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Via della Moscova

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Milano villino Borghi
Milano villino Borghi

Via della Moscova, nota anche come Via Moscova, è una storica via di Milano. Il nome della via fu originariamente Via Santa Teresa per la presenza dell'omonima chiesa dedicata alla santa, ma durante la dominazione francese dei primi dell'Ottocento l'imperatore transalpino Napoleone Bonaparte rinominò personalmente la via in Moscova, nome del fiume che attraversa la capitale russa, in memoria della battaglia del 1812 della Grande Armata durante la campagna di Russia, in cui vi erano numerosi soldati italiani che si erano distinti nella battaglia. In epoca medievale la zona, situata fuori dalle mura meneghine, era utilizzata come area agricola. In seguito con le successive varie fasi di espansione medievale delle mura cittadine, l'area fu inglobata all'interno del perimetro cittadino e impiegata come cimitero (scoperti attraverso uno scavo archeologico nel 2004); in seguito vi furono costruiti la chiesa di Santa Teresa e Giuseppe (odierna sede della Mediateca) in stile barocco e vari conventi monastici per suore poi utilizzati in epoca napoleonica come magazzino e per ospitare officine artigiane per la produzione di tabacchi, denominata Regia Manifattura Tabacchi. Ulteriori scavi nella via hanno portato alla luce che nel 1614 vi fu costruito un monastero dell'ordine dei carmelitani scalzi e nel 1615 la chiesa di San Carlo. Questi complessi in epoca napoleonica furono confiscati e riconvertiti in industrie e fabbriche. Inoltre all'inizio di via Moscova vi furono nel 1777 una fonderia e un'officina metallurgica che lavorava l'argento, che nel 1814 Napoleone fece annettere e riconvertire come zecca statale.In epoca contemporanea, vi sorge nella via la Direzione Regionale delle Entrate per la Lombardia, la Chiesa di Sant’Angelo e l’annesso Convento francescano dei Frati Minori, la cui chiesa ospita all'interno del proprio sagrato una fontana chiamata "acqua marcia" per la sua acqua solforosa. Inoltre vi è la sconsacrata chiesa di Santa Teresa, che ospita la Mediateca Santa Teresa in cui è contenuta la Biblioteca Nazionale Braidense. Milano archeologica, a cura di Tina Soldati Forcinella (Milano, 1989) Ca' Brutta Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su via della Moscova http://imilanesi.nanopress.it/location/via-della-moscova/

Estratto dall'articolo di Wikipedia Via della Moscova (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

Via della Moscova
Via della Moscova, Milano Brera

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Via della Moscova 25
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Lombardia, Italia
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Luoghi vicini

Chiesa di San Carlo (Milano)
Chiesa di San Carlo (Milano)

La chiesa di San Carlo era una chiesa di Milano. Situata nell'attuale via Moscova la chiesa fu sconsacrata nel 1804 e demolita pochi anni dopo. La chiesa fu costruita a partire dal 1611 per l'insediamento nell'area dei padri carmelitani scalzi nel relativo convento. La chiesa venne benedetta dal cardinale Federico Borromeo nel 1614, anno di insediamento ufficiale dei carmelitani. Dopo la soppressione del convento e della chiesa, avvenuta nel 1804, il convento venne demolito per costruire la Manifattura Tabacchi, a sua volta demolita alcuni anni dopo assieme alla chiesa sconsacrata. Il progetto della chiesa, che veniva descritta "di grandezza assai ragguardevole", era di Aurelio Trezzi e presentava un'unica navata, con sei cappelle laterali per lato, di cui le prime quattro dall'ingresso erano più modeste, mentre le ultime due erano più decorate e monumentali. Tra le varie decorazioni nelle cappelle della chiesa vengono descritti: San Giovanni Battista con san Zaccaria di Francesco Cairo nella cappella di San Giovanni Battista Statua in marmo di Carrara di San Giuseppe di Giuseppe Rusnati e vari quadri del Legnanino nella cappella di San Giuseppe Affreschi di Daniele Crespi e un'immagine di Maria Vergine di Alessandro Vaiani nella cappella di Maria Vergine Coronata della Santissima Trinità Serafica Madre Teresa di Francesco Cairo nella cappella di Santa Teresa Santo Antonio Abate nel deserto di José de Ribera Liberazione delle anime del Purgatorio di Giovan Battista Discepoli Vengono infine segnalati molteplici quadri della Vita di Santa Teresa per gran parte dipinti da Giulio Cesare Procaccini. Serviliano Latuada, Descrizione di Milano, vol. 5, Milano, 1738. Paolo Rotta, Passeggiate storiche, ossia Le chiese di Milano dalla loro origine fino al presente, Milano, 1891. Chiese scomparse di Milano

Liceo classico Giuseppe Parini

Il liceo ginnasio statale "Giuseppe Parini" è un liceo classico di Milano, situato in via Goito 4, vicino a Brera. Nel 1774 venne istituito, da Maria Teresa d'Austria, il "Regio Ginnasio di Brera" presso il palazzo di Brera. Nel 1773 era stata soppressa la compagnia di Gesù e, di conseguenza, furono chiuse le scuole del famoso collegio che S. Carlo Borromeo aveva fatto costruire in un antico monastero degli Umiliati in una località periferica della città chiamata, appunto nel Medioevo, Braida, da cui la parola Brera. Maria Teresa d'Austria aveva rinominato così le antichissime Scuole Palatine, di origine augustea, ospitate fino a quel momento al Broletto, trasferendole nell'ex collegio dei Gesuiti. La scuola venne inaugurata con la prolusione dell'abate Giuseppe Parini, incaricato di tenere i corsi di eloquenza: Parini divenne infatti professore di belle lettere. Nelle Scuole Palatine avevano insegnato il Landriani, celebre fisico, Paolo Frisi, matematico, il Soave, filosofo, il Beccaria e il Romagnosi, docenti di economia politica. Nel 1775-76 il conte Carlo di Firmian, ministro plenipotenziario della Lombardia austriaca, volle istituire anche un'Accademia delle Belle Arti: lo stesso Giuseppe Parini, in previsione di tale fondazione, aveva scritto le Avvertenze intorno al Segretario di un'Accademia di Belle Arti. L'Accademia ebbe in seguito un notevole sviluppo e restrinse lo spazio al Regio Ginnasio. Nel periodo napoleonico venne introdotto un nuovo ordinamento scolastico sul modello di quello francese. La scuola, sino ad allora, era organizzata con istituti che offrivano percorsi educativi simili, quindi senza un'organizzazione di tipo gerarchico. Tra i licei e i ginnasi solo questi ultimi erano a gestione comunale e la parola "ginnasio" indicava quella scuola che precede gli studi superiori, costituiti dal liceo. Effetti legislativi del 1802 portarono alla divisione del Regio Ginnasio di Brera in due diverse scuole superiori, una che continuava le "Scuole Arcimbolde", di cui era stato allievo Giuseppe Parini e che fu chiamata liceo S. Alessandro, e un'altra che divenne il liceo di Porta Nuova, che fu ospitato nel palazzo in cui precedentemente funzionava una scuola fondata per un lascito di Pier Antonio Longone e affidata ai Barnabiti: il "Collegio dei Nobili", che, dopo l'egualitarismo rivoluzionario, divenne il Collegio Longone, in cui portò avanti gli studi anche Alessandro Manzoni. Tale liceo di Porta Nuova venne ribattezzato nel 1865 sotto la denominazione di liceo "Giuseppe Parini", mentre il S. Alessandro divenne il liceo "Cesare Beccaria". La vita dell'istitituto fu influenzata nel 1923 dalla Riforma Gentile, che modificò programmi e durata dell'insegnamento classico: cinque anni per il ginnasio (tre per quello inferiore, due per quello superiore) e tre per il liceo, e nel 1940 dall'istituzione della scuola media unica. Il ginnasio perse gli anni del triennio inferiore e ne conservò il biennio superiore (IV e V ginnasio) seguito dal liceo classico. Verso gli anni trenta fu costruito un nuovo edificio su un'area che precedentemente era stata coperta dal grande Monastero di San Marco, poi trasformato in ricovero, e finalmente demolito per dare la sistemazione urbanistica attuale che nei toponimi delle vie mantiene il ricordo storico risorgimentale, come via Montebello, piazza Mentana e via Goito. In questa ultima via il 9 e 10 febbraio 1935 venne inaugurata la nuova sede scolastica mentre il collegio Longone divenne il palazzo della Questura. Nel 1966 il liceo venne coinvolto in uno scandalo che ebbe rilievo nazionale. Il giornale edito dagli studenti, La zanzara, pubblicò un'inchiesta sull'educazione sessuale e tre studenti redattori furono denunciati per stampa oscena e corruzione di minorenni. Il titolo dell'inchiesta era: Che cosa pensano le ragazze d'oggi? Negli anni novanta, invece, il liceo ha visto come studenti i rapper Dargen D'Amico e Gué Pequeno, il secondo si è diplomato con il massimo dei voti. Nel fine settimana del 16-17 ottobre 2004 un gruppo di cinque/sei studenti di quarta ginnasio si introdusse nel liceo, ostruì gli scarichi dei lavandini dei servizi igienici e aprì i rubinetti, lasciando fluire liberamente l'acqua, che nel giro di 36 ore allagò quasi tutto l'edificio (ivi compresi i locali che accoglievano i distaccamenti dell'istituto magistrale Tenca e del liceo scientifico Severi), causando danni e ammaloramenti strutturali e alle attrezzature per oltre 200 000 euro. L'azione, perpetrata allo scopo di impedire lo svolgimento di un compito in classe in programma lunedì 18, rese la scuola inagibile per diversi giorni e fino a tutto il mese di novembre i locali poterono essere utilizzati solo a turni. Il successivo 21 ottobre i responsabili confessarono le loro responsabilità all'allora preside Carlo Arrigo Pedretti. Oltre ai quindici giorni di sospensione (massimo previsto) e al 6 in condotta irrogato dalla scuola, il Tribunale dei Minorenni di Milano dispose a loro carico un anno in prova ai servizi sociali, per assistenza a pazienti ospedalieri anziani e riordino della biblioteca scolastica, con annesso sostegno psicologico. Nel 2006, stante la buona condotta e il ravvedimento dei responsabili, la Corte dichiarò estinto il reato di danneggiamento aggravato e interruzione di pubblico servizio. La vicenda ebbe risalto a livello nazionale: nel 2008 questi fatti vennero raccontati nel libro Alligatori al Parini di Giacomo Cardaci, al tempo allievo dell'istituto. Nel 2006 è stato fondato un nuovo giornale scolastico, Zabaione gestito dagli studenti. Nel maggio 2012, anche per iniziativa degli studenti, nell'atrio centrale è stata affissa una lapide in ricordo del giornalista Walter Tobagi. Liceo-Ginnasio "Giuseppe Parini." (Milano), Il R. Liceo-Ginnasio "Giuseppe Parini" nella sua nuova sede, Varese, Industrie Grafiche Amedeo Nicola, 1935, OCLC 878342546. Giacomo Cardaci, Alligatori al Parini, Milano, Mondadori, 2008, ISBN 978-88-04-57365-4, OCLC 192080612. Istituto geografico De Agostini, Letteratura italiana: schemi riassuntivi, quadri di approfondimento, Novara, Istituto geografico De Agostini, 2010, ISBN 978-88-418-6198-1, OCLC 968366423. Emanuele Pagano, Il Comune di Milano nell'età napoleonica (1800-1814), Milano, Vita & Pensiero Università, 2002, ISBN 88-343-0358-X, OCLC 718318558. Guido Nozzoli e Pier Maria Paoletti, La Zanzara: cronache e documenti di uno scandalo, Milano, Feltrinelli, 1966, OCLC 800230203, SBN IT\ICCU\NAP\0153181. Tiziano Tarli, Beat italiano: dai capelloni a Bandiera gialla, Roma, Castelvecchi, 2005, OCLC 173622174, SBN IT\ICCU\LO1\1025128. Sito ufficiale, su liceoparini.edu.it. Pagina sull'istituto, in La Scuola in Chiaro, MIUR.

Conca dell'Incoronata
Conca dell'Incoronata

La Conca dell'Incoronata, o Conca delle Gabelle, è un'antica conca di navigazione situata a Milano che serviva per superare agevolmente il dislivello tra il Naviglio della Martesana e la Cerchia dei Navigli. Rappresenta l'unico resto del Naviglio della Martesana all'interno della cerchia delle mura spagnole di Milano; questo tratto di canale è stato interrato tra il 1929 e il 1930 contestualmente ai lavori di chiusura della Cerchia dei Navigli. La conca prende il nome dalla vicina chiesa di Santa Maria Incoronata e dal ponte delle Gabelle ivi situato, chiamato così poiché rappresentava il primo varco di ingresso fluviale verso Milano; in quanto tale le chiatte che lo oltrepassavano dovevano pagare un dazio (chiamato anche gabella) sulle merci trasportate. Nel passato il Naviglio della Martesana proseguiva il suo percorso cittadino, ora interrato, verso sud-ovest superando Porta Nuova (oggi, giunto a Porta Nuova, cambia bruscamente direzione verso sud-est mutando nome in Cavo Redefossi e proseguendo il proprio percorso oltre Milano), sottopassando prima le mura spagnole, poi il ponte delle Gabelle e infine incontrando la Conca dell'Incoronata, dopo la quale cambiava nome in Naviglio di San Marco. Poco dopo, quest'ultimo, dava origine al laghetto di San Marco, che si immetteva nella Cerchia dei Navigli attraverso la conca di San Marco. Dopo la costruzione del Naviglio Martesana, avvenuta nel 1463, si avvertì l'esigenza di unire questo canale alla Cerchia dei Navigli; la differenza di quota tra i due corsi acquatici comportò la necessità di costruire una conca che potesse ovviare a tale problematica. Primi studi in merito furono compiuti già nel 1482 da Leonardo Da Vinci durante un suo primo soggiorno a Milano, come testimoniano alcuni schemi progettuali riportati nel Codice Atlantico, ma la conca venne costruita solo nel 1496 sotto il ducato di Ludovico il Moro; la direzione dei lavori venne affidata agli ingegneri Giuliano Guasconi e Bartolomeo della Valle supportati, naturalmente, dalla consulenza dello stesso Leonardo. Con l'interramento dell'intera cerchia avvenuto tra il 1929 e il 1930, la conca perse la sua funzione di collegamento tra i canali acquatici; sono tuttavia ancora oggi visibili l'edicola di epoca risorgimentale e il sistema di chiuse formato dalle porte originali, oltre al canale. Sono invece scomparse le tracce relative agli ormeggi per lo scarico merci. Nel 1967 la struttura venne riconosciuta come opera monumentale con vincolo n. 553, ai sensi della Legge 1089/39, poiché "unico resto del Naviglio Martesana nel suo tratto urbano, caratterizzato dalla sopravvivenza dell'ultimo ponte antico sul Naviglio, dell'ultima chiusa e della garitta, resti di originali attrezzature addette alla navigazione". Cerchia dei Navigli Naviglio della Martesana Ponte delle Gabelle Laghetto di San Marco Navigli (Milano) Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla Conca dell'Incoronata

Laghetto di San Marco
Laghetto di San Marco

Il laghetto di San Marco è stato un bacino acqueo artificiale situato a Milano in corrispondenza della moderna via San Marco, che era la foce del Naviglio di San Marco, canale artificiale proseguimento del Naviglio della Martesana, che è stato utilizzato come secondo punto per l'ormeggio, il rimessaggio delle imbarcazioni che navigavano i Navigli lombardi dopo la Darsena di Porta Ticinese. Realizzato nel 1469, aveva come emissario la Conca di San Marco, grazie alla quale scaricava la sua portata nella Cerchia dei Navigli. Il laghetto di San Marco fu interrato nel 1935 contestualmente agli analoghi lavori di chiusura del Naviglio di San Marco, dall'omonimo ponte sulla Cerchia, davanti alla basilica, sino al ponte nei pressi del bastione, chiamato Tumbun de San Marc. Tale nome viene quasi sempre, ed erroneamente, usato per chiamare il Laghetto di San Marco. Il tombone indicava invece un punto dove le acque di due o più canali si incrociavano, creando vortici e gorghi. Nel passato il Naviglio della Martesana proseguiva il suo percorso cittadino, ora interrato, oltre le mura spagnole, sottopassando il ponte delle Gabelle e incontrando la Conca dell'Incoronata, dopo la quale cambiava nome in Naviglio di San Marco. Poco dopo, quest'ultimo, dava origine al laghetto di San Marco, che si immetteva nella Cerchia dei Navigli attraverso la Conca di San Marco. La costruzione di questo secondo approdo per le barche fu voluto per consentire al traffico fluviale proveniente dal Naviglio della Martesana di scaricare le merci evitando di immettersi nella Cerchia dei Navigli, percorso aggiuntivo che era necessario a quelle imbarcazioni provenienti da nord che volevano giungere al laghetto di Sant'Eustorgio, bacino artificiale dal cui ampliamento si originò in seguito la Darsena di Porta Ticinese. Costruito nel 1469 su un'area precedentemente occupata da un cimitero, il laghetto di San Marco fu interrato nel 1935. Al suo posto è stato ricavato un parcheggio. Il Tombone di San Marco divenne un posto celebre per i suicidi. All'ingresso e all'uscita del laghetto di San Marco erano presenti due ponti, il ponte Medici (conosciuto anche come "ponte Montebello" o "ponte dei suicidi") e un ponte situato in dirimpetto alla chiesa di San Marco. Di fronte alla chiesa era presente la Conca di San Marco, conca di navigazione che regolava la portata dell'acqua scaricata poi nella Cerchia dei Navigli. Sulla sponda ovest del laghetto di San Marco erano presenti diverse botteghe artigiane. Al laghetto di San Marco le imbarcazioni scaricavano principalmente calce e pietra per le costruzioni e – in tempi più moderni – anche la carta per l'editoria: fu proprio un barcone che trasportava carta per il Corriere della Sera l'ultimo a scaricare il proprio carico al laghetto di San Marco. Nel laghetto di San Marco arrivavano anche, provenienti da Corsico e da qui partivano le barche-corriera (el barchett de Vaver) che raggiungevano Vaprio d'Adda. Navigli (Milano) Darsena (Milano) Laghetto di Santo Stefano Porto di Mare Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sul Laghetto di San Marco Sistema Navigli: Il Laghetto di San Marco, su turismo.milano.it. Il laghetto di San Marco, su vecchiamilano.wordpress.com. Davide Casaroli, I Nuovi Navigli. Cammino tra storia, presente, ed un ipotetico futuro di Milano città d'acqua (PDF), su politesi.polimi.it, Politecnico di Milano.

Chiesa di Sant'Angelo (Milano)
Chiesa di Sant'Angelo (Milano)

La chiesa di Santa Maria degli Angeli, più conosciuta come chiesa di Sant'Angelo, è una chiesa del centro storico di Milano, chiaro esempio dello stile barocco nel capoluogo lombardo. Il complesso di Santa Maria degli Angeli, costituito dalla chiesa di Sant'Angelo e dall'annesso convento che si trova sulla sua destra, è fin dalla posa della prima pietra avvenuta il 21 febbraio 1552 a opera dell'arcivescovo Giovanni Arcimboldi la sede milanese dei Francescani dell'Ordine dei frati minori osservanti di San Francesco. Il complesso originario, eretto nel 1436 e demolito nel 1551, si trovava non distante da quello attuale, lungo il corso del naviglio della Martesana e appena fuori dalla cinta dei bastioni spagnoli. All'inizio del Quattrocento il francescano San Bernardino da Siena aveva percorso l'Italia predicando per fare cessare i sanguinosi scontri fra Guelfi e Ghibellini. Giunto a Milano venne favorevolmente accolto e tredici giovani uomini, colpiti dalle sue prediche, vollero vestire l'abito dei Frati Minori Osservanti e seguire il Santo. Le autorità milanesi vollero donare alla piccola comunità una chiesola con annessa una casa che sorgeva fuori da Porta Nuova, lungo il corso della Martesana. Presto le oblazioni dei fedeli furono sufficienti per erigere, nel 1436, una nuova chiesa, intitolata a Santa Maria degli Angeli ad imitazione di quella di Assisi. Fu successivamente aggiunto un convento che poté ospitare duecento frati. Il complesso sorgeva non lontano da dove sarebbe poi stato edificato il Lazzaretto, fuori dal Redefossi e presso il naviglio della Martesana, lungo l'attuale via Melchiorre Gioia. Era all'interno di un parco boschivo creato per volontà della duchessa Bianca Maria Sforza e fu definito grandioso e ricolmo di opere d'arte. La chiesa, descritta come ricca e magnifica dalle fonti dell'epoca, ospitava sui lati dodici cappelle gentilizie e nel coro un dipinto della Passione di Cristo; intorno sorgevano cinque chiostri ornati con affreschi raffiguranti le vite si San Francesco e di San Bernardino. Il complesso, già gravemente danneggiato nel 1527 da un violento incendio, dovette poi essere abbattuto nel 1551 per l'innalzamento della nuova cerchia di bastioni decisa dal governatore di Milano Ferrante I Gonzaga che ordinò quindi l'erezione dell'attuale edificio in sostituzione del precedente, ad opera dell'architetto di fiducia del governatore, il pratese Domenico Giunti. La posa della prima pietra della nuova chiesa avvenne il 21 febbraio 1552 alla presenza dell'arcivescovo Angelo Arcimboldi, del governatore Ferrante Gonzaga e del padre provinciale dei Francescani. La consacrazione avvenne il 23 maggio 1555, quando l'architetto Giunti aveva già lasciato Milano al seguito di Don Ferrante che era stato esautorato dalla carica di Governatore della città nel marzo 1554. I lavori di edificazione della chiesa si protrassero per lungo tempo, per cui rimane irrisolta la questione dell'aderenza della costruzione al progetto originale del Giunti che aveva appunto lasciato Milano nel 1555. In particolare la facciata non corrisponde ai disegni originali lasciati dall'architetto e ancora nell'anno 1584 risultava non terminata. L'edificio si articola in una vasta navata, circondata da una serie di cappelle laterali e coperta da volta a botte, seguita da un ampio transetto e da un profondo presbiterio. L'insieme dell'interno contiene chiari riferimenti alla tradizione architettonica toscana riconoscibile «nell'ampia serena stesura di spazi, anche nella decorazione della volta, essenzialmente costruttiva e geometrica», ricordo di Santa Maria delle Carceri a Prato. Vi sono contenute diciannove cappelle gentilizie, otto per lato sulla navata principale, e tre affacciate sul transetto. Appartennero a famiglie patrizie e corporazioni della città di Milano, che ne ordinarono le decorazioni nell'arco dei secoli, per tutto il Cinquecento, Seicento e Settecento, fino alle ultime risalenti all'ultima metà del Novecento. Ricorre nella decorazione il sole raggiante col monogramma IHS, simbolo di Cristo diffuso dal francescano San Bernardino da Siena. Sotto all'altare maggiore è presente una cripta costituita da tre vani, oggi in disuso e adibita a magazzino; la cripta era utilizzata fino al Settecento per dire messa in periodo di Quaresima. Come gran parte delle sedi monastiche milanesi, anche questo convento venne soppresso durante il periodo napoleonico, nel 1810. Solo nel 1922 i Minori francescani fecero ritorno nell'edificio. Il grandioso monastero originario, articolato su tre chiostri, ornati da cicli di affreschi dei Procaccini e del Morazzone, in stato degradato, venne abbattuto e ricostruito in forme contemporanee. La chiesa si segnala per essere una dei pochi edifici di culto milanesi ad essere sopravvissuti relativamente intatti ai devastanti "restauri" ottocenteschi, che hanno imposto un uniforme quanto banale aspetto "neomedievale" a tutti i monumenti più importanti. Anche qui le spoliazioni napoleoniche e la rimozione ottocentesca delle sepolture dalle chiese hanno aperto lacune, ma nel complesso la chiesa si presenta ancora integralmente nella sua veste manierista e barocca, conservando tutte le cappelle di patronato delle antiche corporazioni, difese da alte cancellate e decorate da opere d'arte del Sei/Settecento. Le lacune sono state colmate nel XX secolo da opere moderne (affreschi, quadri, sculture), non sempre di livello comparabile a quello delle opere antiche, ma tali comunque da fornire al visitatore un'immagine non lacunosa dell'edificio. Il sagrato della chiesa è ornato dalla Fontana di San Francesco con la rappresentazione in bronzo di San Francesco d'Assisi che parla agli uccelli, opera del 1927 di Giannino Castiglioni. Il convento (1939-1958) che ospita anche l'istituto Angelicum è opera di Giovanni Muzio. La facciata, non corrispondente ai disegni originali dell'architetto Giunti e quindi terminata dopo il suo abbandono di Milano nel 1554, è a due ordini dorico e ionico, a salienti. Essa è suddivisa in due ordini sovrapposti da un alto cornicione sorretto da quattro colonne con capitelli tuscanici; intervallati alle colonne si aprono tre portali, con quello centrale più grande rispetto ai due laterali. La fascia superiore della facciata è decorata da un cornicione che richiama una serliana idealmente sorretta da sei lesene con capitelli ionici. Nel timpano sopra la finestra centrale, entro una nicchia, vi è la Statua dell'Immacolata. Termina in alto la facciata un frontone triangolare con croce in ferro battuto. Completano la decorazione statue di Gerolamo Prestinari, scultore attivo nel Sacro Monte di Varese. In particolare si possono vedere: al primo ordine, entro nicchie, quattro statue di San Francesco, San Bernardino e due santi francescani. sopra il portale maggiore, altorilievo con San Michele Arcangelo che sconfigge Lucifero sulla balaustra sostenuta da quattro colonne, quattro statue raffiguranti i Dottori della Chiesa nei timpani delle finestre, coppia di Monache a coronamento, Angeli L'interno della chiesa è a croce latina, con unica ampia navata a botte lungo la quale si aprono due file di cappelle laterali anch'esse voltate a botte. La descrizione procede secondo l'ordine di percorso, partendo da destra. Nella prima cappella a destra, dedicata a Santa Caterina d'Alessandria, all'altare è collocata una copia della pala di Gaudenzio Ferrari un tempo qui e oggi alla Pinacoteca di Brera. L'ancona era stata commissionata nel 1540 dal senatore Giacomo Gallarati, per la propria cappella di famiglia nella precedente chiesa di Sant'Angelo, e poi trasportata nella chiesa attuale. A seguito della soppressione del convento, fu acquistata dal governo austriaco e donata alla pinacoteca di Brera. All'epoca della sua commissione il Ferrari era l'artista più famoso del momento, scelto dalla potente famiglia Gallarati per la decorazione della cappella dove avrebbe trovato sepoltura anche Francesco Gallarati, comandante delle truppe imperiali. La tela mostra al centro la Santa, orante, torturata dagli aguzzini, mentre dall'alto piomba un angelo dalla spada sguainata, dipinto in virtuosistico scorcio, pronto a spezzare le ruote del martirio, scatenando terrore e sconcerto tra i soldati e l'imperatore in secondo piano. La vivacità dei colori e dei costumi ritratti, la teatralità delle pose, le nerborute anatomie dei personaggi testimoniano la volontà dell'autore di aggiornarsi alle ultime creazioni del manierismo di scuola romana, e in particolare l'influsso del Giudizio universale di Michelangelo e degli affreschi mantovani di Giulio Romano. Le tele laterali, risalenti agli anni '80 del XVI secolo, sono del cremonese Antonio Campi e sono giocate su un forte contrasto luce-ombra che costituisce un precedente lombardo alla pittura di Caravaggio. La tela di destra è la Decapitazione, mentre quella di fronte rappresenta L'imperatrice Faustina visita Santa Caterina in carcere. La scena è caratterizzata da un'orchestrazione di ombre e luci generate da molteplici fonti, quella ultraterrena proveniente dal carcere, quella della torcia e alle spalle quella naturale della luna. Nella seconda cappella a destra si segnala la tela seicentesca con San Carlo in gloria, di Pier Francesco Mazzucchelli detto il Morazzone; nel dipinto il Santo viene portato in cielo da un gruppo di angeli. Ai lati della cappella due tele del 1854 del pittore Bombardini. Terza cappella a destra, commissionata dalla famiglia Porrone e interamente decorata dal pittore Giovanni Battista della Rovere detto Il Fiammenghino (1561-1627). Sopra all'altare è ritratto San Francesco che riceve le stimmate; ai lati e sulla volta scene della vita del Santo. I due affreschi principali della cappella rappresentano San Francesco che alla Porziuncola riceve il perdono d'Assisi per intercessione della Beata Vergine e il Capitolo Generale celebratosi dal Santo ad Assisi con l'intervento del cardinale Ugolino, poi Papa Gregorio IX. La quarta cappella a destra è caratterizzata dalla pala d'altare dello Sposalizio della Vergine di Camillo Procaccini (1561-1629); sul lato si vede una tela di Panfilo Nuvolone (1581-1651) rappresentante l'Immacolata Concezione, dogma fortemente sostenuto dai Francescani. Quinta cappella a destra, dominata dalla tela attribuita al milanese Filippo Abbiati (1640-1715) che rappresenta la francescana santa Margherita da Cortona con i santi Pasquale Baylón e Giovanni da Capestrano. Sui due lati della cappella due affreschi del 1597 di Pietro Gnocchi, milanese, raffiguranti La pesca miracolosa e San Pietro che manca di fede salvato da Cristo. Altre decorazioni sono di Bernardino Luini. Sesta cappella a destra, contiene la tela novecentesca di San Luca, circondata da stucchi del seicento. Settima cappella a destra, tutta la decorazione a stucco e gli affreschi con Storie di San Girolamo furono completati dal genovese Ottavio Semini nel 1565. Nell'ottava cappella a destra vanno ricordati gli affreschi di Simone Peterzano, primo maestro del Caravaggio. Essi rappresentano, sulla parete sinistra, il Miracolo della mula, mentre a destra la Predicazione del santo, caratterizzato da vivaci motivi quotidiani quali i bambini che giocano fra le braccia delle madri ed il frate assorto nell'ascolto della predica. All'altare, statua del XVI secolo, mentre la cupola è decorata con la Gloria di Dio Padre dei Fiammenghini. Nel transetto si segnalano la Cappella Brasca, decorata da Ottavio Semino, e alcuni monumenti funebri, tra cui l'epitaffio marmoreo di Fabrizio Ferrari, disegnato da Martino Bassi. Sulla parete a sinistra dell'altare, è sistemato il Sepolcro del vescovo Pier Giacomo Malombra, morto a 45 anni nel 1573), in marmo bianco. Il monumento è attribuito ad Annibale Fontana, scultore manierista milanese noto per le opere scultoree di Santa Maria dei Miracoli presso San Celso. Presenta, al di sopra di un'edicola aggettante, un sottile sarcofago decorato da sobri motivi classici sormontato dalla figura del vescovo in posizione reclinata. In posizione simmetrica rispetto all'altare del Mausoleo Malombra è il monumento funebre alla beata Beatrice Casati, moglie di Franchino Rusca, terzo Conte di Locarno, morta in odore di santità nel 1490. Rimasta vedova nel 1465, rimase a Locarno per alcuni anni per poi spostarsi a Milano nella casa del defunto coniuge; qui vestì l'abito monacale del Terzo Ordine di San Francesco. Come si legge nell'epitaffio, il sepolcro marmoreo fu eretto nell'anno 1499 su volontà della figlia di Beatrice, Antonia Rusca. Proviene dalla precedente chiesa demolita e fu rimontato in modo parziale nella posizione attuale. Costituisce un raro esempio di monumento sepolcrale femminile a cavallo fra Quattrocento e Cinquecento, variamente attribuito al Bambaja o a Benedetto Briosco. Il corpo della monaca giace disteso all'interno di una nicchia decorata con delicati motivi a foglie d'acanto. La morbidezza del panneggio e l'impostazione classica del monumento contrastano con il crudo naturalismo del volto dell'anziana monaca. La cappella del Crocifisso, a destra del presbiterio, e la Cappella della Santità Francescana, alla sua sinistra, sono di Giannino Castiglioni (anni cinquanta del novecento). Alla testata del transetto sinistro, la Cappella della Misericordia, decorata da affreschi di Ottavio Seminocon Nascita e la Morte di Maria alle pareti, e la Trinità incorona la Vergine sulla volta emisferica. Sull'altare, gruppo di sculture in pietra dipinta del XVI secolo della "Madonna della Misericordia" tra San Francesco d'Assisi e Santa Margherita di Antiochia. Nel corridoio d'ingresso del transetto destro, è ospitata una Madonna col Bambino, bassorilievo quattrocentesco firmato Francesco Solari. Il presbiterio è decorato da un vasto ciclo di affreschi di Camillo Procaccini, autore anche di diverse tele nelle cappelle della chiesa, del secondo decennio del Seicento. Nella volta si può ammirare, nel tondo centrale, L'Assunzione di Maria, contornata nei quattro scomparti laterali da schiere di angeli musicanti. Gli affreschi sono caratterizzati dai delicati accordi cromatici delle vesti degli Angeli, sull'insolita dominate lilla delle nubi sullo sfondo. Il concerto degli angeli mostra anche una notevole rassegna degli strumenti musicali in uso al tempo, liuti, archi, arpe e trombe. Sempre del più anziano dei fratelli Procaccini sono anche le tele sul fondo del coro, con L'Annunciazione, La Fuga in Egitto, e La Morte della Madonna. L'Altare Maggiore, barocco, in marmi policromi e pietre dure, fu scolpito nel 1708 da Giovanni Battista Dominioni, con le sovrastanti statue. La sagrestia, che presenta una decorazione rococò, contiene al suo interno tele di diversi pittori, tra cui una Natività della Vergine di Giulio Cesare Procaccini. Affreschi allegorici di Fiammenghini. Settima cappella a sinistra, alla parete destra mostra la tomba di Carlo Antonio Sormani († 1730). Il monumento, ricco di decorazioni e di simboli guerreschi e del comando, è databile fra il 1730 e il 1733. Nell'arcone che divide la navata dal transetto è dipinta una solenne Incoronazione di Maria del Legnanino. Sesta cappella a sinistra, è dedicata a San Giovanni evangelista e ospita opere del XVI e del XVIII secolo. La quinta cappella a sinistra è un armonico esempio di barocchetto lombardo, in cui sculture, marmi, dipinti ed affreschi si fondono nell'estrosa decorazione. Al progetto, realizzato nel secondo decennio del Settecento, collaborarono alcuni fra i maggiori artisti milanesi del periodo. Lo scultore Giuseppe Rusnati è autore della statuaria, il Legnanino delle tele, mentre la volta fu affrescata a quattro mani come era in uso all'epoca: Giovan Battista Sassi, specializzato nelle figure allegoriche, e il Castellino, autore delle caratteristiche quadrature formate da fantasiose architetture mistilinee ornate da fiori. Il tutto fu finanziato dalla potente famiglia dei Durini, feudatari di Monza, a partire dal 1697. In quella data la cappella, precedentemente dedicata a Santa Margherita, ebbe la dedicazione attuale, in onore dei conti Giacomo e Giangiacomo Durini, sepolti nella cappella stessa. L'intera cappella è rivestita fino alla cupola da marmi policromi, che costituiscono anche la balaustra composita. Sull'altare spicca dal fondo nero la statua in marmo di Carrara di San Giacomo apostolo. Il Santo è rappresentato con la tradizionale conchiglia di San Giacomo, simbolo del pellegrinaggio nella città di Santiago di Compostela, che ricorre anche nella decorazione marmorea. Il pellegrino raccoglieva sulle spiagge galiziane e sulla costa di Finis Terrae le conchiglie, che dovevano essere cucite sul mantello o sul cappello ed erano il simbolo da mostrare a tutti che il Pellegrino aveva raggiunto e visitato la tomba dell'apostolo di Gesù. Alle pareti le tele rappresentano storie di San Giacomo e di San Giovanni, sormontate da putti e tondi con le statue allegoriche della Fede e della Penitenza. Nella cupola, angeli portano il vessillo di San Giacomo. Quarta cappella a sinistra, è presente una pala d'altare affigurante i Santi Agata e Omobono Terza cappella a sinistra, rivestita da affreschi del Morazzone con putti e Profeti. Sull'altare, Apoteosi di San Pietro di Alcantara, di Giambattista del Sole. Nella seconda cappella a sinistra, tutta la decorazione spetta a Camillo Procaccini, successivamente alla canonizzazione di San Diego (1588). Al centro, San Diego che guarisce gli infermi. La prima cappella a sinistra, dedicata al titolare della chiesa, San Michele arcangelo, fu commissionata dalla famiglia Sansoni, che la utilizzò anche come sepoltura per i propri membri. La decorazione fu interamente realizzata dal pittore manierista Panfilo Nuvolone, padre dei più celebri Carlo Francesco e Giuseppe, esponenti del barocco milanese. La pala centrale raffigura La Vergine fra San Girolamo e San Michele che scaccia il demonio, mentre gli altri episodi sono allegorie delle virtù. Benché realizzata nel primo decennio del Seicento, la rigida decorazione a stucco e le scultoree figure dipinte si mostrano più vicine alla compostezza manierista, che non al nascente spirito barocco. Nei due bracci del transetto, diviso in quattro corpi distinti più un quinto corpo nella parete di fondo dell'abside, vi è l'organo Tamburini (Opus 372) a quattro tastiere di 61 note e pedaliera concavo-radiale di 32 note, la cui consolle è collocata dietro l'altar maggiore, nel coro. Lo strumento è stato costruito nel 1957 ed è a trasmissione elettrica per le note ed i registri. È stato restaurato nel 2003 con l'aggiunta di un centralino elettronico per la gestione delle combinazioni aggiustabili. Luigi Malvezzi, Brevi cenni illustrativi intorno alla chiesa di Sant'Angelo in Milano dell'Ab. Luigi Malvezzi, Milano, Tipografia di A. Lombardi, 1870. Costantino Baroni, Domenico Giunti architetto di Don Ferrante Gonzaga e le sue opere in Milano, in Archivio storico lombardo: giornale della Società storica lombarda, A. 3, dic., 31, fasc. 3-4, nuova serie, Milano, G. Brigola, 1938. Adolfo Venturi, Domenico Giunti o Giuntalodi, in Storia dell'arte italiana, XI, Architettura del Cinquecento, parte III, Milano, Ulrico Hoepli, 1940, pp. 850-859. Maria Teresa Fiorio, Le chiese di Milano, Electa, Milano, 2006 Guida d'Italia, Milano, Edizioni Touring Club Italiano, Milano, 2007. Mina Gregori (a cura di), Pittura a Milano dal seicento al neoclassicismo, Cariplo, Milano, 1999. Mina Gregori (a cura di), Pittura a Milano, Rinascimento e Manierismo, Cariplo, Milano, 1998. Silvio Leydi, Rossana Sacchi, Il Cinquecento, in "Itinerari di Milano e provincia", Provincia di Milano, MIlano, 2000. Wikibooks contiene testi o manuali sulla disposizione fonica dell'organo a canne Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla chiesa di Sant'Angelo a Milano Sito ufficiale, su fratiminori.it. Chiesa di Sant'Angelo, su LombardiaBeniCulturali, Regione Lombardia.

Ponte delle Gabelle
Ponte delle Gabelle

Il ponte delle Gabelle era la prima opera muraria che incontrava il Naviglio della Martesana all'entrata di Milano, dopo la costruzione delle mura spagnole (1546-1560) e prima dell'interramento della parte finale del percorso cittadino del Naviglio, che è avvenuta tra il 1929 e il 1930 contestualmente all'interramento della Cerchia dei Navigli. Nel passato il Naviglio della Martesana proseguiva il suo percorso cittadino, ora interrato, verso sud-ovest superando Porta Nuova (oggi, giunto a Porta Nuova, cambia bruscamente direzione verso sud-est mutando nome in Cavo Redefossi), sottopassando prima le mura spagnole, poi il ponte delle Gabelle e infine incontrando la Conca dell'Incoronata, dopo la quale cambiava nome in Naviglio di San Marco. Poco dopo dava origine al laghetto di San Marco, che si immetteva nella Cerchia dei Navigli attraverso la conca di San Marco. Posto sulla strada di circonvallazione che costeggiava i Bastioni di Milano, era il punto dove veniva esatto il dazio, su barche e merci trasportate (gabelle), per proseguire lungo il naviglio. Subito dopo, il Naviglio della Martesana sottopassava le mura (tombon de San Marc), tristemente noto come ponte dei suicidi, e uscendone incontrava la leonardesca Conca dell'Incoronata (ora in secca per il mancato arrivo dell'acqua del Naviglio). Proseguendo per via San Marco, giunto all'altezza dell'odierna via Montebello, il naviglio (non più della Martesana, ma di San Marco) era attraversato dal ponte dei Medici, dal nome del palazzo contiguo, dove si trova ancor oggi il Corriere della Sera, e si apriva nel laghetto di San Marco, dove si scaricavano le merci che non dovevano percorrere la Cerchia dei Navigli con destinazione la Darsena di Porta Ticinese Nel laghetto di San Marco arrivavano anche, provenienti da Corsico, i barconi con i rotoli di carta per il Corriere della Sera e da qui partivano le barche-corriera (el barchett de Vaver) che raggiungevano Vaprio d'Adda. Uscendo dal laghetto e dopo altre due conche, quella di San Marco e quella del Marcellino, il naviglio si immetteva nella fossa all'inizio di via Fatebenefratelli. Il passaggio in corrispondenza del ponte del Marcellino era il più stretto dell'intera fossa navigabile. Esisteva un secondo tombone (el tombon de Viarenna) dove dalla Darsena si passava sotto i bastioni (l'odierno viale Gabriele D'Annunzio) per raggiungere il Naviglio del Vallone attraverso la Conca di Viarenna. Giuseppe Banfi, Vocabolario Milanese-Italiano: ad uso della gioventù, presso la Libreria di educazione di Andrea Ubicini, Milano, 1857 (da Google Libri) Francesco Cherubini, Vocabolario milanese-italiano, Stamperia Reale, Milano, 1814 Toti Celona e Gianni Beltrame, I navigli milanesi, Provincia di Milano, Milano, 1982 Naviglio della Martesana Porta Nuova (Milano) Idrografia di Milano Conca dell'Incoronata Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sul Ponte delle Gabelle Il ponte del XVI secolo rivede la luce, su blog.urbanfile.org.

Naviglio della Martesana
Naviglio della Martesana

Il Naviglio della Martesana, anche noto come Naviglio Piccolo (in lombardo Navili de la Martesana o Naviliett), è uno dei navigli milanesi che collega Milano con il fiume Adda dal quale riceve le acque a Concesa poco a valle di Trezzo sull'Adda. Ebbe il nome Martesana, per il contado che avrebbe attraversato, da Francesco Sforza nel 1457, ancor prima che incominciassero nel 1460 i lavori per costruirlo. Giunto a Milano, dalla Cassina de' Pomm prosegue sotto l'attuale Via Melchiorre Gioia dove riceve il torrente Seveso e poi raggiunge i bastioni di Porta Nuova, dove presso il Partitore della Martesana, un tempo a cielo aperto, genera il Cavo Redefossi che, prima dell'interramento della Cerchia dei Navigli, rappresentava solamente un canale scolmatore del Naviglio della Martesana. Infatti, in origine, il Naviglio della Martesana proseguiva il suo percorso cittadino, ora interrato, cambiando nome in Naviglio di San Marco e dando poi origine al laghetto di San Marco, che scaricava le sue acque nella Cerchia dei Navigli. Situato a sud del Canale Villoresi, il Naviglio della Martesana è un canale ora non più navigabile largo dai 9 ai 18 metri, profondo da 0,5 a 1 metro e lungo 38,7 km (di cui alcuni coperti). Il dislivello tra l'incile e il Naviglio di San Marco, superata la Conca dell'Incoronata, era di 19 metri. L'assetto della Martesana variò periodicamente alla ricerca dell'equilibrio tra la funzione irrigatoria e di navigazione; la descrizione che segue si riferisce ai dati riportati da Carlo Cattaneo nel 1844, che rispecchiano la situazione di stabilità raggiunta dopo i lavori ordinati dal duca di Albuquerque, governatore di Milano (1574), fino alla chiusura della fossa interna nel 1929. La presa d'acqua a Concesa avveniva a fianco di uno sfioratore a sperone lungo 268 metri, con cinque scaricatori e 29 porte per evitare, in caso di piene dell'Adda, una portata eccessiva; altri scaricatori (che potevano però funzionare anche come "affluenti") erano sistemati agli incroci coi fiumi, Molgora, Lambro e Seveso in particolare; l'eventuale ulteriore surplus d'acqua veniva sversato nel Redefossi con uno scaricatore a dodici porte. Tutto il sistema era concepito per raccogliere le piene smaltendole a valle. Le acque per l'irrigazione erano estratte da 75 bocche a sinistra e dieci in sponda destra. Nel suo percorso attraversa i territori dei comuni di Trezzo sull'Adda, Vaprio d'Adda, Cassano d'Adda, Inzago, Bellinzago Lombardo, Gessate, Gorgonzola, Cassina de' Pecchi, Bussero, Cernusco sul Naviglio, Vimodrone e Cologno Monzese; entra nel territorio di Milano in via Idro, alla periferia nordorientale della città, e scorre a cielo aperto fino alla Cassina de' Pomm, all'angolo con via Melchiorre Gioia a Greco sotto il cui manto stradale si infossa, dal 1968, con una brusca curva a sinistra. Seguendo la via, riceve il torrente Seveso all'altezza di via Giacomo Carissimi e raggiunge i bastioni di Porta Nuova dove cambia bruscamente direzione verso sud-est cambiando nome in Cavo Redefossi. Prima dell'interramento della Cerchia dei Navigli, il Cavo Redefossi rappresentava solamente un canale scolmatore del Naviglio della Martesana. Nel passato il Naviglio della Martesana proseguiva infatti il suo percorso cittadino, ora interrato, verso sud-ovest superando Porta Nuova, sottopassando prima le mura spagnole, poi il ponte delle Gabelle e infine incontrando la conca dell'Incoronata, dopo la quale cambiava nome in Naviglio di San Marco. Poco dopo dava origine al laghetto di San Marco, che si immetteva nella Cerchia dei Navigli attraverso la conca di San Marco. La storia documentale del Naviglio della Martesana ebbe inizio il 3 giugno 1443 quando Filippo Maria Visconti (1412-1447) approvò, con una disposizione intitolata Ordo rugie extrahendi ex flumine Abdua, il progetto, che gli era stato presentato da un gruppo di illustri cittadini milanesi guidati da Catellano Cotta, amministratore ducale del Monopolio del sale e fratello del feudatario di Melzo. Essi chiedevano di derivare le acque dell'Adda per realizzare un canale utilizzabile sia per l'irrigazione, sia per azionare sedici mulini (il duca ne autorizzò dieci). Il corso individuato prevedeva che il canale venisse alimentato da una presa d'acqua (incile) situata poco a valle del castello di Trezzo sull'Adda, in un punto in cui il fiume ha una strettoia e la corrente sarebbe stata sufficiente per garantire un flusso costante. Il canale avrebbe poi costeggiato l'Adda per dirigersi a occidente dopo Cassano d'Adda, raggiungere Inzago, seguirne per un tratto il fossato di cerchia e puntare verso Trecella e Melzo per confluire nel torrente Molgora. Filippo Maria Visconti morì nel 1447 e, dopo la parentesi della Repubblica Ambrosiana, gli successe Francesco Sforza che nel 1457 promanò un editto, sottoscritto da Cicco Simonetta, che diede il via alla progettazione del Navilio nostro de Martexana, dove l'utilizzo dell'aggettivo nostro non è casuale, ma è atto a sancire l'aspetto di pubblica utilità dell'opera. In seguito agli eventi che videro Milano in guerra con Venezia e che portarono alla pace di Lodi, lo Sforza aveva compreso il valore militare ed economico di un canale utilizzabile per la navigazione, in quella che era considerata un'area di frontiera strategica per il ducato, e ne modificò il percorso, portandolo a raggiungere Milano, per inserirlo in un più vasto disegno di collegamento della città con l'Adda e il Ticino. Un decreto del 1º luglio dello stesso anno segnò l'inizio dei lavori guidati da un folto gruppo di ingegneri ducali, cui spettava il compito di reclutare le maestranze, procurare i materiali e dirigere i lavori. Fra questi il più noto era Bertola da Novate, che già ai tempi dei Visconti si era occupato del canale, e a lui il duca affidò la direzione dei lavori; citato in un appunto leonardesco fu erroneamente ritenuto per lungo tempo l'unico progettista ed esecutore dei lavori. Il primo tratto della Martesana fino al Seveso (Cassina de' Pomm) fu completato in otto anni e reso navigabile nel 1471, quand'era duca Galeazzo Maria; la fossa interna fu raggiunta nel 1496, durante il ducato di Lodovico il Moro. Il cambiamento del percorso rispetto al progetto del 1443 pose un problema: signori e notabili della zona, consci dei vantaggi che ne sarebbero derivati, esercitarono pressioni perché il canale lambisse le loro terre e i borghi in modo da offrire comodi approdi. Questa è la ragione per cui la Martesana ha un tracciato così tortuoso: fu una scelta politica e non tecnica, come invece era avvenuto sul primo tratto del Naviglio Grande, dove c'era l'esigenza di addolcire le pendenze. L'attraversamento dei borghi di Inzago, Gorgonzola e Cernusco, il collegamento con i loro fossati di cerchia, la costruzione di ponti in corrispondenza delle strade furono le sfide che si trovarono ad affrontare Cristoforo da Inzago e Filippo Guascone, gli ingegneri ducali incaricati di seguire questo aspetto dei lavori. La costruzione del naviglio ebbe un forte impatto sull'economia locale: furono ingaggiati centinaia di scavatori e di carpentieri per la realizzazione dell'alveo e delle sponde; nelle zone di Vaprio e di Trezzo furono attivate cave di ceppo dell'Adda, la pietra utilizzata per gli argini; fra Gessate e Bellinzago Lombardo furono aperte cave di argilla e costruite almeno tre fornaci per la cottura dei mattoni. I circostanti boschi di querce e carpini fornirono sia la legna per le fornaci, sia i pali per il rinforzo delle sponde. Queste attività talvolta entravano in conflitto con gli interessi dei proprietari terrieri, che spesso erano enti ecclesiastici come la Veneranda Fabbrica del Duomo o l'Ospedale Maggiore (Ca' Granda) o monasteri cittadini. Fu perciò necessario creare un organismo apposito che si occupasse di queste e delle molte altre questioni e diatribe che sorgevano a causa del canale: il Generalis Commissarius super ordinariis Navigi Martexane. Per gran parte del suo percorso il Naviglio della Martesana scorre, contrariamente agli altri navigli, perpendicolarmente alla linea di displuvio incrociando quindi le acque in discesa dalle colline della Brianza e in particolare i torrenti Trobbia e Molgora e il fiume Lambro. Le campagne della Bassa milanese erano caratterizzate da una mescolanza di terra e acqua non sempre proficua da un punto di vista agronomico; i grandi volumi d'acqua scendevano dall'Alta pianura andandosi a mescolare nelle risorgive, rendendo spesso i terreni paludosi e sortumosi. Uno degli effetti della costruzione del Naviglio fu quella di raccogliere e incanalare le acque pluviali e permetterne una distribuzione più razionale, regolata tramite un sistema di rogge alimentate da bocche di portata controllata. Si calcola che l'area valorizzata in questo modo fu di circa 25.560 ettari, mentre 460 erano quelli a prato permanente. Dal punto di vista della navigazione, Molgora e Lambro erano superati da ponti-canali. Originariamente, il ponte sul Molgora era più stretto rispetto a quello attuale: l'allargamento fu eseguito solamente nel momento in cui si decise di rendere il canale navigabile. Inizialmente, come abbiamo visto, il Naviglio non confluiva nella fossa interna dei navigli, ma scaricava le acque nel Lambro e nel Seveso arrestandosi alla Cassina de' Pomm; fu con la reformazione del naviglio nostro de Martexana, voluta da Lodovico il Moro, che il canale nel 1496 venne prolungato fino in città e congiunto ai navigli interni, la cui fossa, contemporaneamente, fu resa interamente navigabile realizzando così il collegamento del Ticino all'Adda. Il superamento del dislivello esistente fra il canale e la fossa interna, assieme al fatto che questa avrebbe dovuto ricevere un maggiore carico idrico, aveva presentato notevoli difficoltà tecniche e impegnato a lungo i progettisti nella ricerca di una soluzione ottimale. È certo e documentato che progettista e sovrintendente delle opere necessarie al congiungimento del naviglio con la fossa interna fosse Bartolomeo della Valle, allora ingegnere ducale. L'opera fu completata con un sistema di conche di navigazione successive: la prima a Gorla, a monte della cassina de' Pomm, per regolarizzare il flusso delle acque, le altre due, quelle dell'Incoronata e quella di San Marco, per superare il restante dislivello. Tre altre conche, a Groppello, Inzago e Bellinzago, completavano il sistema. Le conche non erano una novità: la prima, quella di Viarenna che univa il Naviglio Grande con la fossa interna, è del 1437. Là si trattava di portare i natanti a un livello più alto, qui di farli scendere a uno più basso, ma ora il sistema era completo e agibile. Tra il 1484 e il 1500, Leonardo da Vinci era ospite della corte sforzesca e sono stati molti, specialmente nell'Ottocento, ad accreditargli addirittura l'invenzione delle conche e una sua diretta partecipazione al compimento della Martesana, quasi a nobilitare ulteriormente, con la presenza del genio, un'opera già di per sé straordinaria; anche oggi non è raro leggere di tale partecipazione. Di certo vi è soltanto che nello schizzo Immagine schematica di Milano in pianta e in profilo orizzontale, il (o la) Martesana viene riportato da Leonardo come opera già compiuta, mentre in un successivo foglio si vedono dettagliati disegni e appunti relativi alla conca di San Marco, che determineranno le modalità costruttive del dispositivo idraulico per il futuro. È invece sicuro che nel 1516 Francesco I commissionò a Leonardo, in occasione del suo secondo soggiorno ambrosiano, un progetto per un collegamento diretto di Milano con l'Adda a monte del suo tratto non navigabile, tra Paderno e Trezzo. Leonardo fornì due possibili soluzioni: l'apertura di un nuovo canale che da Paderno si dirigesse a ovest attraversando la pianura prima di rivolgersi a sud all'altezza di Milano o, in alternativa, un ardito progetto con canali, pozzi e chiuse a contrappeso in gallerie scavate nella viva roccia che sovrasta la destra del fiume, dove poi fu costruito il naviglio di Paderno. Idee troppo ardite per essere realizzate, soprattutto da altri, con i mezzi allora a disposizione. Entrambi i progetti sono riportati in dettaglio, con addirittura il calcolo dei costi, nel citato Codice Atlantico. Il sogno sforzesco di collegare Milano direttamente con il lago di Como dovette attendere quasi altri tre secoli per realizzarsi: il dislivello dell'Adda fra Brivio e Trezzo dopo molti tentativi fu superato dal Naviglio di Paderno solo nell'ottobre 1777, regnante Maria Teresa d'Austria. Il Naviglio della Martesana ricalca in parte la moderna strada statale 11 Padana Superiore. Quest'ultima, a sua volta, ha circa lo stesso percorso della via Gallica, strada romana che collegava Gradum (Grado) ad Augusta Taurinorum (Torino) passando da Patavium (Padova), Vicetia (Vicenza), Verona (Verona), Brixia (Brescia), Bergomum (Bergamo) e Mediolanum (Milano) . Nel 1497 alcuni proprietari di diritti d'acqua del Milanese, fra i quali la potente Abbazia di Chiaravalle, intentarono una causa contro il ducato per dare precedenza all'uso irriguo delle acque. Nella sentenza finale Ludovico il Moro (figlio di Francesco Sforza) ribadì che lo scopo prioritario del Naviglio della Martesana era la navigazione. Non resterà un episodio isolato, ma solo il primo atto di una contesa infinita tra la città interessata ai traffici e quindi alla navigabilità e la campagna, che vedeva il canale come una fonte d'acqua per l'irrigazione. Fin dalla conclusione dei lavori, infatti, l'aspetto più problematico della gestione del naviglio fu quello di conciliare il suo doppio ruolo di canale navigabile e di dispensatore d'acqua. La costruzione di numerosi canali secondari alimentati da bocche che attingevano dal naviglio era stata incoraggiata e trovava fondamento nel diritto consuetudinario, in seguito recepito dagli statuti cittadini, cioè il cosiddetto "diritto di acquedotto", che conferiva la facoltà a chiunque ne facesse richiesta di condurre acqua dal naviglio nei canali secondari, con il solo obbligo di provvedere alla manutenzione degli stessi e degli eventuali ponti necessari. Fu solo dall'ultimo decennio del Quattrocento che le concessioni incominciano a essere rilasciate dietro pagamento di una somma di denaro alla Camera ducale. Il titolare della concessione poteva poi rivenderla o affittarla ad altri (la "ragione d'acqua"). Dopo la caduta di Lodovico il Moro nel 1499, il ducato cambierà più volte il sovrano e a francesi e spagnoli si alterneranno eredi degli Sforza, prima del lungo dominio spagnolo (1535-1706). Ogni nuovo signore, re, imperatore o duca che fosse, trovava nell'imposizione di nuove tasse e gabelle sui traffici e nella vendita dei diritti d'acqua un facile mezzo per finanziare le casse dell'erario, dissanguate dalla guerra. Nel 1515, Ercole Massimiliano Sforza cede ai milanesi i diritti d'acqua dei navigli per "soli" 50.000 ducati, diritti che in realtà aveva già in gran parte venduto ai proprietari di terre che ne approfittavano abbondantemente. Tornano i francesi e Francesco I decide che i canali erano e restavano patrimonio dello Stato! Nel 1522 Francesco II Sforza è duca di Milano, ma nel 1524 la città, stremata dalla peste, si riconsegna ai francesi; cinque anni dopo Carlo V gli riconcede il ducato, che terrà fino alla sua morte nel 1535. La situazione è drammatica: nel 1529 la gente moriva di fame per le strade e l'anno successivo le campagne abbandonate attorno alla città erano invase da branchi di lupi e molte furono le vittime; la Martesana non è praticamente più navigabile per le troppe sottrazioni d'acqua. Francesco II Sforza fa demolire la conca di Gorla, rimpiazzandola con una nuova alla Cassina de' Pomm, e abbattere il ponte-canale sul Lambro per riportare acqua nel naviglio. Navigabilità e disponibilità idrica per l'irrigazione migliorarono, ma la distruzione del ponte-canale Martesana sul Lambro (attuale Cologno), che era un ponte in pietra a tre capate, portò a molti disagi anche di natura molto grave: il confluimento delle acque del Lambro direttamente sul Naviglio crearono disastrose inondazioni durante i periodi di forte pioggia. Non potendo ricostruire un nuovo ponte-canale causa carenza di fondi (poiché il Lambro si era allargato così tanto che il ponte avrebbe richiesto ben cinque campate) la situazione rimase praticamente non gestita fino alla morte di Francesco II. Il successore dello Sforza, tentò di risolvere le piene del Lambro costruendo 19 bocche nell'area dove si incrociavano i due corsi d'acqua ma la situazione non migliorò in modo soddisfacente: le inondazioni ora interessavano un'area inferiore rispetto a prima ma ad ogni piena le zone comprese fra Crescenzago, Cascina Olgetta e Cascina Gobba finivano sott'acqua. In periodi di scarsa pioggia, invece, la navigazione era migliorata nel tratto terminale, ma non a monte, tanto che le autorità spagnole intervennero proibendo, per due giorni alla settimana, l'estrazione dell'acqua perché le barche potessero galleggiare e successivamente (1571) facendo derivare un nuovo corpo d'acqua dall'Adda a Groppello, costruendo un nuovo piccolo ponte-canale sul Molgora e aumentando l'ampiezza del canale. Finalmente, nel 1574, la Martesana tornava a essere navigabile per merito del governatore, il duca di Albuquerque che aveva disposto i lavori, ma non con poche difficoltà: la corrente rendeva impegnativa la navigazione in risalita e la quantità di fango, tronchi e detriti che il Lambro riversava nel Naviglio, creava quasi delle dighe che compromettevano la navigazione in entrambi i sensi. Bisognò attendere fino al 1900 prima che il ponte-canale venne ricostruito, rifatto il letto e consolidate le sponde: fino ad allora, per più di due secoli, si cercò di limitare i danni con sistemi empirici, con risultati solo modesti, e di fatto la Martesana non ricevette alcuna opera di manutenzione dal 1471 al 1931. Dalla fine del 1500, comunque, incominciò per il Naviglio della Martesana un periodo di grande attività che durò fino a tutta la seconda metà dell'Ottocento e che ebbe il suo culmine dopo l'apertura del Naviglio di Paderno nel 1777. A Milano giungevano derrate alimentari fresche (frutta, verdure, bestiame da macello, formaggi), foraggi e paglia, vino, granaglie (frumento, orzo, miglio e mais, la cui coltivazione era stata introdotta nel ducato nel 1519), materiali da costruzione e laterizi, calce, sabbia, manufatti, utensili vari, sedie e mobili. Dalla città partivano filati e stoffe e i manufatti delle numerosissime botteghe artigiane di ogni genere. C'è sempre però il problema delle piene del Lambro a creare difficoltà: essendo giudicata troppo costosa la ricostruzione del ponte-canale, si rimedia con un ponte di legno su cui possono passare barcaioli e cavalli quando il fiume ingrossa troppo per essere guadato. Le tasse, i pedaggi e le gabelle sono pesanti e non si distingue tra barche piene o semicariche. Tra Trezzo e Brivio prosperano i mulattieri addetti ai trasbordi. Dopo il 1777, il traffico è più pesante: ferro, marmo, sempre più legname, carbone. Nell'occasione, il governo austriaco sospende i "dazi di catena" e garantisce alle barche il carico di ritorno con il trasporto del sale a Lecco. Nel 1782 si apre una regolare linea per i passeggeri dal tombon de San Marc alla città lariana e nel 1800 incomincia il servizio el barchett de Vaver (Vaprio), la barca corriera resa celebre dal film di Ermanno Olmi, L'albero degli zoccoli. Il bacino della Cassina de' Pomm, grazie anche alla conca che tratteneva le acque, era diventato il porto per sabbia e ghiaie, merci che raramente arrivavano a San Marco. La strada alzaia risaliva con la Martesana a sinistra e un canale sulla destra. Derivato dal naviglio poco a monte, azionava tre grossi mulini ("bianco" per il frumento, "giallo" per il grano turco e "terzo mulino" perché costruito per ultimo) e si ricongiungeva al Martesana, con una rumorosa cascata, subito dopo la conca. Oggi la stessa roggia è quella che alimenta il ruscello e i giochi d'acqua del piccolo Parco della Cassina de' Pomm. Le "navi" impiegate (così le chiamavano i cronisti del tempo) erano uguali a quelle usate sul Naviglio Grande. Cagnone, mezzane e borcelli erano però costruiti in cantieri sul Lario invece che sul Ticino o sul Lago Maggiore. Erano governate con lunghi timoni mobili a barra e con l'ausilio di pertiche; l'equipaggio era costituito da tre uomini, un parone e due aiutanti. Per formare i nuovi equipaggi divenuti indispensabili dopo il congiungimento con il lago di Como, furono fatti venire da Sesto Calende e dal Ticino paroni esperti col compito di istruttori. La risalita da Milano, controcorrente, avveniva necessariamente al traino di cavalli che rimontavano la strada alzaia in cobbia (convoglio) di cinque barche con cinque cavalli; nel percorso da Trezzo a Brivio, i cavalli diventavano 12. La discesa avveniva di norma sul filo della corrente, ma spesso si impiegavano anche i cavalli, sia per velocizzare il viaggio, sia per la necessità di riportarli a valle. Considerando l'intero percorso, da Lecco a Milano erano necessarie quindici ore, mentre per risalire potevano volercene fino a settanta. Partenza rigorosamente all'alba, perché, come su tutti i navigli, era tassativamente vietato viaggiare di notte (disposizione che resterà sempre in vigore) ed era indispensabile sfruttare al massimo le ore di luce; ma come si può facilmente calcolare il viaggio poteva durare parecchi giorni. Più "rapidi" i collegamenti passeggeri: si poteva scendere da Trezzo a Milano in sette ore e ritornarvi in dodici. In città, per trasferirsi dal laghetto di San Marco alla Darsena, una barca carica impiegava quattro ore. Pur mancando documentazione diretta sul fatto, dagli appunti leonardeschi si deduce che Leonardo navigò sul naviglio diretto alla Villa Melzi d'Eril di Vaprio d'Adda, nella quale soggiornò e probabilmente incominciò un grande affresco terminato in seguito da un suo allievo. A partire da Carlo Borromeo praticamente tutti gli arcivescovi milanesi navigarono sulle acque del Naviglio per recarsi a Groppello presso la Villa Arcivescovile. Gabrio Serbelloni dopo la sua lunga movimentata vita militare si ritirò nella sua villa di Gorgonzola, dalla quale nel 1579 dettò dettagliate disposizioni sulla navigazione dei barconi ospedale durante la peste, basate su una profonda e personale conoscenza del Naviglio. Nel 1649 vi navigò la giovane Maria Anna d'Asburgo, proveniente da Vienna e diretta a Finale Ligure, dove l'attendevano le navi dello sposo, Filippo IV di Spagna. Evento analogo si ebbe il 30 maggio 1708 quando un corteo accompagnò a Milano Elisabetta Cristina, duchessa di Braunschweig-Wolfenbüttel, futura moglie dell'imperatore Carlo VI e madre di Maria Teresa d'Austria. Il corteo si imbarcò a Trezzo alle 10 del mattino e giunse a Milano alle 8 di sera sotto un acquazzone torrenziale. Nei quindici giorni precedenti vi fu un tale traffico di merci pregiate e vettovaglie che il naviglio dovette essere chiuso alla navigazione ordinaria. Anche l'arciduca Ferdinando, fratello dell'imperatore Giuseppe II, navigò sul Naviglio da Trezzo a Vaprio di ritorno dall'inaugurazione del Naviglio di Paderno mentre compì il resto del rientro a Milano a cavallo accompagnato da cani e battitori: la stagione di caccia era appena incominciata e i boschi dell'Adda erano una meta allettante. In epoca più recente fra i "navigatori" del Naviglio vi sono stati Alessandro Manzoni, Cesare Beccaria, Cesare Cantù, il Parini e Luigi Marchesi, il celebre sopranista, ritiratosi a fine carriera, dopo avere calcato tutte le scene d'Europa, nella sua villa di Inzago. Il Naviglio della Martesana, essendo un canale artificiale, ha caratteristiche idrobiologiche diverse da quelle del fiume di origine. La consistenza del fondale è influenzata sia dalla corrente, che non è regolare lungo tutto il corso ma è pari a 25 m³/s a Trezzo e 1 m³/s a Milano, sia dalle periodiche operazioni di messa in asciutta e pulizia del fondale che avvengono due volte all'anno, in marzo e in settembre. Il fondale è di tipo ciottoloso all'inizio del corso, ma la granulometria diminuisce con il decrescere della corrente e il conseguente maggior deposito di detrito. Il naviglio condivide naturalmente tutte le peculiarità florofaunistiche del territorio che attraversa; qui segnaliamo solo alcune specie che ne caratterizzano direttamente le acque e le sponde. La vegetazione è rappresentata da piante sommerse che ricoprono il fondale durante i mesi estivi formando densi tappeti dove la corrente è più moderata: le piante sono la peste d'acqua, l'erba coltellina e il ceratophyllum demersum; talvolta sugli argini si trovano anche delle cannucce palustri. Per quanto riguarda la fauna, il tratto dall'incile a Groppello è assimilabile a quello parallelo dell'Adda, mentre a valle sono scarsissimi i mammiferi, rappresentati quasi esclusivamente da ratti e arvicole; nel territorio di Milano, sono presenti famiglie di nutrie (Myocastor coypus). Più ricca l'avifauna, non sempre "naturale": gallinelle d'acqua e folaghe, germani reali, martin pescatore, gabbiani all'incrocio con il Lambro (segnale di non buone condizioni di pulizia ambientale), gazze; anitre e oche comuni introdotte dall'uomo. Tra gli anfibi è ben presente la rana verde. La popolazione ittica del Naviglio è abbondante, naturalmente simile a quella dell'Adda e tenuta sotto stretto controllo; durante le operazioni di messa in asciutta la pesca è proibita e il pesce, che si affolla nelle concavità, viene recuperato dal personale dell'Ufficio Pesca della Provincia di Milano che provvede a liberarlo nel corso d'acqua più vicino e idoneo alla sua sopravvivenza. Vengono compilati verbali sulle specie e il peso del pesce recuperato e nei due mesi successivi alla messa in asciutta il personale procede a ripopolare il naviglio con lo stesso quantitativo di pesce. Abbondanti sono anche gli esemplari di tartaruga d'acqua dolce del genere Trachemys non originaria dell'habitat, a causa continuo rilascio di esemplari allevati domesticamente. Nel 1958 il Naviglio della Martesana fu declassato da via di trasporto a canale irriguo; scomparvero così anche gli ultimi barconi che portavano sabbia da Vimodrone a Milano e il naviglio fu abbandonato a se stesso, fatta eccezione per la pulizia delle prese d'acqua. Fu negli anni ottanta che si affermò il concetto del bene ambientale da salvaguardare e da rivalutare. Incominciò il comune di Milano, con la radicale ripulitura delle sponde e l'apertura di una pista ciclo-pedonale da Cassina de' Pomm fino a Crescenzago, passando per Parco della Martesana a Gorla, mentre da parte di privati incominciò il restauro-recupero di edifici ormai fatiscenti e gli abitanti ricavavano minuscoli orti e giardini tra i nuovi condomini. Da allora si è visto un continuo fiorire di iniziative: i comuni rivieraschi hanno provveduto a sistemare le sponde e ad asfaltare il loro tratto di alzaia chiudendolo al traffico motorizzato e hanno creato spazi per il tempo libero e l'incontro. Dal 2009 si va in bicicletta da Milano a Groppello sull'asfalto e, con sottopassi, sono stati eliminati gli incroci più pericolosi con la viabilità ordinaria (Gorgonzola e Vaprio d'Adda). Si può proseguire fino a Trezzo e lungo il naviglio di Paderno su pista sterrata e proseguire sino a Lecco. A Cassano ha inizio l'area protetta del parco Adda Nord, istituito nel 1981 e che ha svolto azioni di grande efficacia. Dal 2009 si può navigare in battello elettrico da Canonica a Concesa: è un tratto di soli quattro chilometri ma di grande impatto paesaggistico e storico; tra l'altro alla navigazione sono collegate visite, in carrozza a cavalli, ai luoghi più significativi e soste enogastronomiche all'insegna della tradizione locale. Il Comitato per il restauro delle chiuse dell'Adda con la Provincia di Milano con il sostegno della Regione Lombardia, hanno chiesto e ottenuto (2010) l'inclusione dei navigli milanesi nel progetto Canaux Historiques: Voies d'Eau Vivantes, un programma di recupero e riqualifica dei canali navigabili storici della Commissione europea, finanziato con 3,5 milioni di euro. A beneficiare della quota italiana saranno probabilmente le conche da Trezzo a Paderno. Spera invece di trovare sponsor e finanziamenti per essere ultimato prima dell'Expo 2015 il "Progetto per la valorizzazione della conca delle Gabelle e realizzazione di una fontana canale": ciò che resta della conca (è la conca dell'Incoronata dopo l'ex ponte delle Gabelle) è il più antico manufatto esistente della Milano dei navigli ed è di ideazione leonardesca; è situato in un piccolo soffocante giardino in fondo a via San Marco, sotto il livello stradale e il progetto vuole ricrearle attorno l'ambiente acqueo originario. L'incile del Naviglio si trova in località Concesa in corrispondenza di una conca idraulica alimentata con la tecnica del sifone, mentre l'incile originario era situato poco più a monte: la sua posizione è attualmente contrassegnata da un grosso masso affiorante. Per il primo tratto, tra Concesa e Vaprio, il Naviglio corre in posizione parallela ma soprelevata rispetto al fiume, dal quale è separato con arginature. Lo costeggia l'alzaia, un tempo usata per il traino dei barconi e ora comoda pista ciclopedonale sterrata. Seguendo la sua corrente, alla destra i primi edifici storici che si scorgono sono, ancora in località Concesa, Villa Gina, costruzione neorinascimentale e attuale sede del Parco Adda Nord, e il Santuario della Divina Maternità, appartenente all'ordine dei Carmelitani Scalzi. Proseguendo sull'alzaia, dall'altra parte del fiume Adda si scorge il villaggio operaio di Crespi d'Adda, entrato nel 1995 a far parte del patrimonio dell'umanità dell'UNESCO. Poco più avanti, sulla sponda destra del Naviglio si trova un ruotone di ferro a 8 pale dal diametro di 7 m che era utilizzato per irrigare il pregevole parco della Villa Castelbarco Albani, sita sull'altura detta Monasterolo. Poco prima del ponte sull'Adda percorso dalla strada statale n. 11 si incontra la cartiera Binda ex "ditta Maglia e Pigna" con le bocche di alimentazione delle turbine (ora smantellate) per la produzione di energia elettrica. Nello stesso luogo operava fino a tutto il XVII secolo un maglio per la frantumazione delle pietre del Brembo usate poi nelle fornaci di Villa Fornaci; nel 1868 la cartiera entrò a far parte del gruppo "Cartiere Ambrogio Binda", già proprietario delle cartiere della Conca Fallata e di quella di Crusinallo (Omegna). Oltrepassando il ponte della statale sulla destra si scorge, in cima a dei giardini a terrazze, Villa Melzi d'Eril, costruita nel 1482 sui resti di un precedente castello e rimaneggiata nei secoli successivi fino all'attuale aspetto neoclassico. Vi soggiornò diverse volte Leonardo da Vinci, su invito di Francesco Melzi. È controversa fra gli storici l'ipotesi sulla collaborazione di Leonardo alla creazione dell'affresco raffigurante la Madonna col Bambino (detta "Il Madonnone") che si trova nella villa; recenti studi ritengono più verosimile che l'autore fosse un suo allievo. Prima di arrivare a Groppello, un altro bell'esempio di archeologia industriale, il cotonificio Archinto, poi Velvis (Velluti Visconti), edificato in stile neogotico. Presso il ponte di Groppello si trova un altro grande ruotone, il rudun, con un diametro di 11 metri, costituito da 12 pale e voluto da Carlo Borromeo nel 1618 per portare l'acqua a livello della strada e permettere così l'irrigazione degli orti e dei giardini della villa arcivescovile. L'acqua vi giungeva attraverso un canaletto posto a valle del ponte. Il ruotone attuale fu ricostruito fedelmente all'originale nel 1989, e successivamente nel 2009 (dopo che anni di incuria lo avevano ridotto a un rudere). Il ponte ha la particolarità di essere neogotico con bugnati in ceppo nella parte a monte e a tutto sesto sul lato a valle. Vicino al ponte sono ancora visibili gli antichi lavatoi e, poche decine di metri più a valle, l'antica conca di navigazione. La villa arcivescovile, separata dal naviglio da un ampio giardino, è situata in posizione sopraelevata tra Adda e naviglio; la costruzione attuale risale al XVI secolo anche se già dall'XI secolo vi si trovava la residenza permanente del procuratore dell'arcivescovo di Milano. L'edificio è a tre piani con pianta a U, le ali esterne sono rivolte all'entrata, alla quale si accede con una scala esterna a due rampe unite in un balcone centrale. Avvicinandosi a Cassano d'Adda, poco dopo l'abitato di Fara Gera d'Adda situato dall'altra parte del fiume, si incontra il cosiddetto "Salto del Gatto": è il punto in cui il canale Villoresi sfocia nell'Adda. La Martesana non entra nel centro cittadino, lasciandolo sulla sinistra, e descrive un'ampia curva ("la volta") a destra puntando a occidente. Una piccola deviazione consente di ammirare la splendida Villa Borromeo, neoclassica con spunti baroccheggianti, e i suoi giardini e arrivando all'Adda il Castello Borromeo, fortificato nelle attuali forme da Bartolomeo Gadio tra il 1451 e il 1474, che ospitò Carlo Magno. Pochi chilometri e si giunge a quello che Cesare Cantù descrive come "uno dei più ameni luoghi di villeggiatura attorno a Milano". Costruite tra il 1500 e il 1800, nel borgo esistono ancora diciotto tra ville nobiliari e dimore patrizie, quasi tutte residenze estive di famiglie milanesi. La più caratteristica, sulla sponda destra del Martesana, è villa Aitelli: vista da lontano, col suo grande corpo di fabbrica rettangolare e l'alta torre ottagonale, sembra una chiesa col suo campanile. In realtà lo era e apparteneva alla congregazione degli Umiliati. Dopo lo scioglimento dell'ordine (7 febbraio 1571), san Carlo Borromeo la donò, assieme a una copia della Sindone, al suo segretario Ludovico Moneta. Sempre nel territorio di Inzago, prima di lambire Bellinzago Lombardo e la sua frazione Villa Fornaci, si incontra una conca dalle strutture metalliche molto ben conservate; risale all'ultimo periodo di utilizzo della Martesana come canale navigabile (prima metà del Novecento), quando ancora scendevano a Milano i manufatti delle industrie e le pietre delle cave situate a monte. Entrando a Gorgonzola la Martesana descrive un semicerchio a sud assecondando il tracciato dell'antica fossa difensiva che abbraccia l'antico borgo dov'erano numerosi gli approdi e, ancora oggi, i lavatoi; la scavalca un curioso ponte coperto, da Ca' Busca alla stretta alzaia in pietra, che ha l'aspetto di una piccola casa in legno, sospesa a mezz'aria. Lasciata la città natale del caratteristico stracchino erborinato, la Martesana incrocia il Molgora la cui sifonatura è stata recentemente rifatta, sfiora il territorio di Cassina de' Pecchi e varca il limite di Cernusco sul Naviglio; lambisce la città a sud, ma è accompagnata su tutto il territorio comunale dai tre chilometri di lunghezza del Parco azzurro dei germani, che comprende sulla sponda destra anche gli storici giardini pubblici e sulla sinistra vaste aree già destinate a parchi privati.. Nei pressi del centro cittadino, sulla sponda destra è possibile vedere una ruota idraulica (ricostruzione del 2007). Passa per Vimodrone, qui il naviglio fu deviato, poco più a nord negli anni 60 per permettere il passaggio delle metropolitana, prima linea celere dell'Adda e poi M2; anche qui come a Cernusco tra la metropolitana e il naviglio si sono creati dei piccoli parchi in successione. Più due terreni agricoli. Inoltre è possibile ancora vedere una villa signorile del 1700 con affaccio sul Naviglio. Superato il Lambro col ponte canale a Cologno Monzese, il Martesana entra a Milano. Lungo il suo percorso attraverso le vie della metropoli, spiccano alcune dimore signorili del XVIII-XIX secolo lungo via Padova. Decretum super flumine Abduae reddendo navigabili - Carlo Pagnano, 1520, conservato presso la Biblioteca Trivulziana, Milano Istoria dei progetti e delle opere per la navigazione interna del Milanese, Giuseppe Bruschetti, 1824 Scritti di Carlo Cattaneo, Sansoni Editore, Firenze, 1957 Da Milano lungo i navigli, Enzo Pifferi, Editrice E.P.I., Como, 1984 Enzo Pifferi, Laura Tettamanzi e Emilio Magni, da milano lungo i navigli, Como, Editrice E.P.I., 1987. Il patrimonio dell'Adda di Leonardo, per una civiltà delle acque, Edo Bricchetti (edito dal Comitato per il restauro delle chiuse dell'Adda), Milano, 1996 Cinquecento anni di Naviglio Martesana (1497 - 1997), a cura di Chiara Tangari (edito dalla Provincia di Milano), 1997 Il Navilio della Martesana. Dall'Adda a Milano, di C. Cassinotti, F. Gilli, E. Proni, a cura del Parco Adda Nord, 1997 Enciclopedia di Milano, Franco Maria Ricci Editore, Milano 1998 Guida al Naviglio Piccolo della Martesana, di Edo Bricchetti a cura dell'Associazione Gorla Domani, Milano, 1998 I Navigli, da Milano lungo i canali, a cura di Roberta Cordani, Edizioni Celip, Milano, 2002 Le vie di Milano, di Vittore e Claudio Buzzi, Ulrico Hoepli editore, Milano, 2005 Martesana Navigli (Milano) Parco della Martesana Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sul Naviglio della Martesana Eventi Culturali Navigli - P.A.N l'Associazione dei Navigli Belli da Vivere, su naviglilive.it. URL consultato il 18 maggio 2010 (archiviato dall'url originale il 12 settembre 2007). Consorzio navigli lombardi, su consorzionavigli.it. L'Associazione Amici dei Navigli/Istituto per i Navigli, su amicideinavigli.org. Navigli lombardi, su naviglilombardi.it. URL consultato il 27 novembre 2010 (archiviato dall'url originale il 18 dicembre 2010). Storia del Naviglio della Martesana (PDF), su vivicassano.it. Fotografie del Naviglio della Martesana e della sua flora e fauna da Milano a Crescenzago, su glcglc.net. Davide Casaroli, I Nuovi Navigli. Cammino tra storia, presente, ed un ipotetico futuro di Milano città d'acqua (PDF), su politesi.polimi.it, Politecnico di Milano. http://metromilano.biblio.arc.usi.ch/projects/lotto-2-viale-monza-2/ Archiviato il 28 ottobre 2021 in Internet Archive. Lavori del 1960 per Metropolitana di Milano

Teatro Smeraldo
Teatro Smeraldo

Il Teatro Ventaglio Smeraldo (o semplicemente Teatro Smeraldo) è stato uno storico teatro di Milano, aperto nel 1942 e chiuso il 1º luglio 2012. Il teatro fu progettato tra il 1939 e il 1940 da Alessandro Rimini che, essendo di origini ebraiche, non poté firmare il progetto a causa delle leggi razziali fasciste all'epoca vigenti. Il teatro aprì nel 1942 e, fino alla chiusura, venne gestito dalla famiglia Longoni, tramandato di generazione in generazione. Inizialmente concepito come sala cinematografica, tale rimase fino agli anni ottanta, quando fu deciso (sotto la direzione artistica di Gianmario Longoni, che ne è stato l'ultimo proprietario) di usarlo esclusivamente per rappresentazioni teatrali, soprattutto musical e recital di singoli artisti. Dopo innumerevoli voci di chiusura, paventate da Gianmario Longoni fin dal 2009, lo Smeraldo ha terminato ufficialmente la sua ultima stagione di attività in data 11 giugno 2012 con uno spettacolo dei Fichi d'India. L'ultima serata, commemorativa, è stata il 30 giugno 2012, con un Dj set di Alex Cicognini, dj resident dello storico locale Shocking Club di proprietà dello stesso Gianmario Longoni. Dal 1º luglio 2012 l'edificio è passato ufficialmente alla catena Eataly di Oscar Farinetti che lo ha trasformato in un negozio Eataly e che è stato inaugurato il 18 marzo 2014. Secondo lo stesso Longoni, la causa della chiusura sarebbe in parte motivata dagli interminabili lavori di piazza XXV Aprile, proprio di fronte all'ingresso del teatro, e in parte dalla «concorrenza sleale degli Arcimboldi», il quale riceve due milioni e mezzo di euro l'anno e «può permettersi di affittare a prezzi più bassi». Il 4 ottobre 2009 al Teatro Smeraldo Beppe Grillo fondò il Movimento 5 Stelle. Piazza XXV Aprile Porta Garibaldi (Milano) Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sul Teatro Ventaglio Smeraldo Teatro Ventaglio Smeraldo di Milano, su teatri.agendaonline.it. URL consultato il 13 aprile 2018 (archiviato dall'url originale il 15 agosto 2009). Teatro Smeraldo, su giusepperausa.it.

Chiesa di Santa Maria Incoronata (Milano)
Chiesa di Santa Maria Incoronata (Milano)

La chiesa di Santa Maria Incoronata è un luogo di culto cattolico di Milano, situato all'incrocio fra corso Garibaldi e via Marsala. Questa chiesa è un caso particolare di "chiesa doppia", simile a quella di San Cristoforo al Naviglio, anch'essa a Milano, guardando dal sagrato, la chiesa di sinistra è la più antica, perché esisteva già in età comunale, era retta dai padri eremitani di San Marco ed era intitolata a Santa Maria di Garegnano.Accanto alla chiesa, agli inizi del Quattrocento, fu costruito un convento per i padri agostiniani, che restaurarono l'antica chiesa nello stile tardo gotico, tipico di quel secolo. Poiché i lavori Furono terminati in occasione dell'incoronazione di Francesco Sforza a Duca di Milano (1451), la intitolarono a Santa Maria Incoronata, dedicandola al nuovo signore della città.Nel 1460 sua moglie Bianca Maria Visconti, signora di Cremona, volle che, a lato della chiesa del consorte, ne fosse costruita una seconda, del tutto identica e collegata a essa in modo da formare un'unica nuova chiesa: con questa opera Bianca Maria desiderava suggellare pubblicamente la sua fedeltà al marito. Riuscì così a renderla una delle costruzioni più originali dell'epoca.Nei turbolenti secoli successivi, l'Incoronata divenne magazzino, poi lazzaretto, quindi caserma e anche carcere, scuola di agraria, tornando infine ad essere luogo di culto e chiesa parrocchiale. La chiesa fu costruita in stile gotico, ma il suo aspetto fu notevolmente modificato nel 1654 e nel 1827. Nel 1900, sotto la direzione di F. Pellegrini, furono compiuti i restauri che l'hanno riportata alle caratteristiche originarie. L'attuale edificio è frutto dell'unione di due chiese, delle quali quella di sinistra è la più antica. L'esterno è caratterizzato dalla particolare facciata doppia, con un prospetto a capanna per ciascuna delle due chiese; per ambedue esso presenta in basso un unico portale ogivale sormontato da una lunetta, decorata con un bassorilievo. Al di sopra del portale vi sono due monofore ogivali e, al centro, più in alto, un piccolo rosone circolare. Ognuna delle due facciate termina in alto con un profilo triangolare sormontato da una croce su un basamento marmoreo. Sul fianco destro della chiesa, si aprono varie cappelle laterali a pianta poligonale, illuminate da monofore. Fra le due absidi, si eleva la torre campanaria. Questa è pianta quadrata e la sua cella campanaria si apre sull'esterno con una monofora su ciascun lato. La copertura del campanile è costituita da un cono in laterizio, affiancato da quattro piccole guglie poste sugli angoli della struttura. All'interno, la chiesa presenta una particolare pianta a due navate, frutto dell'unione delle due chiese, divise da archi a sesto acuto poggianti su pilastri. Coperte con volta a crociera, ciascuna di esse termina con un'abside poligonale; nell'abside di sinistra, vi è un altare neoclassico in marmi policromi, sormontato da un ciborio circolare con cupoletta semisferica sorretta da colonne corinzie. L'altare dell'abside di destra, invece, è barocco ed è stato pesantemente modificato dopo il Concilio Vaticano II. Su ciascuna delle due navate si aprono tre cappelle laterali. Fra le opere custodite all'interno della chiesa, vi è la presenza di manufatti di grandi pittori. Nella prima cappella di sinistra, ad esempio, vi è un affresco attribuito al Bergognone, in parte perduto, raffigurante Cristo sotto il torchio, richiamo al vino trasformatosi in sangue di Cristo nell'Eucaristia. Nella cappella sul lato opposto, invece, si trova la Lastra tombale di Giovanni Bossi, attribuita ad Agostino Busti detto il Bambaia. Nella seconda cappella di sinistra vi sono degli affreschi, probabilmente opera di Ciro Ferri, con Scene della vita di San Nicola da Tolentino. Nell'ultima cappella di destra, si trova l'organo a canne della chiesa, costruito dalla ditta Pedrini di Cremona nel 2013. Lo strumento, a pavimento, è a trasmissione integralmente meccanica ed è racchiuso all'interno di una cassa lignea di fattura geometrica. La mostra è composta da 29 canne in stagno con bocche a mitria disposte ad ala in tre campi affiancati. La consolle è a finestra e dispone di un'unica tastiera di 56 note e di pedaliera concavo-parallela di 27 note. I registri, in totale 6 (5 al manuale e 1 al pedale) sono azionati da pomelli posti in unica fila orizzontale sopra il manuale. Sopra la pedaliera, si trova un pedaletto per l'unione tasto-pedale. Agostino Caravati, Per il restauro di S. Maria Incoronata, estratto da Il monitore tecnico, n° 1, Milano, Società editrice tecnico scientifica, 1915. Antonio Bollani, S. Maria Incoronata a Milano, Milano, 1952, BNI 1953 1565. Mario De Biasi, Chiese di Milano, Milano, Edizioni Celip, 1991, ISBN 88-87152-06-3. Maria Teresa Fiorio (a cura di), Le chiese di Milano, Milano, Electa, 2006, ISBN 88-370-3763-5. Arcidiocesi di Milano Chiese di Milano Gotico italiano Torchio mistico Wikibooks contiene testi o manuali sulla disposizione fonica dell'organo a canne Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla chiesa di Santa Maria Incoronata a Milano Diocesi di Milano, S. Maria Incoronata, su to.chiesadimilano.it. URL consultato il 13 maggio 2021 (archiviato dall'url originale il 2 gennaio 2020). Milanodabere.it, Chiesa Santa Maria Incoronata, su milanodabere.it. URL consultato il 14 giugno 2013 (archiviato dall'url originale il 1º settembre 2013). Arte.it, Chiesa Santa Maria Incoronata, su arte.it. URL consultato il 14 giugno 2013.