppia di automotrici in servizio locale e una coppia di omnibus da e per Caltanissetta. Vi effettuavano fermata 6 coppie di treni da e per Caltagirone e 4 coppie di treni di diverse categorie da e per Schettino. L'offerta di servizio nel 1975 riportava la fermata di 5 coppie di treni locali da e per Siracusa, di 3 coppie da e per Caltanissetta e una coppia da e per Catenanuova. L'orario di servizio 1981-1983 prevedeva la fermata di 2 coppie di treni viaggiatori locali da Catania per Caltanissetta e viceversa, di una coppia di automotrici da e per Catenanuova e di una coppia di espressi da e per Palermo. Vi avevano fermata anche le 3 coppie di treni viaggiatori da e per Carcaci. Vi effettuavano servizio viaggiatori 7 coppie di treni da e per Caltagirone (di cui una coppia di diretti). Dalla linea di Siracusa provenivano 5 treni locali mentre 3 vi partivano per tale direzione L'orario di servizio 1995-1997 indica una contrazione dell'offerta relativa alla stazione; non più alcuna fermata di treni viaggiatori provenienti da, o diretti a, Caltanissetta o Palermo ma solo di una automotrice da Catenanuova. Lo stesso prevedeva 7 coppie di treni regionali aventi fermata per Caltagirone e Gela e 3 in senso inverso. Un solo treno regionale da Siracusa vi effettuava fermata. Nonostante la potenzialità, data la vicinanza del cimitero e la popolosità dei quartieri limitrofi, la stazione è stata del tutto sottoutilizzata fino all'abbandono del servizio viaggiatori. Il futuro è incerto; resta il possibile riutilizzo quale stazione del passante ferroviario di Catania, per il servizio di trasporto metropolitano. Consistente era il traffico merci sia di derrate e ortofrutticoli sia di prodotti semilavorati industriali e minerari. Il traffico merci si è progressivamente ridotto dall'inizio degli anni ottanta anche in seguito all'attestamento dei treni nella stazione di Bicocca e alla trasformazione del trasporto merci in intermodale. La stazione è dotata di: Bar Ferrovie dello Stato, Palermo, Orario generale di servizio, fascicolo 152a, valido dal 31 maggio 1981 al 28 maggio 1983. Ferrovie dello Stato, Palermo, Fascicolo orario 152b, valido dal 31 maggio 1981 al 28 maggio 1983, Genova, Ist. grafico S. Basile, 1981. Ferrovie dello Stato, Palermo, Orario generale di servizio, fascicolo 153, valido dal 28 maggio 1995 al 31 maggio 1997. Ferrovie dello Stato, Palermo, Fascicolo orario 154, valido dal 28 maggio 1995 al 31 maggio 1997, Genova, Ist. grafico S. Basile, 1995. Ferrovie dello Stato, Palermo, Fascicolo circolazione della Unità Periferica, ediz. in vigore dal 24 settembre 1995. Ferrovie dello Stato, Palermo, Fascicolo linea 152, ediz. 2003 con aggiornamenti. Passante ferroviario di Catania Ferrovie siciliane Società Vittorio Emanuele Società per le Strade Ferrate della Sicilia Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla stazione di Catania Acquicella

Estratto dall'articolo di Wikipedia Stazione di Catania Acquicella (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

Stazione di Catania Acquicella
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La stazione di Catania Acquicella, vista dal lato dei binari (1)
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Luoghi vicini

Cimitero monumentale di Catania

Il cimitero monumentale di Catania sorge in via Acquicella, nell'omonimo quartiere a nord della Zia Lisa, fu aperto nel 1866, su di un terreno che in precedenza apparteneva alle monache di Santa Chiara. L'editto di Saint Cloud emanato da Napoleone Bonaparte nel 1804 vietò che le sepolture fossero effettuate all'interno delle chiese e, dopo il Congresso di Vienna, il Regno delle Due Sicilie legiferò nel 1817 seguendo proprio le direttive ereditate dalla Francia. In questo periodo il duca di Sammartino propose al consiglio provinciale di realizzare un cimitero per ottemperare al termine ultimo del 1º gennaio 1831 fissato dal decreto reale del 12 dicembre 1828, il quale affermava che entro tale data fossero ultimati tutti i cimiteri del regno. Nel 1835 nella zona della Plaia si iniziò la costruzione di un camposanto, per far fronte alla grave epidemia di colera del 1837, l'incarico fu affidato a Sebastiano Ittar, ma il luogo scelto non fu molto idoneo in quanto il terreno era fortemente sabbioso e i cani riuscivano a dissotterrare i corpi, e quindi non era conforme alle direttive vigenti in materia. A marzo del 1856, l'ingegnere Eligio Sciuto riceve l'incarico per redigere il progetto del cimitero che sarebbe sorto su di un terreno comunale, denominato "Fondo del Crocifisso", conforme ai regolamenti del regno, ma gli eventi politici accaduti nel 1860, quali lo sbarco a Marsala dei Garibaldini, la caduta dei Borboni e la costituzione del Regno d'Italia, ostacolano la prosecuzione del progetto. Le leggi Siccardi del 1866 e del 1867 abolirono le corporazioni religiose e ne confiscarono i beni, tra i quali la tenuta di Santa Chiara, ove vi era un vigneto. Il terreno, ritenuto adatto alla costruzione del camposanto, sia per le caratteristiche tecniche, per la sua posizione geografica, si trovava in contrada Acquicella. All'epoca il centro abitato era distante circa un chilometro dal luogo dove sarebbe sorto il cimitero, inoltre la sua posizione era favorevole ai venti dominanti, condizione necessaria per rispettare appieno la legge sulla sanità pubblica del 20 marzo 1865 e il successivo regolamento dell'8 giugno di quello stesso anno. Il cimitero aprì nel 1866, circoscritto da una recinzione in legno: ora non restava che provvedere al lato artistico del progetto, l'incarico di trovare un progettista fu dato all'ingegnere comunale Ignazio Landolina, che contattò dapprima il professor Mariano Falcini di Firenze, ma il suo progetto fu accantonato. In seguito la scelta cadde su Leone Savoja, che si era brillantemente occupato del cimitero monumentale di Messina; il 15 ottobre del 1871 fu emanata la delibera che rese Savoja ingegnere specialista per la sistemazione del camposanto. Furono costruiti due ingressi, quello principale, costituito da un corpo di fabbrica in stile neoclassico a tre fornici chiusi da cancelli e quello secondario che dà accesso diretto al viale delle Confraternite. Il terzo ingresso in Via Acquicella fu realizzato negli anni sessanta del Novecento, grazie all'opera dell'allora Assessore ai Servizi Cimiteriali, Cav. Uff. Antonino La Rosa, a seguito dell'ampliamento del camposanto. Nel 2017 fu approvato il "Regolamento cimiteriale e funebre di Polizia mortuaria" che unificava il regolamento del Cimitero (risalente al 1929) e quello dei trasporti funebri (redatto e approvato nel 1960 e successive modifiche): comprende 42 articoli con riferimenti al trattamento delle salme, ai trasporti funebri, alla concessione di aree e manufatti destinati alle sepolture, alla cremazione e conservazione, o eventuale dispersione, delle ceneri (individuando, nel caso della cremazione senza espressa volontà del defunto, anche chi ha diritto a decidere), le concessioni e le scadenze (compreso il destino di eventuali arredi funebri che rimarranno di proprietà del Comune), stabilendo di volta in volta come utilizzare le opere di valore artistico e storico e le cappelle sulle quali non ci siano vincoli. Nel 2022 il Consiglio comunale ha varato ulteriori modifiche con un nuovo "Regolamento dei servizi cimiteriali". La cappella Fichera (1915), la cappella Patanè (1918) e la cappella Fortuna (1927) realizzate dall'architetto Francesco Fichera; La cappella Sisto Alessi (1884), la cappella Spampinato (1900) e la cappella Tomaselli (1905) dell'architetto Carlo Sada; La stele Cardone di Antonio Ugo; Monumento alla Sapienza di Enzo Assenza (1948). La biga di Morgantina Giovanni Auteri Berretta (1851 - 1929), avvocato e politico. Boris Bilinskij (1900 - 1948), scenografo, costumista e cartellonista cinematografico. Enrico Boggio Lera (1862 - 1956), fisico e matematico. Vitaliano Brancati (1907 - 1954), scrittore, sceneggiatore, drammaturgo e saggista. Brigantony (1948 - 2022), cantautore di musica popolare Antonio Canepa (1908 - 1945), militare, politico e politologo. Gabriele Carnazza (1871 - 1931), giurista, politico e imprenditore. Vincenzo Casagrandi (1847 - 1938), docente, storico e archeologo. Giuseppe de Felice Giuffrida (1859 - 1920), politico. Pietro Delogu (1857 - 1932), giurista e accademico. Federico De Roberto (1861 - 1927), scrittore, giornalista, drammaturgo. Filadelfo Fichera (1850 - 1909), ingegnere e architetto. Francesco Fichera (1881 - 1950), architetto, ingegnere e accademico. Francesco Paolo Frontini (1860 - 1939), compositore e direttore d’orchestra. Martino Frontini (1827 - 1909), compositore. Antonino Gandolfo (1841 - 1910), pittore. Giovanni Grasso (1873 - 1930), attore. Gilberto Idonea (1946 - 2018), attore. Angelo Massimino (1927 - 1996), imprenditore, dirigente sportivo e presidente del Catania. Beppe Montana (1951 - 1985), poliziotto e commissario vittima di Cosa nostra. Angelo Musco (1871 - 1937), attore. Turi Pandolfini (1883 - 1962), attore. Ercole Patti (1903 - 1976), scrittore, giornalista, sceneggiatore. Giuseppe Pizzarelli (1848 - 1923), politico. Pietro Platania (1828 - 1907), compositore. Mario Rapisardi (1844 - 1912), poeta, traduttore e docente. Giuseppe Sapienza (1884 - 1947), avvocato, sindacalista, politico e membro dell’Assemblea Costituente della Repubblica Italiana. Giovanni Verga (1840 - 1922), scrittore, drammaturgo e senatore. Salvatore Borzì e Salvatore Tudisco, La Città senza tempo. L'area monumentale del cimitero di Catania, Roma, Aracne Editrice, 2006, ISBN 88-548-0397-9. Cettina Santagati, L'azzurro del cielo: un polo museale tra arte, architettura e natura nel Cimitero di Catania, Documenti DAU, n. 31, Palermo, Edizioni Caracol, 2006, ISBN 978-88-89440-12-4. Cimitero monumentale di Catania, su comune.catania.it. URL consultato il 19 ottobre 2022. Cimitero monumentale di Catania - Progetto del CSSSS, su mokazine.com. Cimitero monumentale di Catania - Antonio Canepa - Progetto del CSSSS, su csssstrinakria.eu. Cimitero monumentale di Catania - Mario Rapisardi - Progetto del CSSSS, su csssstrinakria.eu. Cimitero monumentale di Catania - Nino Martoglio - Progetto del CSSSS, su csssstrinakria.eu.

Chiesa di Santa Maria de La Salette
Chiesa di Santa Maria de La Salette

La chiesa di Santa Maria de La Salette è un luogo di culto cattolico di Catania, ubicata nell'omonimo quartiere del centro storico. Distrutta nel maggio del 1943 durante un bombardamento, fu ricostruita subito dopo. Fu fondata nella via omonima del nascente rione del centro storico di Catania, confinante a nord-ovest con il quartiere San Cristoforo e a nord-est con quello degli Angeli Custodi, col prospetto di pietra calcare, già in via di completamento a fine Ottocento, collocata ad oriente. Ispirata all'architettura neogotica, essa venne realizzata su progetto dell'ingegnere catanese Carmelo Sciuto Patti, molto attivo in città, disegnato analogamente al santuario di La Salette-Fallavaux in Francia. L'edificazione del tempio avvenne a spese dei fedeli e su iniziativa di Giuseppe Benedetto Dusmet, cardinale-arcivescovo della città, nato a Palermo ma venerato dai cittadini catanesi, spentosi il 4 aprile 1894. La data della posa della prima pietra fu il 29 giugno del 1872. Venne ufficialmente aperta al culto il 26 aprile del 1874 e, poco dopo, il 1º luglio 1897 vi fu fondata una Congregazione – come si leggeva fino al 1900 in una tabella esposta nell'Oratorio festivo salesiano – contigua alla stessa chiesa e per il finanziamento del quale oratorio si mosse la generosità del card. Giuseppe Francica Nava con una donazione di 647 lire. La descrizione tramandata è quella che fece lo storico Rasà nel 1900. Superata la soglia della porta maggiore, si osservava il vestibolo sul quale c'era la tribuna destinata alla collocazione di un organo ed illuminata, oltre che da quattro finestre piccole, da un finestrone circolare a foggia di rosone. A sinistra di questo vestibolo vi era murata una lapide con la seguente epigrafe: Sul muro a destra del medesimo vestibolo era collocata l'acquasantiera con dei rilievi rappresentanti il monogramma di Maria e gli strumenti della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo. Alla base di tali rilievi vi erano scolpite le parole: Nella chiesa ad un'ampia navata si ammirava – "opera stupenda!" a dire del Rasà – la volta di colore cilestro chiaro, ornata di stelle auree, come sotto l'abside a sesto acuto, illuminata da cinque finestre, disposte a semicerchio in fondo e da due grandi rosoni ai lati nord e sud. Fornite di cinque finestre archiacute con sottostanti altrettanti rosoni per ogni lato, le pareti laterali del sacro edificio avevano semicolonne piuttosto alte, ancora da intonacare agli inizi del '900. In esse erano incavate quattro cappelle destinate agli altari – ancora da costruire all'epoca dello storico Rasà –, sostituiti da due altari provvisori in legno sormontati, quello di destra da un piccolo quadro con l'immagine di San Giuseppe e quello a sinistra dal Crocifisso a grandezza naturale vicino a una piccola tela della Maria Addolorata. Attorno alle stesse pareti laterali erano disposte due porte a sesto acuto, una delle quali era a nord e l'altra a sud. Più in alto erano incavati quattro nicchioni, destinati ad accogliere dei simulacri, mentre più in basso erano fissati i 14 quadretti della Via Crucis. Nell'abside si scorgevano la balaustrata marmorea come il pavimento, un armonium provvisorio, due specie di usci a sesto acuto e l'altare maggiore tutto di marmo, eretto per devozione di Giovanni Marchese, come si legge al lato del vangelo ovvero in cornu evangelii. Sullo sportellino del ciborio era scolpito l'Agnus Dei e sulla tendina che lo copre erano ricamate a lettere auree le parole: Nell'abside vi era una grande nicchia ad arco ogivale, nella quale era conservata la statua di Nostra Signora di La Salette in cemento d'origine parigina. In fondo alla chiesa, lato nord, si vedeva un busto marmoreo che raffigurava papa Pio IX, poggiato su un piedistallo ligneo di fattura napoletana. Al posto dell'ambone era presente un confessionale. Dal lato sud c'era un'altra porta interna per la quale si passava in un oratorio con un altarino a sinistra ed uno di fronte, sul quale era posto un altro simulacro in legno rappresentante la Madonna della Salette, opera risalente al 1898 dello scultore catanese Lorenzo Grassi (o Grasso). Sulle pareti di quest'ultimo altare si trovavano appesi quadretti votivi. La maggiore delle tre campane fu benedetta il 16 maggio 1897 da mons. Antonio Cesareo, catanese, vescovo in partibus, essendone stato padrino il sig. Camillo Elia. Ad essa fu imposto il nome di Maria. L'11 maggio del 1943 la chiesa venne rasa al suolo, durante i bombardamenti in Sicilia. La ricostruzione nello stesso luogo, avviata nel secondo dopoguerra e diretta dall'arch. Raffaele Leone, tra il 1945 e il 1949, mutò il vecchio prospetto con la nuova caratteristica facciata esterna in mattoni rossi, cornicione, cornici e portale in pietra bianca decorato con una lunetta scolpita, raffigurante la Madonna della Salette, gli angeli e i due pastorelli, Maximin e Mélanie. Le due pareti laterali in marmo, presentano ciascuna due altari, anch'essi in marmo e a sesto acuto: l'altare della Carità e della Famiglia Salesiana a destra, quello della Sacra Famiglia e del Sacro Cuore a sinistra. L'altare maggiore, in marmo giallo con due angeli, e rivolto verso i fedeli. La statua lignea della Madonna della Salette, di origine francese, presenta ancora oggi, sul fianco destro, i segni del bombardamento del 1943. Il 19 marzo 1893, festa di San Giuseppe, alla presenza del cardinale Dusmet veniva affidato ufficialmente ai Salesiani l'Oratorio festivo che in onore del papa Leone XIII fu chiamato "Leone XIII alla Salette". Per decisione dell'arcivescovo mons. Carmelo Patanè, dal 1947 i Salesiani sono presenti alla "Salette" come Comunità religiosa regolare per offrire il lavoro a questo quartiere povero ed abbandonato con la Parrocchia, la scuola e l’Oratorio - Centro giovanile, il teatro. Infatti, è grazie all'opera dei Padri Salesiani, i quali, svolgendo la loro attività pastorale nel quartiere « della Salette », istituirono la scuola primaria, l'Oratorio, il Centro giovanile, i G.R.EST., i corsi professionali, i laboratori di formazione finalizzati all'inserimento nel mondo del lavoro, sia per ragazzi (elettricisti e termoidraulici) che per ragazze (sarte ed estetiste), combattono la cultura della strada e formano 'buoni cristiani ed onesti cittadini'. Il 19 settembre si celebra con molta devozione, ma senza grandi clamori, la festa della Madonna della Salette, voluta dal ricordato Cardinale Dusmet per ricordare l'evento accaduto in Francia. I festeggiamenti solenni sono preceduti da un triduo liturgico e dalla processione serale del simulacro della Madonna dalla chiesa parrocchiale per attraversare le vie adiacenti del quartiere, accompagnata dalle preghiere dei fedeli, la banda musicale e lo sparo dei fuochi d'artificio. Conclude la processione lo spettacolo pirotecnico di chiusura e la solenne benedizione ai fedeli. Nei giorni precedenti e in quelli successivi alla festa religiosa sono allestite numerose sagre e vari spettacoli musicali. Giuseppe Rasà Napoli, "Guida e breve illustrazione delle chiese di Catania e sobborghi", Catania, Tringale Editore, 1984 (ristampa dell'edizione dell'anno 1900), pp. 425-427. Vittorio Consoli (a c. di), "Enciclopedia di Catania", Catania, Tringale Editore, 1987 (seconda edizione riveduta e aggiornata), p. 163. Saverio Gaeta, "La Salette. Il pianto e le profezie della Bella signora", Cinisello Balsamo, San Paolo, 2017, ISBN 978-88-922-1166-7. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su chiesa di Santa Maria de La Salette Chiesa di Santa Maria della Salette , su Le chiese delle diocesi italiane, Conferenza Episcopale Italiana. URL consultato il 19 aprile 2022. Ispettoria Salesiana Sicula "San Paolo": Catania Salette, San Giovanni Bosco, su sdbsicilia.org. URL consultato il 18 aprile 2022. Oratorio Salesiano Don Bosco, Catania Salette, su donboscoitalia.it. URL consultato il 18 aprile 2022. S. Maria delle Salette - Catania, su isolainfesta.it. URL consultato il 19 aprile 2022. Oratorio Salesiano San Giovanni Bosco Salette - CT, su oratoriosgboscosalettect.wordpress.com. URL consultato il 19 aprile 2022.

Porta Garibaldi (Catania)
Porta Garibaldi (Catania)

La porta Ferdinandea, dopo il 1860 intitolata porta Garibaldi, è un arco trionfale costruito nel 1768 a Catania su progetto di Stefano Ittar e Francesco Battaglia per commemorare il centenario della storica eruzione del 1669 che aveva seppellito la zona ovest della città. In quel periodo Ferdinando di Borbone e Maria Carolina convolarono a nozze e si decise di chiamare l'arco Porta Ferdinandea in onore dei due sovrani. Si trova tra piazza Palestro e piazza Crocifisso, alla fine di via Giuseppe Garibaldi, nel quartiere Fortino, in dialetto catanese Furtinu. Il monumento è realizzato alternando pietra bianca di Siracusa e blocchi di lava scura locale. In alto al centro dell'arco si trova ora un orologio, circondato da simboli allegorici, tra cui un'aquila e un elefante, simbolo di Catania. In origine, al posto di un orologio, c'era un busto marmoreo del re Borbone. Al secondo livello si trovano due angeli con trombe, al terzo due Trofei d'armi, con raffigurazioni scultoree di armi e armature e sono scritte due frasi: una dice Litteris armatur (armato con le lettere) e l'altra Armis decoratur (decorato con le armi). Sul lato Est lo scudo del timpano raffigura una Fenice che risorge dalle fiamme con un cartiglio che recita Melior de cinere surgo (Migliore dalle ceneri risorgo). La zona è chiamata 'u Furtinu in ricordo di un fortino costruito dal viceré Claudio Lamoraldo, principe di Ligne, dopo l'eruzione lavica del 1669 che colpì la città su tutto il lato occidentale, annullandone le difese medievali. Dell'opera di fortificazione avanzata che sorgeva a sud di piazza Palestro, ormai scomparsa, rimane solo una porta in via Sacchero. Alcuni palazzi collegati alla porta furono demoliti negli anni trenta, altri oggi sono abbastanza poveri e tutt'altro che simmetrici. La riqualificazione della piazza ha dato sicuramente un altro aspetto alla porta, ma è comunque tutt'altro rispetto ai progetti originari. Vittorio Consoli (a cura di), Enciclopedia di Catania, Catania, Tringale editore, 1987. Stefano Ittar Francesco Battaglia Ferdinando I delle Due Sicilie Maria Carolina d'Asburgo-Lorena Fortino (Catania) Eruzione dell'Etna del 1669 Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Porta Garibaldi

Fortino (Catania)

Il Fortino (Futtinu in dialetto catanese) è un quartiere della zona sudoccidentale della città di Catania, facente parte della I Circoscrizione (già I Municipalità, quella del Centro Storico), comprendente anche i quartieri Angeli Custodi, Antico Corso, Civita, Giudecca, San Berillo e San Cristoforo. Il nome ricorda un fortino fatto costruire dall'allora viceré di Sicilia, Claude Lamoral I di Ligne, quasi subito dopo la colata lavica del 1669, in una zona che già all'epoca era oltre le mura cinquecentesche di Carlo V, ed è chiamata oggi "Fortino Vecchio", dato che prende il nome dal monumento: di questa fortificazione rimane solo una porta in "via Sacchero", con una decorazione raffigurante Napoleone Bonaparte a cavallo. Il nome venne attribuito poi ad una porta celebrativa molto più grande, ovvero la "Porta Ferdinandea", fra "piazza Crocifisso Maiorana" ad est e "piazza Palestro" ad ovest, denominata in seguito "Porta Garibaldi" e detta comunemente in dialetto "Potta do Futtìnu". Il Fortino confina a nord-ovest con il quartiere Curìa, a nord con Chiusa del Tindaro, ad est con San Cosimo alle Chianche, a sud-est con Fortino Vecchio, a sud-ovest con Monte Pidocchio e ad ovest con Gioeni; alcuni di questi quartieri sono comunemente considerati dai Catanesi come facenti parte del Fortino, essendo zone attigue e per questo attribuibili ad esso. Il quartiere comprende gli ultimi tratti di due fra le vie principali del centro storico di Catania, quasi paralleli ma che proprio qui divergono più che altrove: via Vittorio Emanuele II, che finisce più a nord e ad ovest, e via Giuseppe Garibaldi, che finisce più a sud e ad est. In particolare via Giuseppe Garibaldi finisce in "piazza Crocifisso Maiorana", la quale ha più ad ovest la Porta Garibaldi, che, a sua volta, ha più ad occidente "piazza Palestro", la più grande del quartiere essendo lunga 100 metri e larga 50, da cui parte ancora più ad ovest "via Palermo", ideale continuo di via Giuseppe Garibaldi, e che, in quanto tale, dopo il Fortino attraversa i quartieri di San Leone, dove ad un certo punto si dirige verso nord, e quindi Nesima; essa, dopo aver varcato il confine comunale, diventa la Strada statale 121, detta "la Catanese", proseguendo fino a Palermo. Invece, Via Vittorio Emanuele II, finisce in "piazza del Risorgimento", la quale è divisa fra i quartieri Curìa e Gioeni. Nonostante la vicinanza i quartieri di Curìa, Nesima, San Leone, Gioeni e Zammataro sono della V Circoscrizione, formata nel 2013 dalle ex VII e VIII Municipalità, mentre il Fortino e Monte Pidocchio fanno parte invece della I Circoscrizione, già I Municipalità. La chiesa principale, del Sacro Cuore di Gesù al Fortino, si affaccia a nord-ovest di piazza Palestro ed è stata costruita nell'Ottocento sul luogo di una precedente chiesa dedicata alle Anime del Purgatorio, che oggi costituisce la cripta della chiesa stessa. L'altra chiesa del quartiere è quella del Santissimo Crocifisso Maiorana ad est, nella piazza omonima più piccola, da dove si affaccia a nord, ed è stata costruita nel Settecento. Il monumento civile principale è la "Porta Ferdinandea", una porta celebrativa chiamata così dal futuro Ferdinando I delle Due Sicilie, in onore del cui matrimonio venne eretta nel 1768, e dopo il 1860 denominata "Porta Garibaldi", dall'omonima via alla cui fine è posta: essa è comunemente conosciuta anche come "Porta del Fortino" e separa piazza Crocifisso Maiorana ad est dalla più grande (100 x 50 metri) piazza Palestro ad ovest. Chiesa del Sacro Cuore di Gesù al Fortino, piazza Palestro Chiesa del Santissimo Crocifisso Maiorana, piazza Crocifisso Maiorana Porta Garibaldi (Catania) Claude Lamoral I di Ligne

San Cristoforo (Catania)

San Cristoforo (San Cristofuru in dialetto catanese) è un quartiere della zona sudoccidentale della città di Catania, facente parte della I Circoscrizione del Comune (già I Municipalità, quella del Centro Storico), comprendente anche i quartieri Angeli Custodi, Antico Corso, Civita, Cappuccini, Fortino, Giudecca e San Berillo. Il quartiere è delimitato a nord da San Cosimo alle Chianche e dalla Giudecca, a est dal quartiere Terme di Sant'Antonio, a sud-est da Santa Maria de La Salette, a sud e sud-ovest dal quartiere Passarello, ad ovest dai quartieri Fortino e Fortino Vecchio. Alcuni di questi quartieri sono considerati appartenenti a San Cristoforo, poiché sono continuazioni del tessuto urbano fittamente popolato: tra questi ci sono Santa Maria de La Salette e Passarello; a loro volta sono questi quartieri che confinano con altri che non sono tradizionalmente riconducibili a San Cristoforo, anche se popolarmente scambiati o confusi con esso, come Angeli Custodi, Tondicello della Plaia - Faro Biscari (la zona di piazza Caduti del Mare) e il quartiere Acquicella, in cui è presente una stazione ferroviaria e il cimitero monumentale di Catania. L'unica piazza esistente, che però è molto caratteristica, è proprio piazza San Cristoforo: essa si affaccia sul tratto sud-est di via Plebiscito, antica circonvallazione della città vecchia. San Cristoforo nasce in seguito al terremoto del Val di Noto del 1693, come parte dell'espansione della città verso Sud, cioè proprio la zona che era stata sguarnita dalla eruzione dell'Etna del 1669, quindi qualche decennio prima. «Qui, favoriti dai bassi prezzi dei terreni, si reinsediano i sopravvissuti più poveri costruendo le loro modeste case terranee o, tutt'al più, solarate spesso appoggiandosi alla preesistente rete stradale fatta di vie strette, tortuose, irregolari. In qualche caso vengono riproposti sistemi a cortile di tipo rurale, con case terranee che si affacciano su un cortile comune al quale si accede attraverso un arco posto sulla via (…) La "storia fattasi pietra" di questa parte così importante della città, ottiene un riconoscimento adeguato solo con il Piano Regolatore di L. Piccinato del 1964. Qui, dopo l'operazione San Berillo la città rilevata da Ittar nel 1832 viene sottoposta a tutela con la definizione del Centro Storico, lasciando al di fuori alcuni tessuti urbani tardo-settecenteschi come San Cristoforo e i quartieri del piano di Gentile. Anzi proprio San Cristoforo, secondo le indicazioni del piano, avrebbe dovuto essere demolito per ospitare nuovi quartieri di edilizia residenziale. Questo che oggi definiamo un errore, ma che era forse il massimo risultato ottenibile con la cultura degli anni Sessanta, è stato oggi sanato dalle previsioni del nuovo PRG che accoglie nella zona A questi tessuti, insieme a quelli dei sobborghi storici». Il quartiere si presenta come un luogo ricco di stimoli e denso di contraddizioni. Da un lato conserva ancora aree di forte degrado, che si rispecchiano inevitabilmente sul piano sociale; dall'altro offre un colorito affresco dell'animo della Città di Catania: "Arrusti e Mangia" (Street Food), Sangeli, Carne di Cavallo, sono solo alcune delle perle che si possono scoprire tra le strade del quartiere. La prima celebrazione risale al 1951. Si festeggia il 25 luglio presso la parrocchia omonima sita in via Plebiscito, la festa di San Cristoforo. Nel quartiere, fra via Giuseppe Garibaldi alta e piazza San Cristoforo, vi era la caserma ottocentesca della Cavalleria Borbonica, trasformata alla fine del secolo nella Manifattura Tabacchi e dismessa verso l'inizio del nuovo millennio. Chiesa di San Cristoforo alle Sciare, via Plebiscito, 353 http://www.comune.catania.it/la-citta/municipalita/1/societa/ http://www.comune.catania.it/la-citta/municipalita/1/tessuto-urbano/

Piana di Catania
Piana di Catania

La Piana di Catania è la più estesa pianura della Sicilia. Ha una superficie di 430 km², pari a un quinto di tutte le pianure dell'isola ed è una delle più estese dell'Italia meridionale. La piana di Catania si è formata con l'accumulo dei depositi alluvionali dei fiumi Dittaino, Gornalunga, Simeto e dei loro affluenti. È circondata da monti e colline ed è una pianura alluvionale: l'Etna la sovrasta con la sua imponente mole e, in un certo modo, ne è l'artefice rendendola fertile con i prodotti della sua attività vulcanica. La piana infatti si è formata a partire dall'emersione dell'antico vulcano dal golfo primordiale, che esisteva al suo posto, tra l'Appennino Siculo, a nord, con le catene montuose dei Nebrodi e, a sud, la catena costituita dai Monti Erei e dai Monti Iblei. Il territorio della Piana di Catania comprende parte della Provincia di Catania, della Provincia di Siracusa e della Provincia di Enna. La piana di Catania è attraversata per tutta la sua lunghezza dall'autostrada A19 Catania-Palermo e dalla strada statale 192; da questa alcuni km dopo l'uscita dalla città di Catania dirama la strada statale 417 per Caltagirone. Nel tratto prossimo alla costa viene percorsa dalla strada statale 114 dalla quale in prossimità del fiume Simeto si dirama la strada statale 194 per Ragusa. Nella parte catanese della piana si trova l'aeroporto di Fontanarossa e mentre in territorio siracusano sorge quello militare di Sigonella. Poco oltre, in località Gerbini sorgeva fino alla seconda guerra mondiale, un aeroporto militare italiano, con piste in terra battuta. La piana di Catania è interamente attraversata in lunghezza dalla ferrovia Palermo-Catania di RFI che ha origine nella stazione di Bicocca, nella quale si stacca dalla linea costiera per Siracusa che prosegue in direzione sud verso il fiume Simeto. Dalla stazione di Motta Sant'Anastasia, sulla linea per Enna e Palermo si dirama la ferrovia Catania-Motta-Regalbuto, oggi usata solo per merci fino a Paternò e Carcaci, che arrivava fino a Regalbuto costeggiando il lago di Pozzillo, fino alla soglia degli anni ottanta ed era di grande importanza per il trasporto degli agrumi all'estero. L'area della piana è interessata da vari insediamenti industriali, come la zona industriale di Catania, l'area di sviluppo industriale di Caltagirone e l'area industriale di Enna. È inoltre in corso di finanziamento e costruzione l'interporto di Catania Bicocca. È una delle zone agricole più importanti della Sicilia. L'agricoltura prevalente nell'area provinciale catanese della Piana di Catania è quella agrumaria con prevalenza quasi assoluta dell'arancio, ma sono presenti anche gli oliveti. Addentrandosi verso l'interno e soprattutto nella parte ennese è prevalente la coltivazione cerealicola e leguminosa, un tempo con prevalenza di grano duro, arance di polpa rossa. Gli insediamenti urbani sulla piana sono pochi e costituiti essenzialmente da antiche masserie oggi quasi tutte disabitate e qualche villaggio per lo più attorno alle stazioni ferroviarie come Sferro. I centri di qualche rilevanza si trovano tutti ai margini della piana e sono Catenanuova, Francofonte, Militello, Lentini, Motta Sant'Anastasia, Paternò, Palagonia, Ramacca e Scordia. La parte finale della Piana di Catania nei pressi della costa ionica costituisce l'oasi del Simeto. Calatino Pianure italiane Paesi etnei Riserva naturale Oasi del Simeto Zona industriale di Catania Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Piana di Catania

Giudecca di Catania

La Giudecca di Catania (Judeka in dialetto giudaico-catanese) è stato l'antico quartiere ebraico sorto a ridosso delle mura nell'allora periferia a ovest e a sud della città. La definizione di ghetto è impropria, in quanto la comunità ebraica catanese non era chiusa e isolata in un quartiere, ma più propriamente spalmata in diverse parti della parte occidentale e meridionale della città. La presenza di una giudecca a Catania la si può ipotizzare già a partire dal III-IV secolo, quando cioè appaiono le prime lapidi funebri relative a defunti Ebrei. Una delle più importanti, rinvenuta durante i lavori per la messa in posa di cavi telefonici nel mese di maggio 1929 nella zona est del vecchio abitato presso la chiesa di Santa Teresa, risalirebbe – sulla base dei caratteri latini usati – alla fine del IV secolo. Non esistono fonti relative al periodo seguente, mentre, in un periodo non meglio precisato, la comunità ebraica di Catania si insedia nell'area corrispondente alla pianura detta di Cipriana, dove è presente nel 1235, situato entro le mura di nord-ovest, mentre nel corso del XIV secolo si distribuisce senza soluzione di continuità nella zona a sud, in uno spazio urbano compreso tra la Piana e il Porto, giungendo alle porte della Platea Magna, oggi nell'area di piazza Duomo. La giudecca si dota di due sinagoghe, un ospedale, un macello e persino un cimitero poco fuori le mura, certamente accessibile da una Porta della Judeca, forse situata alla Cipriana. La comunità ebraica di Catania era prevalentemente in affari con il mercato del pesce e come era d'abitudine si affacciava su di un fiume, nel caso catanese sull'Amenano che prese da essi a chiamarsi Judicello propriamente per la presenza della giudecca, adoperato per i bagni rituali delle donne. La presenza ebraica è attestata anche presso le maestranze che lavorarono nella realizzazione del Castello Ursino (1239-1250), come pure dimostrano taluni riferimenti alle simbologie giudaiche impresse dagli operai a decorazione del fortilizio svevo. La giudecca venne quindi spopolata a partire dal 18 giugno 1492 a causa del Decreto dell'Alhambra voluto da Ferdinando di Aragona e Isabella di Castiglia che espelleva gli ebrei non convertiti dalla Spagna. L'area, anticamente occupata da una numerosa comunità ebraica, cadde nel totale abbandono e nel degrado, presentandosi nel 1554 in pessime condizioni, quando il Senato civico cedette il territorio della Cipriana ai cassinesi, provenienti dal cenobio nicolosita sull'Etna, insieme a quello « del Parco ». I due quartieri noti si trovavano prevalentemente nella zona a nordovest e a sud della città. Una sorta di linea di demarcazione tra due giudecche distingueva la parte collinare, in posizione più elevata, da quella situata nella parte pianeggiante della città. Il primo quartiere era detto Judeca Soprana (יודקה סופרנה, Iudeka Suprana, Giudecca superiore), o in siciliano Judeca di Susu, e corrispondeva al Piano della Cipriana, quartiere che dopo l'esilio degli Ebrei dalla Sicilia venne acquisito dai Padri Benedettini Cassinesi che nel 1558 iniziarono, alla presenza del viceré di Sicilia Juan de la Cerda, duca di Medinaceli, il primo impianto di quello che sarebbe poi stato il Monastero di San Nicolò l'Arena, il maggiore del Regno. Il quartiere si estendeva tra le attuali via della Cipriana (che è una piccola traversa di via Quartarone, la via che collega piazza Dante Alighieri a via Vittorio Emanuele II), via Maura (che in ebraico significa Moro), piazza Dante Alighieri e il monastero benedettino. In via Sant'Anna era la mezkita di questo quartiere, termine ebraico-medioevale che indicava la sinagoga. Il secondo era invece la Judeca Suttana (יודקה סוטנה, Iudeka Sutana o Giudecca inferiore) detta anche Judeca di Jusu, dov'è oggi la Pescheria: qui infatti dovette pure esserci un grande mercato del pesce. La zona era piuttosto paludosa e talora malsana a causa della presenza del fiume Amenano che qui scorreva a vista e prendeva il nome di Judicello, propriamente a causa della Giudecca. Interessante notare come nella cartografia della Sicilia di XVI e XVII secolo il fiume fosse sempre segnalato con tale nome e mai come Amenano. Era compreso tra le attuali chiesa di Sant'Agata alle Sciare, la Pescheria (più precisamente presso il Pozzo di Gammazita) e via Marano. La sinagoga di questo quartiere era ubicata dov'è oggi la via Recupero, presso la chiesa dei Santi Cosma e Damiano. La dislocazione della comunità ebraica si può desumere anche dalla toponomastica: via Marano viene propriamente da marrano ("porco" in spagnolo), cioè il termine dispregiativo riferito agli Ebrei convertiti al Cristianesimo, accusati di continuare a professare il loro culto di nascosto, mentre via Gisira viene dal termine islamico jizia, cioè la tassa che veniva versata per la libertà di culto. Indirettamente invece via Santa Maria della Catena indica la presenza della giudecca: infatti in Sicilia tutti i toponimi che indicano catena e le chiese titolate Santa Maria della Catena sono rispettivamente contrade abitate in quel tempo da giudei e sedi di antiche sinagoghe. Nicolò Bucaria, Sicilia Judaica - guida alle antichità giudaiche della Sicilia, Flaccovio editore, Palermo 1996. Comunità ebraica di Catania Ebraismo Ebraismo in Sicilia Giudecca (quartiere ebraico) Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Giudecca di Catania Wikivoyage contiene informazioni turistiche su Giudecca di Catania "Visitando l'Italia ebraica - Sicilia" su E-brei.net Domenico Ventura, «Medici Ebrei a Catania», in M. Alberghina, Medici e medicina a Catania dal Quattrocento ai primi del Novecento, Catania, Giuseppe Maimone Editore, 2001. Catania Judaica di Matilde Russo, 19 agosto 2011, su cataniagiovani.wordpress.com

Terme di Sant'Antonio

Le Terme di Sant'Antonio sono un complesso termale romano risalente al I secolo d.C. situato Piazza Sant'Antonio a Catania, di fronte alla casa natale del celebre compositore Giovanni Pacini (1796-1867) e a poca distanza da altri luoghi d'interesse quali la Chiesa di Santa Maria dell'Aiuto e Porta Garibaldi. Sono note anche con il nome di Bagni di Casa Sapuppo, o semplicemente Bagni Sapuppo. Edificate probabilmente nel I secolo d.C. ed in uso fino al III secolo d.C., le Terme di Sant'Antonio furono riscoperte negli anni '70 del XVIII secolo dal Principe di Biscari Ignazio Paternò Castello, che così le descrisse nel suo celebre Viaggio per tutte le antichità di Sicilia: All'incirca negli stessi anni, il pittore francese Jean Houël rappresentò i resti dei bagni in un acquerello ancora oggi conservato al museo dell'Ermitage a San Pietroburgo. A metà Ottocento, in quello che fu un periodo di grande sviluppo per la città di Catania, le terme dovettero essere definitivamente inglobate nelle cosiddette case Sapuppo già citate dal Biscari, e di esse si perse ogni traccia. Bisognerà aspettare il 1997 perché, a seguito di scavi archeologici, alcune delle strutture descritte da Jean Houël e da Sebastiano Ittar siano portate nuovamente alla luce. Le indagini archeologiche hanno condotto anche all'identificazione di alcuni ambienti sconosciuti al Biscari e al rinvenimento di numerose ceramiche tanto romane che medievali. Susanna Amari, Il balneum in piazza Sant’Antonio a Catania: una riscoperta archeologica, in Fabrizio Nicoletti (a cura di), Catania Antica. Nuove prospettive di ricerca, Regione Siciliana, Palermo 2015, pp. 379-398. Edoardo Tortorici (a cura di), Catania antica. La carta archeologica, Roma: 2016, p.188.

Santuario di Santa Maria dell'Aiuto
Santuario di Santa Maria dell'Aiuto

Il santuario di Santa Maria dell'Aiuto è un edificio di culto di Catania, ad angolo tra l'omonima via e la via Consolato della Seta, nel quartiere Santa Maria dell'Aiuto - San Giuseppe al Transito. Si tratta di un edificio di culto sorto nel XVII secolo e interessante meta del turismo religioso nella città per via soprattutto della riproduzione della Santa Casa di Loreto accessibile dall'interno della chiesa. A Catania esisteva presso il cortile della Misericordia un'antica e piccola chiesa dedicata al culto dei santi Pietro e San Paolo. Al suo esterno venne introdotto nel 1372 il culto della Madre di Dio e vi si espose un'icona di gusto bizantino ritenuta sin dall'inizio miracolosa e per questo fu chiamata Madonna dell'Aiuto. Il 3 novembre 1641 la congregazione mariana presente nella chiesa di Santa Marina (i cui resti si trovano nell'attuale via Pozzo Mulino) condusse solennemente la venerata tela dalla chiesa dei Santi Simone e Giuda, al tempio dei Santi Pietro e Paolo poco distante. L'immagine originariamente era, secondo testimonianza coeva o poco posteriore, esposta sulla strada, verosimilmente all'interno di un'edicola votiva. La scelta del trasferimento fu quindi dettata dalla necessità di trovare un tempio vicino e di dimensioni tali da poter garantire spazio a sufficienza per i numerosi fedeli e per festività solenni. Tuttavia per diversi autori passati il motivo principale era la frequenza delli miracoli. Oltre al numeroso popolo, anche il clero ed il Senato parteciparono con la loro rappresentanza, compreso l'allora vescovo di Catania Ottavio Branciforte, eletto tre anni prima. La chiesa di Santa Maria dell'Aiuto sorse quindi a seguito del terremoto del 1693 sui resti della chiesa dei Santi Pietro e Paolo su progetto di Antonino Battaglia. Negli anni 1740 vi si collocò per devozione da parte del canonico Giuseppe Lauria una riproduzione in scala ridotta della Santa Casa di Loreto. Il tempio, opera di diversi artisti, è un'originale rivisitazione in chiave settecentesca dell'originale edificio marchigiano. Nel XIX secolo si concluse la facciata realizzandone il campanile con orologio. Edificio a unica navata longitudinale conclusa da un profondo presbiterio preceduto da un ampio arco trionfale, la chiesa di Santa Maria dell'Aiuto è uno dei più caratteristici lavori del Battaglia. La facciata della chiesa è preceduta da un'ampia scalinata. Si presenta in due ordini di colonne a rocchi con capitelli corinzi e festoni distribuiti a numero di sei nel registro inferiore e quattro in quello superiore dove ai margini sono allocate le due statue in pietra calcare rappresentante i santi Pietro e Paolo. Nel centro del timpano campeggia il monogramma di Maria circondato da una gloria di sei angeli in marmo. Sopra al portone si trova uno scudo riproducente in marmo l'immagine della Madonna dell'Aiuto. Al lato destro si addossa la torre campanaria. All'interno, la volta è decorata da stucchi dorati e scritte e simboli mariani. Quattro sono gli altari laterali: sul primo a sinistra è esposta una tela di San Francesco di Sales del XVIII secolo; il secondo è dedicato al Crocifisso e ospita numerose reliquie; il primo a destra ospita una copia del martirio di Sant'Agata, opera di Filippo Paladini conservato nella Cattedrale; il secondo vi si venerano gli apostoli Pietro e Paolo. L'altare maggiore ospita l'icona di Santa Maria dell'Aiuto, conservatasi dopo il sisma, sebbene da tempo ridipinta. Così lo descriveva nel 1943 Salvatore Lo Presti sul Popolo di Sicilia: "L'altare Maggiore è una dolce sinfonia di marmi colorati e di esili colonne. Coronato da un movimentato gruppo in marmo simboleggiante il Padre Eterno assiso sopra le nuvole e circondato da cinque angeli, uno dei quali, alla sua sinistra sorregge un grosso globo, alle due estremità, all'altezza del ciborio, è adorno di due statue di media grandezza, raffiguranti, rispettivamente, S. Pietro e S. Paolo". Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su santuario di Santa Maria dell'Aiuto Santuario parrocchia S. Maria dell'Aiuto - La parrocchia, su santuariomadonnaiuto.it. Maria Teresa di Blasi, Il Filo d'Arianna - Chiesa di Santa Maria dell'Aiuto, Catania 1997, su comune.catania.it. URL consultato il 19 agosto 2014 (archiviato dall'url originale il 19 agosto 2014).

Monastero della Santissima Trinità (Catania)
Monastero della Santissima Trinità (Catania)

Il Monastero della Santissima Trinità è un edificio settecentesco situato al centro di Catania. Originariamente sede di un convento di clausura femminile, oggi è suddiviso in due aree principali di cui una ospita la Caserma dei Carabinieri del distretto di Piazza Dante, mentre l'altra il Liceo statale Enrico Boggio Lera. L'area occupata dal plesso conventuale originariamente era una insula della Catania romana. Il primitivo monastero della Santissima Trinità era stato fondato nel 1349 grazie alle donazioni di Cesarea Augusta, una nobildonna catanese, originariamente ubicato sulla Luminaria (grossomodo corrispondente all'attuale via Etnea) più ad est, dove oggi è situato il Palazzo dell'Università. Nel periodo in cui l'istituzione fu retta dai Canonici regolari di Sant'Agostino della «Congregazione di Valverde», era soggetta direttamente alla Santa Sede quale filiazione del monastero di Santa Maria di Valverde di Messina. La terminologia Valverde deriva dal nome della casa madre monastero di Valverde nelle Fiandre, in latino Virdis Vallis. Sottoposti alla giurisdizione della casa madre messinese erano i monasteri dell'Ordine in Sicilia, Calabria e Puglia. Sulla nuova area furono eretti nel 1537 il monastero di Santa Maria della Raccomandata (o di Valverde) e la chiesa di San Nicolò dell'Oliva. La primitiva sede fu chiusa nel 1554 e spostata nelle nuove strutture nel 1566, l'edificio era circondato da mura che impedivano alle religiose di uscirne. A metà del XVII secolo, erano censite 26 religiose ed era l'ottava istituzione più popolata della città. Nel 1669 l'edificio fu circondato, rimanendone tuttavia illeso, dalle colate laviche dell'eruzione dell'Etna, l'8 marzo da sud, il 30 aprile da nord. Nella seconda metà del secolo erano censite 34 religiose, ma in seguito al terremoto del Val di Noto dell'11 gennaio 1693 ne morirono 28 (più dell'80%). La sua collocazione centrale permise tuttavia di essere inserito tra i sei edifici religiosi da ricostruire, altre sette istituzioni monastiche cittadine furono abbandonate. L'area delle strutture fu ampliata notevolmente rispetto al nucleo primario e i lavori furono affidati all'architetto Alonzo Di Benedetto, sostituito nel 1735 da Giovanni Battista Vaccarini, che contribuì notevolmente a dare alla città il caratteristico aspetto barocco, e dieci anni più tardi a Francesco Battaglia che si occupò prevalentemente della chiesa. Negli anni trenta del Settecento il monastero si ripopolò fino ad ospitare 22 religiose, che continuarono ad osservare una rigida clausura, interrotta solo in occasione della festa del Santo Chiodo il 14 settembre. Nel corso della ricostruzione, si procedette a creare degli spazi che furono adibiti ad abitazioni e negozi e quindi affittati a terzi ricavandone proventi. Nel 1861 il livello della via Vittorio Emanuele II (all'epoca «Strada Reale») su cui il convento si affaccia, fu abbassato e le abitazioni si ritrovarono un piano più in alto rispetto alla sede stradale; si procedette quindi ad un'ulteriore ristrutturazione per rendere accessibili tutte le aree dell'edificio. Il 30 luglio 1866, con l'emanazione delle leggi eversive e conseguente confisca dei beni ecclesiastici da parte del Regno d'Italia, il monastero della Santissima Trinità fu chiuso. Inizialmente fu assegnato al Provveditorato agli Studi, che ne fece un convitto femminile. Successivamente, la struttura ospitò la sede dello stesso provveditorato. Nell'ottobre 1923 divenne la sede del liceo scientifico "Principe Umberto". Il 1º ottobre 1967 il liceo fu trasferito nel quartiere Cibali e le classi rimaste nell'ex monastero formarono il Secondo Liceo Scientifico, poi ribattezzato Liceo Scientifico Statale "Enrico Boggio Lera". AA. VV., Boggio Lera. La tradizione di un liceo, Tipolito C. Marino, Catania 2001. S. Barbera, Recuperare Catania, Palermo 1998. S. Boscarino, Sicilia Barocca. Architettura e città, 1610-1760, Roma 1981. S. Boscarino, Vicende urbanistiche di Catania, Catania 1966. P. Castorina, Cenno storico sui Monasteri catanesi, Catania 1884. G. Dato, La città di Catania, forma e struttura, Roma 1983. J. B. De Grossis, Catanense Decachordum..., Catania 1642-47. L. Dufour, 1693. Catania, rinascita di una città, Catania 1992. F. Fichera, G.B. Vaccarini e l'architettura del Settecento in Sicilia., Roma 1934. V. Librando, Francesco Battaglia, architetto del XVIII secolo, Catania 1963. A. Longhitano, Le relazioni ad limina della Diocesi di Catania, Catania 1983-89. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su monastero della Santissima Trinità Maria Teresa di Blasi, Il Filo d'Arianna - Chiesa della SS. Trinità, Catania 1997.