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Biblioteca Civica Gambalunga

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Biblioteca Gambalunga (Rimini) 4
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La Biblioteca Civica Gambalunga di Rimini fu aperta nel 1619, su lascito di Alessandro Gambalunga nell'omonimo palazzo (iniziato nel 1610 e terminato nel 1614), dove ha ancora la sua sede, nel centro di Rimini. Il nobile Alessandro Gambalunga muore il 12 agosto 1619, lasciando al Comune sia il palazzo (costato settantamila scudi ed edificato fra 1610 e 1614) sia la biblioteca, posta «nella stanza da basso», che diventa pubblica.

Estratto dall'articolo di Wikipedia Biblioteca Civica Gambalunga (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

Biblioteca Civica Gambalunga
Via Alessandro Gambalunga, Rimini

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Via Alessandro Gambalunga 27
47921 Rimini
Emilia-Romagna, Italia
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Luoghi vicini

Domus del chirurgo
Domus del chirurgo

La domus del chirurgo è un'abitazione romana della seconda metà del II secolo, scoperta nel 1989 a Rimini in piazza Luigi Ferrari, e aperta al pubblico il 7 dicembre 2007; qui sono stati rinvenuti mosaici, affreschi e reperti, tra cui una delle serie più complete di strumenti chirurgici di età romana, conservate al Museo della città di Rimini. Il sito archeologico della domus del chirurgo mette in luce anche successive stratigrafie archeologiche, comprendendo delle mura di età imperiale, un'abitazione palaziale e parte di una casa bizantina altomedievale. Il sito archeologico rappresenta una sintesi storica delle vicende edilizie della città a partire dal I secolo a.C. fino all'età moderna: gli elementi di maggiore interesse sono identificabili in quattro settori: il comparto della domus del chirurgo, le mura di età imperiale, l'abitazione palaziale risalente in un periodo compreso tra la tarda romanità e l'età gota, e infine la parte di una casa bizantina altomedievale. A seguito del restauro, il complesso archeologico è stato musealizzato in sito per le parti non trasferibili e all'interno del Museo di Rimini per i reperti archeologici rinvenuti. Nella primavera del 1989, durante lo sradicamento di un albero nell'ambito della sistemazione dei giardini di piazza Ferrari, si scoprirono dei frammenti di affresco intrappolati nelle radici dell'albero, uno dei mosaici e ruderi di età romana. Al ritrovamento seguì l'intervento della Soprintendenza Archeologica e del Museo della città di Rimini; dopo i primi accertamenti fu eseguito un sondaggio che mise alla luce delle strutture murarie, una porzione di mosaico e dei manufatti in bronzo, il che diede inizio all'indagine sistematica dell'area. Le campagne di scavo hanno esplorato un'area di 700 m², il cui sottosuolo ha rivelato i primi mosaici a circa 2,5 m di profondità dal piano di campagna, oltre che stratificazioni e varie strutture databili a partire dall'età tardorepubblicana. L'attuale struttura museale in sito fu aperta nel dicembre del 2007 e consente al pubblico di vedere i ritrovamenti camminando su piattaforme sospese trasparenti. Il nome con cui è noto il sito archeologico "domus del chirurgo", si deve al corredo chirurgico rinvenuto: da una mensola originariamente posta sulla parete era caduta una scatola di bronzo, da cui si era rovesciato un gruppo di strumenti in ferro e bronzo utilizzati dal medico per i suoi interventi, pinze, bisturi, scalpelli, sonde e altri attrezzi, nonché bilance e misurini di bronzo; e ancora vasetti in terracotta, e un gruppo di vetri ormai irriconoscibili, pertinenti a fiale e ad altri contenitori di uso farmaceutico. La domus era collocata nei pressi del bacino portuale della foce del fiume Marecchia, prima che il suo percorso fosse deviato verso nord e prima che la linea di costa si spostasse di 1,5 km verso il mare. La domus nel suo complesso aveva un perimetro trapezoidale, che misurava circa 30 m in larghezza con un massimo di 21 m in profondità, con una superficie di 450 m², metà dei quali scoperti; in realtà l'edificio comprendeva anche il corpo residenziale anteriore, che era il componente primario, arrivando così a ricoprire un'area superiore a 1000 m². Della domus sono visibili in planimetria le varie stanze: il vestibolo, cioè l'ingresso, che si affacciava su un cardine romano minore (l'attuale Corso Giovanni XXIII); la prima stanza usata come prolungamento dell'ingresso, che attraverso una porta faceva accedere al cortile e probabilmente al piano superiore; il cortile-giardino, in cui sono stati ritrovati il piede della statua di Ermarco e un bacile marmoreo; il corridoio, che metteva in collegamento la prima stanza con le restanti e dava sul cortile; il triclinio, ambiente dedicato ai pasti, caratterizzato dalla presenza di tre letti disposti intorno a una mensa centrale; la taberna medica composta da: il cubicolo, posizionato successivamente al triclinio, ambiente provvisto di un letto dedicato al ricovero dei pazienti, dotato di una finestra che si affacciava sul corridoio e di una porta che collegava alla stanza di Orfeo; la stanza di Orfeo, in cui è stata rinvenuta la collezione di strumenti medici, tra cui anche quelli chirurgici; una sala di ricevimento; i locali di servizio, tra cui una latrina con caditoia di scarico, un sudatorium o laconicum con riscaldamento pavimentale a ipocausto, su suspensure e un sistema di riscaldamento parietale a tubuli. Sezioni della domus del chirurgo Il piano superiore, ora non più esistente in quanto crollato con l'incendio, conteneva altre stanze residenziali affrescate e mosaicate, probabilmente una dispensa sopra al triclinio e una mensa con cucina. La domus fu ristrutturata nella seconda metà del II secolo, come è testimoniato dalla zona del peristilio, al fine di ricavare nuove aree abitative; successivamente fu abbandonata a causa di un repentino incendio che la distrusse completamente, testimoniato dal fatto che non siano stati messi in salvo una cassetta lignea contenente 89 monete romane e gli strumenti chirurgici ritrovati tra le macerie, oltre al fatto che questi ultimi mostrino segni di fusione dovuta al calore. La datazione dell'incendio è stata fatta sulla base delle monete ritrovate, le più tarde risalenti agli anni 257 e 258. Si suppone che il nome del medico fosse Eutyches sulla base del graffito, tracciato con uno stile di scrittura del III secolo, presente sull'intonaco decorativo del muro del cubicolo nel posto dove era appoggiato il letto, probabilmente inciso da un paziente per ringraziarlo delle cure: Dai ritrovamenti, dai mosaici, dalle decorazioni e dalle numerose scritte in greco ritrovate sul vasellame, si ipotizza che Eutyches fosse proveniente dal mondo greco-orientale, dove probabilmente ha anche studiato, essendo presenti le più grandi scuole di medicina del tempo. A supportare l'origine ellenica di Eutyches ci sono alcuni oggetti che teneva in casa tra cui: un pinax, un quadretto policromo in pasta di vetro con rappresentati tre creature marine, difficilmente reperibile sul mercato occidentale, di cui si ha un esemplare simile a Corinto; due vasetti che contenevano erbe medicinali, i cui nomi sono incisi in greco sugli stessi; un piede della statua di Ermarco, filosofo successore di Epicuro, ritrovata nel giardino della domus; una mano votiva in bronzo associata al culto di Giove Dolicheno, divinità di origine siriana settentrionale venerata dai soldati romani dal II secolo. Inoltre, lo strumentario chirurgico ritrovato suggerisce la specializzazione militare del medico, essendo principalmente rivolto alla cura di traumi e ferite, come il ciatisco di Diocle (un cucchiaio per l'estrazione di punte di freccia), e esclusivamente degli uomini, non delle donne, in quanto mancano strumenti da ostetricia. All'interno della domus sono stati ritrovati centinaia di reperti, ora conservati nella sezione archeologica del Museo della città di Rimini: ferri chirurgici, vasellame da cucina, monete, una consistente serie di decorazioni e mosaici. Gli strumenti chirurgici ritrovati a Rimini rappresentano a oggi la più ricca collezione chirurgica antica del mondo, per varietà e numero degli oggetti: circa 150 pezzi utilizzati per intervenire su ferite e traumi ossei, più una serie di vasetti utilizzati per la preparazione e la conservazione dei medicinali. Nel corredo chirurgico spiccano vari bisturi, sonde, pinzette, tenaglie odontoiatriche, leve ortopediche, un trapano a bracci mobili e diversi ferri utilizzati per esportare calcoli urinari. La tipologia dei ferri chirurgici indica che il chirurgo riminese era un medico militare. Uno dei ritrovamenti più importanti è il cucchiaio di Diocle, pezzo unico al mondo, che serviva per estrarre le punte di freccia conficcate nel corpo: un manico di ferro termina con una lamina a forma di cucchiaio, forata al centro, in modo da bloccare ed estrarre la freccia. Era utilizzato dai medici che operavano sul campo di battaglia. Nel triclinio è stato invece ritrovato il pannello di pasta di vetro con raffigurati i tre animali marini. In mezzo alle macerie del crollo del secondo piano, sopra lo studio medico, sono state trovate 89 monete romane in una cassetta lignea, quasi tutte d'argento. Gli scavi archeologici hanno riportato alla luce molti mosaici ancora intatti e affreschi policromi. Tra i mosaici spicca Orfeo tra gli animali, ritrovato nella taberna medica, che vede al centro Orfeo circondato da animali in ascolto. I mosaici furono realizzati prevalentemente con la tecnica dell'opus tessellatum e dell'opus reticulatum. Mosaici della domus del chirurgo Ilaria Balena e Marco Sassi, La domus del chirurgo e il complesso archeologico di piazza Ferrari, 2. ed, La Pieve, 2009, ISBN 978-88-904644-0-9, OCLC 1075912945. Stefano De Carolis, Ars medica : i ferri del mestiere : la domus del Chirurgo di Rimini e la chirurgia nell'antica Roma, Guaraldi, 2009, ISBN 978-88-8049-351-8, OCLC 876597506. Cristina Giovagnetti, La Domus del Chirurgo - Arredi e suppellettili, in Ariminum, n. 6, Novembre - Dicembre 2017, p. 21. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Domus del chirurgo Domus Rimini, su domusrimini.com. Alberto Angela, La domus del chirurgo in "Creature fantastiche" - Passaggio a Nord Ovest, Rai, 9 gennaio 2021, a 14 min 28 s. Gli scavi di Piazza Ferrari e la domus "del Chirurgo": duemila anni di storia riminese, su archeobologna.beniculturali.it. URL consultato il 24 luglio 2008 (archiviato dall'url originale il 4 aprile 2011).

Chiesa del Suffragio (Rimini)
Chiesa del Suffragio (Rimini)

La chiesa di San Francesco Saverio, più nota come chiesa del Suffragio, è una chiesa cattolica del centro storico di Rimini, fondata a inizio Settecento dai Gesuiti. L'annesso collegio è dal 1981 sede del Museo della città di Rimini. I Gesuiti erano giunti a Rimini nel 1627 e nel 1631 fondarono la prima chiesa, dedicata anch'essa a San Francesco Saverio, costruita nell'ex-granaio di un cittadino benevolente. Nel 1655 i Gesuiti, beneficiati del lascito di Cesare Galli, protonotario apostolico, iniziarono a pensare alla costruzione di una nuova chiesa, che sarà disegnata su modello della romana Chiesa del Gesù. Non certa è l'identità dell'autore del progetto, attribuito da tradizione a Giovan Francesco Buonamici o al conte Francesco Garampi, quest'ultimo deceduto nel 1714. Altri lo attribuiscono ad Alfonso Torreggiani, che tra il 1746 e il 1755 progettò l'annesso collegio. I lavori iniziarono nel 1719 e poterono dirsi terminati nel 1721. La facciata rimane però priva del rivestimento lapideo, rimasto incompiuto a seguito della soppressione della Compagnia di Gesù. La chiesa fu gravemente danneggiata dai bombardamenti Alleati durante la seconda guerra mondiale e ricostruita nel dopoguerra. L'annesso collegio, adibito ad ospedale per circa un secolo e mezzo, dal 1981 è sede del Museo della città di Rimini. La chiesa ha una pianta a croce latina, con interno a navata unica fiancheggiata da cappelle. L'organo Zanin è stato restaurato nel 2007. Elenco delle opere Adorazione di San Francesco Borgia, Pietro Rotari Gloria di Sant'Ignazio, Pietro Rotari Martiri Gesuiti Giapponesi, Guido Cagnacci Santa Cecilia ed il Bambin Gesù, Andrea Barbiani Sant'Emidio protegge Rimini, Giuseppe Soleri Brancaleoni (1793) San Nicola e le anime del Purgatorio, ignoto del XVIII secolo Due Annunciazioni di scuola toscana Altare marmoreo dedicato a Sant'Ignazio di Loyola, Giovan Francesco Buonamici Nevio Matteini, Rimini. I suoi dintorni. La riviera di Romagna, Rimini, Cappelli, 1966. Luigi Tonini, Guida del forestiere nella città di Rimini del bibliotecario dottor Luigi Tonini, Tipografia Malvolti ed Ercolani, 1864. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su chiesa del Suffragio Chiesa del Suffragio Rimini, su suffragio.it. URL consultato il 6 maggio 2021 (archiviato dall'url originale il 6 maggio 2021).

Museo della città di Rimini
Museo della città di Rimini

Il Museo della città di Rimini è situato in via Tonini (angolo piazza Ferrari), nell'ex-convento dei Padri Gesuiti ed ex-Ospedale Civile. Aperto nel 1981 e dedicato a Luigi Tonini, sorge accanto alla coeva chiesa del Suffragio. L'edificio fu progettato, come convento e collegio dei Gesuiti, da Alfonso Torreggiani e realizzato tra gli anni 1746 e 1755. Dopo la soppressione della Compagnia di Gesù, per circa un secolo e mezzo l'edificio fu usato come ospedale di Rimini. A seguito dei bombardamenti della seconda guerra mondiale, si è resa necessaria una ristrutturazione, che è stata guidata dall'architetto Pier Luigi Foschi, che fu poi direttore del museo dal 1985 al 2010; i lavori di recupero e restauro hanno riportato all'antico splendore il vecchio convento, che può essere considerato un patrimonio culturale italiano, in seguito scelto come sede del Museo cittadino. Il museo è diviso in diverse sezioni, tra le cui sono degne di nota la sezione archeologica e quella medievale. Un ampio spazio è dedicato alla pittura del Trecento ed ospita, oltre a numerose opere della Scuola riminese, anche opere di Giovanni Bellini, Domenico Ghirlandaio, Guercino, Guido Cagnacci e altri. La sezione archeologica espone i reperti della domus del chirurgo, un'abitazione romana della seconda metà del II secolo, scoperta nel 1989 in piazza Ferrari a pochi metri dal museo. Di eccezionale importanza per numero e varietà gli strumenti chirurgici, che rappresentano uno dei più importanti corredi di attrezzi medici mai rinvenuto. Sono presenti numerosi mosaici di epoca romana, di particolare bellezza ed importanza. Dal 2010 il museo ospita una sezione dalla preistoria alla tarda antichità, partendo da un milione di anni fa con i segni della presenza dell'homo erectus sul colle di Covignano, al tempo lambito dal mare che sommergeva il piano su cui sarebbe stata costruita Rimini; qui sono state trovate selci scheggiate e levigate (cuspidi di freccia, lame foliate, asce e martelli forati), paragonabili a quelle ritrovate nel giacimento preistorico di Cà Belvedere di Monte Poggiolo a Forlì, oltre alle prime forme ceramiche (con superficie liscia o decorata, in forma di ollette, scodelle o vasi a fiasco per contenere semi e liquidi) che segnano la nuova economia agro-pastorale, ai ripostigli dell'età del bronzo di oggetti occultati da commercianti-fonditori. Alcune sale del museo vengono allestite per ospitare mostre temporanee ed esposizioni culturali. Giovanni Bellini, Pietà, 1470 circa Giovanni da Rimini, Giudizio Universale; Crocifisso Domenico Ghirlandaio, Pala di San Vincenzo Ferrer, iniziata da Domenico e conclusa nel 1496 dai collaboratori della bottega: spetta probabilmente a David Ghirlandaio la figura di San Vincenzo Ferrer, a Sebastiano Mainardi il San Sebastiano e a Francesco Granacci il San Rocco. Guercino, San Girolamo; Sant'Antonio da Padova Guido Reni, San Giuseppe con Gesù Bambino, sec. XVII Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Museo della città di Rimini Sito ufficiale, su museicomunalirimini.it.

Chiesa di Sant'Agostino (Rimini)
Chiesa di Sant'Agostino (Rimini)

La chiesa di Sant'Agostino è una chiesa di Rimini. Fu cattedrale della diocesi di Rimini dal 1798 al 1809. La chiesa, dedicata a san Giovanni evangelista, è nota come "di Sant'Agostino" in quanto gestita dai padri agostiniani dal XIII secolo fino alle soppressioni napoleoniche. Originariamente si ergeva, in parte dove è sita la sagrestia, una chiesa intitolata a san Giovanni Evangelista, che compare citata per la prima volta in un atto del 1069. Nel 1256 fu concessa ai padri agostiniani (aggiungendo all'intitolazione "e di Sant'Agostino"), originari di un piccolo monastero di eremiti brettinesi a nord di Fano, già presenti in città almeno dal 1247, come testimoniato da una bolla di papa Innocenzo IV. L'atto di concessione nel 1256, del vescovo Giacomo, menziona che la allora parrocchia di San Giovanni Evangelista possedeva pascoli, terreni, vigne, a cui il vescovo aggiunse una casa e una torre attigue, oltre ad esentare i padri agostiniani e gli abitanti della parrocchia "ad omni lege diocesiana, et iurisdictione, et istitutione". Grazie anche ad alcuni lasciti, i padri agostiniani acquistarono ulteriori proprietà contigue in aggiunta a quelle concesse, con l'intenzione di "edificare un monistero" in breve tempo, proposizione supportata anche da papa Alessandro IV con una bolla del 1257, concedendo a loro "di poter ricevere delle usure, rapine & altre cose male acquistate [..] fino al numero di 300 lire a Ravenna", a cui seguì l'anno successivo la bolla papale di conferma della concessione della parrocchia. La benevolenza vescovile e papale verso gli ordini mendicanti era a quel tempo favorita dall'intenzione di combattere i movimenti eretici dei Catari, Patarini e Manichei, nonché come contrapposizione al dilagante malcostume del clero secolare. Il nuovo impianto architettonico, conglobante in parte il precedente, era già in stadio avanzato di costruzione nel 1278 e in via di completamento attorno al 1287. Tra queste due date si possono notare due ripensamenti: il primo fu quello di rendere la struttura simmetrica, per cui sul fianco est si può notare un allungamento grazie ad una lesena angolare simmetrica alla cappella del campanile; il secondo fu l'innalzamento della facciata. Infatti la presenza di tre grossi occhi cechi, mai aperti e privi di ghiere, fanno pensare ad una ipotesi originaria diversa, un edificio di stile romanico, sottolineato dal colore rosso dei mattoni e dall'assenza di intonacatura. La struttura realizzata divenne la più importante del periodo gotico riminese, nonché l'edificio più grande mai costruito da un ordine mendicante nella città. Seguirono diversi interventi a causa del terremoto del 1308, la cui intensità viene calcolata attorno all'ottavo grado della scala Mercalli. A tali interventi contribuì il favore della famiglia Malatesta, intenzionata a intrattenere una politica di buoni rapporti con gli ordini mendicanti per inserirsi gradualmente nelle istituzioni cittadine. Ad esempio, nel suo testamento del 1311, Malatesta il Mastin Vecchio stabilì che le spese necessarie per la celebrazione del capitolo generale dei frati eremitani a Rimini fossero sostenuti dai suoi eredi. Nel 1346 il governo cittadino, obbligato da Malatesta il Guastafamiglia, concesse agli agostiniani la via Nova per poter ingrandire il loro monastero, nel quale già operava a un collegio per novizi, una grande biblioteca e uno studio che diverranno, dopo quello bolognese, i più importanti della regione. Si formarono proprio qui due illustri esponenti dell'ordine agostiniano: il beato Tommaso e il teologo Gregorio da Rimini. L'impianto gotico subì diversi lavori di rifacimento tra il 1580 e il 1585, soprattutto per quanto riguarda il tetto e gli affreschi, su spinta di un decreto vescovile che intimava al rettore della parrocchia di imbiancare "l'immagini de sancti depinti nelle mura e guasti nel tempo". Nel Settecento seguirono numerosi ritocchi che ne hanno alterato in parte le originarie fattezze e decorazioni, imprimendole, soprattutto all'interno, uno stile barocco. Frati agostiniani gestirono la chiesa e il monastero fino alle soppressioni napoleoniche. Le spoglie mortali del beato Alberto Marvelli vennero traslate nella chiesa di Sant'Agostino, dal cimitero cittadino, nel 1974. Sita in via Cairoli, attigua a piazza Cavour, è nel pieno centro storico di Rimini. La chiesa di Sant'Agostino è fra le più imponenti della città (soprattutto per il suo svettante campanile) e tuttora conserva parte del pregiatissimo ciclo pittorico della scuola riminese che la adornava prima dei lavori di rinnovo del XVII secolo e che ne testimoniava l'importanza religiosa e culturale. Sulla spinta del menzionato lascito di Malatesta il Mastin Vecchio, il capitolo generale tra il 1315 e il 1318 commissionò alla bottega di Giovanni da Rimini la decorazione del coro e del timpano sopra l'arco trionfale, nella quale parteciparono anche i fratelli di Giovanni, ossia Giuliano e Zangolo. Da un lascito del 1303 che si proponeva di dotare l'altare maggiore di una maestà di Cristo e di una Madonna, si potrebbe dedurre che già tale bottega operava in sito e fosse la realizzatrice delle due commissioni. L'abside e la cappella del campanile, le parti maggiormente conservate, presentano una serie di affreschi dedicati alla Vergine Maria, alla vita di san Giovanni evangelista e a Sant'Agostino. Alla loro base vi sono alcuni affreschi tardo-trecenteschi, in stato di conservazione precario, tra cui una Madonna e angeli di gusto tardogotico, ed ulteriori frammenti primo-quattrocenteschi. Ricche di interesse sono inoltre le numerose cappelle laterali, nelle quali sono conservate pale settecentesche e statue in stucco di Carlo Sarti. Pregiati anche gli stucchi di Ferdinando Bibiena, che ornano il soffitto, e i vari affreschi di Vittorio Maria Bigari. Angelo Turchini, Claudio Lugato e Alessandro Marchi, Il Trecento Riminiese a Stant'Agostino a Rimini, Cesena, Il Ponte Vecchio, 1995. Vittorio Bassetti, Regesto agostiniano riminese sino all'anno 1300, in Analecta Augustiniana, LXII, Roma, Institutum historicum ordinis S. Augustini Romae, 1998, pp. 245-271. Vittorio Bassetti, Un ritrovato "Libro di entrate/uscite della Provincia Agostiniana di Romagna (1437-1538), in Analecta Augustiniana, LXIII, Roma, Institutum historicum ordinis S. Augustini Romae, 2000, pp. 60-96. Rimini Diocesi di Rimini Parrocchie della diocesi di Rimini Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su chiesa di Sant'Agostino Home page della parrocchia di Sant'Agostino, su santagostinorimini.it.

Teatro Amintore Galli
Teatro Amintore Galli

Il Teatro Amintore Galli (fino al 1947 Teatro Vittorio Emanuele II) è il principale teatro di Rimini. Inaugurato nel 1857 su progetto dell'architetto italiano Luigi Poletti, il teatro è stato pesantemente danneggiato dai bombardamenti alleati nel dicembre 1943. I saccheggi e le demolizione che seguirono nel dopoguerra ne lasceranno intatta solo la facciata e parte del foyer. Dopo una lunga e travagliata storia che vede tentativi di ricostruzioni, modifiche e destinazione ad altri usi, i lavori di ricostruzione veri e propri sono cominciati nel 2014 e si sono conclusi nell'ottobre del 2018. Durante il restauro sono emersi i resti di una basilica paleocristiana, che a oggi sono inclusi nel museo archeologico realizzato sotto al teatro assieme al Galli Multimediale, un innovativo progetto di museo a carattere storico-archeologico, finanziato in buona parte dalla Regione Emilia-Romagna, e una sezione interamente dedicata a uno dei principali volti musicali del passato quale è Giuseppe Verdi. La costruzione di un nuovo teatro a Rimini fu deliberata il 14 luglio 1840 nell'attuale Piazza Cavour (allora Piazza della Fonte), che fu preferita a Piazza Malatesta (allora Piazza del Corso), dopo che un'annosa discussione aveva diviso la città in fazioni, su quale fosse l'ubicazione più conveniente. Il retro del teatro si affacciava invece su Piazza Malatesta, fronteggiando Castel Sismondo. Nel 1839 era stato chiuso e atterrato il teatro in legno risalente al 1681, mentre l'esistente Teatro Buonarroti, costruito nel 1816, era in precarie condizioni tanto che ne fu deliberata la chiusura nel 1843. L'incarico per la progettazione del nuovo teatro fu affidato il 9 dicembre 1840 all'architetto italiano Luigi Poletti e la cerimonia solenne per la posa della prima pietra avvenne l'8 agosto 1843. I lavori furono finanziati inizialmente da una società di capitali, e già il 22 novembre 1846 l'opera al grezzo poteva dirsi completa. La costruzione subì a quel punto un lungo stallo e i lavori per il completamento e per l'esecuzione della decorazione poterono riprendere, a spese della municipalità, solo nel 1854, per concludersi definitivamente nel 1857. Fu solennemente inaugurato nello stesso anno con la prima dell'Aroldo di Giuseppe Verdi, diretta personalmente dal maestro. La cittadinanza mostrò di gradire la realizzazione di Poletti: manifestò il suo apprezzamento dedicandogli un busto nel foyer del teatro e incidendo il suo nome latinizzato a caratteri cubitali nell'iscrizione latina visibile sul frontone: AERE CIVIVM INGENIO ALOISII POLETTI ANNO MDCCCLVII. Lesionato dal terremoto del 1916, il teatro venne chiuso per restauri e riaperto nel 1923 con la Francesca da Rimini di Riccardo Zandonai. Tra il 1928 e il 1931, sotto la guida di Gaspare Rastelli, vengono completati il ridotto e la galleria del piano superiore. L'ultima opera, Madama Butterfly di Giacomo Puccini, fu eseguita nella primavera del 1943. Il 28 dicembre dello stesso anno il teatro fu gravemente danneggiato durante un bombardamento Alleato, con la distruzione del 90% di sala e palcoscenico. Nell'immediato dopoguerra i resti del teatro furono saccheggiati e il teatro stesso usato come "cava" per materiali da costruzione; vi fu inoltre la demolizione di parte dell'edificio. Già nel 1955 si inizia a pensarne la ricostruzione, con un concorso indetto dalla Cassa di Risparmio di Rimini che però si rivelò infruttuoso. Nel 1959 quello che rimaneva della parte danneggiata, ovvero tutto l'edificio ad eccezione della facciata e del foyer, fu demolito. Al suo posto sorse un capannone adibito a palestra. Tra il 1969 e il 1975 fu eseguito un criticato intervento di restauro, che vide la nascita al posto del ridotto della cosiddetta Sala Ressi, usata come sala consiliare. Il concorso bandito dal Comune di Rimini nel 1985 e "riavviato" nel 1992 vide vincere un progetto di stampo modernista. Approvato dalla giunta nel 1999, il progetto fu però largamente osteggiato dalla cittadinanza che chiedeva un restauro rispettoso del progetto originale. Nel 2002 l'allora Sottosegretario per i Beni Culturali Vittorio Sgarbi chiede anch'egli l'esecuzione di un restauro rispettoso del progetto del Poletti, e l'anno successivo il Ministero dei Beni Culturali stanzia 384.524€ per la redazione di un nuovo progetto, affidando tale incarico all'architetto Pier Luigi Cervellati. Il progetto viene ultimato nel 2004. I lavori di restauro e ricostruzione iniziano ufficialmente nel 2014. Il 17 settembre 2015 è inaugurato il foyer, mentre nel luglio 2016 avviene la posa del tetto della sala. Il 28 ottobre 2018, in occasione della riapertura del teatro, è stata eseguita, in forma semi-scenica, La Cenerentola di Gioachino Rossini, interpretata dal celebre mezzosoprano Cecilia Bartoli e dall'ensemble Les Musiciens du Princes diretto da Gianluca Capuano. Il teatro fu progettato in forme neoclassiche dal Poletti come monumentale sfondo di piazza Cavour. È il più grande tra i tre teatri realizzati dal Poletti; gli altri due erano a Fano (Teatro della Fortuna) e Terni. Il foyer, preceduto da un portico su colonne ioniche, ospita al suo interno tre grandi sale – la sala delle colonne al piano terra, la sala Ressi e quella per la preparazione delle maschere al primo piano;– e un loggiato al piano superiore affacciato sulla piazza. La grande sala comprende 71 palchi coronati da un loggione e, originariamente, poteva ospitare fino a 1.400 spettatori. Nella sua opera, Poletti sperimentò alcune innovazioni nel disegno degli interni: superò l'usuale divisione dei palchi in quadrati di uguale grandezza e realizzò il secondo ordine di palchi su dimensioni più grandi e di aspetto architettonicamente più imponente rispetto agli altri. Inoltre non venne realizzato il palco reale tipico dei teatri all'italiana. L'esterno del teatro è quasi totalmente privo di decorazioni. Gli scenari furono commissionati al riminese Michele Agli. Il sipario fu affidato al pittore Francesco Coghetti, che vi raffigurò la scena del passaggio del Rubicone di Giulio Cesare, ispirandosi alla descrizione che ne fece Lucano in Pharsalia. I primi rilievi del sipario, in vista del restauro, sono iniziati nell'aprile 2016. La presenza di resti archeologici era già stata ventilata da alcuni studiosi all'epoca della demolizione della parte posteriore del teatro e della costruzione del capannone adibito a palestra. Durante i lavori di ricostruzioni iniziano ad emergere dapprima i settecenteschi forni cittadini, poi un quartiere di epoca medievale, un complesso sepolcrale e infine i resti di alcune domus di epoca romana. Questo ha portato alla decisione di modificare il progetto, rendendo visitabili i resti delle domus e trasformando la parte inferiore del teatro in un museo. Oltre alle domus è stato recuperato l'anello murario che cingeva la sala originale del teatro. Per l'accesso all'area archeologica è stato realizzato un ingresso indipendente. Luigi Tonini, Guida del forestiere nella città di Rimini, Rimini, Malvolti ed Ercolani, 1864. Giuseppe Campi, Monografia della Provincia di Forlì, Forlì, Tipografia Bordandini e Casali, 1866-1880. Carlo Tonini, Compendio della storia di Rimini, parte II, dal 1500 al 1861, Bologna, Arnaldo Forni Editore, 1969 [1896]. (EN) Ashton Rollins Willard, History of modern Italian art, 1902. Francesco Amedolagine, Livio Petriccione, Il teatro Galli. Tecniche e materiali per la ricostruzione degli apparati decorativi del capolavoro di Luigi Poletti, Rimini, Maggioli Editore, 2018. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Teatro Amintore Galli Sito ufficiale