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Matitone

Grattacieli di GenovaPagine con mappeSan Teodoro (Genova)
Grattacielo Matitone, Genova
Grattacielo Matitone, Genova

Il Matitone (ufficialmente San Benigno Torre Nord) è un grattacielo italiano, situato nel quartiere di San Teodoro di Genova. Si tratta di uno degli edifici più alti e caratteristici del capoluogo ligure, in virtù della sua particolare forma architettonica che ricorda una matita. L'edificio è stato progettato dallo studio Skidmore, Owings and Merrill alla fine degli anni '80, uno dei più grandi studi di ingegneria, architettura e urbanistica statunitense, in collaborazione con gli architetti Mario Lanata e Andrea Messina per divenire un moderno edificio per uffici. La costruzione del complesso è iniziata il 16 novembre 1987 ed è terminata nel novembre 1990, in vista delle Colombiadi del 1992. Il grattacielo sorge nel quartiere di San Teodoro, nella zona di San Benigno, in prossimità del casello autostradale di Genova-Ovest e della stazione Dinegro della metropolitana di Genova. Si trova posizionato dirimpetto alla torre della Lanterna, restando visibile sia dal porto, sia da tutta la zona ovest della città. È alto 109 metri, suddivisi in 26 piani fuori terra. È l'edificio più alto di Genova, superando di un solo metro la centrale Torre Piacentini. Il grattacielo presenta tre corpi di fabbrica: gli uffici al centro, i parcheggi a ovest e l'area commercio a est, tra via Cantore e via di Francia. La volontà non era quella di costruire un edificio a forma di matita, ma la forma architettonica dell'edificio gli è valsa l'appellativo popolare di "Matitone" per via della sua somiglianza a una grande matita appunto e che sarebbe invece ispirata all'ottagonale torre campanaria della chiesa di San Donato sita nel centro storico di Genova. Le facciate presentano un rivestimento a fasce alterne in granito grigio e vetrate verdi. La copertura piramidale, invece, è realizzata in rame. La bandiera con la croce di San Giorgio, simbolo di Genova, sventola sulla sua sommità. Attualmente il grattacielo è sede anche di alcuni uffici del Comune di Genova. Il grattacielo è visibile nei film Padre e figlio di Pasquale Pozzessere, 500! di Giovanni Robbiano, Lorenzo Vignolo e Matteo Zingirian, e Voci di Franco Giraldi. A Savona è presente il "Matitino", un piccolo grattacielo che ha forme simili al Matitone ed è stato chiamato così proprio per ricordare il fratello "maggiore" genovese. Gianfranco Rizzoglio, La Grande Storia del Genoa, Nuova Editrice Genovese, 1989. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sul Matitone (EN) Matitone, su Skyscraper Center. (EN) Il Matitone, su Emporis (archiviato dall'url originale il 24 giugno 2022). Webcam Matitone (JPG), su Comune di Genova.

Estratto dall'articolo di Wikipedia Matitone (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

Matitone
Via Antonio Cantore, Genova Centro Ovest

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Grattacielo Matitone, Genova
Grattacielo Matitone, Genova
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Luoghi vicini

Chiesa di San Teodoro (Genova)
Chiesa di San Teodoro (Genova)

La chiesa di San Teodoro è un edificio religioso italiano di Genova, situato nell'omonimo quartiere che da essa prese il nome. La struttura originale era una delle più antiche di Genova: l'originaria chiesa romanica, di cui si avevano notizie dal X secolo, venne demolita per ragioni urbanistiche nel 1870, e una nuova fu riedificata poco distante. La comunità parrocchiale fa parte del vicariato San Teodoro-Oregina dell'arcidiocesi di Genova. Le prime notizie della chiesa intitolata a San Teodoro e San Salvatore risalgono al X secolo. La chiesa sorgeva fuori dalle mura cittadine, su una scogliera a picco sul mare nella zona di Fassolo, dov'è ora via B. Buozzi. Nel 1097 fu affidata dal vescovo di Genova Airaldo Guaracco ai canonici mortariensi, congregazione a cui egli stesso apparteneva. I mortariensi riedificarono la chiesa in chiesa in forme romaniche e lo stesso vescovo la consacrò il 20 luglio 1100. Sempre nel XII secolo fu eretta in parrocchia. La chiesa aveva tre navate e vi era affiancato il monastero dei canonici. Alcune famiglie patrizie finanziarono la realizzazione delle cappelle e delle decorazioni interne. Tra queste si distinsero in particolare i Lomellini che nel 1303 fecero costruire nella chiesa una cappella dedicata a San Sebastiano e all'inizio del XVI secolo commissionarono a Filippino Lippi una pala raffigurante il martirio del santo. Nel 1449 i mortariensi vennero integrati dal papa Niccolò V nella congregazione lateranense, che prese formalmente possesso della chiesa il 5 luglio 1458. Nel 1481 papa Sisto IV, la elevò al rango di abbazia. La chiesa, per la sua posizione prossima al mare era particolarmente vulnerabile alle violenza dei marosi, come avvenne nel 1596 quando fu gravemente danneggiata da una mareggiata. Nel 1630 l'edificio venne inglobato all'interno della nuova cinta muraria, restando parzialmente coperto dalla stessa e perdendo il contatto diretto con il mare. Per le leggi di soppressione napoleoniche nel 1797 i lateranensi dovettero abbandonare la chiesa e poterono farvi ritorno solo nel 1825; nel periodo della dominazione napoleonica il governo francese fece trasferire in Francia molte opere d'arte, tra cui il citato "Martirio di San Sebastiano" di Filippino Lippi restituito solo anni dopo alla città di Genova e attualmente conservato nella galleria di Palazzo Bianco. La pianificazione urbanistica della prima metà del XIX secolo e la successiva espansione a ponente del porto, nella seconda metà del secolo, decretarono la fine dell'antica chiesa. Nel 1820, per l'ampliamento della strada di Fassolo (attuale via Bruno Buozzi) furono demoliti l'adiacente oratorio del Rosario e il convento annesso alla chiesa con il suo chiostro. Con la nuova sistemazione urbanistica la chiesa venne a trovarsi a un livello inferiore rispetto alla nuova strada per Sampierdarena, rendendo necessaria la creazione di una discesa per accedervi. In quegli stessi anni, nel giorno di Natale del 1821 un'altra violenta mareggiata aveva minato la stabilità dell'antico edificio, la cui sorte era comunque ormai segnata, poiché la zona dove sorgeva era destinata all'espansione a ponente del porto. Per consentire la costruzione dei nuovi "Magazzini Generali" del porto la chiesa venne demolita il 4 ottobre 1870 mediante cariche di polvere pirica, alla presenza di una folla numerosa. Insieme alla chiesa venne demolito quanto restava dell'antistante cinta muraria seicentesca, dando avvio alla costruzione delle nuove infrastrutture portuali. La nuova chiesa, in stile neogotico, fu costruita tra il 1871 e il 1876 all'inizio di via Venezia, a poche centinaia di metri dal sito della chiesa precedente, su progetto dell'architetto palermitano Vittore Garofalo e consacrata nel mese di novembre del 1876 dal vescovo di Piacenza Giovanni Battista Scalabrini. Durante la seconda guerra mondiale la chiesa subì danni non gravi per i bombardamenti aerei dell'ottobre 1940 e del 2 agosto 1944, prontamente riparati nell'immediato dopoguerra. Tra il 1953 e il 1957 le finestre della chiesa furono abbellite dalle vetrate dipinte di Amalia Panigati. Nel 1960 venne costruita una nuova sagrestia, mentre nel 1963 fu completato il rivestimento esterno in travertino della facciata, realizzato su progetto di Angelo Sibilla. Importanti lavori di ristrutturazione sono stati eseguiti tra il 2013 e il 2015. Ad agosto del 2013 ai canonici lateranensi, che avevano officiato la chiesa per oltre cinque secoli, sono subentrati i religiosi dell'Istituto del Verbo Incarnato. La chiesa sorge all'inizio di via Venezia, con l'ingresso principale aperto sulla porzione di piazza Dinegro posta a monte della linea ferroviaria e che nel 2014 è stata intitolata a don Bruno Venturelli, che ha retto la parrocchia dal 1945 al 1991. La chiesa è l'unica a Genova in puro stile neogotico. La facciata tripartita è rivestita con lastre di travertino ed è caratterizzata da un alto campanile a guglia piramidale posto al centro e tre portali d'ingresso in corrispondenza delle navate, sormontati ciascuno da un'alta monofora. Il tetto, a due falde, ha la struttura portante in legno e la copertura in lastre di ardesia. La chiesa ha tre navate, separate da otto pilastri ottagonali a costoloni che sorreggono arcate a sesto acuto a bande bianche e nere, con tredici altari, presbiterio e abside poligonale. Vi sono conservate numerose opere d'arte trasferite dalla vecchia chiesa, tra cui due tombe cinquecentesche dei Lomellini, di Antonio Della Porta e Pace Gaggini, e una pala di Luca Baudo raffigurante S. Agostino con S. Monica e S. Ambrogio. Sull'altare maggiore è collocato un gruppo ligneo della bottega del Maragliano raffigurante la Vergine circondata da Angeli, proveniente dalla scomparsa chiesa di Santa Maria della Pace. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su chiesa di San Teodoro Di Negro, su C'era una volta Genova, 14 febbraio 2016.

San Benigno (Genova)
San Benigno (Genova)

San Benigno è un moderno quartiere direzionale e di servizi nel comune di Genova, compreso nelle ex circoscrizioni di Sampierdarena e San Teodoro, che insieme formano il Municipio II - Centro Ovest. La zona di San Benigno, oggi sede di centri direzionali, infrastrutture e servizi, in gran parte legati alle attività portuali, si è sviluppata a partire dal dopoguerra sull'area ricavata negli anni trenta dallo sbancamento dell'omonimo colle, parte terminale del crinale che fino ad allora rappresentava il confine tra Genova e Sampierdarena. La maggior parte degli edifici del moderno quartiere direzionale sono stati costruiti tra gli anni ottanta e novanta. Tra questi il World Trade Center e il Matitone (terminato di costruire nel 1992). Vi hanno sede la CULMV, la storica "Compagnia Unica dei lavoratori portuali", gli scaricatori del porto un tempo chiamati camalli e la caserma che ospita il Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Genova. Storicamente il colle di San Benigno era la parte terminale del crinale che separava Genova dal limitrofo comune di Sampierdarena, chiudendo a ponente l'anfiteatro naturale alle spalle della città e del porto antico. Il colle prendeva il nome dalla storica abbazia di San Benigno, costruita nel XII secolo, nome attribuito anche al moderno quartiere direzionale. Il crinale collinare terminava a picco sul mare con il promontorio di Capo di Faro, dove sempre nel XII secolo era stata costruita la primitiva Lanterna. Oggi la roccia su cui poggia la Lanterna rappresenta l'ultimo resto del colle di S. Benigno. La strada che collegava Sampierdarena a Genova, fino all'apertura di una prima galleria nel XIX secolo doppiava il capo sul quale si erge tuttora il faro. Tra il 1626 e il 1632, lungo il crinale furono costruite a difesa della città le "Mura Nuove", che inglobarono all'interno della cinta difensiva l'antica abbazia. Con la costruzione delle mura, tra il 1633 ed il 1643 fu aperta nei pressi del faro la Porta della Lanterna, lungo la strada che da Sampierdarena immetteva in città. Intorno al 1850 sul sito dell'antica abbazia, abbandonata dai monaci per le leggi di soppressione del 1798, fu costruito il grande complesso delle caserme che funzionarono fino ai primi decenni del XX secolo; dopo scomparvero con lo sbancamento dell'intero colle. Tra la fine del XIX secolo e l'inizio del XX sia Genova, sia diversi dei comuni che dal 1926 ne costituiscono i quartieri, videro un aumento delle attività industriali, dell'attività portuale (alcune delle strutture attualmente esistenti nell'area del porto antico vengono edificate proprio in questo periodo) e la creazione di nuove infrastrutture al servizio di queste. In quest'ambito nel 1898 venne proposta la creazione di una nuova strada di collegamento tra Sampierdarena ed il confine occidentale di Genova, che avrebbe dovuto transitare nella zona dove allora sorgeva il colle si San Benigno. Il colle in questo periodo appartiene a diversi proprietari, alcuni pubblici (un terzo dell'area è del demanio militare), altri privati (principalmente la ditta Carena che gestisce in loco una cava di pietrame). Pareri discordanti sul tipo di tecnica da utilizzare (scavo in trincea, galleria, ecc..), contrattazioni inerenti alla cifra da pagare all'autorità militare per permettere l'uso dell'area di sua competenza (1.500.000 lire nel 1905, poi ridotti a 1.100.000 lire) e gli interessi spesso opposti dei vari enti pubblici e proprietari privati dell'area hanno tuttavia rallentato di molto le decisioni, al punto di arrivare allo scoppio della prima guerra mondiale che porta ad un momentaneo congelamento del progetto. Negli anni venti del Novecento la ritrovata necessità di migliori collegamenti con il porto permettono di riprendere la progettazione dell'opera. Nell'estate del 1925 il Consorzio Autonomo del Porto presenta al consiglio superiore del Ministero per i Lavori Pubblici un nuovo progetto per la strada e in generale per tutta l'area, che dovrà essere destinato al futuro centro direzionale del porto, con la dismissione delle infrastrutture militari presenti. Il progetto viene approvato e il Consorzio acquista il possesso dell'area per 31 milioni di lire. La strada viene inaugurata il 19 settembre 1929. I materiali ricavati dalla demolizione furono utilizzati per i riempimenti necessari alla costruzione dei nuovi moli davanti a Sampierdarena. Il 10 ottobre del 1944, durante la seconda guerra mondiale quanto restava del colle di S. Benigno fu squassato da una tremenda esplosione che distrusse un complesso di gallerie ferroviarie, utilizzate in parte dall'esercito tedesco come deposito di munizioni, ma anche dalla popolazione come rifugio antiaereo. Le cause dell'esplosione, che provocò la morte di centinaia di civili, tra rifugiati nelle gallerie e abitanti dei soprastanti palazzi distrutti, oltre a 200 soldati tedeschi (le vittime sono stimate almeno 1000 ma alcune fonti indicano anche 2000), non furono mai ufficialmente accertate. Una prima inchiesta ipotizzò che la deflagrazione fosse stata innescata da un fulmine, mentre in seguito ci fu chi attribuì la responsabilità ad un'azione di sabotaggio da parte di gruppi partigiani, che non ne avrebbero ben calcolato i devastanti effetti sulla popolazione civile. Nel 2004, in occasione del sessantesimo anniversario del tragico evento, il senatore Franco Servello di Alleanza Nazionale, con riferimento ad un libro sull'argomento pubblicato dallo scrittore genovese Raffaele Francesca in quello stesso anno ha presentato un'interrogazione al Ministro della Giustizia. Le vicende storiche e urbanistiche che negli ultimi due secoli hanno modificato completamente l'aspetto del quartiere hanno portato alla totale scomparsa di alcuni storici edifici. Tra questi l'antica abbazia che aveva dato il nome alla zona e le strutture militari sorte nel Seicento a difesa della città. La chiesa di S. Benigno, con l'annesso monastero dei benedettini era stata costruita nel XII secolo. Il complesso, comprendente anche un ospitale per viandanti, fu attivo per quasi sette secoli. Dapprima inglobato nelle "Mura Nuove" seicentesche, fu definitivamente abbandonato dai monaci nel 1798 per le leggi di soppressione napoleoniche ed utilizzato come caserma e magazzino dall'esercito sabaudo. Intorno al 1850 quanto restava del complesso fu demolito per costruire le due grandi caserme. Il tratto delle Mura Nuove che correva lungo il crinale del colle prendeva il nome di Mura di San Benigno e terminava alla Lanterna, dove una monumentale porta consentiva l'accesso in città. L'originaria porta della Lanterna fu demolita nel 1877, nonostante numerosi pareri contrari, e sostituita da un'altra architettonicamente più modesta ma più adatta per il crescente traffico. Questa porta è oggi riposizionata ai piedi della Lanterna, in un luogo diverso da quello originario. L'antica abbazia, ormai in rovina dopo il forzato abbandono dei monaci nel 1798, ribattezzata "Forte S. Benigno", fu utilizzata come deposito di munizioni e caserma, mentre sul piazzale antistante fu sistemata una batteria composta da due cannoni e otto mortai, collocati a protezione del porto ma anche per contenere eventuali rivolte della popolazione, come esplicitamente dichiarato da rapporti militari intorno al 1840. Cosa che puntualmente accadde il 5 aprile 1849, quando, durante l'insurrezione di Genova contro il governo sabaudo, il generale Alfonso La Marmora da questa postazione fece bombardare la città; repressa l'insurrezione, fu lo stesso La Marmora a suggerire il potenziamento del sito, per prevenire nuove sommosse. Tra il 1852 e il 1860, demolito completamente l'antico monastero, furono costruite due grandi caserme, che potevano ospitare 1276 soldati ciascuna. Le caserme furono sede di comandi militari fino al 22 giugno 1930, quando con una fastosa cerimonia furono dismesse in previsione della loro demolizione, conseguente al progettato spianamento del colle. I lavori di sbancamento non erano ancora completati durante la seconda guerra mondiale, quando parte dei ruderi furono utilizzati come batteria contraerea, ed ancora nel dopoguerra come ricovero per senza tetto, e furono eliminati definitivamente negli anni settanta, prima della costruzione dei nuovi centri direzionali. Batterie della Lanterna. A protezione della Lanterna e del porto, fin dall'epoca della costruzione delle mura, nel XVII secolo, ai piedi del faro fu realizzata una prima postazione di pezzi d'artiglieria, rafforzata un secolo dopo con un'altra batteria posta quasi al livello del mare all'estremità del promontorio, denominata "Batteria a fior d'acqua della Lanterna". Durante l'assedio di Genova del 1800 il fuoco di queste batterie costrinse una squadra navale inglese a riprendere il largo. Nella prima metà dell'Ottocento attorno alla Lanterna furono realizzate altre tre batterie. Oggi restano solo le murature perimetrali di una di esse, sul terrazzo a lato del faro. Batteria San Benigno. Nel 1878, nel piazzale antistante le due caserme fu sistemata un'altra grossa batteria a difesa del porto, affacciata su due fronti: quello di levante, armato con sei cannoni da 32 GRC (Ret) e quello di ponente con quattro cannoni da 24 GRC (Ret). Il quartiere è servito dalla piccola stazione ferroviaria non presenziata di Genova Via di Francia in cui, nelle ore di punta dei giorni feriali, fermano alcuni dei treni regionali del nodo genovese. Oltre a questo sono presenti in zona alcuni capolinea delle linee di autobus urbani dell'AMT. Nell'antistante zona portuale si trova il terminal traghetti progettato dall'architetto Aldo Luigi Rizzo e costruito tra il 1993 e il 1999. Nella zona di San Benigno confluiscono alcune delle principali vie di comunicazione del nodo viario genovese, quali l'autostrada A7 con il casello di Genova Ovest, la strada sopraelevata, oltre ad alcune delle principali strade urbane che collegano i quartieri di Sampierdarena e San Teodoro: via A. Cantore, lungomare G. Canepa, via di Francia e via Milano. La viabilità della zona è interessata dagli interventi previsti nel nodo stradale e autostradale genovese, per i quali la Conferenza dei servizi ha già dato la propria approvazione, riguardanti il nuovo collegamento tra la barriera autostradale di Genova-Ovest e il porto e la sua connessione con la viabilità ordinaria. Lo scopo di questi interventi è la separazione della viabilità ordinaria dai flussi di traffico diretti o provenienti dal porto. Sempre nel quadro della razionalizzazione del traffico in questo snodo cruciale della viabilità cittadina è prevista realizzazione del "Tunnel subportuale", che passando sotto il bacino del porto vecchio, dovrebbe collegare direttamente i quartieri di ponente con quelli di levante, evitando l'attraversamento del centro della città; questa opera è inserita dal 2001 nel "Programma delle infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale" , anche se non sono ancora stati definiti finanziamenti e tempi di realizzazione. Filmato promozionale del quartiere dirigenziale, realizzato dalla SCI S.p.a. - Costruzioni ed insediamenti edilizi, ed ospitato sul canale YouTube dell'Archivio nazionale cinema d'impresa

Abbazia di San Benigno (Genova)
Abbazia di San Benigno (Genova)

L'abbazia di San Benigno era una chiesa di Genova, con annesso un convento di monaci benedettini, costruita nel XII secolo sullo scomparso colle che divideva gli attuali quartieri di Sampierdarena e San Teodoro. La chiesa di S. Benigno ebbe origine da una chiesetta dedicata a S. Paolo, sorta all'inizio del XII secolo sul colle di Promontorio (che in seguito sarebbe stato detto "di S. Benigno") e affidata a monaci benedettini provenienti dall'abbazia di Fruttuaria di San Benigno Canavese, nei pressi di Ivrea. Nel 1132 i monaci ebbero in dono da varie famiglie nobili del tempo un terreno per ampliare la chiesa e costruirvi un monastero. La chiesa romanica, in pietre squadrate, aveva tre navate e alcune cappelle laterali. Per la sua posizione lungo la via di accesso alla città da ponente, al convento fu annesso un ospitale per pellegrini e viandanti. Nel 1155 il convento fu elevato ad abbazia, intitolata ai santi Benigno e Paolo, ma nel giro di pochi anni rimase solo quella al santo martire Benigno. Intorno al 1217 nell'abbazia prestò servizio Sinibaldo Fieschi, il futuro papa Innocenzo IV. Il complesso monastico visse momenti di grande splendore, grazie a donazioni e lasciti, alternati a momenti di difficoltà, come nel 1411, quando i frati furono decimati da un'epidemia di peste o pochi anni più tardi quando, in gravi difficoltà economiche e necessitando di restauri, fu messo alle dipendenze del monastero di San Gerolamo della Cervara vicino a Portofino. Più volte il convento fu coinvolto in episodi bellici, subendo gravi danni, come avvenne nel 1319, nel corso delle lotte di fazione tra guelfi e ghibellini, e soprattutto nel 1514, per le vicende belliche che coinvolsero l'adiacente fortezza denominata "Briglia", nel corso delle quali fu semidistrutta la primitiva Lanterna, poi ricostruita nelle forme attuali nel 1543. Nel corso del XVI secolo ci fu una ripresa; accanto all'ospitale sorse anche una scuola umanistica e il complesso si arricchì di opere di famosi artisti del tempo, quali Lazzaro Tavarone, Giovanni Andrea De Ferrari, G.B.Carlone, G.B.Paggi, Domenico Fiasella, Domenico Piola e Giovanni Montorfano. Nel 1633 con la costruzione delle "Mura Nuove" iniziò il declino: il pianoro su cui sorgeva il monastero fu inglobato nelle stesse, restando a diretto rapporto con eventuali assedianti, mentre sul piazzale antistante fu collocata una batteria di cannoni. Il complesso fu definitivamente abbandonato dai monaci nel 1798 (che si trasferirono a S. Nicolò del Boschetto) a causa delle leggi di soppressione degli ordini religiosi emanate dalla Repubblica Ligure. L'edificio, spogliato delle opere d'arte e degli arredi, dal 1818 fu inglobato nelle strutture militari e adibito a deposito di munizioni, mentre il campanile fu utilizzato come torre per segnalazioni a distanza. Intorno al 1850 quanto restava dell'antica abbazia fu demolito per costruire due grandi caserme, anch'esse scomparse nel secolo successivo con lo sbancamento dell'intero colle. Antonella Rovere (curatrice), Le carte del Monastero di San Benigno di Capodifaro (secc. XII-XV), Atti della Società Ligure di Storia Patria Nuova serie – Vol. XXIII (XCVII) 1983 Stefano Finauri, Forti di Genova: storia, tecnica e architettura dei fortini difensivi, Genova, Edizioni Servizi Editoriali, 2007, ISBN 9788889384275. Ezio Baglini, San Pier d'Arena com'era com'è, Genova, SES, 2018, ISBN 9788889948231.

Villa Di Negro Rosazza dello Scoglietto
Villa Di Negro Rosazza dello Scoglietto

Villa Di Negro Rosazza detta "dello Scoglietto" o "lo Scoglietto" è una villa di Genova, situata in piazza Dinegro 3, nel quartiere di San Teodoro, municipio II Centro-Ovest. Fu realizzata nel 1565 per il Doge Ambrogio Di Negro o per suo figlio Orazio in una zona che, a quel tempo, si trovava al di fuori delle mura cittadine, in posizione panoramica sul mare. Passata alla famiglia Durazzo, fu rimaneggiata in stile neoclassico alla fine del Settecento dall'architetto Tagliafichi. Nell'Ottocento, la costruzione della linea ferroviaria Torino-Genova ne compromise l'integrità del parco e portò alla costruzione di nuove rampe d'accesso al piano stradale. Denominata "lo Scoglietto" dal colle ad ovest della città alle pendici del quale fu costruita, villa Rosazza conserva tuttora i caratteri tipici di villa litoranea, edificata tra il mare e il grande parco sul colle retrostante, nonostante il deciso mutamento del tessuto urbanistico nel quale è inserita. Oggi di proprietà del Comune di Genova, è collegata ad un parco storico ad uso pubblico di circa 14.000 m². La villa si trova in prossimità della stazione della metropolitana Dinegro. La villa fu commissionata nel XVI secolo dal doge Ambrogio Di Negro o per suo figlio Orazio nella zona di Fassolo — a quel tempo ubicata al di fuori delle mura cittadine — ove la famiglia Di Negro già dall'inizio del Quattrocento possedeva una villa suburbana. Passata alla famiglia Maniero, quindi ai Durazzo, la villa fu completamente restaurata nel 1787 dall'architetto genovese Emanuele Andrea Tagliafichi per incarico di Gian Luca Durazzo, e assunse le attuali forme neoclassiche. L'edificio originario, con logge angolari, fu mutato soprattutto all'esterno e decorato a bugnato, timpani e statue terminali. Nell'Ottocento la villa ospitò personaggi illustri, quali Carolina di Brunswick sposa di Giorgio IV d'Inghilterra (1815), papa Pio VII (1836), Honoré de Balzac e Lorenzo Pareto. Passata alla famiglia Rolla Rosazza, fu in seguito acquisita dal Comune di Genova. La collocazione originaria è oggi sensibilmente mutata a causa degli interventi di urbanizzazione che, a partire dal piano urbanistico del 1816, hanno interessato la zona. In particolare, la costruzione della linea ferroviaria Torino-Genova e della strada costiera (oggi via Milano) nella seconda metà dell'Ottocento ha causato la pesante mutilazione dei terrazzamenti a giardino sul lato a mare. In quell'occasione, furono costruiti una doppia scala e un sottopasso per permettere l'attraversamento della strada ferrata e collegare la villa alla nuova viabilità. I terrazzamenti a monte e il grande parco, invece, rimasero intatti e, restaurati nel 2015, oggi sono aperti al pubblico. L'originaria fisionomia della villa cinquecentesca, ricostruibile da una stampa del XVIII secolo, presentava due logge laterali al piano nobile e una facciata con motivi architettonici e grandi figure, attribuite dal Ratti nel 1780 e dall'Alizeri nel 1846 a Giovanni Andrea Ansaldo. Dopo il restauro settecentesco, la facciata presenta un timpano neoclassico con putti scolpiti da Nicolò Stefano Traverso, con un neoclassicismo formale ma articolato dall'alternarsi dei volumi. Internamente, la pianta irregolare a "U" articolato, porta ad una distribuzione atipica, con l'atrio non in posizione centrale. La decorazione interna conserva elementi originali cinquecenteschi della villa dei Di Negro, affiancati da motivi settecenteschi. Della villa cinquecentesca rimangono i portali in ardesia, la volta del salone centrale del piano nobile raffigurante le imprese del doge Ambrogio Di Negro contro i Corsi, e le decorazioni a grottesche delle altre sale. Gli elementi decorativi settecenteschi, invece, traspaiono nei motivi a stucco e nelle dorature. Il parco della villa, organizzato dall'architetto Tagliafichi nel Settecento, si sviluppava verso il mare con terrazzamenti ormai perduti. A livello del piano nobile si trova un monumentale ninfeo con decorazioni a mosaico polimaterico. Il parco, seppur ridotto, continua nella parte posteriore della villa, sulla collina. La disposizione originale è documentata dal Gauthier. Lauro Magnani, Villa Rosazza (lo Scoglietto), Guide di Genova n. 69, Sagep Editrice, 1978. Catalogo delle Ville Genovesi, Italia Nostra, Genova 1967, p. 64-71. Guida d'Italia Liguria, Touring Club Italiano, 2009, p. 173. Le Ville del Genovesato, SAGEP, 2008. Federico Alizeri, Guida artistica per la città di Genova, Genova 1846. Martin-Pierre Gauthier, Les plus beaux edifices de la ville de Genes, Paris, 1832, Ville di Genova Di Negro (famiglia) Durazzo (famiglia) San Teodoro (Genova) Dinegro (metropolitana di Genova) Wikiquote contiene citazioni di o su Villa Di Negro Rosazza dello Scoglietto Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Villa Di Negro Rosazza dello Scoglietto Villa Di Negro Rosazza "Dello Scoglietto", su catalogo.beniculturali.it.

Dinegro (metropolitana di Genova)
Dinegro (metropolitana di Genova)

Dinegro è una stazione sotterranea della metropolitana di Genova. È sita in località San Teodoro, sotto l'omonima piazza da cui prende il nome, in prossimità della Villa Di Negro Rosazza dello Scoglietto e non lontana dal Matitone (nel quartiere direzionale di San Benigno). In superficie sono presenti interscambi con numerose linee di autobus e filobus. Nei pressi è situato anche il terminal traghetti. Iniziata nel 1986, fu inaugurata il 13 giugno 1990 insieme alla stazione di Brin, con cui costituiva la prima tratta della linea di metropolitana del capoluogo ligure, a due sole fermate. Rimase capolinea per due anni, fino all'apertura della successiva fermata di Principe, attivata il 13 luglio 1992. Nell'ambito del progetto "La tua metropolitana", la stazione è stata soggetta a lavori di riqualificazione ed ammodernamento estetico, effettuato da parte dello sponsor COOP. Al termine dei lavori è stata riattivata la scala mobile ferma da tempo, dotata di copertura . Secondo le intenzioni del comune, in un prossimo futuro Dinegro potrebbe diventare stazione di origine di una diramazione verso la zona Fiumara, ad oggi in fase di progetto. Progettata dall'architetto genovese Renzo Piano, la stazione Dinegro fu costruita deviando il percorso originario della galleria Certosa (che sbucava in Via Venezia) più verso mare, nella zona dei vecchi magazzini portuali sotterranei di Via Buozzi. La struttura è a due banchine laterali. Sulla banchina nord sostano i treni diretti a Certosa, su quella sud sostano i treni diretti a Brignole. I binari sono localizzati a una profondità di circa 5 metri sotto il piano stradale e meno di 1 metro sopra il livello del mare. Nel 1990, con l'entrata in servizio dei primi 6 convogli, nella zona sud ed est della stazione venne allestito il deposito e il polo manutentivo (essendo Brin sprovvista degli spazi necessari). Tale deposito è stato rimodernato ed ampliato tra il 2011 e il 2017 e ospita tuttora le 25 unità rotabili della linea. La stazione è dotata di un parcheggio di interscambio allo scoperto da 170 posti, inaugurato nel 2019. Dispone di quattro accessi pedonali: quello principale è sito in piazza Dinegro, il secondo poco distante, accanto alla fermata dei bus, costituito da una scala mobile scoperta; l'assenza di una copertura ha negli anni causato guasti, accumuli di acqua e sporcizia, tanto che la scala, diventata inaccessibile nei giorni di pioggia, venne chiusa al pubblico nel 2015 e riaperta nel 2021 dopo essere stata sostituita e coperta integralmente da una struttura in muratura e pannelli vetrati. Il terzo ed il quarto accesso inizialmente non erano presenti: da quel lato era stata prevista solo un'uscita di emergenza, di fatto mai utilizzata. Durante i lavori per il deposito e per il nuovo parcheggio, il lato sud di via Buozzi venne completamente modificato: marciapiede più largo, una pista ciclabile e una fermata aggiuntiva per gli autobus, rendendo così necessaria la realizzazione di un ulteriore accesso lato mare. Nel 2017 vennero quindi aperti due ingressi (uno a levante e uno a Ponente) e un nuovo ascensore, collegando via Buozzi ai due sottopassi della stazione. La stazione è stata sottoposta ad ammodernamento tecnico, comprendente la manutenzione dei binari, la sostituzione degli impianti di segnalamento e automazione del deposito. Nel 2023 è stato sostituito l'armamento e sono stati rifatti alcuni tratti del sedime in cemento armato. La stazione di Dinegro è inoltre predisposta per un ulteriore proseguimento della linea verso il quartiere di Sampierdarena. La banchina sud permette l'accesso da entrambi i lati ed il terzo binario presente in stazione, ora utilizzato per operazioni di servizio, è stato costruito per permettere quest'estensione. Metropolitana di Genova Renzo Piano San Teodoro Villa Di Negro Rosazza dello Scoglietto Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su stazione di Dinegro Sito ufficiale AMT Genova, su amt.genova.it. Metrogenova - Sito indipendente su metropolitana e trasporto pubblico genovese, su metrogenova.com.

Stazione di Genova Via di Francia
Stazione di Genova Via di Francia

La stazione di Genova Via di Francia è una fermata ferroviaria, posta tra le stazioni di Genova Piazza Principe sotterranea e Genova Sampierdarena, sita nella zona di San Benigno nel quartiere di Sampierdarena, di fronte agli edifici del World Trade Center di Genova. Nell'ambito del potenziamento del nodo ferroviario genovese, nei primi anni 2000 venne progettata una fermata all'uscita della galleria per Santa Limbania, che passando sotto la collina di San Benigno raggiungeva direttamente la stazione sotterranea di Genova Piazza Principe. I lavori per la costruzione della fermata ebbero inizio nel 2004 e furono completati l'anno successivo. La fermata fu attivata l'11 dicembre 2005. Dei quattro binari che sono presenti in quella zona, collegando le stazioni di Piazza Principe e di Sampierdarena, solo due passano per la stazione, mentre gli altri due si trovano in posizione rialzata alle spalle della stazione stessa. Via di Francia è una fermata passante a due banchine laterali provviste di pensilina e collegate mediante sottopasso. Non dispone di servizi di biglietteria. Tra il 2019 e il 2020 presso il binario pari sono stati costruiti alcuni locali tecnici ed il nuovo futuro accesso della stazione, dotato di tornelli e ascensore. RFI la classifica nella categoria silver. Durante i primi mesi di esercizio i treni che fermavano in questa stazione, solo otto convogli in tutto, non effettuavano la fermata nella stazione principale del quartiere, suscitando numerose proteste da parte dei residenti e dei pendolari. Con il primo cambio di orario sono state ripristinate le fermate in entrambe le stazioni e nel tempo è aumentato il numero di convogli che effettuano la fermata. A partire dal 2013 il traffico ferroviario che interessa la fermata risulta fortemente penalizzato a causa dei lavori che interessano il nodo di Genova, i quali hanno comportato la soppressione provvisoria del binario pari di Genova Piazza Principe Sotterranea. Nel 2021 il binario pari è stato riattivato, mentre è stato chiuso quello dispari per consentire i lavori nell'altra galleria. Via di Francia è servita unicamente dai treni del servizio ferroviario urbano diretti verso Ponente. Nei giorni festivi non ferma nessun convoglio. La stazione è principalmente utilizzata dagli impiegati nel centro direzionale WTC e del complesso di San Benigno. Nelle vicinanze della stazione (poco più di 1 km) vi è l'accesso al percorso pedonale panoramico che arriva alla base della lanterna di Genova. All'uscita su Via di Francia transitano alcune autolinee e filovie urbane. Rete Ferroviaria Italiana, Fascicolo linea 74 (Genova-Savona). Servizio ferroviario urbano di Genova Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su stazione di Genova Via di Francia

Lanterna di Genova
Lanterna di Genova

La Lanterna di Genova (o semplicemente "Lanterna", in genovese a Lanterna de Zena o a Lanterna) è il faro portuale del capoluogo della Liguria, la città un tempo definita la Superba o Dominante dei mari. Da secoli strumento indispensabile alla navigazione notturna delle navi in entrata e uscita dal porto, la Lanterna è anche il simbolo di Genova, assumendo quasi un ruolo di totem di tutto ciò che riguarda la città, e come tale fa parte della storia cittadina. Alta 77 metri e situata ad una quota sul livello del mare di 117 metri (considerando anche lo storico scoglio su cui è costruita), è il faro marittimo più alto d'Italia e del Mediterraneo e il secondo in Europa dopo il Faro dell’Île Vierge, nel dipartimento francese di Finistère, che nel 1902 tolse alla Lanterna il primato superandola in altezza di circa cinque metri. Risulta attualmente essere il quinto faro più alto del mondo e il secondo, sempre dietro quello di Île Vierge, fra quelli tradizionali, ossia costruiti dalle rispettive autorità portuali con lo scopo primario di supporto alla navigazione. L'edificio consiste in una torre su due ordini di sezione quadrata con terrazza alla sommità di ciascun ordine. Costruito originariamente probabilmente nel 1128 e ricostruito nella sua struttura attuale nel 1543, è considerato il terzo faro più antico al mondo tra quelli ancora in attività, dopo la Torre di Ercole a La Coruña e al faro di Kõpu sull'isola di Hiiumaa in Estonia. Dai registri del faro si apprende che nel 1449, tra i custodi della Lanterna, venne nominato Antonio Colombo, zio paterno del famoso navigatore Cristoforo. La Lanterna sorge al margine orientale del quartiere di Sampierdarena, su uno scoglio isolato oggi interamente inserito all'interno del contesto portuale, estrema punta di quella che un tempo era la collina di promontorio di San Benigno che divideva l'ex comune di Sampierdarena da quello di Genova. Il luogo in cui fu costruita veniva chiamato promontorio poiché, prima che la mano dell'uomo ridisegnasse i contorni della baia genovese, era circondato da tre lati dal mare. A ovest la collina delimitava l'originario porto di Genova, quello che oggi è il porto antico. Con il passare del tempo la collina ha assunto il nome di Capo di Faro o di San Benigno, dal nome dell'omonimo convento che su essa sorgeva. Di fatto oggi la collina non esiste più, rasa al suolo nella seconda metà degli anni '20 del XX secolo per creare nuovi spazi per la città, il porto stesso e i suoi insediamenti produttivi, e l'unica porzione che ne è rimasta è proprio la piccola propaggine rocciosa su cui sorge il faro. Parallelamente, fra gli anni venti e gli anni trenta si sono svolti i lavori per l'ampliamento del Porto di Genova, con la creazione dei nuovi moli di Sampierdarena, realizzati tramite cospicui riempimenti a mare. In seguito all'operazione lo scoglio della Lanterna non è più direttamente sul mare ma a breve distanza da esso, in corrispondenza del molo di Ponte San Giorgio. La Lanterna, oltre che dai varchi portuali ad accesso controllato, è accessibile dalla città esclusivamente attraverso una passeggiata pedonale di circa 800 metri che si sviluppa per la maggior parte a sbalzo esternamente alle vecchie mura cittadine attraverso un percorso che sovrasta le banchine portuali, offrendo la possibilità di osservare da vicino le attività del porto. La passeggiata inizia presso il Terminal Traghetti di Genova, servito dalle autolinee urbane AMT e dalla stazione della metropolitana di Dinegro, distante circa 400 metri. L'imbocco della passeggiata è situato inoltre a circa 1,5 chilometri dalla stazione ferroviaria di Principe e dal casello di Genova Ovest sull'autostrada A7. La Lanterna è costituita da una torre su due ordini di sezione quadrata, costruita in pietra naturale estratta dalle cave di Carignano, con terrazza aggettante alla sommità sia del primo che del secondo tronco. Per raggiungere la sommità, al suo interno si sviluppa una scala in muratura con 365 gradini totali, di cui 172 aperti al pubblico per raggiungere la prima cornice, mentre la seconda cornice appartiene alla Marina Militare e non è visitabile. Un tempo la Lanterna non era sola, ma aveva una "sorella minore", chiamata Torre dei Greci, eretta dopo la metà del 1200 e che si trovava come in tutti i porti all'estremo opposto dell'arco portuale, all'incirca nella zona dove attualmente sorgono i Magazzini del Cotone nel Porto Antico. Si tratta di un faro di secondo ordine. La lanterna è posta sulla sommità della torre ed è costituita da un ambiente a pianta circolare di 4 metri di diametro, con vetrata di 3,44 metri di altezza. L'ottica rotante, da 700 mm di distanza focale, è formata da 4 pannelli lenticolari con assi a 45° e 135°, parte diottrica con occhio di bue centrale, 3 elementi anulari superiori e 10 inferiori tutti interrotti lateralmente; su ogni pannello è sistemato un secondo pannello di prismi deflettori per il funzionamento aereo. Oltre all'ottica principale e al relativo impianto il faro è dotato di un gruppo elettrogeno di soccorso per l'alimentazione elettrica degli impianti di emergenza e del FIR (faro elettrico indipendente di riserva). La prima torre, secondo alcune fonti non ufficiali, risale all'epoca medioevale (1128) ed era caratterizzata da una struttura architettonica formata da tre tronchi merlati sovrapposti. Purtroppo non si hanno riscontri ufficiali poiché i documenti del secolo XII, le prime cronache e gli atti ufficiali del nascente comune genovese, forniscono dati sicuri sulla torre di segnalazione, ma non la sua data esatta di costruzione. Alla sommità venivano accesi fasci di steli secchi di erica ("brugo") o di ginestra ("brusca") allo scopo di segnalare le navi in avvicinamento, i cui padroni dovevano pagare una tassa "pro igne facendo in capite fari" al momento dell'approdo. La torre sorgeva lungo la strada di collegamento tra Genova e il ponente, la cosiddetta Via di Francia, che costeggiava l'arco portuale e il Promontorio, sull'ultima propaggine della costa di Sampierdarena, allora luogo di villeggiatura, su cui si affacciavano numerosi palazzi e ville nobiliari. All'epoca la strada era probabilmente a picco sul mare e passava a mare del faro; le rappresentazioni grafiche della strada la descrivono invece in una veste più recente, sicuramente non anteriore al XVII secolo, passante all'interno del faro attraverso la cosiddetta "tagliata", una profonda trincea scavata a monte della Lanterna. A livello urbanistico la Lanterna era in quel periodo quindi relativamente lontana dalla città, e solo nel XVII secolo venne inglobata nella cosiddetta Cerchia Seicentesca, la poderosa cerchia di mura lunga quasi diciannove chilometri attorno alla città, quasi interamente esistente ancora ai nostri giorni. La torre diventò protagonista della guerra tra guelfi e ghibellini, quando venne danneggiata da questi ultimi che tentarono di far scendere i guelfi che vi si erano rifugiati all'interno. Era il 1318 e, tre anni dopo, nel 1321, si procedette a un primo consolidamento scavando un fossato a difesa. Nel 1326 vennero installate in entrambi i fari le prime lanterne alimentate a olio di oliva, per aiutare le navi a bene individuare l'ingresso alla città. Del 1371 è la prima raffigurazione grafica del fare di Capo Faro (perlomeno tra quelle giunte a noi), presente nella copertina della pergamena intitolata Manuale dei Salvatori del Molo e del Porto. Attorno al 1400 la torre diventò anche prigione per ospitare come ostaggi, per cinque anni, il re di Cipro, Giacomo I di Lusignano, qui rinchiuso assieme alla moglie (che tra quelle mura diede alla luce il figlio Giano). A meglio identificare la Lanterna con la città, nel 1340 venne dipinto alla sommità della torre inferiore lo stemma del Comune di Genova, opera del pittore Evangelista di Milano. Nel 1405 i sacerdoti guardiani della Lanterna posero sulla cupola un pesce e una croce di metallo dorato, simbolo di cristianità e nel 1413 un decreto dei "Consoli del Mare" stanziò un fondo di "lire 36" per assicurare la gestione del faro, divenuto ormai indispensabile per la sicurezza della navigazione. Nel 1507, durante un periodo di dominio francese sulla città, re Luigi XII fece edificare ai piedi della Lanterna il "Forte Briglia", una fortificazione atta a ospitare la guarnigione dell'esercito invasore. Dal forte, con il supporto di un vascello da guerra che bloccava il traffico navale, nel 1513 i francesi assediarono il porto di Genova, liberato in seguito dalle forze genovesi capitanate da Andrea Doria, comandante del porto e della flotta. Durante questa battaglia la Lanterna venne pesantemente danneggiata dal fuoco amico dei colpi di bombarda esplosi dagli insorti genovesi contro i dominatori francesi. Dopo trent'anni, nel 1543, la Lanterna venne ricostruita per volontà del doge Andrea Centurione Pietrasanta che fece finanziare i lavori dal Banco di San Giorgio. Il faro assunse così l'aspetto attuale, legato stilisticamente al mondo rinascimentale, applicando ai plinti di coronamento mensole aggettanti. Fu posta in opera una nuova lanterna con cupola costruita in doghe di legno di rovere e ricoperta con fogli di rame e di piombo fermati con ben 600 chiodi di rame. Per l'occasione fu posta alla sommità della prima torre, all'interno del ballatoio, una targa a memoria della ricostruzione. La lanterna era formata da un'ampia vetrata i cui vetri, di notevole spessore e peso, erano forniti, così come già dal 1326, da maestri vetrai dapprima liguri e in seguito veneziani. I vetri della lanterna spesso esplodevano, si spaccavano o si inclinavano a causa della violenza del vento, delle oscillazioni della torre, della deformazione dei montanti in ferro per la caduta di fulmini e non ultimo per avvenimenti bellici, per cui ne erano richiesti in gran quantità. Ai fanalisti, custodi della Lanterna o Turrexani della torre, così definiti nei documenti del tempo, si faceva obbligo di vivere con la famiglia all'interno della torre e "di curare che i vetri fossero sempre tersi e puliti affinché la luce della lampada apparisse nitida e brillante". Nel corso della storia la Lanterna è stata colpita più volte da fulmini; i danni più gravi si registrarono nel 1481, quando un fulmine colpì la torre uccidendo uno dei guardiani. Nel 1602 un fulmine colpì nuovamente la Lanterna, distruggendo la parte merlata della torre superiore. A seguito dell'episodio nel 1603, alla base esterna della torre superiore, venne murata, a scopo propiziatorio, una targa in marmo recante una scritta “Jesus Cristus rex venit in pace at Deus homo factus est”. Ancora oggi l'antica targa è murata su fronte a terra alla base della torre superiore, anche se risulta ormai quasi illeggibile. Nel 1565 si ritornò a lavorare sulla cupola per renderla stagna e nel 1681 si ricostruì la cupola con legno di castagno selvatico ricoprendo il tutto con pece e stoppa, e infine con fogli di piombo stagnati a bordi sovrapposti. Nel 1692 si ebbe poi la ricostruzione della vetrata distrutta dal bombardamento del 1684, attuato da Jean-Baptiste Colbert, marchese di Seignelay e dall'ammiraglio francese Abraham Duquesne su ordine di re Luigi XIV. A seguito dei ripetuti danni causati dai fulmini e dagli avvenimenti bellici, nel 1711 la torre venne incatenata a mezzo di chiavarde e tiranti che ancora oggi sono visibili all'interno e nel 1791 vennero effettuati, alla base della prima torre, lavori di consolidamento per renderla più stabile. Al 1778 risale la costruzione di un impianto parafulmine ad opera del fisico padre Glicerio Sanxay, destinato a mettere fine ai numerosi danni provocati nell'arco di diversi secoli dai fulmini. Va detto che per secoli l'illuminazione è avvenuta con lampade di metallo o di vetro a stoppino. Nel 1840 venne realizzata un'ottica rotante su carro a ruote con lente di Fresnel e il 15 gennaio del 1841 venne acceso e avviato il nuovo sistema di illuminazione, il cui studio era stato eseguito dal Professor Plana. Il nuovo impianto si componeva di una lanterna di diametro di 4 metri, di forma dodecagonale a 4 ordini di cristalli piani sul lato verso mare, mentre la parte verso monte, nel settore fra 110° e 290°, era oscurata per mezzo di lamiere di rame di forma circolare. La base della Lanterna poggiava dal lato mare su lastre di piombo e dal lato terra su lastre di ferro; il tutto era rinforzato con montanti e traversini di ferro. Le principali caratteristiche erano: luce bianca fissa con portata a 15 miglia a cui erano sovrapposti splendori intervallati di un minuto visibili fino a 20 miglia circa. Verso la fine dell'Ottocento il faro iniziò a essere ritenuto inadeguato in relazione all'arco di costa che doveva segnalare; nel 1881 si propose persino di declassarlo e di costruirne uno nuovo sul promontorio di Portofino, in questo meglio rispondente alle necessità della navigazione. Tale proposta venne tuttavia accantonata tre anni dopo, perché alla luce delle nuove possibilità che l'evoluzione tecnica consentiva, fu possibile adottare la soluzione di potenziare il faro di Genova in modo da ottenere la copertura della costa a est fino al settore del Faro del Tino e a ovest fino al settore del Faro di Capo Mele. Dopo gli ulteriori aggiornamenti del 1898 e del 1913, nel 1936 si ebbe il passaggio all'elettrificazione moderna. Quindi nel 1956, dopo i danni ricevuti dall'aviazione statunitense e britannica nella Seconda guerra mondiale, la vecchia lanterna venne sostituita insieme all'ottica rotante e a tutti i congegni. Le dimensioni della nuova lanterna, per non modificare lo stile architettonico dell'antico monumento, furono similari alla precedente del 1841. Contestualmente venne inoltre sistemato un impianto per l'erogazione dell'energia di emergenza, messo in opera un montacarichi nell'angusto spazio della tromba delle scale e ritinteggiato lo stemma della gloriosa Repubblica Marinara sulla facciata della torre inferiore. Come ultima modifica degna di nota, nel 1970 l'antico impianto di rotazione a peso motore, rimasto in sito quale riserva, fu sostituito da un impianto di rotazione elettrico e a seguito dell'apertura dell'aeroporto di Genova, posto a pochi chilometri della torre, alla sommità della cupola della Lanterna fu messo in opera un fanale intermittente rosso, di modesta portata, quale segnale di pericolo per gli aerei. L'intero complesso, comprendente faro, fortificazioni, piazzali e parco urbano, è stato restaurato e reso accessibile al pubblico tra il 1995 e il 2004. Nel 2024 è stata nominata lighthouse of the year dall'Associazione Internazionale delle Autorità per i Fari (IALA). Dal momento che la Lanterna sorgeva sulla principale via di comunicazione fra Genova e il ponente, fino allo sbancamento del colle di San Benigno nel primo Novecento, già al momento della realizzazione delle cosiddette Mura Nuove seicentesche, venne realizzata una porta al loro interno esattamente ai piedi della Lanterna. Quindi, come ricorda lo storico Federico Donaver, alla vecchia porta, mantenuta in sede fino alla sua demolizione nel 1877, ne fu affiancata una nuova costruita fra il 1828 e il 1831, chiamata Porta Nuova, Porta della Lanterna o Porta del Chiodo dal nome del suo progettista, il generale Agostino Chiodo. Come scriveva lo stesso Donaver infatti, la stessa porta e le vie adiacenti prendevano "nome della Lanterna o Faro pei naviganti che si eleva a 127 m sul livello del mare, la cui costruzione rimonta al 1549". La porta, a duplice fornice, era ricavata nel vivo della roccia era e aveva, originariamente, due ponti levatoi sostenuti da catene che scorrevano su ruote di bronzo, presto sostituiti, per le mutate necessità pratiche, con una passerella fissa. La facciata neoclassica è costruita in pietra di promontorio (ricavata dallo stesso colle alle spalle della Lanterna) e marmo bianco di Carrara, abbinamento che conta precedenti illustri nell'architettura della città. Notevole è l'appartato scultoreo, costituito dalle metope, delle teste di meduse poste in chiave di volta e dal gruppo dello stemma. L'edificio della porta fu demolito nel 1935. A seguito di polemiche, per mantenere memoria della porta, la sola facciata venne smontata e ricostruita nell'attuale posizione, addossata al muraglione della Lanterna, una cinquantina di metri più a sud e ruotata di 90° rispetto alla posizione originaria, perdendo l'originaria funzione di porta. Annesso alla torre sorge il Museo della Lanterna raggiungibile attraverso una passeggiata di circa seicento metri che costeggia le vecchie mura fino ai piedi del faro partendo da via Milano (parcheggio del terminal traghetti). L'area è raggiungibile dal vicino casello autostradale di Genova-Ovest (Sampierdarena). Dopo una prima opera di riqualificazione del sito portata a termine nel 2004, nell'aprile del 2006 è stato completato a opera della Soprintendenza ai Beni Ambientali e Architettonici della Liguria il restauro e l'adattamento della Porta Nuova della Lanterna, adiacente alle fortificazioni che ospitano i locali del museo (in origine la porta aveva una rotazione di 90° in direzione nord, chiudendo l'accesso alla città dalla parte di ponente). In particolare, il lavoro di restauro ha riguardato il riassetto e la pulizia degli elementi in marmo della porta, il riposizionamento di elementi distaccati dall'attico e la sistemazione della pavimentazione in pietra antistante la via di accesso. Contestualmente è stata ripristinata l'agibilità del parco urbano situato a nord della torre. Alla base del faro, all’interno delle antiche fortificazioni si trova il Museo della Lanterna: nelle prime sale dette dei fucilieri, oggi si racconta la storia della Lanterna. Una parte del museo - ovvero le Sale dei cannoni - è riservata specificatamente all'uso e alla funzione dei fari navali e ai sistemi di segnalamento in mare. Un tipo particolare di lente - la lente di Fresnel, simile a quella adottata dal faro genovese - riproduce per il visitatore, con il proprio fascio di luce in rotazione, la visione in soggettiva dall'interno dell'ottica di un faro vero e proprio. All'interno del museo sono ospitate periodicamente anche mostre tematiche, laboratori per famiglie e attività didattiche e per le famiglie, ed è possibile organizzare eventi corporate. Nella stagione estiva, nel parco adiacente Porta Nuova della Lanterna, si svolgono rassegne teatrali, di musica e festival. Insieme al Museo navale di Pegli, al Galata − Museo del mare e al Museoteatro della Commenda di San Giovanni di Pré (attivo tra il maggio 2009 e il 6 gennaio 2020, destinato a confluire nel Museo nazionale dell'emigrazione italiana), il Museo della Lanterna fa parte del polo culturale del Mu.MA - Istituzione Musei del Mare e delle Migrazioni, creata nel 2005. Il faro, in qualità di strumento di supporto alla navigazione marittima, è completamente controllato e gestito dal Comando di Zona Fari della Marina Militare con sede in La Spezia (che tra l'altro si occupa di tutti i fari dell'Alto Tirreno). La Marina Militare si occupa della gestione di tutti i fari (di cui 128 d'altura) sugli 8.000 km circa di coste italiane dal 1910, avvalendosi di tecnici sia militari sia civili. Il resto della Lanterna, nei suoi ruoli di monumento storico, simbolo cittadino e attrazione turistica, è stato gestito dalla provincia di Genova tramite l'associazione Giovani Urbanisti - Fondazione Labò, che ha sostituito dal 2 luglio 2014 la Fondazione Muvita, quest'ultima di proprietà della Provincia di Genova che la gestiva dal 1º luglio 2004. L'associazione si occupava dell'apertura al pubblico del faro e del museo annesso, oltre alla manutenzione ordinaria del complesso, incluso il parco urbano intorno a esso e la passeggiata di accesso. La Provincia di Genova cessa il suo mandato il 31 dicembre 2014 e passa la gestione al Comune di Genova. La Fondazione Labò con il gruppo Giovani ha continuato a garantire la valorizzazione del Complesso Monumentale secondo le modalità di cui sopra fino al 5 gennaio 2020. Il Complesso monumentale della Lanterna dal marzo 2018 è entrato a far parte del Mu.MA - Istituzione Musei del Mare e delle Migrazioni. Dal 6 gennaio 2020 il Gruppo Giovani della Fondazione Labò e parte degli Amici della Lanterna si sono costituiti in un'impresa culturale creativa nata dall’esperienza di conduzione degli ultimi cinque anni: la PHAROS light for heritage, che in collaborazione con l'associazione Amici della Lanterna promuove e sostiene le iniziative per la valorizzazione del monumento simbolo di Genova. Dal 14 gennaio 2020 il complesso monumentale è visitabile dal martedì alla domenica, grazie all’estensione dell'orario di apertura. La Lanterna, storie e leggende del Faro più famoso del mondo, Editrice Il Golfo, 2000. Annamaria "Lilla" Mariotti, Fari, Vercelli, Edizioni White Star, 2005, pp. 28-31, ISBN 88-540-0342-5. Genova Storia di Genova Mura di Genova Porto di Genova Wikiquote contiene citazioni di o su Torre della Lanterna Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Torre della Lanterna Sito ufficiale, su liguri.org. (EN) Lanterna of Genoa, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Lanterna di Genova, su CulturaItalia, Istituto centrale per il catalogo unico.