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Viadotto Torrente Bisagno

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Viadotto Bisagno, autostrada A12 2
Viadotto Bisagno, autostrada A12 2

Il viadotto Torrente Bisagno è un viadotto autostradale italiano, sito lungo l'autostrada A12 (strada europea E80) all'interno della città di Genova. Esso valica a grande altezza la valle del torrente Bisagno. Il viadotto, commissionato dalla Società Autostrade, fu progettato dagli ingegneri Silvano Zorzi e Sergio Tolaccia e costruito dal 1966 al 1967 dall'impresa Moviter. Il tronco autostradale venne aperto al traffico il 18 dicembre 1967. Il viadotto, che ha una lunghezza complessiva di 593,35 m e un'altezza sul fondovalle di circa 70 m, si compone di due strutture distinte, una per ogni carreggiata, collegate in alto da travi di sezione limitata. Costruito in calcestruzzo armato, conta 8 campate di luce variabile (le 3 maggiori di 116 m, affiancate da 2 di 70 m e lato Genova da 3 campate di accesso da 36 m). Le campate maggiori sono costruite con il sistema Dywidag mediante centinatura a sbalzo autoportante, utile nel caso di ponti di notevole altezza o con il fondovalle occupato da costruzioni; sullo stesso tronco autostradale, tale procedimento venne usato anche nei viadotti Sori, Nervi e Veilino. Le pile, affiancate e poggianti su una fondazione unica, hanno struttura scatolare e sostengono due impalcati larghi ciascuno 9,80 m. Le campate minori sono costituite da travi prefabbricate in calcestruzzo armato precompresso semplicemente appoggiate sulle pile. Uberto Marchesi e Antonio Chiaregato, La storia del tronco Genova - Rapallo dell'autostrada Genova - Sestri Levante, in Autostrade, anno IX, n. 12, Roma, edita dalla «Autostrade» Concessioni e Costruzioni Autostrade S.p.A., dicembre 1967, pp. 8-15, ISSN 0005-1756. Viadotto sul torrente Bisagno, in I ponti in c.a.p. sull'autostrada Genova - Sestri Levante, allegato alla rivista Autostrade, anno IX, n. 12, Roma, edita dalla «Autostrade» Concessioni e Costruzioni Autostrade S.p.A., dicembre 1967, p. VI, ISSN 0005-1756. Agostino Sajeva, L'autostrada Genova - Sestri Levante, in Le Strade, anno XLVIII, n. 10, Milano, Touring Club Italiano, ottobre 1968, pp. 488-504. Gaetano Bologna, Germana Bonelli e Galileo Tarantino (a cura di), Viadotto sul torrente Bisagno per l'Autostrada Genova-Sestri Levante, in Realizzazioni italiane in cemento armato precompresso 1966/70, supplemento straordinario a L'Industria Italiana del Cemento, nº 6, Roma, AITEC, giugno 1970, pp. 154-161, ISSN 0019-7637. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sul viadotto Torrente Bisagno (EN) Viadotto Torrente Bisagno, su Structurae.

Estratto dall'articolo di Wikipedia Viadotto Torrente Bisagno (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

Viadotto Torrente Bisagno
Viadotto torrente Bisagno, Genova San Sebastiano

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Viadotto torrente Bisagno
16141 Genova, San Sebastiano
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Viadotto Bisagno, autostrada A12 2
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Museo dell'acqua e del gas
Museo dell'acqua e del gas

Il Museo dell'Acqua e del Gas di Genova, costituito da Fondazione AMGA al fine di illustrare la storia del gas e dell'approvvigionamento idrico nella città di Genova, consta di quattro sezioni: archivio storico, biblioteca storica, raccolta fotografica e, naturalmente, reperti. L'archivio storico è composto da quanto si è potuto salvare a seguito dei vari accorpamenti e riorganizzazioni che hanno interessato l'azienda nel corso degli anni. Di particolare curiosità la raccolta di carte intestate di clienti e fornitori dell'Acquedotto De Ferrari Galliera. La biblioteca storica è catalogata come sezione storica della Biblioteca della Fondazione Amga e comprende antichi trattati sulla potabilizzazione dell'acqua, sulla produzione del gas da distillazione secca, nonché interessanti manuali pratici per gasisti. Si segnala la rivista francese Le genie civile rilegata per annate (dal 1889 al 1912), ereditata dalla biblioteca dell'Acquedotto Nicolay. L'archivio fotografico conta attualmente oltre milletrecento fotografie catalogate per argomento. Tra questa, rarissime fotografie dell'imponente cantiere della diga del Brugneto (1958~60). La parte più vistosa del museo è rappresentata dall'esposizione dei reperti. Si tratta di oggetti che, a vario titolo, hanno avuto attinenza con la produzione, la distribuzione ed il consumo del gas illuminante e di città; oggetti legati all'acqua potabile e materiale vario a testimonianza della storia dell'AMGA, l'azienda municipalizzata genovese che, subentrando all'”Union des gaz”, produsse e distribuì il gas di città dal 1936 al 1972, fino cioè alla metanizzazione. Dal 1972 Amga non produsse più il gas di città: l'impegno fu di odorizzare il gas naturale (acquistato dal fornitore nazionale) e distribuirlo. La carenza di spazio impedisce, per adesso, di organizzare i reperti secondo un criterio didattico e di dotare il museo di modelli o exibit. Gli oggetti sono perciò esposti secondo tematiche: acqua, produzione gas, attrezzature e manutenzione, laboratorio chimico, ufficio tecnico, strumenti elettrici, marketing, contatori ed oggetti domestici a gas. Fondazione Amga, al fine di supplire almeno in parte alla mancanza di una idonea e visibile sede museale, si è impegnata in diverse occasioni con mostre tematiche allestite presso strutture pubbliche note alla cittadinanza. Si ricordano partecipazioni a varie edizioni del Festival della Scienza, al Festival dell'Acqua 2011 e una mostra commemorativa "Settant'anni di AMGA a Genova", allestita a Palazzo Ducale nel giugno 2006. Il Museo è visitabile su prenotazione ed è ubicato nei locali di Fondazione Amga, presso l'area industriale di Gavette, Via Piacenza, 54 - Genova Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Museo dell'acqua e del gas Fondazione AMGA, su fondazioneamga.org. URL consultato il 13 aprile 2016.

Ponte Carrega
Ponte Carrega

Il ponte Carrega (in genovese: pônte de Carræ) è un ponte monumentale in pietra a sei campate, risalente al XVIII secolo, che attraversa il torrente Bisagno, nel quartiere genovese di Molassana. Scampato ai bombardamenti delle due guerre mondiali e alle varie alluvioni che hanno coinvolto la città, è posto sotto vincolo di tutela monumentale da parte della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici. Sin dall'antichità le due sponde della Val Bisagno erano connesse per mezzo di pericolosi guadi o con provvisorie passerelle in legno. Solo in epoca romana e poi in epoca medievale, con il Ponte di Sant'Agata (semidistrutto dalle alluvioni del 1970 e del 1992), furono create la prime strutture stabili per oltrepassare il torrente omonimo, a volte molto impetuoso, che la attraversa. La necessità di superare il corso d'acqua anche più a valle, e l'assenza all'epoca di una strada sulla sponda di levante, spinse nel 1747 gli abitanti di Montesignano a rivolgersi alla Repubblica di Genova, domandando formalmente l'edificazione di una struttura stabile. Montesignano era stato coinvolto nella Guerra di successione austriaca (1746-1747), e un'arteria di collegamento fra le due sponde della valle sottostante era fortemente voluta dagli abitanti. La data di inizio della costruzione del ponte non è nota, ma nell'edicola votiva un tempo posta al centro del ponte vi era una targa che indicava il 1788 come data d'inaugurazione. La struttura fu inizialmente edificata con diciotto arcate. Nel 1800, durante l'Assedio di Genova che vide contrapposte le truppe francesi e austriache, volontari della Val Bisagno affiancarono le truppe del generale André Masséna nel difendere la collina e il ponte. All'inizio dell'Ottocento, una parte dell'opera originale fu demolita, accorciando il ponte per far spazio alla strada napoleonica sulla sponda est del fiume. Di importanza strategica per i commerci e la difesa della valle, fu restaurato prima nel 1907 e, in particolare, nel 1923. In seguito alla costruzione di via Lungobisagno Dalmazia, infatti, la struttura subì un ulteriore accorciamento con la demolizione di una serie delle campate originali. I lavori del 1923 furono affidati al Consorzio Ligure delle Cooperative, per una spesa di 120.000 lire, con lo scopo di attuare una «reintegrazione del Ponte Carrega e la sua coordinazione con la strada arginale della sponda sinistra del torrente Bisagno». Il ponte e quella che era l'omonima area circostante sono protagonisti di una prosa di Camillo Sbarbaro, dal titolo di Tramonto a Ponte Carrega, contenuta in Trucioli, e pubblicata nel 1920 da Vallecchi. Sorprendentemente, nel 2012 il ponte è stato a rischio demolizione nell'ambito di un progetto comunale volto all'allargamento della strada sulla sponda levante, poiché dichiarato incompatibile col rischio idrogeologico dell'area. Dopo la mobilitazione dei cittadini della zona per la ricerca di una soluzione alternativa, l'attenzione è stata portata alla soprintendenza che lo ha posto sotto tutela con apposito decreto dirigenziale regionale. La successiva costruzione dello scolmatore del Bisagno ha poi fatto venire meno i rischi paventati e nel 2015 una mozione per la tutela del ponte è stata votata all'unanimità dal Consiglio comunale. Nel 2012 è stato collocato al primo posto in Liguria nel censimento I luoghi del cuore del FAI. Il toponimo Carrega ha una origine antica ma discussa. Da un lato, lo si attribuisce alla famiglia Carrega, che nell'area aveva molti possedimenti e si occupò della manutenzione e riqualificazione stessa del ponte; dall'altro lo si attribuisce al nome originale in lingua genovese dell'area, carræ (dal latino Carraie), ovvero i carri che dall'area transitavano per il trasporto dele merci sin dall'epoca romana, nome rinvenuto già in documenti in lingua latina del 1276 e del 1487. Secondo Amedeo Pescio, l'attribuzione del nome alla famiglia locale dei Carrega sarebbe frutto di una decisione arbitraria, nel suo I nomi delle strade di Genova del 1912 scrisse: «si tradusse arbitrariamente in ponte Carrega il nome genovese di "pônte de Carræ", ossia ponte delle carraie». Il generale Ugo Assereto pubblicò nel 1906 un opuscolo dedicato al nome del ponte in cui affermava: «quel ponte si chiamò sempre in dialetto ponte de Carræe; [...] Carraie si scriveva il nome di quella località in latino da varie centinaia d'anni; dal XIII secolo almeno è accertato! [...] Da tutto questo parmi si possa dedurre come probabile che la località del Bisagno già da secoli detta le Carraie abbia preso il nome delle cave di pietra che in tempi antichi, nella prima parte del medioevo, dovettero esistere in quei dintorni». Secondo le ricostruzioni moderne della ricercatrice storica Jolanda Valenti Clara, l'effettiva origine del nome sarebbe riconducibile a entrambe le circostanze, giunte a sovrapporsi. Storicamente l'area si chiamava effettivamente Carrara (o Carræ, in genovese) poiché utilizzata per il transito dei carri, mentre il nome in lingua italiana sarebbe da ricondurre più direttamente alla famiglia Carrega, che finanziò significativamente il rifacimento e la manutenzione dell'opera e possedeva ampie proprietà nell'area omonima. L'uso del toponimo italianizzato finiva pertanto per soddisfare sia la memoria storica più antica, sia quella più moderna. Questa ricostruzione spiegherebbe anche la teoria di Pescio sulla "traduzione arbitraria" in lingua italiana del termine genovese. Wikiquote contiene citazioni di o su Ponte Carrega Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Ponte Carrega Ponte Carrega, su catalogo.beniculturali.it, Ministero della cultura. Vincolo Architettonico, su Liguria Vincoli, Regione Liguria. Jolanda Valenti Clara, Ponte Carrega, origine e nome, su YouTube, Amici di Ponte Carrega, 11 marzo 2016.

Chiesa di San Bartolomeo Apostolo (Genova, Staglieno)
Chiesa di San Bartolomeo Apostolo (Genova, Staglieno)

La chiesa di San Bartolomeo Apostolo è la parrocchiale di Staglieno, quartiere di Genova, in città metropolitana ed arcidiocesi di Genova; fa parte del vicariato di Marassi - Staglieno. La presenza di una cappella a Staglieno è attestata a partire dal 1130 circa; questa chiesetta fu ricostruita nel 1403. La nuova parrocchiale venne edificata tra il 1646 e il 1650; nel 1862 l'interno fu oggetto di un restauro e di un abbellimento, mentre nel 1877 il campanile, che era stato danneggiato da una folgore, venne ristrutturato e ripristinato. Alcuni anni dopo, nel 1880 fu posato il nuovo pavimento della navata, composto da lastre marmoree bianche e nere, mentre nel 1892 si precedette al restauro delle pitture della volta; gli stucchi e gli affreschi vennero ritoccati prima nel 1902 e poi ancora nel 1935. Tra il 2005 e il 2006 fu condotto un intervento di manutenzione della facciata; in quest'occasione si constatarono le pessime condizioni dell'abside, che fu poi ristrutturata nel 2011. La facciata a capanna della chiesa, rivolta ad occidente e tinteggiata a fasce bianche e grigie alternate, presenta centralmente il portale d'ingresso, a cui s'accede percorrendo quattro scalini, e una grande finestra si forma semicircolare. Annesso alla parrocchiale è il campanile a base quadrata, suddiviso in registri da cornici marcapiano e abbellito da lesene angolari; la cella presenta una monofora a tutto sesto per lato ed è coronata dalla copertura a cupola poggiante sul tamburo. L'interno dell'edificio si compone di un'unica navata, sulla quale si affacciano quattro nicchie, ospitanti gli altari secondari, e le cui pareti sono scandite da lesene sorreggenti gli archi che introducono le cappelle e la trabeazione sopra la quale s'imposta la volta; al termine dell'aula si sviluppa io presbiterio, sopraelevato di un gradino e chiuso dall'abside di forma semicircolare. Staglieno Arcidiocesi di Genova Parrocchie dell'arcidiocesi di Genova Chiese di Genova Regione ecclesiastica Liguria Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su chiesa di San Bartolomeo Apostolo Parrocchia di S. BARTOLOMEO, STAGLIENO, su pmap.it. URL consultato il 12 giugno 2021.

Forte Quezzi
Forte Quezzi

Forte Quezzi (285 s.l.m.) è un forte di Genova, situato sulla sommità del Colle della Calcinara, che domina parte della val Bisagno e quella di Quezzi. È prossimo ad un altro forte che fa parte del gruppo di fortificazioni collinari genovesi: Forte Monteratti. L'ideazione di un forte sulle alture orientali del Bisagno avvenne intorno al 1747, quando la città di Genova l'anno prima fu minacciata dall'avanzata dell'esercito austro-piemontese arrivato ad assediare le alture del vicino monte Ratti, sopra l'abitato di Quezzi. Il 27 agosto, il Primo Ingegnere dell'esercito dell'Infante di Spagna, Jacque de Sicre, poteva annunciare alla Giunta della Difesa l'inizio dei lavori alla ridotta di Quezzi e ai Camaldoli. Tuttavia le opere, che con l'edificazione di Forte Santa Tecla e Forte Richelieu avrebbero potuto rappresentare un formidabile sistema difensivo, a causa di alcuni problemi di progettazione, e per mancanza di fondi, non furono portate a termine. Abbandonata e incompiuta, l'opera nelle operazioni di assedio del 1800, era allo stato di rudere. Ma il Generale Andrea Massena incaricato della difesa di Genova, resosi conto dell'importanza strategica che l'opera fortificata poteva avere, ne ordinò immediatamente il ripristino dei lavori. Così nonostante l'esecuzione dei lavori fosse ritenuta dai tecnici quasi impossibile a causa di carenza di materiali e manodopera. Ma secondo testimoni dell'epoca, il Forte fu costruito in tre giorni e tre notti: Nel 1809 in piena epoca Napoleonica, grazie a fondi francesi, furono supportate migliorie al forte, ad opera del Corpo Imperiale del Genio Napoleonico, che compresero il rifacimento in pietra del recinto bastionato, e la realizzazione della caserma a due piani, con soprastante terrazza. Dopo l'annessione di Genova al Regno di Sardegna nel 1814, l'apposita commissione del Genio militare sabaudo, riconoscendo l'importanza strategica della posizione, dispose per alcune migliorie all'opera non di grosso valore. L'obiettivo era quello di impedire al nemico di inoltrarsi nella valle del Bisagno, per questo scopo Una relazione militare del 1830 analizzò la condizione del Forte, che venne considerato di scarsa importanza, in quanto in "cattivo stato", e in quanto "la sua posizione non pare essere di grande utilità nella difesa; converrà lasciarlo cadere, e perciò non si faranno più riparazioni." Il 14 luglio 1857 alcuni rivoltosi seguaci di Mazzini, tentarono con un colpo di mano di impadronirsi del Forte, fallendo. Una relazione militare del 1875 definisce il Forte "di poco valore". Abbandonato, nel 1914 il forte Quezzi fu successivamente dato in concessione ad alcuni privati. L'ennesima relazione datata 1936 ci fa conoscere lo stato del Forte, le strutture sono fatiscenti, il ponte levatoio manca, i serramenti sono totalmente mancanti, le scale interne sono spesso prive di gradini, pavimenti crollati, infiltrazioni d'acqua dalla terrazza. Durante la Seconda guerra mondiale il primo piano fu demolito per far posto ad alcune postazioni di artiglieria contraerea, armate con sei cannoni da 76/45; che insieme ad altre postazioni lungo il crinale sul versante dell'abitato di Quezzi erano parte della difesa contraerea della città. Al termine del conflitto il forte fu completamente abbandonato, e depredato di ogni cosa, oggi è un cumulo di rovine lasciate a sé stesso, con mura crollate, rimaste riconoscibili solo quelle perimetrali, e fa da ricovero per greggi. L'entrata principale che dà verso la val Bisagno, era protetta da un ponte levatoio oggi irriconoscibile, sormontato da uno stemma Sabaudo, nell'androne d'ingresso c'erano i locali per il corpo di guardia, mentre a destra di questo, una scalinata sale verso il piazzale interno. Su di questo si affacciava la caserma a due piani, oggi riconoscibile solo per i muri perimetrali del piano terra, ripieni di terra e detriti. Dominante la valle di Quezzi e il quartiere di Marassi, il Forte Quezzi è raggiungibile in automobile dal quartiere del Biscione lungo una vecchia strada militare oggi asfaltata che poco prima di arrivare al quartiere del Biscione sale sulla destra immergendosi in una pineta. Imbocco raggiungibile anche con la linea di autobus 356 di AMT. A piedi dal quartiere di Quezzi o da Sant'Eusebio lungo la strada poderale denominata alla chiesa di Sant'Eusebio. Stefano Finauri, Forti di Genova, Servizi Editoriali, Genova, 2007, ISBN 978-88-89384-27-5 Tarantino Stefano-Gaggero Federico-Arecco Diana, Forti di Genova e sentieri tra Nervi e Recco alta via dei monti liguri, Edizioni del Magistero, Genova. Roberto Badino, Forti di Genova, Sagep, Genova 1969 Riccardo Dellepiane, Mura e fortificazioni di Genova, Nuova editrice genovese, Genova, 2008, [prima edizione 1984]. Cappellini A., Le Fortificazioni di Genova, Ed. F.lli Pagano Editore, Genova, 1939 Comune di Genova - Assessorato giardini e foreste, Genova. Il parco urbano delle Mura. Itinerari storico-naturalistici Forti di Genova Quezzi Val Bisagno Fortificazioni alla moderna Torre Quezzi Wikiquote contiene citazioni di o su Forte Quezzi Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Forte Quezzi Mappe, itinerari e foto dei forti di Genova, su forti-genova.com. URL consultato il 4 settembre 2018 (archiviato dall'url originale il 24 luglio 2010). Storia del Forte Quezzi, su fortidigenova.com. URL consultato il 14 dicembre 2009 (archiviato dall'url originale il 23 agosto 2010).

Biscione (Genova)
Biscione (Genova)

Forte Quezzi, chiamato ufficiosamente fin dagli anni settanta nel Novecento come Biscione dal nome gergale dato per la forma sinuosa dei suoi edifici, è il nome di complesso di edilizia popolare sorto alla fine degli anni sessanta sulle alture fra Marassi e Quezzi, a Genova. Il nome ufficiale, forte Quezzi, deriva invece dalla presenza dell'omonimo forte ottocentesco posto sulla cima della collina su cui sorge il complesso. È costituito da un insieme di cinque caseggiati, lunghi ciascuno oltre 300 metri, e disposti seguendo le curve di livello della collina sulla quale sono stati edificati. All'interno della costruzione spicca la chiesa parrocchiale Mater Ecclesiae costruita alla fine degli anni ottanta, con una curiosa forma di prua di nave. Amministrativamente fa parte del Municipio III - Bassa Val Bisagno (San Fruttuoso, Marassi, Quezzi e Biscione) ed ha, come singola unità urbanistica, una popolazione di 9 283 abitanti (al 31 dicembre 2010). Il nome Biscione, riferito per estensione al quartiere in cui sorge il complesso, dalla sua particolare struttura degli edifici, soprattutto il maggiore, che ricorda appunto le fattezze di un lungo e sinuoso serpente. Le strade lungo le quali si sviluppa il quartiere sono dedicate a quattro studiosi ed esploratori italiani: via Lamberto Loria, via Leonardo Fea (due edifici), via Elio Modigliani, via Carlo Emery. Il Quartiere INA-Casa di Forte Quezzi fu realizzato nell'ambito del piano INA-Casa per le case popolari edificate con finanziamento pubblico. La progettazione urbanistica del complesso fu affidata ad un ampio gruppo di architetti e risale al 1956/57. L'edificazione dell'ultimo edificio fu completata nel 1968. I coordinatori del gruppo furono Luigi Carlo Daneri e Eugenio Fuselli. La progettazione architettonica fu suddivisa nelle singole unità del quartiere come segue: casa A: capigruppo Luigi Carlo Daneri e Eugenio Fuselli; casa B: capogruppo Robaldo Morozzo della Rocca; casa C: capigruppo Angelo Sibilla e Mario Pateri casa D: capogruppo Gustavo Pulitzer Finali casa E: capogruppo Claudio Andreani Le diverse costruzioni che compongono l'insieme edilizio si distinguono per la presenza di due passeggiate, una al livello di un primo piano e l'altra al livello del quarto. Nelle intenzioni dei progettisti erano finalizzate al passeggio e al gioco dei bambini. L'orientazione generale delle facciate è rivolta a meridione, con massimo sfruttamento del soleggiamento. Complessivamente il complesso dei cinque edifici prevedeva la presenza di 865 appartamenti, che si stimava dovessero permettere una capienza complessiva di 4 500 abitanti. Gli edifici seguono le curve di livello e si snodano per molti metri; l'edificio più lungo ha uno sviluppo di circa 540 metri per 33 di altezza. La fonte di ispirazione per questo tipo di edilizia, che segue l'andamento curvo del territorio, si può individuare nel "piano Obus" di Algeri ipotizzato negli anni trenta da Le Corbusier. Il progetto attirò l'attenzione del mondo dell'Architettura del tempo, tra pareri positivi (che evidenziavano la forte carica innovativa del progetto) e negativi (principalmente per la scelta della zona, impervia e difficilmente raggiungibile, e per la densità abitativa, che era ritenuta troppo elevata per garantire una buona qualità della vita). Il quartiere doveva essere immerso in un parco urbano, dovevano essere presenti molti servizi ed era prevista l'apertura di negozi lungo tutto l'edificio principale.. Negli anni immediatamente successivi all'ultimazione degli edifici furono costruite una serie di abitazioni private, sfruttando le opere di urbanizzazione del quartiere, che snaturarono il progetto urbanistico. In anni più recenti il quartiere è stato comunque dotato di alcuni servizi, quali la scuola elementare e materna e una chiesa cattolica. Edificate in pieno boom economico come case popolari, per far fronte alla richiesta di abitazioni dovuta alla forte immigrazione dal meridione d'Italia, le abitazioni del complesso edilizio furono assegnate poi anche a molte famiglie genovesi espropriate dal centro storico che proprio allora iniziava ad essere interessato da profondi lavori di ristrutturazione per l'adattamento a sede della city degli affari e a moderno quartiere per gli uffici pubblici e amministrativi locali. L'evoluzione del quartiere non ha avuto, nel corso degli anni, vita facile. Specie nella fase iniziale - con carenza di strutture e servizi pubblici - venne identificato spesso come una sorta di ghetto, che diede la nascita ai quartieri "dormitorio" come Begato, CEP o le "Lavatrici", tutte strutture criticate in passato per il loro impatto paesaggistico e per l'isolamento dal resto del tessuto cittadino. L'alluvione dell'ottobre 1970 ebbe come conseguenza il crollo di un'ala dell'edificio di via Fea. Nessuno rimase sotto le macerie. Al posto degli appartamenti è stato in seguito costruito un locale adibito a centro sociale e una scuola materna. Chiesa parrocchiale della Mater Ecclesiæ, inizialmente ospitata in una sede provvisoria nei pressi del complesso edilizio, fu eretta in parrocchia con decreto del cardinale Giuseppe Siri del 22 dicembre 1965. L'attuale chiesa fu inaugurata nel 1997. Pietro D. Patrone, Daneri, introduzione di Enrico D. Bona, Genova, Sagep, 1982. Eugenio Fuselli, La casa più lunga, in AL Architetti Liguria, n. 9-10, rivista dell'Ordine degli Architetti della Liguria, gennaio-aprile 1990, pp. 20–22. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Biscione Storia del Biscione di Genova, su archivio.archphoto.it. URL consultato il 6 febbraio 2014 (archiviato dall'url originale il 6 febbraio 2014).

Campo sportivo di San Gottardo
Campo sportivo di San Gottardo

Il campo sportivo di San Gottardo è stato un campo da calcio velodromo di Genova, situato in località Fameiano di Montesignano, sul lato opposto del Bisagno rispetto alla frazione di San Gottardo. Nel 1907 il Genoa fu obbligato a lasciare il vecchio campo di Ponte Carrega poiché l'area in cui sorgeva sarebbe stata destinata dalle autorità cittadine allo sviluppo industriale (al posto dell'impianto sorse infatti un gasometro). Vieri Arnaldo Goetzlof, socio, dirigente e calciatore del sodalizio rossoblu si incaricò di trovare una località adatta per far sorgere un nuovo impianto sportivo, cosa che fece il primo luglio acquisendo e spianando a proprie spese un terreno di proprietà dei marchesi Marassi, sito di fronte alla frazione di San Gottardo del quartiere di Staglieno. Questo impianto benché più lontano dal centro del precedente era collegato alla città grazie alla linea tramviaria cittadina che arrivava alla vicinissima San Gottardo, località raggiungibile tramite una passerella che attraversava il torrente Bisagno. L'esordio genoano avvenne l'8 dicembre 1907 con una amichevole contro l'equipaggio della nave britannica Canopic. L'incontro terminò con la vittoria dei genoani per 2-1 che in quella occasione schierarono: Brunoldi, Storace, Queirolo, Cevasco, Ferraris, Castruccio, Marassi, Balbi, De Bruyn, Marengo e Goetzlof. L'impianto, troppo piccolo per l'esigenze del club, venne sostituito a partire dal 22 gennaio 1911 dal Campo di Marassi, il futuro Ferraris. Aldo Padovano, Accadde domani... un anno con il Genoa, Genova, De Ferrari, 2005, ISBN 88-7172-689-8. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su campo sportivo di San Gottardo

Torre Quezzi
Torre Quezzi

Torre Quezzi (318 s.l.m.) è una torre circolare in laterizio di 15 metri di diametro per 17 m di altezza, costruita dal Corpo Reale del genio Sardo tra il 1818 e il 1823, situata sulle alture di Quezzi. La torre domina le alture della val Bisagno, e fu costruita per sopperire alla mancanza di una adeguata difesa di Forte Quezzi lungo il crinale nord del monte, che avrebbe consentito un facile punto di partenza alle truppe nemiche per un eventuale attacco al forte stesso. Il Genio Sardo si prodigò per rinforzare quel lato del monte, con la costruzione di una piccola opera di "appoggio" a pianta circolare. Nel 1830 una relazione militare riscontrò un'inutilità nel posizionamento di Forte Quezzi e viceversa una ottima posizione difensiva della piccola opera di appoggio, così negli anni subito successivi furono sviluppati diversi progetti per rinforzare e ampliare la torre, con l'aggiunta di bastioni e la creazione di un forte simile a quello di Begato. L'idea tuttavia rimase solo al livello di disegno di progetto, e la torre non fu mai rimaneggiata. Dopo quasi 100 anni, intorno al 1909, l'opera fu abbandonata dalle autorità militari e adibita a ristorante poi definitivamente abbandonata nell'immediato secondo dopoguerra, quando furono rimosse le parti metalliche e i tiranti del pavimento, che ne causarono il crollo. Torre Quezzi è in completo abbandono; saltuariamente utilizzata come ricovero per le greggi di pastori locali è in uno stato di conservazione precario e necessiterebbe di restauri, che potrebbero riportare la struttura e l'area subito attorno in uno stato dignitoso. La torre e l'area immediatamente circostante sono considerati sito di interesse comunitario dall'Unione europea essendo uno dei pochi habitat del raro "tarantolino" o "geco tirrenico" (Euleptes europaea, precedentemente noto come Phyllodactylus europaeus). La Torre è una costruzione a tronco di cono, in cui a metà altezza si innestano delle paraste che sorreggono il parapetto di coronamento del tetto, oggi, come la maggior parte della costruzione, diroccato. Dalla parte interna dei parasti si aprono delle caditoie, protette in origine da possenti grate apribili. L'ingresso era originariamente protetto da un fossato a semi-cerchio, e da un ponte levatoio di cui oggi non rimangono tracce, ma che presenta ancora una muratura controscarpa davanti all'ingresso usata come appoggio per il ponte quando era abbassato. L'interno presentava 3 piani, oggi in gran parte totalmente crollati, sorretti da quattro pilastri portanti, in cui in uno di essi sono ricavate le scale di servizio che salivano ai piani. Al primo piano troviamo sul lato est la grossa feritoia per la cannoniera, svasata verso il basso in quanto il pezzo d'artiglieria era a difesa della Torre e non era a scopo offensivo. Nel piano superiore si scorge un'altra feritoia per la cannoniera, che al contrario aveva un "tiro" più diritto. Il terrazzo superiore, oggi irraggiungibile, era accessibile tramite una piccola casamatta e fu costruito a "prova di bomba", cioè da uno spesso strato di terra che sarebbe servito ad assorbire l'impatto di una bombarda dell'epoca. Al centro del soffitto esisteva in origine una piccola copertura in marmo, la quale poteva essere aperta per facilitare lo smaltimento del fumo di sparo, tramite un camino circolare verticale collegato con l'interno. L'armamento era rappresentato da due cannoni da 8, due obici lunghi e i due cannoncini, sopracitati, mentre il personale poteva variare da 20 a 50 unità in caso di necessità. La Torre è raggiungibile dalla strada militare, oggi in parte asfaltata, che parte da Forte Quezzi e porta fino a Forte Richelieu passando da Forte Monteratti, il sito oggi si trova in prossimità di serbatoi dell'Acquedotto Valnoci, in uno spiazzo asfaltato. A piedi è raggiungibile da via Leamara che parte dal quartiere di Quezzi, oppure da un sentiero percorribile anche in mountain bike che parte dalla piazza di Sant'Eusebio, in macchina dal quartiere del Biscione. La zona di Torre Quezzi è riconosciuta dalla Direttiva Habitat come zona speciale di conservazione per la presenza del fillodattilo (Euleptes europaea), un piccolo geco (il più piccolo vertebrato europeo) rinvenibile sulle pareti della torre, che nel resto della Liguria è presente esclusivamente nelle isole di Tino e Tinetto, in provincia di La Spezia, e per questo considerata specie protetta. Stefano Finauri, Forti di Genova, Servizi Editoriali, Genova, 2007, ISBN 978-88-89384-27-5 Tarantino Stefano-Gaggero Federico-Arecco Diana, Forti di Genova e sentieri tra Nervi e Recco alta via dei monti liguri, Edizioni del Magistero, Genova. Roberto Badino, Forti di Genova, Sagep, Genova 1969 Riccardo Dellepiane, Mura e fortificazioni di Genova, Nuova editrice genovese, Genova, 2008, [prima edizione 1984]. Cappellini A., Le Fortificazioni di Genova, Ed. F.lli Pagano Editore, Genova, 1939 Comune di Genova - Assessorato giardini e foreste, Genova. Il parco urbano delle Mura. Itinerari storico-naturalistici Forti di Genova Sito di interesse comunitario Fortificazioni Appennino ligure Quezzi Val Bisagno Fortificazioni alla moderna Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Torre Quezzi Foto di Torre Quezzi, su sullacrestadellonda.it. URL consultato il 6 dicembre 2009 (archiviato dall'url originale il 5 settembre 2009). Mappe, itinerari e foto dei forti di Genova, su forti-genova.com. URL consultato il 6 dicembre 2009 (archiviato dall'url originale il 24 luglio 2010). Scheda del SIC Archiviato il 25 marzo 2014 in Internet Archive. su ambienteinliguria.it