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Stazione di Genova Via di Francia

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Genova Via di Francia staz ferr binari
Genova Via di Francia staz ferr binari

La stazione di Genova Via di Francia è una fermata ferroviaria, posta tra le stazioni di Genova Piazza Principe sotterranea e Genova Sampierdarena, sita nella zona di San Benigno nel quartiere di Sampierdarena, di fronte agli edifici del World Trade Center di Genova. Nell'ambito del potenziamento del nodo ferroviario genovese, nei primi anni 2000 venne progettata una fermata all'uscita della galleria per Santa Limbania, che passando sotto la collina di San Benigno raggiungeva direttamente la stazione sotterranea di Genova Piazza Principe. I lavori per la costruzione della fermata ebbero inizio nel 2004 e furono completati l'anno successivo. La fermata fu attivata l'11 dicembre 2005. Dei quattro binari che sono presenti in quella zona, collegando le stazioni di Piazza Principe e di Sampierdarena, solo due passano per la stazione, mentre gli altri due si trovano in posizione rialzata alle spalle della stazione stessa. Via di Francia è una fermata passante a due banchine laterali provviste di pensilina e collegate mediante sottopasso. Non dispone di servizi di biglietteria. Tra il 2019 e il 2020 presso il binario pari sono stati costruiti alcuni locali tecnici ed il nuovo futuro accesso della stazione, dotato di tornelli e ascensore. RFI la classifica nella categoria silver. Durante i primi mesi di esercizio i treni che fermavano in questa stazione, solo otto convogli in tutto, non effettuavano la fermata nella stazione principale del quartiere, suscitando numerose proteste da parte dei residenti e dei pendolari. Con il primo cambio di orario sono state ripristinate le fermate in entrambe le stazioni e nel tempo è aumentato il numero di convogli che effettuano la fermata. A partire dal 2013 il traffico ferroviario che interessa la fermata risulta fortemente penalizzato a causa dei lavori che interessano il nodo di Genova, i quali hanno comportato la soppressione provvisoria del binario pari di Genova Piazza Principe Sotterranea. Nel 2021 il binario pari è stato riattivato, mentre è stato chiuso quello dispari per consentire i lavori nell'altra galleria. Via di Francia è servita unicamente dai treni del servizio ferroviario urbano diretti verso Ponente. Nei giorni festivi non ferma nessun convoglio. La stazione è principalmente utilizzata dagli impiegati nel centro direzionale WTC e del complesso di San Benigno. Nelle vicinanze della stazione (poco più di 1 km) vi è l'accesso al percorso pedonale panoramico che arriva alla base della lanterna di Genova. All'uscita su Via di Francia transitano alcune autolinee e filovie urbane. Rete Ferroviaria Italiana, Fascicolo linea 74 (Genova-Savona). Servizio ferroviario urbano di Genova Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su stazione di Genova Via di Francia

Estratto dall'articolo di Wikipedia Stazione di Genova Via di Francia (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

Stazione di Genova Via di Francia
Via di Francia, Genova San Benigno

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Genova Via Di Francia

Via di Francia
16149 Genova, San Benigno
Liguria, Italia
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Genova Via di Francia staz ferr binari
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San Benigno (Genova)
San Benigno (Genova)

San Benigno è un moderno quartiere direzionale e di servizi nel comune di Genova, compreso nelle ex circoscrizioni di Sampierdarena e San Teodoro, che insieme formano il Municipio II - Centro Ovest. La zona di San Benigno, oggi sede di centri direzionali, infrastrutture e servizi, in gran parte legati alle attività portuali, si è sviluppata a partire dal dopoguerra sull'area ricavata negli anni trenta dallo sbancamento dell'omonimo colle, parte terminale del crinale che fino ad allora rappresentava il confine tra Genova e Sampierdarena. La maggior parte degli edifici del moderno quartiere direzionale sono stati costruiti tra gli anni ottanta e novanta. Tra questi il World Trade Center e il Matitone (terminato di costruire nel 1992). Vi hanno sede la CULMV, la storica "Compagnia Unica dei lavoratori portuali", gli scaricatori del porto un tempo chiamati camalli e la caserma che ospita il Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Genova. Storicamente il colle di San Benigno era la parte terminale del crinale che separava Genova dal limitrofo comune di Sampierdarena, chiudendo a ponente l'anfiteatro naturale alle spalle della città e del porto antico. Il colle prendeva il nome dalla storica abbazia di San Benigno, costruita nel XII secolo, nome attribuito anche al moderno quartiere direzionale. Il crinale collinare terminava a picco sul mare con il promontorio di Capo di Faro, dove sempre nel XII secolo era stata costruita la primitiva Lanterna. Oggi la roccia su cui poggia la Lanterna rappresenta l'ultimo resto del colle di S. Benigno. La strada che collegava Sampierdarena a Genova, fino all'apertura di una prima galleria nel XIX secolo doppiava il capo sul quale si erge tuttora il faro. Tra il 1626 e il 1632, lungo il crinale furono costruite a difesa della città le "Mura Nuove", che inglobarono all'interno della cinta difensiva l'antica abbazia. Con la costruzione delle mura, tra il 1633 ed il 1643 fu aperta nei pressi del faro la Porta della Lanterna, lungo la strada che da Sampierdarena immetteva in città. Intorno al 1850 sul sito dell'antica abbazia, abbandonata dai monaci per le leggi di soppressione del 1798, fu costruito il grande complesso delle caserme che funzionarono fino ai primi decenni del XX secolo; dopo scomparvero con lo sbancamento dell'intero colle. Tra la fine del XIX secolo e l'inizio del XX sia Genova, sia diversi dei comuni che dal 1926 ne costituiscono i quartieri, videro un aumento delle attività industriali, dell'attività portuale (alcune delle strutture attualmente esistenti nell'area del porto antico vengono edificate proprio in questo periodo) e la creazione di nuove infrastrutture al servizio di queste. In quest'ambito nel 1898 venne proposta la creazione di una nuova strada di collegamento tra Sampierdarena ed il confine occidentale di Genova, che avrebbe dovuto transitare nella zona dove allora sorgeva il colle si San Benigno. Il colle in questo periodo appartiene a diversi proprietari, alcuni pubblici (un terzo dell'area è del demanio militare), altri privati (principalmente la ditta Carena che gestisce in loco una cava di pietrame). Pareri discordanti sul tipo di tecnica da utilizzare (scavo in trincea, galleria, ecc..), contrattazioni inerenti alla cifra da pagare all'autorità militare per permettere l'uso dell'area di sua competenza (1.500.000 lire nel 1905, poi ridotti a 1.100.000 lire) e gli interessi spesso opposti dei vari enti pubblici e proprietari privati dell'area hanno tuttavia rallentato di molto le decisioni, al punto di arrivare allo scoppio della prima guerra mondiale che porta ad un momentaneo congelamento del progetto. Negli anni venti del Novecento la ritrovata necessità di migliori collegamenti con il porto permettono di riprendere la progettazione dell'opera. Nell'estate del 1925 il Consorzio Autonomo del Porto presenta al consiglio superiore del Ministero per i Lavori Pubblici un nuovo progetto per la strada e in generale per tutta l'area, che dovrà essere destinato al futuro centro direzionale del porto, con la dismissione delle infrastrutture militari presenti. Il progetto viene approvato e il Consorzio acquista il possesso dell'area per 31 milioni di lire. La strada viene inaugurata il 19 settembre 1929. I materiali ricavati dalla demolizione furono utilizzati per i riempimenti necessari alla costruzione dei nuovi moli davanti a Sampierdarena. Il 10 ottobre del 1944, durante la seconda guerra mondiale quanto restava del colle di S. Benigno fu squassato da una tremenda esplosione che distrusse un complesso di gallerie ferroviarie, utilizzate in parte dall'esercito tedesco come deposito di munizioni, ma anche dalla popolazione come rifugio antiaereo. Le cause dell'esplosione, che provocò la morte di centinaia di civili, tra rifugiati nelle gallerie e abitanti dei soprastanti palazzi distrutti, oltre a 200 soldati tedeschi (le vittime sono stimate almeno 1000 ma alcune fonti indicano anche 2000), non furono mai ufficialmente accertate. Una prima inchiesta ipotizzò che la deflagrazione fosse stata innescata da un fulmine, mentre in seguito ci fu chi attribuì la responsabilità ad un'azione di sabotaggio da parte di gruppi partigiani, che non ne avrebbero ben calcolato i devastanti effetti sulla popolazione civile. Nel 2004, in occasione del sessantesimo anniversario del tragico evento, il senatore Franco Servello di Alleanza Nazionale, con riferimento ad un libro sull'argomento pubblicato dallo scrittore genovese Raffaele Francesca in quello stesso anno ha presentato un'interrogazione al Ministro della Giustizia. Le vicende storiche e urbanistiche che negli ultimi due secoli hanno modificato completamente l'aspetto del quartiere hanno portato alla totale scomparsa di alcuni storici edifici. Tra questi l'antica abbazia che aveva dato il nome alla zona e le strutture militari sorte nel Seicento a difesa della città. La chiesa di S. Benigno, con l'annesso monastero dei benedettini era stata costruita nel XII secolo. Il complesso, comprendente anche un ospitale per viandanti, fu attivo per quasi sette secoli. Dapprima inglobato nelle "Mura Nuove" seicentesche, fu definitivamente abbandonato dai monaci nel 1798 per le leggi di soppressione napoleoniche ed utilizzato come caserma e magazzino dall'esercito sabaudo. Intorno al 1850 quanto restava del complesso fu demolito per costruire le due grandi caserme. Il tratto delle Mura Nuove che correva lungo il crinale del colle prendeva il nome di Mura di San Benigno e terminava alla Lanterna, dove una monumentale porta consentiva l'accesso in città. L'originaria porta della Lanterna fu demolita nel 1877, nonostante numerosi pareri contrari, e sostituita da un'altra architettonicamente più modesta ma più adatta per il crescente traffico. Questa porta è oggi riposizionata ai piedi della Lanterna, in un luogo diverso da quello originario. L'antica abbazia, ormai in rovina dopo il forzato abbandono dei monaci nel 1798, ribattezzata "Forte S. Benigno", fu utilizzata come deposito di munizioni e caserma, mentre sul piazzale antistante fu sistemata una batteria composta da due cannoni e otto mortai, collocati a protezione del porto ma anche per contenere eventuali rivolte della popolazione, come esplicitamente dichiarato da rapporti militari intorno al 1840. Cosa che puntualmente accadde il 5 aprile 1849, quando, durante l'insurrezione di Genova contro il governo sabaudo, il generale Alfonso La Marmora da questa postazione fece bombardare la città; repressa l'insurrezione, fu lo stesso La Marmora a suggerire il potenziamento del sito, per prevenire nuove sommosse. Tra il 1852 e il 1860, demolito completamente l'antico monastero, furono costruite due grandi caserme, che potevano ospitare 1276 soldati ciascuna. Le caserme furono sede di comandi militari fino al 22 giugno 1930, quando con una fastosa cerimonia furono dismesse in previsione della loro demolizione, conseguente al progettato spianamento del colle. I lavori di sbancamento non erano ancora completati durante la seconda guerra mondiale, quando parte dei ruderi furono utilizzati come batteria contraerea, ed ancora nel dopoguerra come ricovero per senza tetto, e furono eliminati definitivamente negli anni settanta, prima della costruzione dei nuovi centri direzionali. Batterie della Lanterna. A protezione della Lanterna e del porto, fin dall'epoca della costruzione delle mura, nel XVII secolo, ai piedi del faro fu realizzata una prima postazione di pezzi d'artiglieria, rafforzata un secolo dopo con un'altra batteria posta quasi al livello del mare all'estremità del promontorio, denominata "Batteria a fior d'acqua della Lanterna". Durante l'assedio di Genova del 1800 il fuoco di queste batterie costrinse una squadra navale inglese a riprendere il largo. Nella prima metà dell'Ottocento attorno alla Lanterna furono realizzate altre tre batterie. Oggi restano solo le murature perimetrali di una di esse, sul terrazzo a lato del faro. Batteria San Benigno. Nel 1878, nel piazzale antistante le due caserme fu sistemata un'altra grossa batteria a difesa del porto, affacciata su due fronti: quello di levante, armato con sei cannoni da 32 GRC (Ret) e quello di ponente con quattro cannoni da 24 GRC (Ret). Il quartiere è servito dalla piccola stazione ferroviaria non presenziata di Genova Via di Francia in cui, nelle ore di punta dei giorni feriali, fermano alcuni dei treni regionali del nodo genovese. Oltre a questo sono presenti in zona alcuni capolinea delle linee di autobus urbani dell'AMT. Nell'antistante zona portuale si trova il terminal traghetti progettato dall'architetto Aldo Luigi Rizzo e costruito tra il 1993 e il 1999. Nella zona di San Benigno confluiscono alcune delle principali vie di comunicazione del nodo viario genovese, quali l'autostrada A7 con il casello di Genova Ovest, la strada sopraelevata, oltre ad alcune delle principali strade urbane che collegano i quartieri di Sampierdarena e San Teodoro: via A. Cantore, lungomare G. Canepa, via di Francia e via Milano. La viabilità della zona è interessata dagli interventi previsti nel nodo stradale e autostradale genovese, per i quali la Conferenza dei servizi ha già dato la propria approvazione, riguardanti il nuovo collegamento tra la barriera autostradale di Genova-Ovest e il porto e la sua connessione con la viabilità ordinaria. Lo scopo di questi interventi è la separazione della viabilità ordinaria dai flussi di traffico diretti o provenienti dal porto. Sempre nel quadro della razionalizzazione del traffico in questo snodo cruciale della viabilità cittadina è prevista realizzazione del "Tunnel subportuale", che passando sotto il bacino del porto vecchio, dovrebbe collegare direttamente i quartieri di ponente con quelli di levante, evitando l'attraversamento del centro della città; questa opera è inserita dal 2001 nel "Programma delle infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale" , anche se non sono ancora stati definiti finanziamenti e tempi di realizzazione. Filmato promozionale del quartiere dirigenziale, realizzato dalla SCI S.p.a. - Costruzioni ed insediamenti edilizi, ed ospitato sul canale YouTube dell'Archivio nazionale cinema d'impresa

Villa Spinola di San Pietro
Villa Spinola di San Pietro

La villa Spinola di San Pietro è una villa patrizia situata nel quartiere genovese di Sampierdarena, edificata dalla famiglia Lercari, passata agli Spinola e sede del liceo statale Piero Gobetti. La villa fu fatta costruire nella seconda metà del XVI secolo da Giovanni Battista Lercari, doge della Repubblica di Genova nel biennio 1563-1565, proprietario del Palazzo Lercari-Spinola di via degli Orefici. Lo stesso doge ne finanziò la decorazione interna delle sale, che fu iniziata al piano terreno con l'affresco della vasta volta dell'atrio, con grottesche e paesaggi realizzati da un autore non identificato. Sempre al piano terreno, l'ambiente che presenta le decorazioni di maggior pregio, giunte fino a noi in ottimo stato di conservazione, è la sala con le Storie di Paride raffigurate sulla volta, attribuite a Bernardo Castello, che raffigura al centro il Ratto di Elena, affiancato da Paride fanciullo consegnato ai pastori, il Convito degli dei e Il giudizio di Paride, entro cornici bianche a stucco. A seguito della tragica scomparsa del figlio maggiore del doge, la campagna decorativa cinquecentesca venne interrotta. Successivamente, la villa pervenne per via ereditaria al nipote Giovanni Battista Spinola, che nel 1616 aveva acquistato il titolo ducale di San Pietro in Galatina. Giovanni Battista Spinola (cognato del celebre condottiero Ambrogio Spinola, ritratto da Velasquez nel famoso dipinto La resa di Breda) la fece rimaneggiare conferendole la struttura che ha ancora oggi e completando la decorazione interna. Con i lavori eseguiti tra il 1622 e il 1625 l'edificio subì sostanziali modifiche, con la chiusura delle logge e l'apertura di nuove finestre. Fino all'Ottocento rimase di proprietà degli eredi degli Spinola, fu poi ceduta a vari istituti religiosi (prima le Dame del Sacro Cuore e poi le Figlie della carità di San Vincenzo de' Paoli, note come "Cappellone") ed infine nel 1920 al comune di Sampierdarena che la adibì a scuola. Nel drastico processo di trasformazione che subì il borgo di Sanpierdarena, da villaggio di pescatori e luogo di villeggiatura patrizia a polo industriale e logistico, la villa perdette completamente il vastissimo parco che si estendeva sia a valle fino quasi al mare, sia a monte sulle colline, abbellite da peschiere e giochi d'acqua per i quali i Lercari avevano fatto costruire un apposito acquedotto. La villa perse quindi completamente l'intenso rapporto con il paesaggio circostante, garantito dalle ampie logge al piano terreno e al secondo piano del progetto alessiano, visibili sulle incisioni che Rubens dedicò alla villa. Con la creazione della Grande Genova, nel 1926, è entrata a far parte del patrimonio del comune di Genova. Nel frattempo era stata sopraelevata di un piano; un tempo in posizione aperta e dominante, dal primo Novecento è circondata e quasi soffocata dai caseggiati costruiti intorno, tanto che l'ingresso dovette essere spostato nella facciata a monte perché lo spazio antistante era stato quasi interamente occupato da un edificio di abitazione che copre la vista della facciata principale. L'aspetto severo dell'edificio è anche dovuto alla perdita delle decorazioni pittoriche che ornavano la facciata principale e contribuivano ad ingentilire l'impatto. Attualmente è sede del liceo statale Piero Gobetti. La villa è costruita secondo il classico modello alessiano, simile nella struttura alla villa Giustiniani Cambiaso di Albaro, ma non si conosce il nome del progettista. È uno dei due palazzi sampierdarenesi descritti da Rubens nel volume Palazzi di Genova (l'altro è "La Fortezza"), dove è identificato come il palazzo "C". Come molte ville del Cinquecento, fu dotata di una torretta di protezione. All'interno è presente un importante ciclo di affreschi dei secoli XVI e XVII secolo riferibili a Bernardo Castello (Ratto di Elena e Storie di Paride) nell'atrio, Giovanni Carlone (Imprese di Megollo Lercari e Nozze di Pellina e Luca Spinola) nel salone del piano nobile e Giovanni Andrea Ansaldo (Imprese di Ambrogio Spinola e Gesta di Perseo) nelle stanze laterali, tutti di grande pregio. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su villa Spinola di San Pietro Sito del Liceo Gobetti, con immagini dell'interno e degli affreschi, su gobetti.edu.it. URL consultato l'11 Dicembre 2020 (archiviato dall'url originale il 3 agosto 2021).

Villa Pallavicini Gardino
Villa Pallavicini Gardino

Villa Pallavicini Gardino, nota anche come Palazzo Gardino, è una storica dimora nobiliare italiana, sita nel comune di Genova. Si trova a Sampierdarena, anticamente comune autonomo e luogo di villeggiatura per le famiglie benestanti e dal 1926 integrato nel territorio del capoluogo ligure. Collocata sull'immediato litorale del Mar Ligure, la villa venne edificata nel XVI secolo su commissione della famiglia Pallavicini, che in questa zona aveva un nutrito gruppo di ville familiari, quasi tutte scomparse. Sebbene non si conosca la data esatta e il progettista, di questo complesso di ville, oltre alla Pallavicini Gardino, ai secoli ne sopravvissero solo due: la Villa Pallavicino, restaurata nel 2021, e la villa di cosa di Belvedere, mentre finirono distrutte quella di vico Cibeo, di via Dottesio e di Salita San Barborino. La villa, come uso all'epoca, era dotata di un ampio giardino, significativamente ridotto già nella prima metà dell'Ottocento per la costruzione della nuova ferrovia Genova-Ventimiglia. Ancora ben visibile nelle mappe del cartografo Vinzoni di metà Settecento, si spingeva sino a via Dondero, sia con coltivaizoni sia come giardino all'italiana. Ma fu con l'edificazione della cosiddetta "nuova strada Reale da Genova a Torino" - poi via Buranello - che andò infine del tutto perduto. Fino a quando San Pier D'Arena restò comune autonomo e l'area non si era sviluppata industrialmente, il litorale sampierdarenese era comunemente utilizzato dalle famiglie nobili o più abbienti come località di villeggiatura. Fu soprattutto dopo lo sbancamento del colle di San Benigno che cambiò radicalmente la topgrafia dell'area, rivoluzionata poi nel Novecento dallo sviluppo edizilizio industriale e civile, e dalla creazione del porto, che allontanò definitivamente l'edificio dalla linea di costa. La villa si ritrovò pertanto al centro di un'area prevalentemente dedicata a uffici e al centro della viabilità del casello autostradale di Genova Ovest, della Sopraelevata Aldo Moro e più avanti anche di Lungomare Canepa. Nel 1946 fu acquistata dalla ditta di legnami Fratelli Gardino Spa, che già la occupavano dal 1920 e avevano realizzato sui terreni a monte un deposito di legnami, trasferito altrove nel 2002, quando i terreni vennero venduti per costruire il centro direzionale di san Benigno. Nei decenni successivi la villa ebbe funzioni diverse, commerciali e civili. Fu oggetto di un restauro conservativo nel 1996 che ridisegnò gli spazi interni per destinarli ad appartamenti, ma non fu possibile trovare una destinazione d'uso definitiva, e cadde in disuso. Nel 1963, intanto, la soprintendenza per i beni archeologici della Liguria aveva sottoposto la villa a vincolo architettonico. Nei primi anni 2000 la famiglia Gardino vendette la villa a una società immobiliare, ma nei successivi venticinque anni l'edificio finì nuovamente in sostanziale disuso e dergado. Solo nel 2022 iniziò una completa opera di ristrutturazione degli esterni, terminati nel 2023, quando l'edificio venne posto in vendita per 2,3 milioni di euro, dopo essere stato periziato nel 2014 oltre tre milioni di euro. In ragione dell'importante costo, il comune non manifestò interesse, pur esistendo un progetto di conversione a centro direzionale approvato dalla soprintendenza e un progetto di collocazione della villa all'interno di un nuovo Parco della Lanterna. La villa presenta una struttura architettonica tipica dello stile monumentale di Galeazzo Alessi, molto popolare fra le famiglie nobili liguri fra il Cinquecento e il Settecento, con un impianto cubico regolare e un tetto a padiglione. Johann Christoph Volckamer nel 1708 nella propria mappa indica la villa come di proprietà dei Pallavicini, e riporta l'esistenza di una torre, che aveva probabilmente funzioni difensive, vista l'esposizione costiera e la frequente attività di pirati e predoni sulle coste liguri almeno sino al Seicento. Nel 1757 anche il cartografo Matteo Vinzoni riportava la presenza di una torre sul lato destro della villa, e attribuiva la villa ad Alessandro Pallavicino. La facciata meridionale, rivolta verso al mare, era molto vicina alla costa e perciò edificata lievemente oltre la linea della spiaggia. Sulla facciata sono presenti sette ampie finestre simmetriche al sopra dell'ingresso, dov'è visibile lo stemma della famiglia, uno scudo con una barra in rilievo, a simboleggiare una corona, e altri cinque elementi, rigati, in rilievo, a contorno della forma dello scudo. Il decreto di vincolo di tutela architettonica descrive la villa come una «importante opera di architettura gentilizia ligure del sec. XVI, con stemma marmoreo della famiglia Pallavicino e grande cornicione sorretto da mensole binate, scalone nobile in ardesia, con volte a botte profilate sulle rampe e a crociera sui pianerottoli». Gli interni, come in altre ville nobiliari cinquecentesche, presentano un piano terreno con ammezzato, un piano nobile con ammezzato, e un locale sottotetto adibito a cucine, quest'ultimo elegantemente decorato e affrescato, mentre i certamente fastosi decori degli altri piani sono andati perduti nei vari rimaneggiamenti secolari. I piani sono fra loro collegati con un ampio scalone a tre rampe in ardesia. AA.VV., Ville del ponente e della Val Polcevera, Genova, Sagep, 1986. Alessandro Mancuso, 70 ville antiche a san Pier d'Arena, Golden Press, 2012, ISBN 9788889558805. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su villa Pallavicini Gardino Villa Pallavicini Gardino, su catalogo.beniculturali.it, Ministero della cultura. Palazzo ex Pallavicino ora Gardino, su Direzione Generale Archeologia Belle Arti e Paesaggio, Ministero della Cultura.

Abbazia di San Benigno (Genova)
Abbazia di San Benigno (Genova)

L'abbazia di San Benigno era una chiesa di Genova, con annesso un convento di monaci benedettini, costruita nel XII secolo sullo scomparso colle che divideva gli attuali quartieri di Sampierdarena e San Teodoro. La chiesa di S. Benigno ebbe origine da una chiesetta dedicata a S. Paolo, sorta all'inizio del XII secolo sul colle di Promontorio (che in seguito sarebbe stato detto "di S. Benigno") e affidata a monaci benedettini provenienti dall'abbazia di Fruttuaria di San Benigno Canavese, nei pressi di Ivrea. Nel 1132 i monaci ebbero in dono da varie famiglie nobili del tempo un terreno per ampliare la chiesa e costruirvi un monastero. La chiesa romanica, in pietre squadrate, aveva tre navate e alcune cappelle laterali. Per la sua posizione lungo la via di accesso alla città da ponente, al convento fu annesso un ospitale per pellegrini e viandanti. Nel 1155 il convento fu elevato ad abbazia, intitolata ai santi Benigno e Paolo, ma nel giro di pochi anni rimase solo quella al santo martire Benigno. Intorno al 1217 nell'abbazia prestò servizio Sinibaldo Fieschi, il futuro papa Innocenzo IV. Il complesso monastico visse momenti di grande splendore, grazie a donazioni e lasciti, alternati a momenti di difficoltà, come nel 1411, quando i frati furono decimati da un'epidemia di peste o pochi anni più tardi quando, in gravi difficoltà economiche e necessitando di restauri, fu messo alle dipendenze del monastero di San Gerolamo della Cervara vicino a Portofino. Più volte il convento fu coinvolto in episodi bellici, subendo gravi danni, come avvenne nel 1319, nel corso delle lotte di fazione tra guelfi e ghibellini, e soprattutto nel 1514, per le vicende belliche che coinvolsero l'adiacente fortezza denominata "Briglia", nel corso delle quali fu semidistrutta la primitiva Lanterna, poi ricostruita nelle forme attuali nel 1543. Nel corso del XVI secolo ci fu una ripresa; accanto all'ospitale sorse anche una scuola umanistica e il complesso si arricchì di opere di famosi artisti del tempo, quali Lazzaro Tavarone, Giovanni Andrea De Ferrari, G.B.Carlone, G.B.Paggi, Domenico Fiasella, Domenico Piola e Giovanni Montorfano. Nel 1633 con la costruzione delle "Mura Nuove" iniziò il declino: il pianoro su cui sorgeva il monastero fu inglobato nelle stesse, restando a diretto rapporto con eventuali assedianti, mentre sul piazzale antistante fu collocata una batteria di cannoni. Il complesso fu definitivamente abbandonato dai monaci nel 1798 (che si trasferirono a S. Nicolò del Boschetto) a causa delle leggi di soppressione degli ordini religiosi emanate dalla Repubblica Ligure. L'edificio, spogliato delle opere d'arte e degli arredi, dal 1818 fu inglobato nelle strutture militari e adibito a deposito di munizioni, mentre il campanile fu utilizzato come torre per segnalazioni a distanza. Intorno al 1850 quanto restava dell'antica abbazia fu demolito per costruire due grandi caserme, anch'esse scomparse nel secolo successivo con lo sbancamento dell'intero colle. Antonella Rovere (curatrice), Le carte del Monastero di San Benigno di Capodifaro (secc. XII-XV), Atti della Società Ligure di Storia Patria Nuova serie – Vol. XXIII (XCVII) 1983 Stefano Finauri, Forti di Genova: storia, tecnica e architettura dei fortini difensivi, Genova, Edizioni Servizi Editoriali, 2007, ISBN 9788889384275. Ezio Baglini, San Pier d'Arena com'era com'è, Genova, SES, 2018, ISBN 9788889948231.

Stadio di Villa Scassi
Stadio di Villa Scassi

Lo stadio Villa Scassi era un impianto sportivo di Sampierdarena, città del Genovese in seguito incorporata al capoluogo ligure. Era ricavato nel parco della cinquecentesca villa Imperiale Scassi, detta La Bellezza, acquistata nel 1888 dall'allora comune di Sampierdarena. Costruito dall'impresa Stura, poteva contenere sulle sue tribune in legno al massimo 5 000 spettatori stipati come in una scatola di pillole. "A scàtoa de pìloe" fu infatti il soprannome con cui i sampierdarenesi presero a chiamare l'impianto, benché il giornalista sportivo Carlo Bergoglio, detto "Carlin", preferisse chiamarlo "la scatola dei biscotti". Fu inaugurato nel 1920 con un derby amichevole tra i padroni di casa della Sampierdarenese e l'Andrea Doria terminato con il risultato di 4-1. La Sampierdarenese vi disputò i suoi primi 8 campionati nella massima serie nazionale, compresa la finale di andata del campionato di Prima Categoria FIGC 1921-1922 del 7 maggio 1922 contro la Novese, finita a reti inviolate. L'impianto ebbe vita breve, fu infatti chiuso nel 1928 e demolito per fare spazio all'attuale via Antonio Cantore. Nino Gotta, Pierluigi Gambino, 1000 volte Sampdoria, Genova, De Ferrari, 1991. Maurizio Medulla, Sampierdarena. Vita e immagini di una città, Genova, De Ferrari, 2007. Tito Tuvo, Marcello G. Campagnol, Storia di Sampierdarena, Genova, D'Amore Editore, 1975. Gino Dellachà, Una storia biancorossonera - Il calcio a San Pier d'Arena dal tempo dei pionieri del Liguria alla Sampdoria, Genova, Edizioni Sportmedia, novembre 2016, pp. 32-34. Società Ginnastica Comunale Sampierdarenese Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su stadio di Villa Scassi

Villa Grimaldi (Sampierdarena)
Villa Grimaldi (Sampierdarena)

Villa Grimaldi, nota anche come la Fortezza, è una storica dimora nobiliare del quartiere genovese di Sampierdarena, costruita nel Cinquecento per la famiglia Grimaldi. L'appellativo di "Fortezza" con cui è conosciuta è dovuto alla sua massiccia e severa struttura, con pochi decori esterni, circostanza che non ne pregiudica tuttavia l'aspetto monumentale. Il termine si pone anche in contrapposizione con gli appellativi "Bellezza" e "Semplicità" attribuiti rispettivamente alle adiacenti ville Imperiale e Lercari Sauli. La villa fu costruita negli anni sessanta del 1500 per il banchiere Giovanni Battista Grimaldi, all'epoca uno degli uomini più ricchi e influenti di Genova, su progetto del ticinese Bernardo Spazio che si ispirò per il suo progetto allo stile introdotto a Genova da Galeazzo Alessi, con il quale aveva collaborato, privilegiando però in questo caso la grandiosità della struttura architettonica piuttosto che gli elementi decorativi, peraltro non del tutto assenti nel progetto originario. Morto lo Spazio nel 1564, i lavori furono affidati dapprima a Giovan Battista Castello, noto come "il Bergamasco", e infine dal 1567 portati a compimento da Giovanni Ponzello, che in quegli anni stava curando la costruzione della vicina villa degli Imperiale. Alla morte di Giovanni Battista Grimaldi la villa passò al secondogenito Pasquale (mentre al primogenito Gio. Francesco fu assegnato il palazzo di famiglia di Genova, poi conosciuto come Palazzo della Meridiana). Nel Settecento ne è ancora documentata l'appartenenza alla famiglia Grimaldi. Durante l'assedio di Genova del 1800 fu utilizzata come ospedale dalle truppe napoleoniche, fino a che queste riuscirono a mantenere il controllo del comune di Sampierdarena, pressate dagli austriaci. Intorno alla metà dell'Ottocento fu acquistata da Agostino Scassi, figlio dell'Onofrio Scassi che nel frattempo era divenuto proprietario della villa Imperiale, alla quale aveva legato anche il suo nome, conosciuta infatti in epoca moderna come Villa Scassi. Il nuovo proprietario dopo averla affittata prima a un privato e poi all'Azienda delle Strade Ferrate, che la concesse provvisoriamente all'esercito come caserma, la diede in uso a una fabbrica di conserve alimentari Così la vide l'Alizeri nel 1875. All'inizio del Novecento fu acquistata dal proprietario della fabbrica di conserve, e ancora era adibita a quest'uso nel 1923, quando fu posta sotto vincolo della Soprintendenza alle Belle Arti e l'anno dopo acquistata dal comune di Sampierdarena, che mise in opera alcuni restauri liberandola delle baracche abusive che negli anni le si erano addossate intorno; nel 1926, con la costituzione della Grande Genova, entrò a far parte del patrimonio del comune di Genova. Parzialmente danneggiata dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, fu restaurata nel dopoguerra e adibita a sede scolastica, ospitando nel tempo diversi istituti professionali e poi dal 1965 la scuola media intitolata al pittore sampierdarenese Nicolò Barabino; parziali lavori di manutenzione vennero avviati a partire dal 1983 quando la villa era sede della succursale dell'IPC "G. Casaregis", ma nel 2008 gli ingenti costi necessari per l'adeguamento alle norme di sicurezza previste per gli istituti scolastici ne determinarono la chiusura. Nei successivi dieci anni, sebbene l'edificio non abbia avuto destinazioni d'uso specifiche, il cortile antistante è stato annualmente utilizzato come arena per trasmissioni cinematografiche all'aperto ed eventi teatrali. Nel 2022 l'edificio è stato sottoposto a restauro completo con l'obiettivo di dedicarlo a spazio per istituzioni culturali o eventi pubblici. Dopo l'interessamento di un centro di alta formazione danese, il Copenhagen Institute of Interaction Design, i locali della villa sono stati assegnati all'Accademia Ligustica di Belle Arti, al Teatro Nazionale di Genova, e al centro sociale Zapata. Nell'estate del 1607 Pasquale Grimaldi ospitò nella villa il Duca di Mantova Vincenzo Gonzaga accompagnato dal pittore Peter Paul Rubens che durante il suo soggiorno genovese acquisì i disegni di alcuni dei più bei palazzi di Genova, tra i quali la stessa "Fortezza", poi inseriti in un volume illustrato pubblicato ad Anversa nel 1622. Nel 1745 vi alloggiò il duca di Modena Francesco III, giunto a Genova in veste di comandante dell'armata spagnola (sia la Repubblica di Genova che il Ducato di Modena erano alleati della Spagna nel contesto della guerra di successione austriaca che sconvolgeva l'Europa in quel tempo). Qui Gian Giacomo Grimaldi quasi sessantenne (1705-1777) ospito' Giacomo Casanova nel 1764 onde persuaderlo a lasciare la sua amante, Rosalie, in isposa a un suo conoscente (Histoire de ma vie Vol 7, libri 3 e 4). La villa fiancheggia quella che era allora la strada principale di Sampierdarena, l'attuale via Nicolò Daste, ma l'ingresso e la facciata principale sono rivolti verso una strada laterale, diretta verso la spiaggia, l'antica "Crosa larga", oggi via Palazzo della Fortezza, su cui si affacciavano terreni coltivi di proprietà dei Grimaldi. Oltre che dal volume di Rubens la villa è documentata anche nei disegni e nelle planimetrie di Martin Pierre Gauthier del 1818-1832. La villa ha forma cubica, caratteristica dello stile dell'Alessi, di cui Bernardo Spazio era stato uno stretto collaboratore, ed è dotata di due logge, una al piano terreno nella facciata principale e una al piano nobile, orientata a nord, su via Daste. La facciata era ornata da un affresco in chiaroscuro di Battista Perolli, andato perduto. Si presenta oggi con un aspetto severo e totalmente privo di decorazioni. L'ingresso, sopraelevato rispetto al piano stradale, è costituito da una loggia a tre fornici. Successivi rifacimenti hanno del tutto eliminato l'originaria decorazione con semi-colonne doriche al piano terra e lesene corinzie al piano superiore, come si poteva vedere dai disegni del Rubens. L'eliminazione dei decori ha evidenziato la struttura architettonica, severa ma al tempo stesso armoniosa, che ben giustifica l'appellativo di "Fortezza". Sulle altre facciate non ci sono decorazioni, ed eccezione della balaustra della loggia, anch'essa a tre fornici, posta sulla facciata nord, che si apre nel salone del piano nobile. Al piano terra dal loggiato d'ingresso si accede ad un ampio vestibolo, in fondo al quale ha inizio lo scalone che porta al piano nobile. Sotto lo scalone si trovava un grande bagno ottagonale, oggi scomparso, simile a quello realizzato dall'Alessi per il palazzo Grimaldi in Bisagno e tanto lodato dal Vasari. Lo scalone disegnato dallo Spazio dà accesso alla loggia del piano nobile, da dove la vista spaziava verso le colline. La volta fu decorata da Battista da Carona (secondo alcuni in collaborazione con il fratello Andrea) con cassettoni in stucco ed altorilievi raffiguranti divinità marine realizzati su disegni di Luca Cambiaso. La loggia era priva di decorazioni e pitture alle pareti già nel progetto originale. La loggia è collegata con un grande salone, con tre grandi finestre rivolte a sud, da dove un tempo lo sguardo spaziava fino al mare. Il salone, lungo 18 m e alto nove, è anch'esso privo di decorazioni e pitture, ma gli stipiti scuri in ardesia di porte e finestre sul fondo bianco delle pareti conferiscono all'ambiente una grande solennità. Adiacenti al salone sono sei sale più piccole, tre per lato, le uniche che presentano affreschi nelle volte, oggi in cattivo stato di conservazione, opera del "Bergamasco" e del Perolli. I dipinti hanno in parte soggetto mitologico, con episodi dell'Iliade e dell'Eneide, altri rappresentano personaggi mitici dell'antica Roma. La struttura interna della villa e le decorazioni sono state in parte compromesse dalle varie destinazioni d'uso della villa a partire dal XIX secolo, in particolare quando fu trasformata in fabbrica di conserve. In origine sul lato a sud del palazzo si trovava un vasto giardino che arrivava sino al mare. Dopo che la costruzione della ferrovia lo aveva diviso in due parti, fu lottizzato e del tutto edificato intorno alla metà dell'Ottocento. La distanza dal mare fu ulteriormente aumentata dalla creazione del porto di Genova. Resta solo l'ampio cortile antistante all'ingresso, realizzato in posizione rialzata per superare il naturale dislivello del terreno. AA.VV., Ville del ponente e della Val Polcevera, Genova, Sagep, 1986. Guida d'Italia - Liguria, Milano, Touring Club Italiano, 2009. Ville di Genova Palazzo Gerolamo Grimaldi Palazzo Gio Battista Grimaldi (vico San Luca) Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Villa Grimaldi Villa Grimaldi (PDF), su opportunityliguria.it. Palazzo della Fortezza, su sanpierdarena.net. Le ville di Sampierdarena, su stedo.it. Il percorso storico delle ville di Sampierdarena, su opengenova.org. URL consultato il 10 febbraio 2015 (archiviato dall'url originale il 10 febbraio 2015).