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Chiesa di Santa Maria del Rosario (Milano)

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Santa Maria del Rosario (Milano)
Santa Maria del Rosario (Milano)

Santa Maria del Rosario è una chiesa parrocchiale prepositurale di concezione novecentesca che si trova a Milano in piazza del Rosario, lungo la via Andrea Solari, nel territorio del decanato di San Siro-Sempione-Vercellina.

Estratto dall'articolo di Wikipedia Chiesa di Santa Maria del Rosario (Milano) (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

Chiesa di Santa Maria del Rosario (Milano)
Piazza del Rosario, Milano Municipio 6

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Santa Maria del Rosario

Piazza del Rosario
20144 Milano, Municipio 6
Lombardia, Italia
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Santa Maria del Rosario (Milano)
Santa Maria del Rosario (Milano)
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Luoghi vicini

Primo quartiere popolare della Società Umanitaria
Primo quartiere popolare della Società Umanitaria

Il Primo quartiere popolare della Società Umanitaria o, nella sua iniziale denominazione, I quartiere operaio di via Solari è un complesso di edilizia residenziale pubblica di Milano costruito fra il 1905 e il 1906 dalla Società Umanitaria su progetto dell'architetto Giovanni Broglio. Il quartiere, realizzato in coincidenza con la grande Esposizione Internazionale di Milano del 1906, si sviluppa su un unico isolato sull'area allora nota come "Porta Macello" fra la via Solari (all'epoca via Solaro), la via Stendhal, la via Osvaldo Viani e la via Moisè Loria nel Municipio 6 di Milano nella parte sud ovest della città. Composto di 240 appartamenti fra monolocali, bilocali e trilocali, venne messo in opera nell'aprile 1905 e consegnato il 29 marzo 1906, allorché i primi mille occupanti poterono insediarvisi. Il costo dell'operazione immobiliare fu di Lire 909.000 di cui 788.000 di costi di materiali e 120.000 di costi per l'acquisto del terreno, di progettazione e di oneri finanziari. L'architettura del quartiere viene definita come liberty minore che non può presentare le elaborate decorazioni delle grandi dimore liberty borghesi del tempo: Broglio dovette infatti progettare il complesso con possibilità di spesa decisamente limitate che risultano nelle facciate lineari e omogenee e nelle decorazioni poco elaborate e prodotte in serie Il Primo quartiere popolare fu seguito, nel 1908, da una seconda struttura simile, a firma dello stesso Broglio, che venne eretta lungo l'attuale viale Lombardia, allora chiamata zona Rottole, e che prese il nome di Secondo quartiere popolare della Società Umanitaria o II Quartiere Operaio. Nell solco tracciato dalla medicina sociale di quell'epoca, attraverso la quale nuove norme igieniche venivano applicate a seguito delle ultime scoperte scientifiche soprattutto nel'àmbito della batteriologia, della parassitologia e della sierologia, e per stimolare la pulizia, l'igiene e la buona manutenzione dei fabbricati, l'Umanitaria stabilirà persino dei premi annui per quegli inquilini che avranno meglio conservato i locali a loro affidati”; in più nel quartiere esisteranno docce e bagni il cui uso era esteso anche al pubblico e non solo ai residenti. Saranno inoltre creati asili infantili, sale di allattamento comune e una bocciofila ancora esistente. Per completare il disegno dei servizi presenti all'interno del quartiere, il 18 ottobre 1908, alla presenza di Maria Montessori, la Società Umanitaria inaugurava la prima Casa dei Bambini di Milano, dando inizio a un esperimento unico nella storia dei servizi milanesi dedicati all'infanzia. L'intesa con la Montessori e l'applicazione del suo metodo proseguirà, nel 1909, con l'inaugurazione di una seconda Casa dei bambini che verrà aperta nel secondo quartiere operaio dell'Umanitaria di viale Lombardia. AA.VV., L'opera della Società umanitaria dalla sua fondazione ad oggi, 1. maggio 1911, a cura di Società Umanitaria, Milano, Cooperativa Tip. operai Milano, 1911, ISBN non esistente. Ospitato su archive.org. Archivio Storico della Società Umanitaria (a cura di), Quando l'Umanitaria era in via Solari. 1906. Il primo quartiere operaio (PDF). URL consultato il 9 agosto 2014 (archiviato dall'url originale il 4 marzo 2016). Marco Andreula, Giovanni Broglio e l’edilizia popolare a Milano, 1905-1930 (PDF), Milano, Milano città delle scienze, 2010. URL consultato il 9 agosto 2014 (archiviato dall'url originale il 10 agosto 2014). Liberty milanese Moisè Loria Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Primo quartiere popolare della Società Umanitaria Germano Maifreda, Lavoro e società nella Milano del Novecento, Milano, FrancoAngeli, 2006, ISBN 9788846480316. URL consultato il 12 novembre 2014. Mappa del quartiere, su openstreetmap.org.

Museo delle culture (Milano)
Museo delle culture (Milano)

Il Museo delle Culture (Mudec) di Milano è un museo e polo espositivo inaugurato nel 2015, in concomitanza con Expo, dedicato alla valorizzazione e alla ricerca interdisciplinare sulle culture del mondo. Nel Mudec hanno trovato collocazione i reperti e le collezioni delle Raccolte extraeuropee del Castello Sforzesco. Gli spazi del museo costituiscono inoltre un polo espositivo per mostre ed eventi temporanei, organizzati sia dal Comune di Milano che dal concessionario 24 ORE Cultura. Da febbraio 2022 il museo costituisce inoltre il centro dell'Area Museo delle Culture, Progetti interculturali e Arte nello Spazio Pubblico. Il progetto del museo ha origine a partire dai primi anni novanta, quando il comune di Milano decide di acquistare e riqualificare gli stabilimenti dell'ex acciaieria Ansaldo, nel quartiere di porta Genova, allo scopo di trasformare l'area industriale ormai dismessa in un polo multidisciplinare destinato ad attività culturali. In questo contesto prende corpo l'idea di costituire uno spazio espositivo in cui ricollocare le Raccolte extraeuropee dei musei civici di Milano. Queste collezioni etnografiche, raccolte a partire dai primi anni del Novecento negli spazi espositivi del Castello Sforzesco, subiscono infatti gravi danni durante un bombardamento avvenuto nell'agosto del 1943. Dopo la seconda guerra mondiale e a seguito del riallestimento pensato da Studio BBPR, le opere vengono conservate nei depositi del museo e mostrate al pubblico solo in occasione di alcune mostre temporanee. La costituzione del Mudec si propone quindi di ridare visibilità a un patrimonio culturale di particolare valore e significato rimasto sin dal dopoguerra inaccessibile al pubblico per carenza di spazi espositivi. Nel 1999 venne lanciato dal comune di Milano un concorso internazionale per la progettazione del Mudec vinto l'anno successivo dallo studio dall'architetto britannico David Chipperfield. L'edificio, che occupa un'area di 17.000 mq, si sviluppa su due diversi piani. Il piano terra, destinato all'accoglienza dei visitatori, include lo Spazio delle Culture Khaled al-Asaad (principale sede delle attività del palinsesto di Milano Città Mondo e più in generale dell'Ufficio Reti e Cooperazione Culturale), una biblioteca specializzata, i depositi delle collezioni, un laboratorio di restauro e uno spazio dedicato all'infanzia e ai giovani visitatori (Mudec Junior). Il percorso espositivo vero e proprio è sviluppato all'interno del primo piano, articolato attorno a una grande piazza centrale coperta, l'Agorà, di forma quadrilobata. Tratto saliente dell'architettura è la contrapposizione fra le linee curve dello spazio di transito centrale e i volumi geometrici e regolari delle singole sale espositive, contrasto accentuato dalle diverse gradazioni di luce e colore dei diversi ambienti. Dall'Agorà è possibile raggiungere l'Auditorium, la Collezione Permanente e le mostre temporanee curate dal Comune di Milano (nello Spazio Focus) e dal concessionario 24 ORE Cultura. Dal 2018 un nuovo spazio espositivo è costituito da Mudec Photo. Il logo del museo, progettato nel 2015 da Studio FM Milano, è rappresentato da una "M" antropomorfa le cui variazioni grafiche rimandano alla diversità, grafica e culturale, delle raccolte stesse del museo. Le collezioni del Mudec raccolgono oltre 9000 fra opere d'arte e artigianato, oggetti quotidiani, tessuti e strumenti musicali provenienti da tutti i continenti del mondo e intendono fornire una rappresentazione della diversità assunta dalle culture dell'uomo nel tempo e nello spazio. Fanno parte delle collezioni reperti delle originarie Raccolte extraeuropee del Castello Sforzesco, istituite nel 1838 dal Museo civico di storia naturale di Milano con oggetti provenienti da esplorazioni, missioni di alcuni ordini religiosi, donazioni di nobili famiglie milanesi e viaggi compiuti in epoca coloniale (come la collezione raccolta da Giuseppe Vigoni, senatore del Regno d'Italia e sindaco della città di Milano), di cui il museo riconosce esplicitamente le opere di spoliazione. Nucleo fondante del patrimonio del museo sono le collezioni di arte e cultura dall'Oriente (provenienti in particolar modo da Cina e Giappone), dell'Africa e delle civiltà precolombiane. Integrate e allargate nel dopoguerra attraverso una politica di acquisizioni mirate, queste collezioni includono reperti di particolare pregio relativi alla produzione culturale e artistica di popoli e civiltà non europee in un arco cronologico che va dai primi secoli avanti Cristo fino al Novecento. Gli oggetti del museo includono una selezione della raccolta di Manfredo Settala, uno dei primi esempi di collezionismo di manufatti non europei in Italia, in comodato dalla Biblioteca Ambrosiana, che comprende esempi pregiati relativi all'ambito collezionistico dei naturalia (curiosità e reperti provenienti dal mondo animale, vegetale, minerale), artificialia (naturalia trasformati dall'uomo in modo mostruoso o artistico) e mirabilia ed exotica (naturalia ed artificialia capaci di suscitare stupore e meraviglia, espressione di culture lontane e sconosciute). La collezione permanente è stata inaugurata il 28 ottobre 2015 con l'allestimento "Oggetti d'incontro"; un secondo allestimento, "Milano Globale. Il mondo visto da qui" è stato aperto il 16 settembre 2021 ed è attualmente visitabile. Per la collezione permanente del Mudec l'ingresso è gratuito. È in corso la pubblicazione delle collezioni online. Repertori in aggiornamento sono disponibili sulle piattaforme Lombardia Beni Culturali, MEBIC - Musei e Biblioteche in Comune, e su Google Arts&Culture alla pagina dedicata al Mudec. Accanto alle collezioni permanenti, il Mudec ospita esposizioni, mostre temporanee e installazioni site-specific volte ad arricchire l'offerta culturale del polo museale e la sua vocazione a dare visibilità alle varie manifestazioni della diversità culturale. Tra le esposizioni realizzate si ricordano: Etnografia Antropologia Archeologia Musei di Milano Musei italiani con collezioni orientali Raccolte extraeuropee del Castello Sforzesco Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su MUDEC - Museo delle Culture Mudec - Sito ufficiale Mudec su Lombardia Beni Culturali Mudec su MEBIC (Musei e Biblioteche in Comune) Mudec su Google Arts&Cultures

Armani Silos
Armani Silos

L'Armani/Silos è uno spazio espositivo milanese situato in via Bergognone 40, che illustra l'esperienza professionale dello stilista Giorgio Armani. Inaugurato nel 2015 su idea dello stesso Armani che ne ha seguito anche il progetto, sorge nel luogo dove originariamente si trovava un deposito di granaglie di una grande industria multinazionale. L'edificio, costruito nel 1950, a seguito dell'intervento di ristrutturazione si sviluppa su quattro livelli per una superficie di circa 4 500 metri quadrati. La mostra di apertura, che si articola su tutti e quattro i piani, è un excursus sui 40 anni di lavoro dello stilista e comprende 600 abiti e 200 accessori, dal 1980 a oggi, delle collezioni Giorgio Armani. La selezione è suddivisa secondo alcuni temi che hanno ispirato e che continuano a ispirare il lavoro creativo dello stilista: Androgino, Etnie e Stars. La tematica "Androgino" vede l'esplorazione della giacca, elaborata dallo stilista sul concetto dell'androginia mescolando elementi della sartoria rigorosa maschile con elementi della morbidezza femminile. La tematica "Etnie" vede la forte influenza delle culture lontane negli abiti dello stilista, tra alcuni dei paesi che hanno ispirato Armani abbiamo Africa, Cina, India, Giappone, Arabia, Persia, Polinesia e Siria. La tematica "Stars" vede affrontato il tema del red carpet, del cinema, spettacolo, divi e dive che hanno indossato gli abiti dello stilista nel corso del tempo. Armani Silos ha anche ospitato nel tempo collezioni temporanee tra le quali si ricordano: Tadao Ando: The Challenge, Larry Fink: The Beats and the Vanities e Politecnico di Milano: About Futute. La ricerca di semplicità, la predilezione per le forme geometriche regolari e il desiderio di uniformità hanno dato vita a un'architettura sobria e monumentale al tempo stesso, seguendo la regola dell'ordine e del rigore. Controcorrente rispetto alla tendenza dell'architettura contemporanea, per il progetto di via Bergognone Giorgio Armani ha volutamente ricercato la forma razionale. E le aree relative alle varie attività all'interno dell'edificio sono state progettate con la stessa logica: rispondere con razionalità alle esigenze funzionali, sempre nel rispetto della natura del luogo. L'intervento ha conservato la curiosa sagoma originaria dell'edificio - la forma ricorda quella di un alveare, metafora di laboriosità - rafforzando l'identificazione tra il nuovo spazio espositivo e il dinamismo creativo di Giorgio Armani e la sua filosofia estetica che ricerca l'essenzialità liberando da orpelli e, in generale, da elementi superflui. Unico elemento distintivo è la finestra a nastro che segna il perimetro dell'edificio, quasi come una corona, definendone la massa compatta. All'interno l'edificio è organizzato secondo uno schema distributivo a basilica con un ‘foro’ aperto a tripla altezza sul quale si affacciano due livelli di navate laterali. I soffitti dipinti di nero, a contrasto con i pavimenti in cemento grigio, mostrano oltre alla struttura in ferro dei nuovi solai, tutti gli impianti elettrici, di riscaldamento e raffreddamento oltre a quelli di illuminazione. La scala centrale, che collega i quattro livelli e organizza il percorso, attraversa un vano verticale, lasciando percepire a chi sale la grande altezza e dimensione della struttura. La facciata a vetri del foyer, scabra ed essenziale, attira l'interesse e la curiosità dei passanti. Lo spazio propone, oltre all'esposizione, un gift shop, una caffetteria aperta sulla parte interna e l'archivio digitale. Quest'ultimo raccoglie schizzi, disegni tecnici esemplificativi e materiale relativo alle collezioni di prêt-à-porter e di Alta Moda ed è dedicato ai ricercatori e agli appassionati che desiderano approfondire il lavoro e l'universo stilistico di Giorgio Armani. Situato all'ultimo piano, l'archivio è consultabile gratuitamente e si avvale di un sistema di catalogazione sviluppato appositamente per Armani/Silos. Workstation, tavoli touchscreen e un'area proiezioni sono gli strumenti messi a disposizione del pubblico per la consultazione e lo studio. L'archivio raccoglie circa 1000 outfit suddivisi per stagioni e collezioni, 2000 capi e accessori, numerosi bozzetti, video di sfilata e di backstage, immagini tratte da Emporio Armani Magazine, foto di campagne pubblicitarie iconiche. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Armani Silos Sito ufficiale, su armanisilos.com.

Parco Don Giussani
Parco Don Giussani

Il parco Don Giussani (ex parco Solari), è uno dei parchi cittadini di Milano. Realizzato nel 1935 su progetto dell'architetto Enrico Casiraghi e intitolato nel 2006 a Don Giussani (1922-2005), fondatore del movimento ecclesiale cattolico Comunione e Liberazione, si estende su un'area trapezoidale di poco più di quattro ettari compresa fra le vie Solari, Montevideo e Vincenzo Foppa e il viale Coni Zugna nel Municipio 6 di Milano. Il parco è servito dalla fermata Sant'Agostino della linea M2 verde della metropolitana. La creazione del parco fu affidata ad Enrico Casiraghi, progettista nello stesso periodo anche del parco Lambro, e pensata per dotare di verde l'area precedentemente occupata dallo scalo bestiame che serviva il vicino Macello pubblico. Inizialmente il parco era attraversato da un tratto a cielo aperto dal fiume Olona, che sfociava nella Darsena di Porta Ticinese; in seguito l'Olona fu prima coperto e successivamente deviato completamente lungo i viali della circonvallazione esterna, per evitare il rischio di inquinamento dei Navigli. Nel 2004 l'area è stata sottoposta a lavori di riqualificazione che hanno tra l'altro fornito il parco di migliore illuminazione e di un sistema di videosorveglianza e ospita, fra le altre attrezzature, una piscina comunale coperta progettata nel 1963 dall'architetto Arrigo Arrighetti (Piscina Solari). Tra le piante ad alto fusto, ricordiamo: acero di monte e argentato, cedro dell'Atlante e dell'Himalaya, ippocastano, albero di Giuda, mirabolano, farnia, carpino bianco, Faggio, magnolia, olmo, platano, pruno, quercia, pioppo cipressino; tra gli arbusti, diverse varietà di ortensia e di rosa; a cura delle guardie ecologiche, è stato predisposto un "percorso botanico", con una piccola guida descrittiva delle essenze. Al centro del parco, una fontana sgorga dal ceppo (formazione rocciosa) della valle del Lambro; poco distante una scultura di Kan Yasuda, la "Porta di ritorno" rappresentante un pistacchio. Quattro sono le aree gioco e tre gli spazi recintati per i cani. AA. VV., Enciclopedia di Milano, Milano, Franco Maria Ricci Editore, 1997. Comune di Milano - Arredo, Decoro Urbano e Verde - Settore Tecnico Arredo Urbano e Verde, 50+ parchi giardini, Comune di Milano / Paysage. ed. 2010/2011 Olona Parchi di Milano Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su parco Don Giussani Parco Don Giussani ex Parco Solari, su comune.milano.it, Comune di Milano. URL consultato il 16 ottobre 2014.

Casa Bassanini
Casa Bassanini

La Casa d'appartamenti Bassanini in via Foppa è un edificio storico di Milano, sito in via Foppa al civico 4, nelle vicinanze del parco Solari. Fu realizzata fra il 1930 e il 1934 su progetto dell'architetto Piero Portaluppi e su commissione dell'impresa appaltatrice S.A. Magnaghi & Bassanini. Ingegnere strutturale fu Paolo Mario Boschini. L'edificio fu commissionato in concomitanza con la liberazione dell'intera area dello scalo bestiame ferroviario che serviva il vicino Macello pubblico e la conseguente realizzazione del parco Solari. La casa d'appartamenti di via Foppa segna un netto stacco rispetto alle precedenti architetture del Portaluppi per la mancanza di elementi decorativi in facciata. La fronte dell'edificio risulta evidentemente ripartita in tre partiti: i due piani comprendenti la zoccolatura, il secondo a vetrata e il terzo comprendente l'ordine superiore originariamente distribuito su cinque piani oggi portati a sei. L'edificio presentava all'ultimo piano una grande terrazza, in origine di pertinenza del secondo piano, e oggi occupata dal rialzo con cui è ottenuto l'ultimo piano. La facciata mostra un andamento orizzontale accentuato dalla serie dei balconcini che ne occupano l'intera larghezza. Il progetto originale dell'edificio, realizzato con ossatura di cemento armato e muratura di mattoni, prevedeva 89 locali oltre i servizi e le anticamere e un piano seminterrato adibito a uffici; le terrazze realizzate nel corpo interno e in quello esterno coprivano una superficie di 500 m², i balconcini verso i cortili occupavano 25 m² mentre i balconi verso strada avevano una superficie complessiva di 75 m².

Teatro Libero (Milano)

Il Teatro Libero è un teatro di Milano. È una sala sospesa in cima ad uno stabile di via Savona a Milano, che si raggiunge tramite un ascensore o salendo una caratteristica scala che fiancheggia le abitazioni private. La direzione artistica è affidata a Corrado Accordino e a Manuel Renga, entrambi regista e attore. La stagione 1998 - 1999 è la prima curata e gestita da Teatri Possibili che, dopo l'esperienza biennale al Teatro Olmetto, stava cercando una sede più giovane e dinamica per le sue attività. I primi contatti avvengono nel marzo 1998, per sfociare poi nell'accordo di gestione del giugno successivo e, da settembre, Teatri Possibili inaugura la nuova stagione teatrale con un cartellone che comprende, tra l'altro, la ripresa di uno spettacolo di grande successo, Cirano, e il debutto della nuova produzione di Otello, ambedue con la regia di Corrado d'Elia. Nel settembre 2005, per festeggiare i dieci anni della nascita della Compagnia Teatri Possibili, iniziano i nuovi lavori di ristrutturazione per Teatro Libero, che viene riaperto al pubblico dopo tre settimane di lavoro. La direzione artistica dell'attore e regista Corrado d'Elia e la gestione Teatri Possibili hanno portato il teatro, in pochissimo tempo, ad essere per la terza stagione consecutiva la sala più frequentata in Italia tra quelle fino a 200 posti (oltre 33.000 presenze solo nella stagione 2004-05 - dati Agis). La sala è gestita dall'Associazione TLLT - Teatro Libero Liberi Teatri, costituita da sei compagnie teatrali. teatrolibero.it, https://www.teatrolibero.it.

Cimitero di Porta Vercellina
Cimitero di Porta Vercellina

Il cimitero di Porta Vercellina, prima foppone di San Giovannino alla Paglia o fopponino di Porta Vercellina e infine cimitero di Porta Magenta, era un cimitero situato, allora extra moenia, a Milano con l'entrata principale sul piazzale Aquileia. Era uno dei cinque cimiteri cittadini collocati fuori dalle porte di Milano e soppressi negli anni successivi alle aperture del Monumentale e di Musocco. Costruito in piena epoca spagnola nel Ducato di Milano durante la terribile peste di San Carlo nel 1576 per accogliervi le sepolture dei primi appestati, fu chiuso alle nuove sepolture nel 1885 sotto la nuova amministrazione unitaria italiana e le ossa presenti traslate nel 1912 presso il Cimitero Maggiore. Deve il suo nome al sostantivo milanese "foppa" (buco, fossa e quindi per estensione cimitero) e alla sua posizione nel quartiere di Porta Vercellina, appena fuori dalle mura spagnole e sull'attuale piazzale Aquileia. Nella seconda grande pestilenza di Milano del 1630 il cimitero venne trasformato in lazzaretto con la costruzione di 730 capanne per appestati ma, a differenza di quanto accaduto con molti altri lazzaretti della città, il lazzaretto del Fopponino rimase attivo fino al 1895. Durante la peste del 1630 la donazione Crivelli mise a disposizione il denaro per la costruzione di una chiesa, tuttora esistente, che venne poi edificata nel 1662 e dedicata ai santi Giovanni Battista e Carlo Borromeo e a cui si faceva riferimento con il nome di chiesa di San Giovannino alla Paglia. Dal 1638, il cimitero copriva una piccola area fra il piazzale Aquileia e via San Michele del Carso, un'area ancora oggi ricordata semplicemente come Cimitero primitivo. È invece circa del 1640 la cappellina dei Morti che è ancora oggi ben visibile sull'angolo fra il piazzale Aquileia ed il viale San Michele del Carso e che risulta interessante per la tipica impostazione secentesca del culto dei morti: la cappella è infatti decorata da tre teschi (di cui uno andato perso) e provvista, oltre la grata che la chiude, di un piccolo ossario a terra contenente alcuni teschi appartenuti ai defunti della peste; sulla facciata campeggia, ancora ben leggibile, il memento mori che da quelle medesime ossa viene rivolto ai passanti a ricordare il destino che tutti ci accomuna: che suona come un duplice monito a non dimenticare la nostra condizione di mortali e a tenere vivo il ricordo e il culto dei morti attraverso la memoria e la preghiera. Nell'anno 1786, stando a quanto raccolto dal bibliotecario e storico cavalier Vincenzo Forcella nel suo Iscrizioni delle chiese e degli altri edifici di Milano dal secolo VIII ai giorni nostri del 1893, la chiesetta di San Giovannino alla Paglia, con riferimento alla paglia utilizzata per i giacigli su cui venivano ricoverati gli appestati, di fronte alla quale si estendeva il Fopponino, acquistò alcuni terreni retrostanti il cimitero primitivo al fine di ampliarlo; ampliamento effettuato nel 1787 e che arrivò a coprire parte delle odierne via Paolo Giovio e via Andrea Verga. Il nuovo cimitero venne ingrandito nella parte retrostante la chiesa, verso la campagna, e misurava 1,8 pertiche milanesi, ovvero circa 12 000 metri quadrati. La tradizione vuole che le prime due sepolture nel cimitero così rinnovato fossero di due nobildonne: Teresa Anguissola Tedeschi (1735-1788), maritata con Galeazzo Busca Arconati Visconti, e la veneta Maria Carolina dei Prioli (1708-1788). Nonostante tutto, le nuove dimensioni non arrivavano a soddisfare le ulteriori sepolture, non più adatte alla aumentata popolazione locale; nel 1825 fu deliberato un nuovo ampliamento che venne portato a termine attraverso l'acquisto di nuovi terreni nel 1827 e che raddoppiò l'area del foppone ad ovest, coprendo ulteriormente l'attuale via Andrea Verga e via Ercole Ferrario. Fra il 1808 ed il 1828, venne realizzato lungo la via San Michele del Carso un piccolo campo santo, annesso al cimitero medesimo, per l'inumazione dei cittadini milanesi di fede ebraica. Il nuovo cimitero del 1830 aveva aggiunto un nuovo viale di ingresso lungo 42 metri, ben visibile nella planimetria qui sotto allegata e che si dipartiva dalla destra della Cappelletta dei Morti (realizzata nel 1640) ancora visibile in loco, che andava a distanziarsi a 113 metri dalla più vicina lunetta dei Bastioni (area oggi occupata dal piazzale Aquileia che ha infatti mantenuto la forma geometrica della fortificazione spagnola), ben più lontano degli originali 38 metri che separavano l'ingresso della struttura del 1787. Così riposizionato e ampliato, il cimitero rimase in servizio fino al 1868, anno in cui fu chiuso all'inumazione dei morti provenienti dalla città e disponibile solamente per i cadaveri provenienti dall'extra moenia, ovvero dai Corpi Santi di Milano, l'unione amministrativa delle cascine e dei borghi agricoli che si trovavano attorno alla città di Milano, appena oltre i suoi Bastioni. Tuttavia nel 1875 il foppone venne riaperto anche al servizio della città e nel 1882 appare citato nella "Guida di Milano" di quell'anno come "cimitero sussidiario" del Mandamento di Porta Magenta con la dicitura "Cimitero di San Giovannino" e una superficie di 34 100 metri quadrati. Il Cimitero di San Giovannino di Porta Magenta venne definitivamente soppresso il 30 novembre 1895 e dal giorno successivo i cadaveri lì destinati vennero trasferiti al nuovo Cimitero Maggiore, concludendo una storia durata più di 300 anni. Nel settembre del 1958, scorporando il territorio dalle parrocchie di S. Pietro in Sala, di S. Maria del Rosario e di S. Vittore al Corpo, viene istituita la parrocchia di S. Francesco d'Assisi al Fopponino, il cui titolo modifica il precedente "SS. Giovanni Battista e Carlo al Fopponino" già della chiesetta lì esistente dal 1662. Nel 1964, su disegno di Giò Ponti venne quindi ultimata la chiesa di San Francesco d'Assisi al Fopponino, tuttora parrocchia della zona dell'antico cimitero. Nell'attività plurisecolare del cimitero molte personalità illustri vi trovarono riposo: una lapide sul vecchio muro del foppone, collocata nel 1970 dallo studioso Wolfango Pinardi, riporta che qui furono sepolti, fra gli altri: Angelo Fumagalli, abate ed erudito (1728-1804); Carlo Amoretti, scienziato (1741-1816) Giocondo Albertolli, architetto ticinese (1742-1839); Maria Maddalena Barioli, terziaria francescana delle Suore orsoline di San Carlo (1784-1865); Verginia Besozzi, fondatrice della Congregazione figlie di Betlem (1829-1855); Gaetano Bugatti, orientalista e prefetto della Biblioteca Ambrosiana (1745-1816); Pietro Mazzucchelli, prefetto della Biblioteca Ambrosiana (1762-1829); Luigi Canonica, celebre architetto (1765-1844); Giovanni Gherardini, librettista e lessicografo (1778-1861); Melchiorre Gioia, filosofo (1767-1829); Gaetano Matteo Monti, scultore (1776-1847); Giacomo Moraglia, architetto (1771-1860); Barnaba Oriani, astronomo e matematico (1752-1832); Carlo Salerio, missionario e fondatore dell'istituto Suore della riparazione (1827-1870); Alessandro Sanquirico, scenografo e pittore (1777-1849); Amatore Sciesa, patriota e martire del Risorgimento (1814-1851). Parrebbe però che l'autore della lapide sia caduto in errore per quanto riguarda le sepolture di Barnaba Oriani e di Melchiorre Gioia che risultano invece essere stati sepolti presso l'antico Cimitero della Mojazza così come testimoniato nel 1855, almeno per il Gioia, dallo storico e scrittore Ignazio Cantù che, nel suo "Milano, nei tempi antico, di mezzo e moderno: studiato nelle sue vie; passeggiate storiche" poteva scrivere: Altre sepolture illustri vengono citate sempre dal Cantù a pagina 28, dove lo storico segnala le tombe di: Padre Angelo Fumagalli, diplomatista ed ecclesiastico milanese, abate di Chiaravalle, (1728-1804); Antonio Mussi, erudito e orientalista, direttore della Biblioteca Ambrosiana (1751-1810); Baldassarre Oltrocchi, oblato di San Sepolcro (1714-1797); Luigi Bossi, storico e archivista (1758-1835). Nel cimitero venne sepolta anche Margherita Barezzi, prima moglie del compositore Giuseppe Verdi, che morì a Milano nel 1840. Dal 1990 una targa in loco la ricorda. Prima di lei, in una tomba attigua, era stato sepolto anche l'unico figlio maschio avuto dalla coppia, Icilio, morto ad un anno di età proprio mentre i genitori si trovavano a Milano. Tedeschi, Carlo, Origini e vicende dei cimiteri di Milano e del servizio mortuario, Milano, Giacomo Agnelli, 1899, ISBN non esistente. Ospitato su braidense.it. Pinardi, Wolfango, Il Fopponino di Porta Vercellina in Milano, monografia, Milano, Edizioni di "Arte Cristiana", 1969. URL consultato il 19 giugno 2014. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Fopponino di Porta Vercellina