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San Cristoforo (Catania)

Pagine con mappeQuartieri di Catania

San Cristoforo (San Cristofuru in dialetto catanese) è un quartiere della zona sudoccidentale della città di Catania, facente parte della I Circoscrizione del Comune (già I Municipalità, quella del Centro Storico), comprendente anche i quartieri Angeli Custodi, Antico Corso, Civita, Cappuccini, Fortino, Giudecca e San Berillo. Il quartiere è delimitato a nord da San Cosimo alle Chianche e dalla Giudecca, a est dal quartiere Terme di Sant'Antonio, a sud-est da Santa Maria de La Salette, a sud e sud-ovest dal quartiere Passarello, ad ovest dai quartieri Fortino e Fortino Vecchio. Alcuni di questi quartieri sono considerati appartenenti a San Cristoforo, poiché sono continuazioni del tessuto urbano fittamente popolato: tra questi ci sono Santa Maria de La Salette e Passarello; a loro volta sono questi quartieri che confinano con altri che non sono tradizionalmente riconducibili a San Cristoforo, anche se popolarmente scambiati o confusi con esso, come Angeli Custodi, Tondicello della Plaia - Faro Biscari (la zona di piazza Caduti del Mare) e il quartiere Acquicella, in cui è presente una stazione ferroviaria e il cimitero monumentale di Catania. L'unica piazza esistente, che però è molto caratteristica, è proprio piazza San Cristoforo: essa si affaccia sul tratto sud-est di via Plebiscito, antica circonvallazione della città vecchia. San Cristoforo nasce in seguito al terremoto del Val di Noto del 1693, come parte dell'espansione della città verso Sud, cioè proprio la zona che era stata sguarnita dalla eruzione dell'Etna del 1669, quindi qualche decennio prima. «Qui, favoriti dai bassi prezzi dei terreni, si reinsediano i sopravvissuti più poveri costruendo le loro modeste case terranee o, tutt'al più, solarate spesso appoggiandosi alla preesistente rete stradale fatta di vie strette, tortuose, irregolari. In qualche caso vengono riproposti sistemi a cortile di tipo rurale, con case terranee che si affacciano su un cortile comune al quale si accede attraverso un arco posto sulla via (…) La "storia fattasi pietra" di questa parte così importante della città, ottiene un riconoscimento adeguato solo con il Piano Regolatore di L. Piccinato del 1964. Qui, dopo l'operazione San Berillo la città rilevata da Ittar nel 1832 viene sottoposta a tutela con la definizione del Centro Storico, lasciando al di fuori alcuni tessuti urbani tardo-settecenteschi come San Cristoforo e i quartieri del piano di Gentile. Anzi proprio San Cristoforo, secondo le indicazioni del piano, avrebbe dovuto essere demolito per ospitare nuovi quartieri di edilizia residenziale. Questo che oggi definiamo un errore, ma che era forse il massimo risultato ottenibile con la cultura degli anni Sessanta, è stato oggi sanato dalle previsioni del nuovo PRG che accoglie nella zona A questi tessuti, insieme a quelli dei sobborghi storici». Il quartiere si presenta come un luogo ricco di stimoli e denso di contraddizioni. Da un lato conserva ancora aree di forte degrado, che si rispecchiano inevitabilmente sul piano sociale; dall'altro offre un colorito affresco dell'animo della Città di Catania: "Arrusti e Mangia" (Street Food), Sangeli, Carne di Cavallo, sono solo alcune delle perle che si possono scoprire tra le strade del quartiere. La prima celebrazione risale al 1951. Si festeggia il 25 luglio presso la parrocchia omonima sita in via Plebiscito, la festa di San Cristoforo. Nel quartiere, fra via Giuseppe Garibaldi alta e piazza San Cristoforo, vi era la caserma ottocentesca della Cavalleria Borbonica, trasformata alla fine del secolo nella Manifattura Tabacchi e dismessa verso l'inizio del nuovo millennio. Chiesa di San Cristoforo alle Sciare, via Plebiscito, 353 http://www.comune.catania.it/la-citta/municipalita/1/societa/ http://www.comune.catania.it/la-citta/municipalita/1/tessuto-urbano/

Estratto dall'articolo di Wikipedia San Cristoforo (Catania) (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori).

San Cristoforo (Catania)
Via Plebiscito, Catania Centro storico

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Parrocchia di San Cristoforo alle sciare

Via Plebiscito
95122 Catania, Centro storico
Sicilia, Italia
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Luoghi vicini

Piana di Catania
Piana di Catania

La Piana di Catania è la più estesa pianura della Sicilia. Ha una superficie di 430 km², pari a un quinto di tutte le pianure dell'isola ed è una delle più estese dell'Italia meridionale. La piana di Catania si è formata con l'accumulo dei depositi alluvionali dei fiumi Dittaino, Gornalunga, Simeto e dei loro affluenti. È circondata da monti e colline ed è una pianura alluvionale: l'Etna la sovrasta con la sua imponente mole e, in un certo modo, ne è l'artefice rendendola fertile con i prodotti della sua attività vulcanica. La piana infatti si è formata a partire dall'emersione dell'antico vulcano dal golfo primordiale, che esisteva al suo posto, tra l'Appennino Siculo, a nord, con le catene montuose dei Nebrodi e, a sud, la catena costituita dai Monti Erei e dai Monti Iblei. Il territorio della Piana di Catania comprende parte della Provincia di Catania, della Provincia di Siracusa e della Provincia di Enna. La piana di Catania è attraversata per tutta la sua lunghezza dall'autostrada A19 Catania-Palermo e dalla strada statale 192; da questa alcuni km dopo l'uscita dalla città di Catania dirama la strada statale 417 per Caltagirone. Nel tratto prossimo alla costa viene percorsa dalla strada statale 114 dalla quale in prossimità del fiume Simeto si dirama la strada statale 194 per Ragusa. Nella parte catanese della piana si trova l'aeroporto di Fontanarossa e mentre in territorio siracusano sorge quello militare di Sigonella. Poco oltre, in località Gerbini sorgeva fino alla seconda guerra mondiale, un aeroporto militare italiano, con piste in terra battuta. La piana di Catania è interamente attraversata in lunghezza dalla ferrovia Palermo-Catania di RFI che ha origine nella stazione di Bicocca, nella quale si stacca dalla linea costiera per Siracusa che prosegue in direzione sud verso il fiume Simeto. Dalla stazione di Motta Sant'Anastasia, sulla linea per Enna e Palermo si dirama la ferrovia Catania-Motta-Regalbuto, oggi usata solo per merci fino a Paternò e Carcaci, che arrivava fino a Regalbuto costeggiando il lago di Pozzillo, fino alla soglia degli anni ottanta ed era di grande importanza per il trasporto degli agrumi all'estero. L'area della piana è interessata da vari insediamenti industriali, come la zona industriale di Catania, l'area di sviluppo industriale di Caltagirone e l'area industriale di Enna. È inoltre in corso di finanziamento e costruzione l'interporto di Catania Bicocca. È una delle zone agricole più importanti della Sicilia. L'agricoltura prevalente nell'area provinciale catanese della Piana di Catania è quella agrumaria con prevalenza quasi assoluta dell'arancio, ma sono presenti anche gli oliveti. Addentrandosi verso l'interno e soprattutto nella parte ennese è prevalente la coltivazione cerealicola e leguminosa, un tempo con prevalenza di grano duro, arance di polpa rossa. Gli insediamenti urbani sulla piana sono pochi e costituiti essenzialmente da antiche masserie oggi quasi tutte disabitate e qualche villaggio per lo più attorno alle stazioni ferroviarie come Sferro. I centri di qualche rilevanza si trovano tutti ai margini della piana e sono Catenanuova, Francofonte, Militello, Lentini, Motta Sant'Anastasia, Paternò, Palagonia, Ramacca e Scordia. La parte finale della Piana di Catania nei pressi della costa ionica costituisce l'oasi del Simeto. Calatino Pianure italiane Paesi etnei Riserva naturale Oasi del Simeto Zona industriale di Catania Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Piana di Catania

Terme di Sant'Antonio

Le Terme di Sant'Antonio sono un complesso termale romano risalente al I secolo d.C. situato Piazza Sant'Antonio a Catania, di fronte alla casa natale del celebre compositore Giovanni Pacini (1796-1867) e a poca distanza da altri luoghi d'interesse quali la Chiesa di Santa Maria dell'Aiuto e Porta Garibaldi. Sono note anche con il nome di Bagni di Casa Sapuppo, o semplicemente Bagni Sapuppo. Edificate probabilmente nel I secolo d.C. ed in uso fino al III secolo d.C., le Terme di Sant'Antonio furono riscoperte negli anni '70 del XVIII secolo dal Principe di Biscari Ignazio Paternò Castello, che così le descrisse nel suo celebre Viaggio per tutte le antichità di Sicilia: All'incirca negli stessi anni, il pittore francese Jean Houël rappresentò i resti dei bagni in un acquerello ancora oggi conservato al museo dell'Ermitage a San Pietroburgo. A metà Ottocento, in quello che fu un periodo di grande sviluppo per la città di Catania, le terme dovettero essere definitivamente inglobate nelle cosiddette case Sapuppo già citate dal Biscari, e di esse si perse ogni traccia. Bisognerà aspettare il 1997 perché, a seguito di scavi archeologici, alcune delle strutture descritte da Jean Houël e da Sebastiano Ittar siano portate nuovamente alla luce. Le indagini archeologiche hanno condotto anche all'identificazione di alcuni ambienti sconosciuti al Biscari e al rinvenimento di numerose ceramiche tanto romane che medievali. Susanna Amari, Il balneum in piazza Sant’Antonio a Catania: una riscoperta archeologica, in Fabrizio Nicoletti (a cura di), Catania Antica. Nuove prospettive di ricerca, Regione Siciliana, Palermo 2015, pp. 379-398. Edoardo Tortorici (a cura di), Catania antica. La carta archeologica, Roma: 2016, p.188.

Giudecca di Catania

La Giudecca di Catania (Judeka in dialetto giudaico-catanese) è stato l'antico quartiere ebraico sorto a ridosso delle mura nell'allora periferia a ovest e a sud della città. La definizione di ghetto è impropria, in quanto la comunità ebraica catanese non era chiusa e isolata in un quartiere, ma più propriamente spalmata in diverse parti della parte occidentale e meridionale della città. La presenza di una giudecca a Catania la si può ipotizzare già a partire dal III-IV secolo, quando cioè appaiono le prime lapidi funebri relative a defunti Ebrei. Una delle più importanti, rinvenuta durante i lavori per la messa in posa di cavi telefonici nel mese di maggio 1929 nella zona est del vecchio abitato presso la chiesa di Santa Teresa, risalirebbe – sulla base dei caratteri latini usati – alla fine del IV secolo. Non esistono fonti relative al periodo seguente, mentre, in un periodo non meglio precisato, la comunità ebraica di Catania si insedia nell'area corrispondente alla pianura detta di Cipriana, dove è presente nel 1235, situato entro le mura di nord-ovest, mentre nel corso del XIV secolo si distribuisce senza soluzione di continuità nella zona a sud, in uno spazio urbano compreso tra la Piana e il Porto, giungendo alle porte della Platea Magna, oggi nell'area di piazza Duomo. La giudecca si dota di due sinagoghe, un ospedale, un macello e persino un cimitero poco fuori le mura, certamente accessibile da una Porta della Judeca, forse situata alla Cipriana. La comunità ebraica di Catania era prevalentemente in affari con il mercato del pesce e come era d'abitudine si affacciava su di un fiume, nel caso catanese sull'Amenano che prese da essi a chiamarsi Judicello propriamente per la presenza della giudecca, adoperato per i bagni rituali delle donne. La presenza ebraica è attestata anche presso le maestranze che lavorarono nella realizzazione del Castello Ursino (1239-1250), come pure dimostrano taluni riferimenti alle simbologie giudaiche impresse dagli operai a decorazione del fortilizio svevo. La giudecca venne quindi spopolata a partire dal 18 giugno 1492 a causa del Decreto dell'Alhambra voluto da Ferdinando di Aragona e Isabella di Castiglia che espelleva gli ebrei non convertiti dalla Spagna. L'area, anticamente occupata da una numerosa comunità ebraica, cadde nel totale abbandono e nel degrado, presentandosi nel 1554 in pessime condizioni, quando il Senato civico cedette il territorio della Cipriana ai cassinesi, provenienti dal cenobio nicolosita sull'Etna, insieme a quello « del Parco ». I due quartieri noti si trovavano prevalentemente nella zona a nordovest e a sud della città. Una sorta di linea di demarcazione tra due giudecche distingueva la parte collinare, in posizione più elevata, da quella situata nella parte pianeggiante della città. Il primo quartiere era detto Judeca Soprana (יודקה סופרנה, Iudeka Suprana, Giudecca superiore), o in siciliano Judeca di Susu, e corrispondeva al Piano della Cipriana, quartiere che dopo l'esilio degli Ebrei dalla Sicilia venne acquisito dai Padri Benedettini Cassinesi che nel 1558 iniziarono, alla presenza del viceré di Sicilia Juan de la Cerda, duca di Medinaceli, il primo impianto di quello che sarebbe poi stato il Monastero di San Nicolò l'Arena, il maggiore del Regno. Il quartiere si estendeva tra le attuali via della Cipriana (che è una piccola traversa di via Quartarone, la via che collega piazza Dante Alighieri a via Vittorio Emanuele II), via Maura (che in ebraico significa Moro), piazza Dante Alighieri e il monastero benedettino. In via Sant'Anna era la mezkita di questo quartiere, termine ebraico-medioevale che indicava la sinagoga. Il secondo era invece la Judeca Suttana (יודקה סוטנה, Iudeka Sutana o Giudecca inferiore) detta anche Judeca di Jusu, dov'è oggi la Pescheria: qui infatti dovette pure esserci un grande mercato del pesce. La zona era piuttosto paludosa e talora malsana a causa della presenza del fiume Amenano che qui scorreva a vista e prendeva il nome di Judicello, propriamente a causa della Giudecca. Interessante notare come nella cartografia della Sicilia di XVI e XVII secolo il fiume fosse sempre segnalato con tale nome e mai come Amenano. Era compreso tra le attuali chiesa di Sant'Agata alle Sciare, la Pescheria (più precisamente presso il Pozzo di Gammazita) e via Marano. La sinagoga di questo quartiere era ubicata dov'è oggi la via Recupero, presso la chiesa dei Santi Cosma e Damiano. La dislocazione della comunità ebraica si può desumere anche dalla toponomastica: via Marano viene propriamente da marrano ("porco" in spagnolo), cioè il termine dispregiativo riferito agli Ebrei convertiti al Cristianesimo, accusati di continuare a professare il loro culto di nascosto, mentre via Gisira viene dal termine islamico jizia, cioè la tassa che veniva versata per la libertà di culto. Indirettamente invece via Santa Maria della Catena indica la presenza della giudecca: infatti in Sicilia tutti i toponimi che indicano catena e le chiese titolate Santa Maria della Catena sono rispettivamente contrade abitate in quel tempo da giudei e sedi di antiche sinagoghe. Nicolò Bucaria, Sicilia Judaica - guida alle antichità giudaiche della Sicilia, Flaccovio editore, Palermo 1996. Comunità ebraica di Catania Ebraismo Ebraismo in Sicilia Giudecca (quartiere ebraico) Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Giudecca di Catania Wikivoyage contiene informazioni turistiche su Giudecca di Catania "Visitando l'Italia ebraica - Sicilia" su E-brei.net Domenico Ventura, «Medici Ebrei a Catania», in M. Alberghina, Medici e medicina a Catania dal Quattrocento ai primi del Novecento, Catania, Giuseppe Maimone Editore, 2001. Catania Judaica di Matilde Russo, 19 agosto 2011, su cataniagiovani.wordpress.com

Santuario di Santa Maria dell'Aiuto
Santuario di Santa Maria dell'Aiuto

Il santuario di Santa Maria dell'Aiuto è un edificio di culto di Catania, ad angolo tra l'omonima via e la via Consolato della Seta, nel quartiere Santa Maria dell'Aiuto - San Giuseppe al Transito. Si tratta di un edificio di culto sorto nel XVII secolo e interessante meta del turismo religioso nella città per via soprattutto della riproduzione della Santa Casa di Loreto accessibile dall'interno della chiesa. A Catania esisteva presso il cortile della Misericordia un'antica e piccola chiesa dedicata al culto dei santi Pietro e San Paolo. Al suo esterno venne introdotto nel 1372 il culto della Madre di Dio e vi si espose un'icona di gusto bizantino ritenuta sin dall'inizio miracolosa e per questo fu chiamata Madonna dell'Aiuto. Il 3 novembre 1641 la congregazione mariana presente nella chiesa di Santa Marina (i cui resti si trovano nell'attuale via Pozzo Mulino) condusse solennemente la venerata tela dalla chiesa dei Santi Simone e Giuda, al tempio dei Santi Pietro e Paolo poco distante. L'immagine originariamente era, secondo testimonianza coeva o poco posteriore, esposta sulla strada, verosimilmente all'interno di un'edicola votiva. La scelta del trasferimento fu quindi dettata dalla necessità di trovare un tempio vicino e di dimensioni tali da poter garantire spazio a sufficienza per i numerosi fedeli e per festività solenni. Tuttavia per diversi autori passati il motivo principale era la frequenza delli miracoli. Oltre al numeroso popolo, anche il clero ed il Senato parteciparono con la loro rappresentanza, compreso l'allora vescovo di Catania Ottavio Branciforte, eletto tre anni prima. La chiesa di Santa Maria dell'Aiuto sorse quindi a seguito del terremoto del 1693 sui resti della chiesa dei Santi Pietro e Paolo su progetto di Antonino Battaglia. Negli anni 1740 vi si collocò per devozione da parte del canonico Giuseppe Lauria una riproduzione in scala ridotta della Santa Casa di Loreto. Il tempio, opera di diversi artisti, è un'originale rivisitazione in chiave settecentesca dell'originale edificio marchigiano. Nel XIX secolo si concluse la facciata realizzandone il campanile con orologio. Edificio a unica navata longitudinale conclusa da un profondo presbiterio preceduto da un ampio arco trionfale, la chiesa di Santa Maria dell'Aiuto è uno dei più caratteristici lavori del Battaglia. La facciata della chiesa è preceduta da un'ampia scalinata. Si presenta in due ordini di colonne a rocchi con capitelli corinzi e festoni distribuiti a numero di sei nel registro inferiore e quattro in quello superiore dove ai margini sono allocate le due statue in pietra calcare rappresentante i santi Pietro e Paolo. Nel centro del timpano campeggia il monogramma di Maria circondato da una gloria di sei angeli in marmo. Sopra al portone si trova uno scudo riproducente in marmo l'immagine della Madonna dell'Aiuto. Al lato destro si addossa la torre campanaria. All'interno, la volta è decorata da stucchi dorati e scritte e simboli mariani. Quattro sono gli altari laterali: sul primo a sinistra è esposta una tela di San Francesco di Sales del XVIII secolo; il secondo è dedicato al Crocifisso e ospita numerose reliquie; il primo a destra ospita una copia del martirio di Sant'Agata, opera di Filippo Paladini conservato nella Cattedrale; il secondo vi si venerano gli apostoli Pietro e Paolo. L'altare maggiore ospita l'icona di Santa Maria dell'Aiuto, conservatasi dopo il sisma, sebbene da tempo ridipinta. Così lo descriveva nel 1943 Salvatore Lo Presti sul Popolo di Sicilia: "L'altare Maggiore è una dolce sinfonia di marmi colorati e di esili colonne. Coronato da un movimentato gruppo in marmo simboleggiante il Padre Eterno assiso sopra le nuvole e circondato da cinque angeli, uno dei quali, alla sua sinistra sorregge un grosso globo, alle due estremità, all'altezza del ciborio, è adorno di due statue di media grandezza, raffiguranti, rispettivamente, S. Pietro e S. Paolo". Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su santuario di Santa Maria dell'Aiuto Santuario parrocchia S. Maria dell'Aiuto - La parrocchia, su santuariomadonnaiuto.it. Maria Teresa di Blasi, Il Filo d'Arianna - Chiesa di Santa Maria dell'Aiuto, Catania 1997, su comune.catania.it. URL consultato il 19 agosto 2014 (archiviato dall'url originale il 19 agosto 2014).

Chiesa di Santa Maria de La Salette
Chiesa di Santa Maria de La Salette

La chiesa di Santa Maria de La Salette è un luogo di culto cattolico di Catania, ubicata nell'omonimo quartiere del centro storico. Distrutta nel maggio del 1943 durante un bombardamento, fu ricostruita subito dopo. Fu fondata nella via omonima del nascente rione del centro storico di Catania, confinante a nord-ovest con il quartiere San Cristoforo e a nord-est con quello degli Angeli Custodi, col prospetto di pietra calcare, già in via di completamento a fine Ottocento, collocata ad oriente. Ispirata all'architettura neogotica, essa venne realizzata su progetto dell'ingegnere catanese Carmelo Sciuto Patti, molto attivo in città, disegnato analogamente al santuario di La Salette-Fallavaux in Francia. L'edificazione del tempio avvenne a spese dei fedeli e su iniziativa di Giuseppe Benedetto Dusmet, cardinale-arcivescovo della città, nato a Palermo ma venerato dai cittadini catanesi, spentosi il 4 aprile 1894. La data della posa della prima pietra fu il 29 giugno del 1872. Venne ufficialmente aperta al culto il 26 aprile del 1874 e, poco dopo, il 1º luglio 1897 vi fu fondata una Congregazione – come si leggeva fino al 1900 in una tabella esposta nell'Oratorio festivo salesiano – contigua alla stessa chiesa e per il finanziamento del quale oratorio si mosse la generosità del card. Giuseppe Francica Nava con una donazione di 647 lire. La descrizione tramandata è quella che fece lo storico Rasà nel 1900. Superata la soglia della porta maggiore, si osservava il vestibolo sul quale c'era la tribuna destinata alla collocazione di un organo ed illuminata, oltre che da quattro finestre piccole, da un finestrone circolare a foggia di rosone. A sinistra di questo vestibolo vi era murata una lapide con la seguente epigrafe: Sul muro a destra del medesimo vestibolo era collocata l'acquasantiera con dei rilievi rappresentanti il monogramma di Maria e gli strumenti della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo. Alla base di tali rilievi vi erano scolpite le parole: Nella chiesa ad un'ampia navata si ammirava – "opera stupenda!" a dire del Rasà – la volta di colore cilestro chiaro, ornata di stelle auree, come sotto l'abside a sesto acuto, illuminata da cinque finestre, disposte a semicerchio in fondo e da due grandi rosoni ai lati nord e sud. Fornite di cinque finestre archiacute con sottostanti altrettanti rosoni per ogni lato, le pareti laterali del sacro edificio avevano semicolonne piuttosto alte, ancora da intonacare agli inizi del '900. In esse erano incavate quattro cappelle destinate agli altari – ancora da costruire all'epoca dello storico Rasà –, sostituiti da due altari provvisori in legno sormontati, quello di destra da un piccolo quadro con l'immagine di San Giuseppe e quello a sinistra dal Crocifisso a grandezza naturale vicino a una piccola tela della Maria Addolorata. Attorno alle stesse pareti laterali erano disposte due porte a sesto acuto, una delle quali era a nord e l'altra a sud. Più in alto erano incavati quattro nicchioni, destinati ad accogliere dei simulacri, mentre più in basso erano fissati i 14 quadretti della Via Crucis. Nell'abside si scorgevano la balaustrata marmorea come il pavimento, un armonium provvisorio, due specie di usci a sesto acuto e l'altare maggiore tutto di marmo, eretto per devozione di Giovanni Marchese, come si legge al lato del vangelo ovvero in cornu evangelii. Sullo sportellino del ciborio era scolpito l'Agnus Dei e sulla tendina che lo copre erano ricamate a lettere auree le parole: Nell'abside vi era una grande nicchia ad arco ogivale, nella quale era conservata la statua di Nostra Signora di La Salette in cemento d'origine parigina. In fondo alla chiesa, lato nord, si vedeva un busto marmoreo che raffigurava papa Pio IX, poggiato su un piedistallo ligneo di fattura napoletana. Al posto dell'ambone era presente un confessionale. Dal lato sud c'era un'altra porta interna per la quale si passava in un oratorio con un altarino a sinistra ed uno di fronte, sul quale era posto un altro simulacro in legno rappresentante la Madonna della Salette, opera risalente al 1898 dello scultore catanese Lorenzo Grassi (o Grasso). Sulle pareti di quest'ultimo altare si trovavano appesi quadretti votivi. La maggiore delle tre campane fu benedetta il 16 maggio 1897 da mons. Antonio Cesareo, catanese, vescovo in partibus, essendone stato padrino il sig. Camillo Elia. Ad essa fu imposto il nome di Maria. L'11 maggio del 1943 la chiesa venne rasa al suolo, durante i bombardamenti in Sicilia. La ricostruzione nello stesso luogo, avviata nel secondo dopoguerra e diretta dall'arch. Raffaele Leone, tra il 1945 e il 1949, mutò il vecchio prospetto con la nuova caratteristica facciata esterna in mattoni rossi, cornicione, cornici e portale in pietra bianca decorato con una lunetta scolpita, raffigurante la Madonna della Salette, gli angeli e i due pastorelli, Maximin e Mélanie. Le due pareti laterali in marmo, presentano ciascuna due altari, anch'essi in marmo e a sesto acuto: l'altare della Carità e della Famiglia Salesiana a destra, quello della Sacra Famiglia e del Sacro Cuore a sinistra. L'altare maggiore, in marmo giallo con due angeli, e rivolto verso i fedeli. La statua lignea della Madonna della Salette, di origine francese, presenta ancora oggi, sul fianco destro, i segni del bombardamento del 1943. Il 19 marzo 1893, festa di San Giuseppe, alla presenza del cardinale Dusmet veniva affidato ufficialmente ai Salesiani l'Oratorio festivo che in onore del papa Leone XIII fu chiamato "Leone XIII alla Salette". Per decisione dell'arcivescovo mons. Carmelo Patanè, dal 1947 i Salesiani sono presenti alla "Salette" come Comunità religiosa regolare per offrire il lavoro a questo quartiere povero ed abbandonato con la Parrocchia, la scuola e l’Oratorio - Centro giovanile, il teatro. Infatti, è grazie all'opera dei Padri Salesiani, i quali, svolgendo la loro attività pastorale nel quartiere « della Salette », istituirono la scuola primaria, l'Oratorio, il Centro giovanile, i G.R.EST., i corsi professionali, i laboratori di formazione finalizzati all'inserimento nel mondo del lavoro, sia per ragazzi (elettricisti e termoidraulici) che per ragazze (sarte ed estetiste), combattono la cultura della strada e formano 'buoni cristiani ed onesti cittadini'. Il 19 settembre si celebra con molta devozione, ma senza grandi clamori, la festa della Madonna della Salette, voluta dal ricordato Cardinale Dusmet per ricordare l'evento accaduto in Francia. I festeggiamenti solenni sono preceduti da un triduo liturgico e dalla processione serale del simulacro della Madonna dalla chiesa parrocchiale per attraversare le vie adiacenti del quartiere, accompagnata dalle preghiere dei fedeli, la banda musicale e lo sparo dei fuochi d'artificio. Conclude la processione lo spettacolo pirotecnico di chiusura e la solenne benedizione ai fedeli. Nei giorni precedenti e in quelli successivi alla festa religiosa sono allestite numerose sagre e vari spettacoli musicali. Giuseppe Rasà Napoli, "Guida e breve illustrazione delle chiese di Catania e sobborghi", Catania, Tringale Editore, 1984 (ristampa dell'edizione dell'anno 1900), pp. 425-427. Vittorio Consoli (a c. di), "Enciclopedia di Catania", Catania, Tringale Editore, 1987 (seconda edizione riveduta e aggiornata), p. 163. Saverio Gaeta, "La Salette. Il pianto e le profezie della Bella signora", Cinisello Balsamo, San Paolo, 2017, ISBN 978-88-922-1166-7. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su chiesa di Santa Maria de La Salette Chiesa di Santa Maria della Salette , su Le chiese delle diocesi italiane, Conferenza Episcopale Italiana. URL consultato il 19 aprile 2022. Ispettoria Salesiana Sicula "San Paolo": Catania Salette, San Giovanni Bosco, su sdbsicilia.org. URL consultato il 18 aprile 2022. Oratorio Salesiano Don Bosco, Catania Salette, su donboscoitalia.it. URL consultato il 18 aprile 2022. S. Maria delle Salette - Catania, su isolainfesta.it. URL consultato il 19 aprile 2022. Oratorio Salesiano San Giovanni Bosco Salette - CT, su oratoriosgboscosalettect.wordpress.com. URL consultato il 19 aprile 2022.

Monastero della Santissima Trinità (Catania)
Monastero della Santissima Trinità (Catania)

Il Monastero della Santissima Trinità è un edificio settecentesco situato al centro di Catania. Originariamente sede di un convento di clausura femminile, oggi è suddiviso in due aree principali di cui una ospita la Caserma dei Carabinieri del distretto di Piazza Dante, mentre l'altra il Liceo statale Enrico Boggio Lera. L'area occupata dal plesso conventuale originariamente era una insula della Catania romana. Il primitivo monastero della Santissima Trinità era stato fondato nel 1349 grazie alle donazioni di Cesarea Augusta, una nobildonna catanese, originariamente ubicato sulla Luminaria (grossomodo corrispondente all'attuale via Etnea) più ad est, dove oggi è situato il Palazzo dell'Università. Nel periodo in cui l'istituzione fu retta dai Canonici regolari di Sant'Agostino della «Congregazione di Valverde», era soggetta direttamente alla Santa Sede quale filiazione del monastero di Santa Maria di Valverde di Messina. La terminologia Valverde deriva dal nome della casa madre monastero di Valverde nelle Fiandre, in latino Virdis Vallis. Sottoposti alla giurisdizione della casa madre messinese erano i monasteri dell'Ordine in Sicilia, Calabria e Puglia. Sulla nuova area furono eretti nel 1537 il monastero di Santa Maria della Raccomandata (o di Valverde) e la chiesa di San Nicolò dell'Oliva. La primitiva sede fu chiusa nel 1554 e spostata nelle nuove strutture nel 1566, l'edificio era circondato da mura che impedivano alle religiose di uscirne. A metà del XVII secolo, erano censite 26 religiose ed era l'ottava istituzione più popolata della città. Nel 1669 l'edificio fu circondato, rimanendone tuttavia illeso, dalle colate laviche dell'eruzione dell'Etna, l'8 marzo da sud, il 30 aprile da nord. Nella seconda metà del secolo erano censite 34 religiose, ma in seguito al terremoto del Val di Noto dell'11 gennaio 1693 ne morirono 28 (più dell'80%). La sua collocazione centrale permise tuttavia di essere inserito tra i sei edifici religiosi da ricostruire, altre sette istituzioni monastiche cittadine furono abbandonate. L'area delle strutture fu ampliata notevolmente rispetto al nucleo primario e i lavori furono affidati all'architetto Alonzo Di Benedetto, sostituito nel 1735 da Giovanni Battista Vaccarini, che contribuì notevolmente a dare alla città il caratteristico aspetto barocco, e dieci anni più tardi a Francesco Battaglia che si occupò prevalentemente della chiesa. Negli anni trenta del Settecento il monastero si ripopolò fino ad ospitare 22 religiose, che continuarono ad osservare una rigida clausura, interrotta solo in occasione della festa del Santo Chiodo il 14 settembre. Nel corso della ricostruzione, si procedette a creare degli spazi che furono adibiti ad abitazioni e negozi e quindi affittati a terzi ricavandone proventi. Nel 1861 il livello della via Vittorio Emanuele II (all'epoca «Strada Reale») su cui il convento si affaccia, fu abbassato e le abitazioni si ritrovarono un piano più in alto rispetto alla sede stradale; si procedette quindi ad un'ulteriore ristrutturazione per rendere accessibili tutte le aree dell'edificio. Il 30 luglio 1866, con l'emanazione delle leggi eversive e conseguente confisca dei beni ecclesiastici da parte del Regno d'Italia, il monastero della Santissima Trinità fu chiuso. Inizialmente fu assegnato al Provveditorato agli Studi, che ne fece un convitto femminile. Successivamente, la struttura ospitò la sede dello stesso provveditorato. Nell'ottobre 1923 divenne la sede del liceo scientifico "Principe Umberto". Il 1º ottobre 1967 il liceo fu trasferito nel quartiere Cibali e le classi rimaste nell'ex monastero formarono il Secondo Liceo Scientifico, poi ribattezzato Liceo Scientifico Statale "Enrico Boggio Lera". AA. VV., Boggio Lera. La tradizione di un liceo, Tipolito C. Marino, Catania 2001. S. Barbera, Recuperare Catania, Palermo 1998. S. Boscarino, Sicilia Barocca. Architettura e città, 1610-1760, Roma 1981. S. Boscarino, Vicende urbanistiche di Catania, Catania 1966. P. Castorina, Cenno storico sui Monasteri catanesi, Catania 1884. G. Dato, La città di Catania, forma e struttura, Roma 1983. J. B. De Grossis, Catanense Decachordum..., Catania 1642-47. L. Dufour, 1693. Catania, rinascita di una città, Catania 1992. F. Fichera, G.B. Vaccarini e l'architettura del Settecento in Sicilia., Roma 1934. V. Librando, Francesco Battaglia, architetto del XVIII secolo, Catania 1963. A. Longhitano, Le relazioni ad limina della Diocesi di Catania, Catania 1983-89. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su monastero della Santissima Trinità Maria Teresa di Blasi, Il Filo d'Arianna - Chiesa della SS. Trinità, Catania 1997.

Foro romano di Catania
Foro romano di Catania

Presso il Cortile di San Pantaleone a Catania rimangono i resti di quello che fu identificato quale il Foro Romano di Catania. Il presunto Forum si presentava come una serie di diversi edifici circondanti un'ampia area centrale che costituiva il "foro" vero e proprio. Tali edifici dovettero essere quasi certamente essere dei magazzini o negozi. Lorenzo Bolano descriveva nel Cinquecento la presenza di otto ambienti con copertura a vôlta a sud e altri quattro a nord (quasi certamente perduti questi ultimi con la creazione di Via del Corso, attuale via Vittorio Emanuele II). Il Bolano riferisce anche di un'ala occidentale distrutta ai suoi tempi. Il Bolano tuttavia lo descrive come un impianto termale, dato che la zona era soggetta a periodici fenomeni di allagamento. La struttura rimase così definita fino alle dovute correzioni del Biscari. Ancora Valeriano De Franchi, cartografo per l'opera del D'Arcangelo, ne traccia una prima planimetria dove la struttura viene chiamata Terme Amasene. Ai tempi del principe Ignazio Paternò Castello il pianterreno risultava essere già sepolto, mentre il secondo piano (cinque metri più in alto) era diventato residenza per molti popolani e i lati ridotti a due soltanto (quelli a sud e ad est) uniti ad angolo retto. Adolf Holm attesta esserci stati ai suoi tempi sette vani ad est e tre a sud e che questi furono chiamati "grotte di S. Pantaleo (...) per metà interrate e ridotte a povere abitazioni". Il Libertini, in nota al testo dell'Holm, fa presente come gli otto ambienti a sud persistano, mentre le strutture a est furono convertite in antico in un unico corridoio. La facciata era di circa 45 metri di lunghezza. Tuttavia le strutture riconosciute dal Libertini erano quelle del secondo piano, mentre cinque metri più sopra rimanevano i ruderi del piano interrato che potrebbero essere i locali di cui fa menzione l'Holm. Oggi del presunto foro rimangono soltanto un paio di ambienti attigui visibili a sud, con ingresso architravato sormontato da una apertura ad arco, molto simile nell'aspetto ai magazzini del Foro Traianeo, oltre alle aperture ad arco semplice. Della struttura a est rimangono i resti di una parete in opus reticulatum appartenenti ad uno dei magazzini. Tuttavia, in un lavoro del 2008, Edoardo Tortorici ha messo in dubbio la possibilità che si tratti di un foro, mettendo piuttosto la struttura a confronto con gli horrea noti. Il vicino Convento di Sant'Agostino pure conservava parte della struttura, forse una basilica, consistente in un grosso muro cui poggiava l'edificio religioso e trentadue colonne, prima del terremoto del 1693 componenti il chiostro del convento, in seguito poste a decoro dell'antico Plano San Philippo (oggi Piazza Giuseppe Mazzini). Da qui inoltre provengono il torso colossale di imperatore giulio-claudio e un lastricato in calcare un tempo esposti al Museo Biscari. Oggi il torso colossale è ospite al Castello Ursino. P. Carrera, Delle memorie historiche della città di Catania, Catania 1639. Ignazio Paternò principe di Biscari, Viaggio per tutte le antichita della Sicilia, terza edizione - postuma - Palermo 1817. A. Holm, Catania Antica, traduzione e note di G. Libertini, Catania 1925. Fabrizio Nicoletti (a cura di), Catania Antica. Nuove prospettive di ricerca, Regione Siciliana, Palermo 2015. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Foro romano di Catania

Chiesa della Santissima Trinità (Catania)
Chiesa della Santissima Trinità (Catania)

La chiesa della Santissima Trinità è un edificio di culto cattolico di Catania, sito in via Vittorio Emanuele II nel quartiere Santissima Trinità. Dal 2002 è riconosciuto, all'interno del sito seriale Città tardo barocche del Val di Noto del sud-est della Sicilia, Patrimonio dell'umanità da parte dell'UNESCO. Le fonti del primitivo aggregato risalgono al 1349. I lavori per la realizzazione della chiesa della Trinità furono iniziati nel 1746 e conclusi cinque anni dopo. La facciata si attribuisce a Francesco Battaglia, e si presenta tripartita ad ingresso unico, concava nella sua parte centrale. Preceduto da una scalinata in pietra lavica, il portone d'ingresso è decorato da due figure che sono rivolte verso l'Occhio di Dio posto al centro. Nel secondo ordine si aprono tre finestroni separati da colonne. Il terzo registro è formato invece da due torrette quadrangolari chiuse a cupoletta. Il portale d'ingresso è stato abbassato in seguito alla livellazione delle strade del 1861 e la sala centrale è stata raccordata all'atrio con una doppia rampa di scale. Anche l'ingresso laterale, sulla via Quartarone, è stato chiuso per la stessa ragione, così se ne ricavò una nicchia per un altare dedicato al Crocifisso, decorato da notevoli statue in ceramica di fine Settecento. All'interno, sopra l'ingresso, fu ricavata una elegante cantoria dorata e finemente decorata. La pianta ellissoidale riprende il tema borrominiano del San Carlo alle Quattro Fontane, lezione acquisita nella "rinascita catanese". Sul fondo il presbiterio è a pianta rettangolare e la sua presenza crea nell'ambiente un effetto di fusione spaziale tra elementi curvi ed elementi lineari. Le opere pittoriche ivi custodite sono di notevole pregio artistico. Sugli altari di destra si possono vedere tele del Sozzi (il Battesimo di Gesù, primo altare) e di Sebastiano Conca (la Madonna che appare a san Giovanni Evangelista nell'isola di Patmos, datata 1756 e collocata sopra il secondo altare). A sinistra ancora una Crocefissione e La Trinità appare a san Benedetto (datata al 1756) del Sozzi. Monastero femminile dell'Ordine benedettino sotto il titolo della «Santissima Trinità». (IT) Francesco Ferrara, "Storia di Catania sino alla fine del secolo XVIII", Catania, 1829. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su chiesa della Santissima Trinità