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Incidente della ThyssenKrupp di Torino

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L'incidente della ThyssenKrupp di Torino fu un grave incidente sul lavoro avvenuto il 6 dicembre 2007 nello stabilimento ThyssenKrupp di Torino, nel quale otto operai furono coinvolti in un'esplosione che causò la morte di sette di loro. L'incidente è considerato tra i più gravi avvenuti sul lavoro nell'Italia contemporanea. Nella notte fra il 5 e il 6 dicembre 2007 gli addetti alla linea 5 (ricottura e decapaggio) dello stabilimento di Torino erano in attesa di riavviare l'impianto dopo un fermo tecnico per manutenzione. Trentacinque minuti dopo la mezzanotte l'impianto venne riavviato. In prossimità della raddrizzatrice, un irregolare scorrimento del nastro contro la carpenteria metallica (causato da una non precisa centratura del nastro stesso) produsse un forte attrito che innescò prima delle scintille e quindi un incendio dovuto principalmente alla presenza di carta intrisa di olio. Sulla linea c'era infatti molta carta imbevuta di olio (fuoriuscito dai circuiti oleodinamici usurati e/o proveniente dalla laminazione) in quanto in impianti di tale tipo la carta serve a proteggere il nastro di acciaio, che è arrotolato su sé stesso in bobina. Durante le fasi di lavorazione del nastro la carta viene rimossa, ma tale dispositivo nella linea 5 non funzionava a dovere e la carta (anche perché riutilizzata più volte) spesso si strappava accumulandosi nel reparto. L'addetto alla linea, rendendosi conto delle fiamme, si recò di corsa verso la sala di controllo per dare l'allarme: tutto il personale si precipitò quindi a tentare di spegnere l'incendio. Vennero prelevati gli estintori presenti lungo la linea, ma il loro impiego non riuscì a domare le fiamme; l'incendio si stava alimentando a causa della carta intrisa d'olio, della segatura, utilizzata sempre per assorbire l'olio, e di altra sporcizia. Si pensò allora di servirsi delle manichette antincendio e, mentre l'unico sopravvissuto (Antonio Boccuzzi) era in attesa del nulla osta per poter aprire l'acqua (i colleghi stavano completando l'operazione di srotolamento delle manichette), le fiamme danneggiarono un tubo flessibile dell'impianto idraulico oleodinamico da cui fuoriuscì dell'olio ad alta pressione nebulizzato, che immediatamente si incendiò come una grande nube (fenomeno del jet fire) investendo sette lavoratori. Uno di loro, Antonio Schiavone, che aveva cercato di spegnere l'incendio passando dietro all'impianto, morì poco dopo sul luogo dell'incidente, gli altri sei morirono nel giro di un mese, mentre Boccuzzi subì ferite non gravi. Critiche all'azienda furono sollevate da più parti, sia perché alcuni degli operai coinvolti nell'incidente stavano lavorando da 12 ore, avendo quindi accumulato 4 ore di straordinario, sia perché secondo le testimonianze di alcuni operai i sistemi di sicurezza non funzionarono (estintori scarichi, idranti inefficienti, mancanza di personale specializzato). L'azienda ha sempre ostinatamente smentito che all'origine dell'incendio vi fosse una violazione delle norme di sicurezza. Secondo quanto riportato dal quotidiano La Stampa, nell'ambito dell'inchiesta seguita all'incidente, la Guardia di Finanza avrebbe sequestrato all'amministratore delegato Herald Espenhahn un documento dove si afferma che Antonio Boccuzzi, l'unico testimone sopravvissuto, «va fermato con azioni legali», in quanto sostiene in televisione accuse pesanti contro l'azienda. Il documento attribuisce la colpa dell'incendio ai sette operai, che si erano distratti. A carico dell'amministratore delegato i pubblici ministeri formularono l'ipotesi di reato di omicidio volontario con dolo eventuale e incendio doloso (dolo eventuale), mentre altri cinque dirigenti furono accusati di omicidio colposo e incendio colposo, con l'aggravante della previsione dell'evento; fu contestata l'omissione dolosa dei sistemi di prevenzione antincendio e antinfortunistici. Fu rinviata a giudizio anche l'azienda come persona giuridica. Il 15 aprile 2011 la Corte d'assise di Torino, sezione seconda, ha confermato i capi d'imputazione a carico di Herald Espenhahn, amministratore delegato della ThyssenKrupp Acciai Speciali Terni, condannandolo a 16 anni e 6 mesi di reclusione. Altri cinque manager dell'azienda (Marco Pucci, Gerald Priegnitz, Daniele Moroni, Raffaele Salerno e Cosimo Cafueri) sono stati condannati a pene che vanno da 13 anni e 6 mesi a 10 anni e 10 mesi. Il 28 febbraio 2013 la Corte d'assise d'appello modifica il giudizio di primo grado, non riconoscendo l'omicidio volontario, ma l'omicidio colposo, riducendo le pene ai manager dell'azienda: 10 anni a Herald Espenhahn, 7 anni per Gerald Priegnitz e Marco Pucci, 8 anni per Raffaele Salerno e Cosimo Cafueri, 9 per Daniele Moroni. Nella notte del 24 aprile 2014 la Suprema Corte di Cassazione ha confermato le colpe dei sei imputati e dell'azienda, ma ha ordinato un nuovo processo d'appello per ridefinire le pene. Queste non potranno aumentare rispetto a quelle definite nel 2013. La Corte d'Appello di Torino ha così ridefinito le pene il 29 maggio 2015: 9 anni ed 8 mesi a Espenhahn, 7 anni e 6 mesi a Moroni, 7 anni e 2 mesi a Salerno, 6 anni e 8 mesi a Cafueri, 6 anni e 3 mesi a Pucci e Priegnitz. Il 13 maggio 2016 la Cassazione ha confermato tutte le condanne ridefinite in Appello, non accogliendo le richieste del sostituto Procuratore Generale, Paola Filippi, la quale aveva chiesto di annullare la sentenza del 9 maggio 2015 per rimandare il procedimento in corte d'assise. Il 1º luglio 2008 i familiari più prossimi delle sette vittime accettarono l'accordo con l'azienda in merito al risarcimento del danno per una somma complessiva pari a 12.970.000 euro, rinunciando al diritto di costituirsi parte civile nel processo successivo. L'incidente ha causato la morte di sette degli otto operai coinvolti, deceduti tutti nel giro di 30 giorni dai fatti: Antonio Schiavone, 36 anni, deceduto il 6 dicembre 2007, nel luogo dell'incidente Roberto Scola, 32 anni, deceduto il 7 dicembre 2007 Angelo Laurino, 43 anni, deceduto il 7 dicembre 2007 Bruno Santino, 26 anni, deceduto il 7 dicembre 2007 Rocco Marzo, 54 anni, deceduto il 16 dicembre 2007 Rosario Rodinò, 26 anni, deceduto il 19 dicembre 2007 Giuseppe Demasi, 26 anni, deceduto il 30 dicembre 2007 Alle vittime è intitolata dal 2009 il Parco "Vittime del rogo del 6/12/2007 nello stabilimento Thyssenkrupp di Torino" che è una parte del Parco della Pellerina a nord della Dora Riparia (Lucento): esso si trova sul lato opposto all’acciaieria di corso Regina Margherita 400 La tragedia, corredata dai racconti inediti dei familiari delle vittime, è stata raccontata dallo scrittore torinese Stefano Peiretti nel libro "Non voglio morire. Torino 6 Dicembre 2007", edito da Echos Editore Il 6 dicembre 2020 al cimitero monumentale di Torino è stato consegnato alle famiglie delle vittime il Sacrario. Nel 2021 vi è stata la traslazione di 5 delle 7 salme delle vittime. Due famiglie hanno scelto di mantenere i congiunti nelle sepolture attuali, presso il cimitero Parco di Torino e presso il cimitero della città di Nichelino, ma potranno in ogni momento richiedere la traslazione delle salme al Memoriale. All'incidente è ispirato lo spettacolo teatrale "Acciaio Liquido" di Marco Di Stefano con la regia di Lara Franceschetti. La canzone "Torino Pausa Pranzo" dell'artista sardo Iosonouncane, contenuta nel suo primo album La macarena su Roma, è un tributo alle vittime dell'incidente Acciaierie di Terni ThyssenKrupp

Estratto dall'articolo di Wikipedia Incidente della ThyssenKrupp di Torino (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

Incidente della ThyssenKrupp di Torino
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Parco della Pellerina
Parco della Pellerina

Il Parco della Pellerina (ufficialmente Parco Carrara, La Pëlarin-a in piemontese) è il più grande parco urbano della città di Torino, con un'estensione di 837.220 m² (83,7 ettari). È collocato nella zona ovest della città tra il corso Regina Margherita a nord, il corso Appio Claudio a sud, via Pietro Cossa a ovest e corso Lecce a est. È attraversato dalla Dora Riparia e fa parte dei quartieri Lucento e Parella (incluso anche Campidoglio). Viene chiamato Parco della Pellerina da un'antica cascina, ubicata all'esterno del parco, per la precisione all'intersezione di corso Regina Margherita e via Pietro Cossa, che reca il nome di cascina della Pellerina (Cassin-a dla Pelarin-a in piemontese). Una possibile, ma interessante interpretazione del nome deriva dall'accostamento della dizione pellerina, abitualmente utilizzato per denominare gli edifici o i locali dove venivano giudicati ed esposti i debitori insolventi (vedi l'ala del Comune di Villafranca Piemonte che ne mantiene il nome), con la pietra della berlina o pera berlina dove venivano messi appunto alla berlina gli stessi soggetti. In Piemonte se ne trovano esempi numerosi. I debitori insolventi venivano esposti senza mutande, onde il detto "picchiare il culo per terra" per indicare i soggetti in rovina economica. Esiste un'altra possibile interpretazione: la cascina è situata lungo la strada che da Mont Saint Michel passa per la Sacra di San Michele in Val di Susa e termina al Santuario di San Michele Arcangelo, a Monte Sant'Angelo, conosciuta anche con il nome di "via di San Michele", il quale era un percorso frequentato da molti pellegrini e sembra che in questa località trovassero rifugio per la notte, prima di entrare in città. Di qui il nome del luogo, dove in seguito nacque la Cascina e "la Pellerina" sarebbe una contrazione del nome "la Pellegrina". Il parco è ufficialmente dedicato a Mario Carrara (1866-1937), antropologo dell'università di Torino, uno dei soli 12 docenti universitari su oltre 1.200 che rifiutarono il giuramento di fedeltà al fascismo, ma è più noto ai torinesi come Parco della Pellerina. Dal 2009 tutta la porzione del parco a nord della Dora è stata dedicata alla memoria dei sette operai torinesi deceduti nel rogo della linea 5 dello stabilimento ThyssenKrupp il 6 dicembre 2007. L'area dello stabilimento si trovava in corso Regina Margherita 400, proprio di fronte all'ingresso nord della Pellerina ed attualmente (2024), dopo la tragedia e la dismissione dello stabilimento, è ancora in attesa di una definitiva destinazione d'uso, nonostante dibattiti ed innumerevoli proposte. La prima idea del parco venne agli inizi del '900, ma soltanto negli anni 1930 incominciarono i lavori. La costruzione del parco continuò dopo il conflitto mondiale e ottenne la sistemazione attuale nei primi anni 1980. Il corso del fiume Dora Riparia all'interno del parco fu ampiamente modificato, rendendolo molto più lineare. Il parco è molto sfruttato dagli abitanti della città di Torino come luogo di passeggiate e di allenamenti podistici, specialmente nelle giornate festive. Al suo interno vi sono alcune strutture sportive, tra le quali una piscina, campi da calcio (sia di proprietà di società sportive e non), una pista di pattinaggio liberamente fruibile, una pista da BMX in terra battuta, campi da bocce e da tennis.Oltre agli immancabili servizi igienici e chioschi, nella parte sud-est del parco è collocata una caserma dell'Arma dei Carabinieri. Nella zona est invece, al confine con corso Lecce, sorge un piazzale sterrato, creato negli anni '30 con le macerie derivate dalla demolizione della vecchia via Roma, che frequentemente accoglie il luna park, specialmente durante il periodo di carnevale. Due laghi artificiali, di differenti dimensioni, ospitano una fauna acquatica rappresentata da numerose famiglie di germani reali, folaghe, gallinelle d'acqua e cigni. In una depressione in prossimità dei due laghi si è recentemente, a seguito dell'alluvione dell'ottobre 2000, formato uno stagno completamente naturale, l'unico del genere nella città di Torino. Si tratta di una zona umida di modesta profondità (max 80 cm), circondata da una corona di canne di palude e di tife a foglie strette . Tra la Dora e il Lago Grande, nella porzione nord, sorge la seicentesca cascina la Marchesa, che è la sede organizzativa della annuale maratona di Torino (Turin Marathon). Teatro di grandi concerti e spettacoli negli anni 80', del Festival Pellerossa dal 1994 al 1996 e del Traffic Festival negli anni 2000 con nomi di spicco come Beppe Grillo, Los Lobos, Joan Baez e Iggy Pop, ha avuto un declino negli ultimi dieci anni a causa della poca sicurezza notturna del parco e delle continue chiusure della piscina estiva. Parchi di Torino Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su parco della Pellerina Scheda del parco dal sito del comune di Torino, su comune.torino.it. URL consultato il 12 novembre 2014 (archiviato dall'url originale il 12 aprile 2010).

Lucento
Lucento

Lucento (Lusengh o Lusent in piemontese) è un quartiere della Circoscrizione 5 di Torino, situato nell'area periferica nord-ovest della città. Spesso è considerato come assimilato all'adiacente quartiere Vallette, in realtà i confini del quartiere sono: a sud, il tratto della Dora Riparia nel Parco della Pellerina e di Corso Regina Margherita tra il parco e Corso Potenza (confine con Parella della Circoscrizione 4) a nord, Corso Grosseto (confine con Madonna di Campagna) ad est, Corso Potenza (confine con Madonna di Campagna, Borgata Ceronda e San Donato) ad ovest, Via Cossa-Piazza Cirene-Via Sansovino (confine con le Vallette) Il quartiere in origine era un'area rurale in quanto periferico rispetto alla città di Torino. Sono documentati, nel territorio a occidente rispetto all'antico castrum, piccoli insediamenti di antichi romani della gens Avilia. Il primo toponimo Lucento invece, deriverebbe da un prediale del 1227, tal Guglielmo da Lucento; tuttavia, ipotesi più leggendarie lo farebbero derivare invece dal nome dello "scintillìo" delle baionette utilizzate durante lo storico assedio del 1706, che proprio in questa zona ebbe uno dei suoi teatri (teoria mai documentata).Nel XIV secolo poi, si sviluppò qui un antico castello (di proprietà della famiglia Beccuti), dotato di torri di avvistamento e di un borgo sottostante, poi inglobato dall'insediamento delle tenute di caccia di Emanuele Filiberto di Savoia nel XVI secolo, quindi ceduto a Filippo I d'Este dei San Martino, ramo cadetto degli Este, che ne fu proprietario fino al 1654. Oggi è sede di varie aziende all'interno del comprensorio di Via Pianezza, 123, vicino, appunto, alla Chiesa di S. Bernardo e S. Brigida.La suddetta Chiesa, che risale al XV secolo per volere dell'allora feudatario Ribaldino Beccuti, fu annessa al nascente castello e successivamente ampliata, prima nel 1605, e poi nel 1654 da Amedeo di Castellamonte. Il castello passò poi ai Tana, assoggettati agli stessi Savoia. Nel 1706, il quartiere fu teatro di battaglie tra le truppe francesi e quelle sabaude, queste ultime occupate a ritardare il noto assedio della città, bloccando i francesi da occidente: i combattimenti più duri si svolsero intorno al castello di Lucento ed all'area circostante, grazie alla posizione strategica del complesso, che venne incendiato durante la ritirata. Dopo l'assedio, il borgo si ricostituì con l'apertura della strada e della ferrovia verso Pianezza e verso Venaria Reale (1884 circa), con accessi viari provenienti dal podere della Cascina Bianchina (questa poi abbattuta per costruire le Ferriere FIAT-Vitali) di Parco Dora (Torino), creando nuovi agglomerati, quali Tetti di Lucento e, soprattutto, Borgata Ceronda. Questa borgata tra il fiume Dora Riparia, corso Svizzera, via Borgaro, via Verolengo e corso Potenza, sorse nel 1880-1884, per volere dei Signori Momigliano, a ridosso dell'omonimo canale artificiale, oggi non più esistente, che era a sua volta una diramazione del torrente Ceronda (torrente), che scorre più a nord (a Venaria Reale per poi sfociare nella Stura di Lanzo). Inizialmente, il borgo fu intestato al latifondista Adolfo Gastaldi, che lo rivendette al Comune nel 1889. Lo sviluppo urbano, dettato dalla nascita delle linee di collegamento per Pianezza, ovvero lo stradone e la tramvia a vapore, diedero lo slancio allo sviluppo produttivo e demografico, con l'apertura di nuove attività industriali verso la fine del XIX secolo, in particolare del settore tessile, come ad esempio l'opificio Marino-Paracchi, il cotonificio Italiano e il cotonificio Mazzonis, diedero alla zona una rapida espansione. Tale espansione urbana proseguì ancora grazie al boom industriale del XX secolo, a cui seguirono nuove case, infrastrutture e servizi. L'intero quartiere Lucento ebbe un picco demografico di immigrazione interna verso gli anni cinquanta, avvenuta parimenti al vicino quartiere Le Vallette. Nel 1992 inoltre, fu costruita la parrocchia Frassati, che dà il nome all'omonima Borgata a sud di Piazza Cirene. Il boom edilizio del quartiere continuò fino agli novanta, dove però molte fabbriche chiusero, per cui il quartiere da industriale divenne residenziale. Ancora oggi è ben visibile, nel verde dello storico castello, la vecchia ciminiera delle acciaierie, che svetta a 60 metri d'altezza come ricordo di un passato industriale. Di tale passato rimane ancora visibile tutta l'area industriale dietro via Pittara, compresa l'ex-acciaieria posta più a sud, a ridosso di Corso Regina Margherita, la Thyssenkrupp-Acciai Speciali Terni, che fu dismessa dopo il tragico incendio del 6 dicembre 2007. Nel tentativo di far fronte all'imponente esodo nel secondo dopoguerra dei profughi provenienti dalla Istria, dalla Dalmazia e dalle città di Fiume e di Pola, nel 1953 il Comune di Torino donò all'Istituto Case Popolari un ampio terreno tra le attuali Vie Parenzo, Via Pirano e Corso Cincinnato. Nel 1954 iniziarono i lavori di costruzione delle abitazioni, terminati nell'estate del 1955, con successivo trasferimento di famiglie provenienti dalle cosiddette "Casermette di Borgo San Paolo" (in realtà, oggi nel quartiere Mirafiori Nord) e dalla frazione Altessano di Venaria Reale. L'area fu chiamata "Santa Caterina", per via della coeva parrocchia di Via Sansovino, 85, dedicata a Santa Caterina da Siena. Nel 1959 vi fu un ulteriore ampliamento del rione abitativo, col raggiungimento dell'attuale condizione di ben undici fabbricati. L'isolamento dei primi anni fu successivamente assorbito dallo sviluppo edilizio degli anni sessanta, rendendo così il "villaggio" pienamente inserito nel tessuto metropolitano. Una targa è stata posta dal Comune di Torino nel 2005, in occasione del cinquantenario dell'evento, per ricordare le vicende degli abitanti di questa zona residenziale. Chiesa di San Bernardo e Brigida: la prima cappella fu costruita nel '400, ad opera dei contadini che abitavano quello che ancora era solo un villaggio, ma fu solo nel 1610 che venne costruita la prima chiesa, poi ampliata nel 1654 da Amedeo di Castellamonte, quindi parzialmente distrutta dall'assedio francese del 1706. Fu ricostruita nel 1884 nelle dimensioni attuali. Castello di Lucento: come già detto, la precedente struttura risale al XIV secolo come proprietà Beccuti, ma fu poi Emanuele Filiberto di Savoia nel XVI secolo a volerlo come piccola sede di residenza di caccia, vicino alla Chiesa di S. Bernardo e S. Brigida, quindi utilizzato come filatoio di seta, poi sede dell'"Istituto Bonafous" e ancora dalla ex azienda Teksid, quindi riqualificato come attuale sede di aziende. Stele e scultura commemorativa ai caduti del 1706: di fianco alla Chiesa, in via Foglizzo 4, una piccola stele in pietra commemora i caduti durante l'assedio del 1706, opera di Luigi Calderini nel bicentenario della commemorazione. Nel 2006 invece, per il terzo centenario dall'assedio, fu collocata anche una grande scultura in acciaio in via Foglizzo all'angolo via Pianezza, con la scritta 1706, opera di Luigi Nervo. Asilo Principessa Isabella: costruito nella metà dell'Ottocento, l'edificio ospitò dal 1879 fino al 1980 una scuola materna. Ha funzionato come sede dei laboratori teatrali e musicali fino al 1987 quando viene chiuso per inagibilità: sino alla fine degli anni novanta resta inagibile finché viene restaurato ed infine riqualificato come centro culturale e congressi. Castello Saffarone: situato in Corso Regina Margherita 497, segna gli estremi confini ovest di Torino. Prende il nome dall'antico proprietario del 1580, tal Marco Zaffarone, e comprende una grande tenuta con tre cascinali adiacenti. Viene ancor oggi utilizzato per grandi ricevimenti. Numerose sono le aree verdi del quartiere : la principale è il Parco Carrara, più comunemente chiamato Pellerina, il parco più grande di Torino, e che viene condiviso col vicino quartiere Parella, diviso dal passaggio e dalle anse del fiume Dora Riparia. Altra area importante è il parco di via Calabria, adiacente a quello della Pellerina e ad esso collegato da una pista ciclabile, recentemente prolungata a nord lungo Corso Cincinnato fino a piazza Giuseppe Manno, congiungendosi ad altro percorso ciclabile che porta sino a Venaria Reale ed al Parco naturale La Mandria, passando per la frazione di Altessano. Altra zona semi-boschiva e rurale è quella situata intorno al Castello di Lucento, seppur non aperta al pubblico.Vi sono inoltre i Giardini Felice Cavallotti, tra Corso Toscana e Strada Altessano ed altre piccole aree verdi sparse sul territorio. Più a nord-est, Lucento confina con il parco e il quartiere de "Le Vallette". A.C.D. Lucento, storica squadra di calcio dilettantistica torinese militante nel campionato di Eccellenza (nel 2014 salita alla ribalta delle cronache sportive per aver sconfitto la Juventus in occasione di un'amichevole estiva) con sede presso il piccolo stadio Riconda di C.so Lombardia 107. Adiacente alla struttura c'è anche la piscina comunale del quartiere Campus Sociale per ragazzi in Piazza Cirene Campo di Tennis in via Valdellatorre 169 Biblioteca civica "Francesco Cognasso", in corso Cincinnato angolo corso Molise. In Corso Lombardia, 190 ha sede lo storico stabilimento cinematografico italiano Lumiq Studios, proprietà pubblica posseduta da Comune di Torino, Regione Piemonte, Città metropolitana di Torino, Politecnico di Torino ed Università di Torino, nell'area di Virtual Reality Multimedia Spa, ossia presso i vecchi Studi Fert. Essa produce cartoni animati CGI e film in live action. Inoltre fornisce servizi tramite i propri teatri di posa e l'attività di post produzione e digital intermediate. In via Bravin, nonostante già sotto il vicino quartiere Madonna di Campagna, esiste ancora l'edificio dello storico Cinema Lucento, attivo dal 1937 al 1983 e oggi sede di un supermercato. Sul muro, anche una lapide che ricorda il partigiano Mario Roveri, qui ucciso dai fascisti il 7 aprile 1945. Le vie commerciali di Lucento sono: via Pianezza, via Borsi, corso Toscana, via Foglizzo, la continuazione verso Venaria di via Foglizzo che dopo corso Toscana cambia nome in strada Altessano, corso Lombardia, via Luini e via Val della Torre. Il quartiere è servito dalle linee tranviarie 3 e 9 e dai bus 2, 11, 29, 32, 59,62,72, 72/, 75, 77 ve1 e dalla Ferrovia Torino-Ceres e da alcune autolinee della rete urbana gestita da GTT. Tra il 1884 e il 1951 il quartiere fu servito dalle tranvie interurbane per Pianezza/Druento e per Venaria Reale. J-Museum J-Village Juventus Stadium Juventus Training Center (Torino) Enrico Bonasso, Lucento. Vallette e Ceronda, Graphot Editrice, 2018, ISBN 978-88-99781-29-3. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Lucento Città di Torino - Circoscrizione 5 - Home, su comune.torino.it. URL consultato il 25 maggio 2011 (archiviato dall'url originale il 3 dicembre 2008). A.C.D. Lucento, su lucentocalcio.it. URL consultato l'11 settembre 2014 (archiviato dall'url originale l'11 settembre 2014).

Villa Arduino
Villa Arduino

Villa Arduino (anche nota come Palazzotto Arduino e, impropriamente, come la Villa di Macario) è un edificio storico di Torino, considerato uno degli ultimi e forse più interessanti esempi di dimora in stile neogotico presenti in città. Situata nel quartiere Parella e nel sotto-quartiere Campidoglio, Villa Arduino sorge in una zona prettamente residenziale a poca distanza dalla Pellerina. Tra l'Ottocento e il Novecento la città di Torino fu epicentro di un'intensa attività edilizia prevalentemente orientata allo stile Liberty. Parallelamente al naturalismo esasperato di questo stile architettonico si sviluppò la corrente del Neogotico di cui, oltre alla chiesa di Gesù Nazareno, gli esempi più eminenti di tale contaminazione in città sono alcune residenze private del quartiere Crocetta, della collina e la celebre Casa della Vittoria che sorse sul vicino corso Francia nel 1924. Nel 1928 il cavalier Giuseppe Arduino, ambizioso imprenditore edìle torinese, ebbe l'idea di commissionare all'architetto Paolo Napione, già autore del Teatro Alfa, un edificio adatto a ospitare la sede della sua azienda e, contemporaneamente, la propria dimora. Fu così che nacque il progetto di Villa Arduino, considerata uno degli ultimi esempi di gusto eclettico e neogotico a fronte dell’incalzante incedere dell'architettura razionalista che ha caratterizzato il decennio compreso tra gli anni trenta e gli anni quaranta del Novecento. L'edificio, fortemente voluto dal cavalier Arduino, fu realizzato su uno dei lotti di terreno di sua proprietà, un appezzamento oltre l'agglomerato urbano dell’epoca e adiacente ai vari altri limitrofi su cui, negli anni successivi, sorsero gli edifici condominiali pluripiano in chiaro stile razionalista realizzati proprio dalla stessa impresa edìle del cavalier Arduino. Nel corso dei decenni successivi Villa Arduino è stata erroneamente identificata come la residenza di Erminio Macario, il celebre attore comico torinese nato nel 1902, alimentando una sorta di leggenda metropolitana del tutto priva di fondamento. Questa diceria popolare è stata smentita ufficialmente molte volte poiché il noto attore, infatti, abitò in un grande appartamento in via Santa Teresa 10, proprio sopra il teatro "La Bomboniera" che aveva fatto costruire per mettere in scena alcuni suoi spettacoli di varietà. Un'altra credenza comune vorrebbe che Macario abbia abitato poco distante, presso Villa Gibellino nella vicina via Sismonda 18, ma anche questa notizia non è documentata. L'unico ospite illustre che ha risieduto per un breve periodo nella zona pare essere stato Michel de Notredame; secondo alcune testimonianze storiche, si afferma che il celebre Nostradamus soggiornò tra il 1556 e il 1562 come ospite presso la cosiddetta Domus Victoria, in seguito ribattezzata Cascina Morozzo, edificio poi demolito negli anni sessanta del Novecento. Nel corso degli anni Villa Arduino ha avuto più proprietari ed attualmente è una residenza privata. Dal 2010 l'edificio è sottoposto a provvedimento di tutela ai sensi del codice dei Beni Culturali con D.D.R. 27/10/2008. L'edificio a pianta angolare si sviluppa su quattro piani fuori terra e sorge sull'asse di corso Lecce, in corrispondenza dell’incrocio con via Michele Lessona. Villa Arduino, che nel progetto originario presentava facciate più movimentate, sfrutta strategicamente la posizione angolare per evidenziare il suo imponente ingresso padronale composto da un primo volume che avanza sino a filo strada e ingloba un portale d'accesso caratterizzato da un portico con due archi laterali che fiancheggiano un grande arco a tutto sesto che conduce all'ingresso principale dell'edificio. Il portico è sormontato da un ampio terrazzo al primo piano con balaustra in litocemento e dal volume principale più caratterizzante, ovvero una sorta di dongione dai chiari stilemi neogotici con balconi al secondo piano e un loggiato al terzo, costituito da ampie trifore su ciascun lato, con archi a tutto sesto e coppie di colonne binate. Attorno a questo principale corpo angolare si articolano le due ali laterali dell’edificio, le cui facciate sono interamente percorse da un ciclo di affreschi e da un rivestimento che alterna a contrasto il mattone a vista con l'ocra degli elementi del ricco apparato decorativo costituito da decori fitomorfi, zoomorfi, allegorie e riferimenti araldici realizzati in litocemento. Entrambe le ali laterali dell'edificio ospitano un vialetto con un'aiuola piantumata antistante e sono costituite da due piani a struttura mista di muratura e cemento armato, con parziali sopraelevazioni che ospitano il secondo e terzo piano, le cui facciate sono caratterizzate da una variegata alternanza di bifore, trifore, loggiati, archi, finestre con arco a sesto acuto e archi a tutto sesto, compresi i due archi strombati del dongione e quello principale, che affaccia sul terrazzo sopra il portale di ingresso angolare. L’edificio prevede a sinistra dell’ingresso pedonale e del passo carrabile presenti al civico 14 di via Michele Lessona, l’appartamento del custode. Alla sua destra vi è l'ala dell'edificio caratterizzata da un portico con volte a crociera e archi a tutto sesto, di cui uno costituisce il varco carrabile che conduce all'ampia corte interna, dove trovano posto un magazzino e un’autorimessa. Il piano superiore, sovrastato da pinnacoli e da un'ulteriore torre con un loggiato che affaccia sulla corte interna, era invece originariamente destinato interamente all’abitazione della famiglia Arduino. Il modulo laterale affacciato su corso Lecce, invece, appare più omogeneo, con una struttura quadrangolare costituita da prospetti più regolari e austeri, caratterizzati da finestre a sesto acuto per l'ultimo piano, bovindi, un grande affresco e un arco cieco a sesto acuto che contiene un'ampia vetrata a quadrifora al primo piano, che affaccia su un ulteriore terrazzo. Quest'ala dell'edificio ospitava originariamente gli uffici del cavalier Arduino con gli annessi locali per i disegnatori, la segreteria e l’amministrazione. Su questo stesso lato è presente un secondo accesso pedonale a filo strada sovrastato da un'edicola in muratura riportante tipiche decorazioni neogotiche, che conduce all'ingresso originariamente destinato agli uffici. Nel 1940 venne realizzata una recinzione in litocemento in sostituzione dell’originale cancellata in ferro battuto, smantellata per donare alla patria il metallo per fini bellici. Essa è stata demolita nel 1960 e nuovamente sostituita con una stilisticamente più coerente. Tuttavia i ferri battuti originali superstiti si ritrovano nel cancello principale e in quelli degli accessi pedonali, che riportano un decoro piuttosto fitto ed elaborato. A completamento della decorazione, vi sono alcuni ferri battuti di elaborata fattura anche sulla cima del dongione angolare, dove svetta un segnavento, e sulle falde di copertura dei moduli più alti, nonché sullo stipite dell'accesso angolare principale, dove si trovano affisse due targhe metalliche recanti la dicitura "Palazzotto Arduino" in caratteri gotici a rilievo. M1 Metropolitana, fermate: Rivoli, Racconigi. Bus 71, 2 AA. VV., 1928-1929, Guida di Torino, Torino, Paravia, 1928. AA.VV., Beni culturali ambientali nel Comune di Torino, Torino, Politecnico di Torino Dipartimento Casa-Città, Società degli Ingegneri e degli Architetti in Torino, 1984, ISBN non esistente. B. Coda N., R. Fraternali, C. L. Ostorero, 2017, Torino Liberty. 10 passeggiate nei quartieri della città., Torino, Edizioni del Capricorno, 2017, ISBN 978-88-7707-327-3. M. Leva Pistoi, Mezzo secolo di architettura 1865-1915. Dalle suggestioni post-risorgimentali ai fermenti del nuovo secolo, Torino, Tipografia Torinese, 1969, ISBN non esistente. G. M. Ferretto, Dante e Nostradamus. L'enigma della lapide di Torino, Treviso, Edizioni G.M.F., 2001. Liberty a Torino Casa della Vittoria Ville e palazzi di Torino Luoghi d'interesse a Torino Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Villa Arduino Villa Arduino, su museotorino.it.

Vallette
Vallette

Le Vallette (Valëtte in piemontese) sono un quartiere della Circoscrizione 5 di Torino, situato nell'estrema periferia nord-ovest della città. Spesso viene assimilato insieme al vicino quartiere di Lucento, posto più a est. Più precisamente, il quartiere è delimitato: a sud confina con Corso Regina Margherita (quartiere Parella) verso nord la zona termina lungo Via Druento (confine con il comune di Venaria Reale) a est confina con Strada Altessano (quartiere Madonna di Campagna) e Via Cossa-Piazza Cirene-Via Sansovino (quartiere Lucento) a ovest da via delle Primule, estendendosi fino ai confini agresti della città il quartiere confina con la frazione Savonera di Collegno, separato dall'autostrada tangenziale nord. La storia delle Vallette s'intreccia tendenzialmente con il più antico quartiere di Lucento. Il toponimo è di origine incerta: le prime fonti storiche sono quelle di un insediamento romano di origine patrizia della famiglia d'Aviglia che, nel basso Medioevo, venne ritrasformata e ribattezzata lungo un'antica strada chiamata ad Valletas, indicando probabilmente un piccolo avvallamento del territorio più a occidente, e per il quale la cascina venne quindi chiamata Ad Valletas di Aviglio. Successivamente la cascina divenne un rudere, e fu quindi sostituita da un'altra cascina nel 1634, ribattezzata semplicemente Le Vallette, ed ancor oggi esistente in Via dei Ciclamini, 5. Tutta la zona poi, rimase prettamente rurale per lunghissimo tempo, come prolungamento della stessa tenuta sabauda di Lucento: testimoni di questo periodo i ruderi della Grangia di Giacomo Ferroglio, meglio conosciuta come Cascina Bianco, i cui resti sono ancor oggi presenti tra i giardini di via Parenzo e Corso Cincinnato, oltre che i ruderi della Cascina Mineur, il Cascinotto e le antiche abitazioni di Tetti Basse di Dora. Tra la fine degli anni cinquanta e i primi anni sessanta del XX secolo, iniziò a delinearsi il profilo urbano di quartiere operaio, sotto la spinta della grande migrazione dalle regioni dell'Italia meridionale. Il piano urbanistico fu elaborato nel 1957 dall'ing. Gino Levi-Montalcini, insieme agli architetti Nello Renacco, Aldo Rizzotti, Gianfranco Fasana, Nicola Grassi e Amilcare Raineri. I lavori iniziarono nel 1958, le prime case furono consegnate nel novembre 1961, mentre le ultime abitazioni vennero consegnate nell'anno 1968, per ritardi nelle costruzioni e vari intoppi burocratici. Questo fu uno dei principali esempi dei piani previsti nel secondo settennato dell'INA-Casa. Coordinato dalla Commissione per l'Edilizia Popolare (CEP) ed appaltato dall'Istituto Autonomo per le Case Popolari (IACP), l'intervento previde la realizzazione di 16.500 vani su una superficie di 71 ettari, divisa in 12 lotti, su cui si alternarono blocchi residenziali a spazi per servizi e verde pubblico, per un totale di ventimila abitanti previsti a regime. Il complesso edificato presentò eterogeneità tra i vari lotti, dalle case a schiera di sei-sette piani tra corso Ferrara e via delle Pervinche (Gino Levi-Montalcini, Felice Bardelli, Carlo Angelo Ceresa, Domenico Morelli, Mario Passanti, F. Vaudetti) a quelle con ampie corti interne e tetti a falde sporgenti nella zona tra via delle Primule e viale dei Mughetti (Augusto Cavallari Murat, Roberto Gabetti, Aimaro Isola, Giorgio Raineri). Tuttavia, la scelta di una zona lontana dal centro e posta ai confini estremi della città sollevò molte polemiche ed opinioni contrastanti in Consiglio comunale, con molti che videro nel neonato quartiere l'occasione per le ipotesi di segregazione sociale, ghettizzazione, alienazione ed estraneità delle popolazioni allora migranti in Torino. Sul finire degli anni novanta la piazza centrale, dedicata a Eugenio Montale, fu oggetto di un intervento di riqualificazione da parte della città, con l'importante recupero del teatro parrocchiale e della zona pedonale antistante. Oggi la zona Vallette rimane un quartiere periferico e residenziale che però può vantare molteplici viali alberati e varie aree verdi, quali: Giardini "Felice Cavallotti" di Corso Toscana angolo Corso Cincinnato Parco "Vittime delle Foibe" su Corso Grosseto, con a fianco la Cascina Cavaliera, chiamata così perché edificata dal Cavalier General d'Envie nel XVIII secolo il grande parco "Le Vallette", lungo via dei Gladioli e via Pianezza, con annessa pista ciclabile l'area verde di Piazza Giuseppe Pollarolo, con presenza di giochi ed attrezzature sportive, ampiamente rinnovate nel 2018 l'area verde più grande rimane, ovviamente, il Parco della Pellerina, oltre il Corso Regina Margherita Nel quartiere si accesero varie polemiche e manifestazioni popolari quando, negli anni settanta, fu costruita la vasta discarica per gran parte dei rifiuti della città, nella zona detta di Barricalla-Cascina Gay, ai confini con la vicina frazione Savonera di Collegno. A tali polemiche, nel 2012 si aggiunse ancora la costruzione dell'adiacente nuova centrale elettrica e teleriscaldamento Iren per il nord-città: tuttavia, nel 2015 furono abbattute le due ciminiere della vecchia centrale di Strada Pianezza, con la riconversione dell'intera area in spazio verde, ed i cui lavori furono terminati nel maggio 2016, con l'inaugurazione da parte delle autorità cittadine. Verso nord, al di là del Corso Ferrara, nella zona detta Continassa, fu costruito (1990) lo Stadio delle Alpi, poi sostituito in toto (2011) dallo Juventus Stadium, quindi il J-Museum, il PalaTorino (o Mazda Palace o PalaStampa), il centro commerciale Area12 Shopping Center, l'Arena Rock, l'area dell'ex-mattatoio di Via Traves (1950-1975), quindi il mercato ittico di Corso Ferrara. Nel 1995, sul Viale dei Mughetti, fu eretta la nuova sede dei Giudici di Pace della città di Torino, mentre in Via Pianezza interno 300, oggi Via Maria Adelaide Aglietta, agli inizi degli ottanta fu costruito il nuovo complesso carcerario - Casa Circondariale "Le Vallette" -, che sostituì le carceri di Torino (le cosiddette "Nuove"), precedentemente collocate nel quartiere torinese di Cenisia. Dal 2011, la Casa Circondariale fu intitolata agli agenti di polizia penitenziaria torinese Giuseppe Lorusso e Lorenzo Cotugno, entrambi uccisi in agguati dai terroristi, rispettivamente nel gennaio 1979 e nell'aprile 1978. Molti dei concerti che Torino ospitò furono accolti nelle strutture della zona settentrionale del quartiere, detta Continassa, a partire dal PalaStampa (oggi in disuso), quindi lo stadio delle Alpi (poi demolito per lasciare spazio all'odierno Juventus Stadium), per finire con l'Arena Rock (ex Mattatoio di Via Traves). La zona Vallette è raggiungibile con la linea tram 3, inaugurata non senza molteplici polemiche ed accesi dibattiti con i residenti nell'ottobre 1987, su percorso protetto lungo tutto il rettilineo di Corso Toscana e successivamente di viale dei Mughetti, scavalcato da tre ponti pedonali e con capolinea nel piazzale Vallette, e con le seguenti linee di Bus e tram: 9/tram (esercita solo in concomitanza di manifestazioni allo Juventus Stadium) 29 bus 32 bus suburbano 59 bus suburbano 62 bus urbano 72 e 72/ bus suburbano 75 VE1 I tre sovrappassi pedonali, fortemente degradati dal tempo e dalle intemperie, sono stati chiusi per motivi di sicurezza nel 2017 e definitivamente abbattuti nel marzo 2019, su decisione del Comune di Torino, mutando definitivamente il volto ed il panorama del quartiere. J-Museum J-Village Juventus Stadium Juventus Training Center (Torino) Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Vallette Sito ufficiale della Circoscrizione 5, su comune.torino.it. URL consultato il 16 dicembre 2007 (archiviato dall'url originale il 3 dicembre 2008). Sito ufficiale del centro commerciale Area12 Shopping Center, su area12.to.it.

Sacrario del Martinetto
Sacrario del Martinetto

Il Sacrario del Martinetto si trova a Torino in corso Svizzera angolo corso Appio Claudio ed è l'unica parte sopravvissuta del poligono di tiro della città. Sorge sul luogo dove, tra il settembre del 1943 e l'aprile del 1945, furono eseguite molte condanne a morte di partigiani e oppositori politici. Nel 1883 il Comune di Torino costruì nella zona dove oggi si trova il Sacrario il nuovo campo di tiro del Martinetto e lo affidò alla Società del tiro a segno nazionale. Il complesso era rettangolare, cinto da alte mura e si estendeva su una superficie lunga 400 metri e larga 120 al termine di Corso Regina Margherita. Dopo l'annuncio dell'armistizio, l'8 settembre 1943, e la nascita della Repubblica Sociale Italiana, il poligono fu usato come luogo per le fucilazioni. Vi trovarono la morte oltre 60 partigiani. Le esecuzioni avvenivano seguendo un preciso rituale: i condannati, di solito reclusi nel carcere "Le Nuove", venivano ammanettati e portati all'alba presso il poligono, dove militi fascisti li attendevano; una volta arrivati, venivano legati alle sedie con le spalle rivolte al plotone d'esecuzione; seguivano la benedizione del cappellano, la lettura della sentenza e infine la fucilazione. Il 5 aprile 1944 avvenne la fucilazione degli otto componenti del primo Comitato militare piemontese del CLN, catturati grazie ad una delazione. Si trattava di Giuseppe Perotti, Franco Balbis, Eusebio Giambone, Paolo Braccini, Enrico Giachino, Giulio Biglieri, Massimo Montano, Quinto Bevilacqua. Ancora in periodo clandestino il CLN dichiarò di volerlo considerare un luogo sacro e il 21 marzo del 1945 la proposta di farne un monumento nazionale venne approvata all'unanimità. L'8 luglio del 1945 con una solenne e partecipata cerimonia che vide la partecipazione del sindaco Giovanni Roveda, del vescovo Maurilio Fossati e del ministro Giuseppe Romita venne apposta e scoperta una lapide, che riporta i nomi di 59 fucilati, senza date e con l'indicazione della professione, così come era uso in quei primi anni del dopoguerra anche per le lapidi che il Comune poneva nelle vie e nelle piazze di Torino in ricordo dei caduti della Resistenza. Franco Antonicelli, allora presidente del Cln piemontese, tenne l'orazione ufficiale e fece riferimento a un elenco di 61 caduti riportato nel documento Elenco detenuti giustiziati al Martinetto. Nel 1950 Franco Antonicelli, Andrea Guglielminetti e Pier Luigi Passoni ottennero che il luogo fosse riconosciuto d'interesse nazionale e posto sotto vincolo. Nel 1951 il poligono fu definitivamente trasferito alle Basse di Stura. La sistemazione attuale risale al 1967, quando venne conservato il recinto delle esecuzioni, dove si trovano un cippo, la lapide con i nomi dei fucilati e una teca contenente i resti di una delle sedie usata per le fucilazioni. Il sacrario è circondato da un giardino, mentre sull'area in cui si sviluppava la struttura precedente vennero edificati nuovi palazzi destinati a abitazioni civili. Il luogo è il principale monumento cittadino della Resistenza, sede di una commemorazione civica che si svolge ogni anno il 5 aprile, anniversario dell'esecuzione degli otto componenti del primo Comitato militare piemontese. Storia di Torino Resistenza Italiana Museo diffuso della Resistenza Museo del carcere "Le Nuove" Caserma "La Marmora" (Torino) Albergo nazionale Comitato di Liberazione Nazionale Piazza C.L.N. Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea "Giorgio Agosti" Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Sacrario del Martinetto Museo diffuso della Resistenza - scheda sul sacrario del Martinetto, su museodiffusotorino.it. URL consultato il 20 novembre 2022 (archiviato dall'url originale il 13 aprile 2013). istoreto.it - storia del Martinetto, su istoreto.it. Il Sacrario del Martinetto, su comune.torino.it. URL consultato il 6 gennaio 2023. ancr.to.it. anpi.it.

Villa La Tesoriera
Villa La Tesoriera

La Villa La Tesoriera, così nota come abbreviazione di Villa Sartirana detta La Tesoriera, è una settecentesca villa barocca torinese che sorge nel quartiere Parella sito nella Circoscrizione 4. L'ingresso principale della villa è in Corso Francia ed è circondata da un vasto parco aperto al pubblico: il Parco della Tesoriera, anche noto in piemontese come Giardin dël Diav. L'area verde ospita il maggior albero per dimensione della città, un platano con circonferenza del tronco pari a 660 cm, a petto d'uomo; piantato nel corso del XVIII secolo, si tratta altresì del più antico albero di Torino. Il giardino conserva anche una pregevole statua di Vittorio Emanuele II, raffigurato in una scena di vita privata dallo scultore siciliano Ettore Ximenes. La villa è chiamata La Tesoriera poiché fu costruita per il Consigliere di Stato e tesoriere generale dello Stato sabaudo di qua dai Monti, Aymo Ferrero di Cocconato (nato a Racconigi, circa 1663 - morto a Torino, il 25 dicembre 1718) che aveva acquistato nel 1713 i terreni sui quali sorge la costruzione. L'architetto cui venne affidato l'incarico dell'edificazione fu Jacopo Maggi, che s'ispirò allo stile di Guarino Guarini. Il Ferrero, già possessore di modesti diritti di giurisdizionali (ad esempio nel feudo di Cavoretto) aveva acquistato parte del feudo di Cocconato dai fratelli Carlo e Francesco Boetti nel 1697. L'inaugurazione della villa avvenne nel 1715 alla presenza di Vittorio Amedeo II e della corte. Aymo Ferrero morì nel 1718 e complesse vicissitudini finanziarie coinvolsero la seconda moglie ed erede universale, Clara Teresa Gay (in prime nozze Aymo aveva sposato Giovanna Maria Battista Cisaletti, ma da entrambi i matrimoni non aveva avuto discendenti) che fu costretta a vendere la villa, acquistata dal marchese Ghiron Roberto Asinari di San Marzano, il quale la cedette dopo non molti anni all'avvocato Bonaudi. La parabola ascensionale dei Ferrero di Cocconato (che erano ramo di una tra le più antiche e influenti famiglie di Carignano) volgeva al termine (anche il fratello di Aymo, Emanuele Filiberto, tesoriere della Città di Torino e del Monte di San Giovanni Battista ebbe in quel periodo alcune disavventure finanziarie) e la villa stessa visse momenti di parziale decadenza. Così Amedeo Grossi descriveva la villa diversi anni dopo la sua costruzione, nel 1790: «La Tesorera villa, e cascina del signor Avvocato Casimiro Donaudi [è] situata lungo, ed alla destra dello stradone di Rivoli distante un miglio da Torino. Avanti il palazzo èvvi un filare d'olmi a tre ordini con un grande rastello di ferro, che la chiude verso lo stradone; quindi altri tre rastelli frammezzati da tre ben architettati pilastri, che separa il filare dal cortile; il suddetto palazzo è il più bello, che vi sia lungo lo stradone di Rivoli tutto in architettura, con un bel salone, e magnifici appartamenti». Al piano terreno vi erano stanze con volte decorate il cui accesso avveniva attraverso un ingresso a galleria che collegava i due fronti. Il primo piano era occupato dal grande salone d'onore dedicato a Vittorio Amedeo II con quattro sale di contorno. I due piani erano collegati da una doppia scala simmetrica che verrà in seguito demolita e sostituita da uno scalone laterale. Intorno, il paesaggio era costituito da campi, prati, dal braccio della bealera Porta, dalle vicine cascine Rolando, il Marino, Sant'Antonio. Nel corso dell'occupazione francese del Piemonte (1797-1814) la villa conobbe un periodo di decadenza e la cascina fu adibita a caserma dagli occupanti francesi. Nel 1806 venne acquistata da un avvocato, certo Leovigildo Massa, che tuttavia la rivendette nel 1812 ad altro privato. Nel 1825 venne acquistata dall'agente di cambio Agostino Fontana. Nel 1840 il catasto Rabbini non rilevò variazioni planimetriche. Alcuni anni più tardi, nel 1869, l'edificio e la tenuta vennero acquistati dal marchese Ferdinando Arborio Gattinara di Sartirana e Breme, senatore del Regno e famoso entomologo, che apportò numerose modifiche sia alla villa sia al parco: fu costruita la manica est con un nuovo scalone d'accesso al piano superiore e i due piani furono occupati da un museo di ornitologia. La cappella originaria venne adibita ad altri usi e ne fu edificata una nuova nei pressi del rustico, mentre i giardini furono trasformati con disegno di gusto pittorico. Nel 1934 l'edificio fu acquistato da Amedeo di Savoia-Aosta, il quale provvide all'erezione dell'ala ovest su progetto dell'architetto Giovanni Ricci: due piani fuori terra e camere di piccole dimensioni con una scala di collegamento. Nel 1962 la Villa venne venduta alla Compagnia di Gesù, che l'adibì a sede del suo Istituto sociale, sistema di scuole parificate elementari, medie inferiori, licei classico e scientifico in Torino. Acquistata dal Comune di Torino nel 1971, rimase a disposizione dei Gesuiti fino al 1975, quando fu definitivamente lasciata al Comune. Appartiene al Sistema bibliotecario urbano della Città di Torino. Attualmente l'edificio è adibito a biblioteca musicale e a sede rappresentativa comunale. È intitolata al musicologo e critico musicale Andrea Della Corte, del quale conserva la biblioteca e l'archivio personale. Studiosi, studenti e appassionati di musica, in particolare di musica classica, trovano in questa biblioteca ricche collezioni di libretti d'opera, di saggistica musicale, dischi e CD e un'interessante sezione di manoscritti e documenti iconografici. La Biblioteca accoglie inoltre un'ampia documentazione sulla danza e le arti coreutiche, grazie anche alle raccolte già facenti parte del Centro per la danza (documentazione e ricerca) e successivamente integrate nelle sue collezioni. Giovanni Lorenzo Amedeo Grossi, Pratica dell'estimatore compilata dall'architetto Amedeo Grossi con cui si dà un chiaro ragguaglio del valore de' materiali, la quantità d'essi, e fatture che si richiedono per la costruzione d'un edificio si civile, che rustico..., Torino, dalla Stamperia di Giuseppe Davico librajo in Dora grossa, 1790 Giovanni Lorenzo Amedeo Grossi, Guida alle cascine, e vigne del territorio di Torino e contorni (con aggiunta dell'indice dei nomi a cura di Elisa Rossi Gribaudi), Torino, Bottega d'Erasmo, 1968 (Ripr. facs. dell'ed.: Torino, 1790-1791) Giovanni Lorenzo Amedeo Grossi, Carta corografica dimostrativa del territorio di Torino, appartenente alla "Guida alle cascine e vigne del territorio di Torino", stampata a Torino nel 1791, Torino, Bottega d'Erasmo, 1968 (Ripr. facs. dell'ed.: Torino, 1790-1791) Antonio Rabbini, Elenco dei nomi dei proprietarii delle cascine, ville e fabbriche designate sulla carta topografica della Città, territorio di Torino e suoi contorni, Torino, Maggi, 1840 Giovanni Ricci, Alcune notizie intorno alla Tesoriera e ai suoi recenti restauri, in «Bollettino storico-bibliografico subalpino», 1941 Giovanni Ricci, Una villa settecentesca alle porte di Torino, in «Atti e rassegna tecnica della Società degli ingegneri e degli architetti in Torino, nuova serie, anno V, n. 8, agosto 1951». pp. 239-241 Augusto Pedrini, Ville dei secoli XVII e XVIII in Piemonte, Torino, Dagnino, 1965 Elisa Gribaudi Rossi, Cascine e ville della pianura torinese: briciole di storia torinese rispolverate nei solai delle ville e nei granai delle cascine, Torino, Le bouquiniste, 1970 Torino. Assessorato al Patrimonio e alle Opere Pubbliche. Restauro e riuso del patrimonio edilizio comunale di Torino (1975-1980), Torino, Assessorato al Patrimonio e alle Opere Pubbliche, [198.] (Già pubbl. in: «Atti e rassegna tecnica», 1980, n. 3/4, p. 107-118) Gustavo Mola di Nomaglio, Aymo Ferrero di Cocconato e "la Tesoriera" di Torino, Torino, Centro studi piemontesi, 1985 (Estratto da: «Studi piemontesi», XIV (1985), n. 2, p. 302-314) Chiara Ronchetta, Laura Palmucci (a cura di), Cascine a Torino: la più bella prospettiva d'Europa per l'occhio di un coltivatore, Torino, Camera di commercio, industria, artigianato ed agricoltura, 1996 Tiziano Fratus, Vecchi e grandi alberi di Torino. Itinerari per cercatori di alberi secolari, La Stampa/Fusta Editore, Torino, 2013 Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Villa La Tesoriera Museo Torino, su museotorino.it.

Platano della Tesoriera
Platano della Tesoriera

Il platano della Tesoriera è un albero monumentale che si trova a Torino nel parco della Villa Tesoriera. L'albero si trova presso l'ingresso del parco della Villa Tesoriera, nel quartiere Parella. Stando ad alcune fonti fu messo a dimora nel 1715, nel corso della costruzione della villa, mentre altri documenti ne retrodatano la nascita al 1797. Questa seconda datazione, secondo l'esperto di alberi monumentali Tiziano Fratus, appare più verosimile se si confronta la crescita dell'esemplare con quella di altri platani messi a dimora in località del Piemonte con climi paragonabili e con anno di impianto noto. L'albero viene soprannominato dagli abitanti del quartiere "il nonno" o anche "l'albero della fortuna". L'albero ha una circonferenza a petto d'uomo di 665 cm. Il suo tronco si ramifica in numerose branche primarie che formano un ampio candelabro, il quale a sua volta sostiene una chioma anch'essa di notevoli dimensioni. È considerato, per larghezza del tronco, l'esemplare di maggiori dimensioni del capoluogo piemontese. La sua altezza è di 28 metri, ed è stato inserito nella lista degli alberi monumentali redatta dalla Regione Piemonte per le sue notevoli dimensioni e per l'età. L'esemplare presenta alcuni problemi strutturali. Nel censimento degli alberi monumentali del Piemonte è identificato dalla scheda n.01/L219/TO/01. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Platano della Tesoriera Video di RaiPlay dedicato al platano: Geo 2021/22 - Il platano di Villa Sartirana, su raiplay.it, RaiPlay, 30/09/2021.

Campidoglio (Torino)
Campidoglio (Torino)

Campidoglio (Camp-ëd-Dòj in piemontese) è un quartiere a ovest di Torino, oggi a carattere prettamente residenziale, sito nella Circoscrizione 4, esattamente a cavallo tra i quartieri Parella e San Donato. La zona è delimitata : a ovest, da Corso Lecce e via Zumaglia (confine con Parella) a est, da Corso Alessandro Tassoni (confine con San Donato) a nord, da Corso Regina Margherita (confine con Lucento e San Donato) a sud, dal tratto di Corso Francia tra Piazza Rivoli e Piazza Gian Lorenzo Bernini (confine con Cit Turin) L'origine del toponimo non è chiara. Un'ipotesi può riferirsi al piccolo rilievo collinare in cui si trova, che potrebbe aver suggerito il nome traendo spunto dal più noto Campidoglio di Roma. Tuttavia, essendo questa in origine una vasta area rurale fuori dalla cinta muraria cittadina, un'altra ipotesi più verosimile sarebbe quella relativa alla denominazione di alcuni terreni, ovvero dei "campi", di proprietà della famiglia Doglio, probabile prediale del XIV secolo. Vero è, che tale toponimo fu, in passato, poco utilizzato e probabilmente soltanto per distinguere questa zona sia dalla vicina borgata Parella, sia dall'antico borgo del Martinetto, oggi quartiere San Donato, nome dato a causa dei martinetti idraulici per il pompaggio dell'acqua dal vecchio canale Ceronda (oggi inesistente), usato per i vecchi mulini Feyles che si trovavano nell'attuale sito di Corso Tassoni, 56. Specialmente nel XVI secolo, fu utilizzato, sebbene poco frequentemente, anche il nome di "San Rocchetto", quindi anche di "Barriera di San Rocchetto", probabilmente per l'esistenza di un'antica cappella votiva dedicata a San Rocco, situata probabilmente nei pressi di Via Colleasca. Il toponimo "Campidoglio" riapparve poi dopo l'abbattimento della cinta daziaria occidentale, dalla seconda metà del XIX secolo circa, quando cominciò a svilupparsi una vera e propria piccola borgata a sé, ricca di artigiani ed operai. L'antico corso Altacomba diventò corso Svizzera, mentre la "strada antica per Collegno" diventò l'attuale via Nicola Fabrizi. Il borgo si ampliò ancora nel XX secolo, con l'avvento di nuovi caseggiati, il teatro cinema Savoia (poi rinominato Astra) di via Rosolino Pilo 6, nuovi palazzi e piccole fabbriche, come la "Ratti & Paramatti" vernici. Il borgo fu poi riqualificato e ristrutturato agli inizi degli anni novanta ed ancora oggi mantiene un discreto carattere commerciale e residenziale. Caratterizzato da una rete stradale particolarmente fitta, con strade in larga maggioranza a senso unico, e da unità immobiliari di altezza ridotta rispetto alla media dei quartieri circostanti, assume a tratti un’aria pittoresca ed antica. A ridosso di Corso Tassoni/Via Cibrario e prospiciente all'Ospedale Maria Vittoria, spicca la maestosa chiesa di Sant'Alfonso Maria de' Liguori. L'edificio fu fortemente voluto nel 1880 dal teologo Domenico Bongioanni, allievo di don Giovanni Bosco. I cantieri della chiesa partirono sotto la direzione dell'architetto Giuseppe Gallo, che ne disegnò la facciata e la struttura in stile neobarocco. Fu quindi terminata e inaugurata il 26 novembre 1899, alla presenza dell'arcivescovo di Torino Agostino Richelmy, e dedicata a Sant'Alfonso Maria de' Liguori, dottore della Chiesa, come recita anche la scritta sull'elegante facciata S.ALPHONSO DOCTORI S[ANCTAE] E[CCLESIAE]. La facciata inoltre, presenta due colonne in granito che sorreggono un enorme arco. L'ampio sagrato, simile a una vera e propria piazza, porta all'ingresso principale, con sopra la scritta DOMUS DEI ET PORTA COELI (lat. "Casa di Dio e porta del Cielo"). Ancora sopra il timpano della facciata, fu collocata una grande epigrafe in marmo bianco che narra, in latino, le opere del santo, tuttavia sbiadita col passare del tempo e oggi praticamente illeggibile. La struttura interna della chiesa si apre a pianta ellittica, intorno a cui sono presenti sei cappelle laterali, illuminate da lucernari e decorate con statue di angeli. La grande cupola ellittica, impreziosita da abbondanti decorazioni in stucco, termina con un cupolino, anch'esso ellittico. Le navate laterali furono successivamente arricchite dall'architetto Bartolomeo Delpero. Il retro della chiesa ospita anche un oratorio, due campi sportivi interni, una mensa per i poveri e altre opere di carità, quindi alloggiamenti per i consacrati. Lungo il XX secolo, la struttura divenne un grande punto di riferimento pastorale per la città, al punto che tutto il rione intorno alla chiesa (Via Netro-Via Fiano) fu anch'esso dedicato al santo. Si tratta di una piccola area verde di interesse storico, situata in Corso Appio Claudio angolo Corso Svizzera, dietro la centrale elettrica. Il nome deriva dall'antico nome del vicino quartiere di San Donato. Qui, fu poi eretto un tiro a segno nel 1883, ma è nella seconda guerra mondiale che divenne tristemente famoso, come luogo dell'esecuzione di più di sessanta tra partigiani e antifascisti, nel periodo tra il 1943 e il 1944. Nel 1967, l'area fu recintata e fu istituita una commemorazione che ricorda il giorno della fucilazione di otto componenti del primo Comitato militare regionale piemontese nel 1944, mentre ogni 25 aprile viene organizzata una fiaccolata che parte dal vicino quartiere San Donato. Si tratta di un edificio a ridosso del vicino quartiere Parella, eretto nel 1928 su progetto dell'architetto Paolo Napione per il Cavalier Giuseppe Arduino, già proprietario di altri edifici della zona. Concepito in stile neogotico con presenza di eleganti torrette, fu successivamente arricchito di decorazioni a rievocazione medioevale ed è ben visibile da Corso Lecce 63 (anticamente 108), all'angolo con Via Lessona. Una leggenda urbana lo vuole come abitazione dove visse per alcuni anni il celebre Macario, mentre è noto che l'attore viveva invece in centro. Insieme di opere murarie e altre installazioni artistiche distribuite fra le vie di quello che, spesso, viene anche chiamato il Borgo Vecchio del Campidoglio, ovvero l'area più antica di tutta la zona e fino ad oggi conservata, quella compresa tra via Colleasca, via San Rocchetto, via Locana. Là dove oggi sorge la cosiddetta "Casa dei maestri" di via Bianzè 19, in passato (1920-1955 circa) abitò, con la sua famiglia di origine, un giovane, Raf Vallone, partigiano, calciatore e famoso attore. Progettato ed edificato nel 1928-30 da Contardo Bonicelli come Cinema Savoia, prende il nome attuale negli anni Cinquanta. È uno tra i più pregevoli edifici Art-Déco di Torino. Restaurato nel 2006 dall'architetto Agostino Magnaghi, ospita dal 2009 gli spettacoli della stagione Tpe - Teatro Piemonte Europa. Sempre progettate da Contardo Bonicelli nel 1929, sono edifici da reddito di sette piani, realizzati con uno stile mitteleuropeo derivato dall'Art déco, che si affacciano su Corso Francia e via Giacomo Medici. Furono in parte danneggiati dai bombardamenti dell'8 dicembre 1942. Il giardino tra corso Svizzera e via Musinè è stato intitolato il giorno 8 giugno 2017 dal Comune di Torino all'ideatore dell'esperanto Ludwik Lejzer Zamenhof. Le panchine dei giardini di piazza Moncenisio, riqualificati nel corso del 2010, sono state dipinte dall'artista torinese Vito Navolio che ha reso omaggio a dieci grandi maestri dell'arte contemporanea Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Campidoglio Circoscrizione 4, su comune.torino.it. Museo di Arte Urbana, su museoarteurbana.it. Galleria Campidoglio, su galleriacampidoglio.it.

Stadio delle Alpi
Stadio delle Alpi

Lo stadio delle Alpi è stato un impianto sportivo polivalente di Torino, inaugurato nel 1990 e demolito nel 2009. Si trovava nei quartieri Vallette e Lucento in prossimità dell'area Continassa, nella zona nord-occidentale del capoluogo piemontese, al confine con Venaria Reale. Progettato dallo studio Hutter in stile modernista al fine di accogliere alcune partite del campionato del mondo 1990, contava 69 041 posti a sedere (più 254 di tribuna stampa, per un totale di 69 295 posti), disposti su 3 anelli sovrapposti, con un'altezza massima dal terreno di gioco pari a 33 metri, il che ne fece il terzo scenario per capienza del Paese — il primo nel Piemonte — dopo il Giuseppe Meazza di Milano e l'Olimpico di Roma. I lavori di costruzione iniziarono nel 1988 e terminarono in poco più di due anni, grazie al largo uso di elementi strutturali prefabbricati in cemento. Classificato dall'UEFA come Five Stars Stadium ("Stadio a cinque stelle"), allora la massima categoria tecnica assegnata a livello confederale agli impianti calcistici, nei sedici anni successivi alla Coppa del Mondo, l'impianto costituì il terreno casalingo dei due principali club calcistici cittadini, la Juventus e il Torino, ospitando anche partite amichevoli della rappresentativa nazionale. Nel 2002 la società juventina rilevò dal Comune di Torino il diritto di superficie per una durata di novantanove anni sull'area dello stadio, che nel 2006 venne chiuso alle attività sportive. Nel bienno successivo lo stadio rimase aperto per ospitare alcuni concerti, fino alla sua chiusura definitiva nel 2008. Tra il 2008 e il 2009 la Juventus portò a termine l'abbattimento della struttura, cui seguì la costruzione sulla medesima area di un nuovo impianto di sua proprietà, lo Juventus Stadium, sorto nel 2011.