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Casa Candiani

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3285 Milano Luigi Broggi (1851 1926) Case Candiani Foto Giovanni Dall'Orto, 6 Mar 2008
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Casa Candiani, spesso Case Candiani per via del fatto che lo stabile occupa tre numeri civici, è un palazzo ottocentesco di Milano in stile eclettico. Storicamente appartenuto al sestiere di Porta Vercellina, il palazzo è situato in via Bandello n. 14-20.

Estratto dall'articolo di Wikipedia Casa Candiani (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

Casa Candiani
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3285 Milano Luigi Broggi (1851 1926) Case Candiani Foto Giovanni Dall'Orto, 6 Mar 2008
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Carcere di San Vittore
Carcere di San Vittore

Il carcere di San Vittore è un istituto penitenziario che si trova a Milano in piazza Filangieri 2. La sua costruzione inizia nel maggio del 1872, mentre viene inaugurato il 24 giugno 1879 durante il Regno d'Italia da Umberto I. La costruzione del nuovo carcere venne decisa dopo l'Unità d'Italia insieme ad altri provvedimenti di miglioramento delle infrastrutture milanesi, durante il periodo tra l'unificazione e il piano regolatore del 1889. Fino a quel momento, i detenuti erano rinchiusi in strutture non attrezzate allo scopo, tra cui l'ex-convento di Sant'Antonio abate, nel tribunale e nell'ex-convento di San Vittore. Per la costruzione della nuova struttura il governo acquistò dei lotti in zona periferica e poco edificata (l'attuale area tra corso Magenta e porta Ticinese) e incaricò l'ingegnere capo del genio civile Francesco Lucca, che si rifece al modello settecentesco del panopticon e disegnò un edificio a sei bracci di tre piani l'uno. Tra i raggi vennero costruite le cosiddette "rose" di passeggio, divise in venti settori destinati ciascuno a un singolo detenuto, per impedire la comunicazione tra i reclusi. Su piazza Filangieri venne costruito un edificio in stile medievale in cui vennero collocati gli uffici e l'abitazione del direttore. Originariamente era in stile medievale anche il muro di cinta, ma oggi è stato quasi completamente ricostruito per motivi di sicurezza. Il corpo di guardia alle spalle degli uffici costituisce un'ulteriore barriera tra l'interno e l'esterno. Nel periodo di costruzione venne a mancare il progettista e direttore dei lavori Francesco Lucca, deceduto nell'agosto 1875. La direzione passò all'esperto collega ingegnere capo del genio civile, nonché noto trattatista, Antonio Cantalupi (1811-1898), che portò a termine i lavori. Alla caduta del fascismo, il 25 luglio 1943, a San Vittore avvenne una rivolta, repressa ferocemente dall’autorità militare che aveva cominciato a dirigere l’ordine pubblico. Durante il secondo periodo bellico tra settembre 1943 e aprile 1945 il carcere di San Vittore fu soggetto in buona parte alla giurisdizione delle SS. Dopo aver occupato Milano il 12 settembre 1943 e aver stabilito già il 10 settembre presso l'Albergo Regina & Metropoli, a due passi dal duomo, il quartier generale nazista della Polizia di sicurezza e della Gestapo, le SS presero possesso anche del carcere milanese controllando e gestendo tre dei sei raggi del carcere, e precisamente il IV e il VI raggio destinato ai prigionieri politici e il V destinato agli ebrei in attesa di deportazione e conosciuto anche come «il girone degli impiccati», il «girone infernale» e il «raggio maledetto» Da questo momento il carcere di San Vittore avrà per gli ebrei, funzione di campo di concentramento provinciale, e funzionerà come luogo di raccolta per la deportazione di tutti gli arrestati nelle più grandi città del Nord come Genova e Torino o di quelli arrestati al confine con la Svizzera. I rimanenti raggi del carcere invece continuarono come sempre a essere impiegati per la reclusione dei detenuti comuni sotto la direzione della Questura di Milano. Secondo quanto scrive la ricercatrice Roberta Cairoli, il primo «responsabile del settore tedesco del carcere fu, dal settembre 1943, Helmuth Klemm, sostituito poi dal vice maresciallo Leander Klimsa, che successivamente passò alla Gestapo. A subentrare a Klimsa fu quindi il caporalmaggiore Franz Staltmayer, detto "la belva" o anche "il porcaro", che girava a San Vittore armato di frustino e in compagnia di un cane lupo, che aizzava contro qualche detenuto. Assistevano i tedeschi e praticavano le torture sui prigionieri gli italiani Manlio Melli e Dante Colombo, agenti dell’Ufficio politico investigativo (Upi) della Guardia Nazionale Repubblicana (Gnr), alle dipendenze del maggiore Ferdinando Bossi. Il regolamento del carcere era durissimo e le condizioni igieniche drammatiche. Agli ebrei erano negati i pochi diritti concessi agli altri prigionieri politici e comuni, ovvero l’ora d’aria in cortile, l’assistenza sanitaria, la possibilità di ricevere lettere e pacchi e di acquistare generi alimentari allo spaccio del carcere. Gli interrogatori degli arrestati erano condotti in uno stanzone a pian terreno, detto il "refettorio". Qui le sevizie di ogni genere venivano inflitte soprattutto sugli ebrei che non rivelavano i recapiti o i nascondigli dei loro parenti della cui presenza a Milano o nei dintorni le SS erano venute a conoscenza tramite loro spie. Degli ebrei di San Vittore, sette morirono in carcere, tre per causa ignota. I trasporti degli ebrei detenuti a San Vittore ammontarono complessivamente a quindici. Il primo partì per Auschwitz il 6 dicembre 1943, l’ultimo il 15 gennaio 1945 per Bolzano. - Non mancarono coloro che cercarono di rendere meno drammatiche le condizioni di vita dei detenuti: da suor Enrichetta Alfieri ai medici antifascisti Gatti e Giardina, che riuscirono a salvare qualche detenuto dalla deportazione e favorirono la fuga dei politici». Molti reclusi erano stati fermati o arrestati dalla polizia politica fascista; ad essi si aggiungevano gli arrestati per reati comuni e i prigionieri catturati da autorità italiane o tedesche per il servizio obbligatorio del lavoro. Parecchi erano rinchiusi senza registrazione o con una registrazione sommaria; la corruzione degli agenti di custodia era assai diffusa. I detenuti ebrei erano sottoposti a una stretta sorveglianza. Da San Vittore transitarono molti lavoratori dell'area industriale di Sesto San Giovanni deportati per motivi politici nei lager nazisti. Le vicende riguardanti i raggi tedeschi sono poco documentate dalle carte e molto di più dal ricordo e dalle testimonianze di coloro che vi furono detenuti. In un documento ufficiale del 1944 si legge quanto segue riguardo al "singolo braccio tedesco" esistente secondo la fonte: « [...] Nel carcere esiste un braccio tedesco ed un tribunale germanico. Questo giudica i cittadini italiani colà ristretti non secondo le leggi italiane, e quindi non applica le pene stabilite nel codice e nella procedura del diritto penale italiano o militare, a seconda dei casi. Le pene inflitte sono ordinariamente quelle detentive. I detenuti ristretti nelle sezioni tedesche, sui quali l'autorità italiana non ha alcuna influenza, sono soggetti ai regolamenti tedeschi, e a questi è preposto un sottufficiale delle S.S. alle dirette dipendenze dell'albergo Regina, ove siede il Comando per la Lombardia delle S.S. (colonnello Rauff). I detenuti colà ristretti appena giudicati dal tribunale germanico, vengono inviati per il servizio del lavoro in Germania se innocenti, sempre che siano fisicamente idonei. Se gravemente compromessi vengono inviati in campi di concentramento. In Germania vengono avviati per il lavoro anche i detenuti irrevocabilmente condannati, gli imputati che abbiano ottenuto la libertà provvisoria e gli inquisiti per i quali sia stata disposta la scarcerazione dall'autorità amministrativa». Da questo edificio, tramite l'organizzazione dei Gruppi di Azione Patriottica (GAP), venivano fatti fuggire ebrei e detenuti politici. Essi venivano trasportati all'ospedale Niguarda di Milano con diagnosi di finte febbri, poi grazie ad infermiere come Maria Peron, venivano forniti di abiti civili e aiutati a fuggire verso la libertà. Luigi Borgomaneri, autore di un saggio sul capo della Gestapo Theodor Saevecke e consulente nel processo a carico dell'ex capitano delle SS tedesche, fornisce diverse testimonianze su ciò che accadeva all'interno di San Vittore dal 1943 al 1945. Dei molti detenuti entrati e usciti dal "braccio tedesco" di San Vittore si trova testimonianza nei registri di iscrizione (libri matricola) che sono custoditi presso diversi istituti di conservazione. Vi fu detenuta Liliana Segre, futura attivista e testimone dell'olocausto, con il padre Alberto, prima che entrambi venissero deportati ad Auschwitz. A tal proposito Liliana Segre ha ricordato il grande calore e la straordinaria umanità dimostrata dai reclusi di San Vittore soprattutto quando, dopo il loro "soggiorno" a San Vittore, venne il tempo di essere avviati al binario 21 della stazione Centrale per la deportazione: Anche una delle guardie carcerarie, Andrea Schivo, fu detenuto a San Vittore e poi deportato per aver aiutato alcuni detenuti ebrei fornendogli del cibo, non fece più ritorno, morirà il 29 gennaio 1945 nel campo di concentramento di Flossenbürg. Dal 2006 è onorato come Giusto tra le Nazioni dallo Yad Vashem di Gerusalemme. In visita al carcere di San Vittore nel dicembre 2020, la senatrice Liliana Segre ha voluto ricordare l'umanità esemplare di Schivo e ha detto: «"Per me entrare a San Vittore è un grandissimo shock e una grande emozione, che purtroppo non posso condividere con nessuno, perché sono l'unica ritornata dal viaggio della morte. L'agente Andrea Schivo scelse di essere un uomo [...] a differenza del 99% degli italiani che invece avevano scelto l'indifferenza, la paura e il non obbedire alla propria coscienza: lui aveva scelto di essere un uomo. Non dimenticherò mai per il resto della mia vita quei detenuti che furono una manna nel deserto dei sentimenti, dell'etica e dell'umanità"». Un altro notevole personaggio legato al carcere che scelse di fare consapevolmente una scelta di campo, fu suor Enrichetta Alfieri che a tutti gli effetti fu membro della Resistenza e staffetta partigiana. All'interno del carcere una lapide celebra il suo ricordo. «Dopo essersi dedicata all’assistenza ai bambini e ai più bisognosi, nel 1923 viene destinata a un nuovo servizio, presso il carcere di San Vittore a Milano». Dopo l'occupazione tedesca dell'8 settembre 1943 Suor Enrichetta insieme ad altre suore prestò un importante aiuto alla Resistenza italiana. Quando Enrichetta insieme ad altre suore erano fuori da San Vittore per impegni vari, come l'andar a far spese o recarsi in chiesa, incontravano regolarmente membri del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia «per recapitare messaggi o consegnare generi di conforto». Nel carcere invece era costante «la loro opera di assistenza e sostegno ai detenuti politici, ai partigiani e agli ebrei». Ḕ proprio suor Enrichetta a essere il collegamento principale tra i detenuti e l’esterno, nascondendo «su di sé lettere e messaggi per i reclusi oppure fa pervenire all’esterno, alle persone in pericolo, notizie carpite o raccolte per caso, affinché gli interessati possano fuggire, distruggere prove ed essere messi in guardia dalle spie. In questo modo vengono salvate molte vite e viene protetta l’esistenza di varie strutture della Resistenza, che i nazifascisti non riescono a smantellare». Scoperta, viene accusata di spionaggio e arrestata il 23 settembre 1944, «e detenuta in una cella di rigore del carcere, resta in attesa della condanna alla fucilazione o all’internamento in un campo di concentramento in Germania.» Si salva solo per l'intervento dell’arcivescovo di Milano, il Cardinale Alfredo Ildefonso Schuster che le fa commutare la pena «con una sorta di confino all’Istituto Palazzolo di Grumello al Monte (BG)». Il 7 maggio 1945, a guerra finita, insieme a componenti del Comitato di Liberazione Nazionale di Milano fa ritorno a San Vittore, dove opererà sino alla morte nel novembre 1951. È attestata una rivolta dei detenuti politici in occasione dell'insurrezione del 25 aprile 1945, la liberazione definitiva dei carcerati avverrà ad opera dei partigiani delle Brigate Matteotti. Il 21 aprile 1946 scoppiò nel carcere, sovraffollato di detenuti, fra cui molti detenuti politici sia fascisti che partigiani, una sanguinosa rivolta armata guidata dal criminale Ezio Barbieri e l'ex gerarca fascista Giuseppe Caradonna, che fu sedata quattro giorni dopo con l'uso delle armi dalle forze dell'ordine con l'aiuto dell'esercito (reparti della Nembo e della Folgore) e l'intervento di autoblindo; da questa vicenda lo scrittore Alberto Bevilacqua trasse il romanzo La Pasqua rossa. Il 28 aprile 1980, l'esponente delle Brigate Rosse Corrado Alunni tenta di evadere dal carcere assieme a un gruppo di sedici detenuti composto dal bandito Renato Vallanzasca, boss della banda della Comasina, dal suo vice Antonio Colia, da Emanuele Attimonelli (esponente dei NAP) e da altri detenuti comuni. Una volta fuggiti dal carcere, avendo minacciato le guardie con armi arrivate dall'esterno per farsi aprire il portone, inseguiti dalle forze dell'ordine, i detenuti scatenano una lunga sparatoria per le vie del centro di Milano nella quale Alunni rimane ferito, colpito allo stomaco da due colpi di mitra, e anche Vallanzasca ne esce gravemente ferito alla testa, prima che la rete della polizia si stringa attorno a loro e riesca a catturarli, mentre in sei riescono, sia pure provvisoriamente, a far perdere le loro tracce. Giuseppe Bacciagaluppi, membro del Partito d'Azione, sodale di Ferruccio Parri e Leo Valiani. Dante Bernamonti, deputato dell'Assemblea Costituente. Carlo Bianchi, partigiano italiano, medaglia d'oro del comune di Milano. Mike Bongiorno, presentatore televisivo, vi rimase 7 mesi nel 1943 per la sua attività partigiana. Don Carlo Gnocchi, fondatore della fondazione Pro Juventute. Antonio Gramsci, politico e filosofo comunista, vi fu imprigionato dal febbraio 1927 al maggio 1928. Indro Montanelli, giornalista e storico, condivise la cella con Mike Bongiorno. Gaetano Bresci, anarchico autore dell'omicidio del re Umberto I, detenuto dal 29 luglio al 5 novembre 1900. Aldo Spallicci, politico italiano. Giorgio Pisanò, all'epoca ufficiale fascista delle Brigate Nere, catturato dai partigiani nel 1945. Renato Vallanzasca, criminale italiano. Salvatore Riina, criminale italiano legato a Cosa nostra. Liliana Segre, che vi è stata rinchiusa tredicenne, con il padre Alberto, tra il dicembre 1943 e il gennaio 1944, prima di essere deportata ad Auschwitz. Goti Herskovits Bauer, attiva testimone della Shoah, aveva venti anni quando fu deportata nel Campo di concentramento di Auschwitz dopo essere stata prelevata dal carcere di San Vittore e portata al binario 21. Sonya Caleffi, serial killer italiana. Patrizia Reggiani, mandante dell’omicidio del marito, l'imprenditore dell'alta moda Maurizio Gucci. Fernanda Wittgens, insegnante, funzionaria, critica d'arte e storica dell'arte italiana, nonché prima donna direttrice della Pinacoteca di Brera. Prospero Gallinari, esponente di spicco delle Brigate Rosse Željko Ražnatović, politico e militare serbo Shiva, rapper italiano arrestato per tentato omicidio. Il nome del carcere, come avviene per gli istituti penitenziari di tutte le grandi città, assume nel dialetto cittadino (San Vitùr) e nel linguaggio parlato il ruolo di sinonimo della parola "carcere". La struttura è al centro di alcune canzoni popolari, tra cui quelle di Walter Valdi e dei Gufi, e viene citata, direttamente e indirettamente, nelle canzoni Canto di galera degli Amici del Vento, Ma mi, con testo di Giorgio Strehler e musica di Fiorenzo Carpi, portata al successo da Ornella Vanoni, 40 pass di Davide Van de Sfroos e La ballata del Cerutti di Giorgio Gaber. Dal 2005 al 2009, il carcere è stato palcoscenico della manifestazione San Vittore Sing Sing, festival di musica e cabaret. L'edificio appare in numerose scene del film Così è la vita (1998) del trio comico Aldo, Giovanni e Giacomo, nel quale il personaggio interpretato da Aldo Baglio è un falsario detenuto nel carcere. Nel gergo milanese, soprattutto negli ambienti della piccola criminalità, l'espressione dialettale al dù, che significa al due, identifica il carcere di San Vittore, in riferimento al suo numero civico, il numero 2 di piazza Filangieri. In questo carcere è ambientata la sitcom italiana Belli dentro. Marco Cuzzi, Seicento giorni di terrore a Milano - Vita quotidiana ai tempi di Salò, Vicenza, Neri Pozza Editore, 2022, ISBN 978-88-5452-164-3. Bruno Maida, I luoghi della Shoah in Italia, pp. 56 e 57, Torino, Edizioni del Capricorno, 2017, ISBN 978-88-7707-329-7. Francesca Costantini, I luoghi della Memoria ebraica di Milano, pag.62, Milano - Udine, Mimesis, 2916, ISBN 978-88-5753-770-2. Gaetano De Martino, Dal carcere di San Vittore ai lager tedeschi, Gallarate, Quintaessenza, 2013, ISBN 978-88-9056-005-7. Antonio Quatela, "Sei petali di sbarre e cemento", Mursia Editore, Milano, 2013. Roberto Mandel, San Vittore inferno nazifascista, Milano, Società Libraria, 1945. Chiara Bricarelli (a cura di), Una gioventù offesa. Ebrei genovesi ricordano (testo sulle deportazioni di ebrei transitati da San Vittore prima di essere avviati nei campi di concentramento nazisti) Luigi Borgomaneri, Hitler a Milano: crimini di Theodor Saevecke capo della Gestapo, Roma, Datanews, 1997. E. Grottanelli, L'amministrazione comunale di Milano e la costruzione del carcere di San Vittore, in "Storia in Lombardia" quadrimestrale dell'Istituto lombardo per la storia del movimento di liberazione in Italia, Milano, Franco Angeli Editore, anno IV, n. 2, 1985. Giuseppe Caviglioli, La partigiana Maria Peron, in Novara, n. 2, Novara, Camera di Commercio Industria e Artigianato di Novara, 1979, pp. 1-9. r.t., Qui Milano – La Memoria entra in carcere, su moked.it, 25 gennaio 2013. URL consultato il 23 gennaio 2022. Maria Barbara Bertini, La storia dimenticata di San Vittore, su leduecitta.it. URL consultato il 29 gennaio 2022. Roberta Cairoli, Carcere di San Vittore. Principale luogo di detenzione di prigionieri politici, partigiani, scioperanti e di ebrei, poi destinati ai campi di concentramento e di sterminio, su mi4345.it. URL consultato il 30 gennaio 2022. Roberto Mandel, Mandel Roberto (matricola n 2006) - San Vittore Inferno nazifascista, Milano, Società Libraria Lombarda, 1945. Andrea Schivo Enrichetta Alfieri Goti Herskovits Bauer Liliana Segre Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Carcere di San Vittore Carcere di San Vittore, su LombardiaBeniCulturali, Regione Lombardia. San Vittore: Una giornata speciale, su anpi25aprile.wordpress.com, Associazione Nazionale Partigiani d'Italia (ANPI).

Cimitero di Porta Vercellina
Cimitero di Porta Vercellina

Il cimitero di Porta Vercellina, prima foppone di San Giovannino alla Paglia o fopponino di Porta Vercellina e infine cimitero di Porta Magenta, era un cimitero situato, allora extra moenia, a Milano con l'entrata principale sul piazzale Aquileia. Era uno dei cinque cimiteri cittadini collocati fuori dalle porte di Milano e soppressi negli anni successivi alle aperture del Monumentale e di Musocco. Costruito in piena epoca spagnola nel Ducato di Milano durante la terribile peste di San Carlo nel 1576 per accogliervi le sepolture dei primi appestati, fu chiuso alle nuove sepolture nel 1885 sotto la nuova amministrazione unitaria italiana e le ossa presenti traslate nel 1912 presso il Cimitero Maggiore. Deve il suo nome al sostantivo milanese "foppa" (buco, fossa e quindi per estensione cimitero) e alla sua posizione nel quartiere di Porta Vercellina, appena fuori dalle mura spagnole e sull'attuale piazzale Aquileia. Nella seconda grande pestilenza di Milano del 1630 il cimitero venne trasformato in lazzaretto con la costruzione di 730 capanne per appestati ma, a differenza di quanto accaduto con molti altri lazzaretti della città, il lazzaretto del Fopponino rimase attivo fino al 1895. Durante la peste del 1630 la donazione Crivelli mise a disposizione il denaro per la costruzione di una chiesa, tuttora esistente, che venne poi edificata nel 1662 e dedicata ai santi Giovanni Battista e Carlo Borromeo e a cui si faceva riferimento con il nome di chiesa di San Giovannino alla Paglia. Dal 1638, il cimitero copriva una piccola area fra il piazzale Aquileia e via San Michele del Carso, un'area ancora oggi ricordata semplicemente come Cimitero primitivo. È invece circa del 1640 la cappellina dei Morti che è ancora oggi ben visibile sull'angolo fra il piazzale Aquileia ed il viale San Michele del Carso e che risulta interessante per la tipica impostazione secentesca del culto dei morti: la cappella è infatti decorata da tre teschi (di cui uno andato perso) e provvista, oltre la grata che la chiude, di un piccolo ossario a terra contenente alcuni teschi appartenuti ai defunti della peste; sulla facciata campeggia, ancora ben leggibile, il memento mori che da quelle medesime ossa viene rivolto ai passanti a ricordare il destino che tutti ci accomuna: che suona come un duplice monito a non dimenticare la nostra condizione di mortali e a tenere vivo il ricordo e il culto dei morti attraverso la memoria e la preghiera. Nell'anno 1786, stando a quanto raccolto dal bibliotecario e storico cavalier Vincenzo Forcella nel suo Iscrizioni delle chiese e degli altri edifici di Milano dal secolo VIII ai giorni nostri del 1893, la chiesetta di San Giovannino alla Paglia, con riferimento alla paglia utilizzata per i giacigli su cui venivano ricoverati gli appestati, di fronte alla quale si estendeva il Fopponino, acquistò alcuni terreni retrostanti il cimitero primitivo al fine di ampliarlo; ampliamento effettuato nel 1787 e che arrivò a coprire parte delle odierne via Paolo Giovio e via Andrea Verga. Il nuovo cimitero venne ingrandito nella parte retrostante la chiesa, verso la campagna, e misurava 1,8 pertiche milanesi, ovvero circa 12 000 metri quadrati. La tradizione vuole che le prime due sepolture nel cimitero così rinnovato fossero di due nobildonne: Teresa Anguissola Tedeschi (1735-1788), maritata con Galeazzo Busca Arconati Visconti, e la veneta Maria Carolina dei Prioli (1708-1788). Nonostante tutto, le nuove dimensioni non arrivavano a soddisfare le ulteriori sepolture, non più adatte alla aumentata popolazione locale; nel 1825 fu deliberato un nuovo ampliamento che venne portato a termine attraverso l'acquisto di nuovi terreni nel 1827 e che raddoppiò l'area del foppone ad ovest, coprendo ulteriormente l'attuale via Andrea Verga e via Ercole Ferrario. Fra il 1808 ed il 1828, venne realizzato lungo la via San Michele del Carso un piccolo campo santo, annesso al cimitero medesimo, per l'inumazione dei cittadini milanesi di fede ebraica. Il nuovo cimitero del 1830 aveva aggiunto un nuovo viale di ingresso lungo 42 metri, ben visibile nella planimetria qui sotto allegata e che si dipartiva dalla destra della Cappelletta dei Morti (realizzata nel 1640) ancora visibile in loco, che andava a distanziarsi a 113 metri dalla più vicina lunetta dei Bastioni (area oggi occupata dal piazzale Aquileia che ha infatti mantenuto la forma geometrica della fortificazione spagnola), ben più lontano degli originali 38 metri che separavano l'ingresso della struttura del 1787. Così riposizionato e ampliato, il cimitero rimase in servizio fino al 1868, anno in cui fu chiuso all'inumazione dei morti provenienti dalla città e disponibile solamente per i cadaveri provenienti dall'extra moenia, ovvero dai Corpi Santi di Milano, l'unione amministrativa delle cascine e dei borghi agricoli che si trovavano attorno alla città di Milano, appena oltre i suoi Bastioni. Tuttavia nel 1875 il foppone venne riaperto anche al servizio della città e nel 1882 appare citato nella "Guida di Milano" di quell'anno come "cimitero sussidiario" del Mandamento di Porta Magenta con la dicitura "Cimitero di San Giovannino" e una superficie di 34 100 metri quadrati. Il Cimitero di San Giovannino di Porta Magenta venne definitivamente soppresso il 30 novembre 1895 e dal giorno successivo i cadaveri lì destinati vennero trasferiti al nuovo Cimitero Maggiore, concludendo una storia durata più di 300 anni. Nel settembre del 1958, scorporando il territorio dalle parrocchie di S. Pietro in Sala, di S. Maria del Rosario e di S. Vittore al Corpo, viene istituita la parrocchia di S. Francesco d'Assisi al Fopponino, il cui titolo modifica il precedente "SS. Giovanni Battista e Carlo al Fopponino" già della chiesetta lì esistente dal 1662. Nel 1964, su disegno di Giò Ponti venne quindi ultimata la chiesa di San Francesco d'Assisi al Fopponino, tuttora parrocchia della zona dell'antico cimitero. Nell'attività plurisecolare del cimitero molte personalità illustri vi trovarono riposo: una lapide sul vecchio muro del foppone, collocata nel 1970 dallo studioso Wolfango Pinardi, riporta che qui furono sepolti, fra gli altri: Angelo Fumagalli, abate ed erudito (1728-1804); Carlo Amoretti, scienziato (1741-1816) Giocondo Albertolli, architetto ticinese (1742-1839); Maria Maddalena Barioli, terziaria francescana delle Suore orsoline di San Carlo (1784-1865); Verginia Besozzi, fondatrice della Congregazione figlie di Betlem (1829-1855); Gaetano Bugatti, orientalista e prefetto della Biblioteca Ambrosiana (1745-1816); Pietro Mazzucchelli, prefetto della Biblioteca Ambrosiana (1762-1829); Luigi Canonica, celebre architetto (1765-1844); Giovanni Gherardini, librettista e lessicografo (1778-1861); Melchiorre Gioia, filosofo (1767-1829); Gaetano Matteo Monti, scultore (1776-1847); Giacomo Moraglia, architetto (1771-1860); Barnaba Oriani, astronomo e matematico (1752-1832); Carlo Salerio, missionario e fondatore dell'istituto Suore della riparazione (1827-1870); Alessandro Sanquirico, scenografo e pittore (1777-1849); Amatore Sciesa, patriota e martire del Risorgimento (1814-1851). Parrebbe però che l'autore della lapide sia caduto in errore per quanto riguarda le sepolture di Barnaba Oriani e di Melchiorre Gioia che risultano invece essere stati sepolti presso l'antico Cimitero della Mojazza così come testimoniato nel 1855, almeno per il Gioia, dallo storico e scrittore Ignazio Cantù che, nel suo "Milano, nei tempi antico, di mezzo e moderno: studiato nelle sue vie; passeggiate storiche" poteva scrivere: Altre sepolture illustri vengono citate sempre dal Cantù a pagina 28, dove lo storico segnala le tombe di: Padre Angelo Fumagalli, diplomatista ed ecclesiastico milanese, abate di Chiaravalle, (1728-1804); Antonio Mussi, erudito e orientalista, direttore della Biblioteca Ambrosiana (1751-1810); Baldassarre Oltrocchi, oblato di San Sepolcro (1714-1797); Luigi Bossi, storico e archivista (1758-1835). Nel cimitero venne sepolta anche Margherita Barezzi, prima moglie del compositore Giuseppe Verdi, che morì a Milano nel 1840. Dal 1990 una targa in loco la ricorda. Prima di lei, in una tomba attigua, era stato sepolto anche l'unico figlio maschio avuto dalla coppia, Icilio, morto ad un anno di età proprio mentre i genitori si trovavano a Milano. Tedeschi, Carlo, Origini e vicende dei cimiteri di Milano e del servizio mortuario, Milano, Giacomo Agnelli, 1899, ISBN non esistente. Ospitato su braidense.it. Pinardi, Wolfango, Il Fopponino di Porta Vercellina in Milano, monografia, Milano, Edizioni di "Arte Cristiana", 1969. URL consultato il 19 giugno 2014. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Fopponino di Porta Vercellina

Chiesa di San Francesco d'Assisi al Fopponino

La chiesa di San Francesco d'Assisi al Fopponino è una chiesa parrocchiale di moderna costruzione che si trova a Milano in via Paolo Giovio, nei pressi di piazzale Aquileia, nel territorio del Decanato di Porta Vercellina. Terminata nel 1964 su disegno dell'architetto Gio Ponti, sorge su un'area precedentemente occupata dal Fopponino di Porta Vercellina, cimitero aperto nell'anno 1576 durante la grande peste di San Carlo e soppresso nel 1895. La storia di questo edificio è strettamente legata al vecchio fopponino il cui ricordo è infatti mantenuto nella dedica e la cui vecchia chiesetta secentesca dei "Santi Giovanni e Carlo" o "Giovannino alla Paglia" non era più sufficiente a servire i numerosi abitanti della zona. Per questo motivo nel luglio del 1959 venne commissionata, nell'ambito del programma Ventidue chiese per ventidue concili contenuto nel Concilio Vaticano II, l'erezione di una nuova parrocchiale il cui primo progetto, che non ebbe però seguito, venne affidato all'architetto Giovanni Muzio. La progettazione della nuova chiesa venne quindi affidata nel 1961 al celeberrimo architetto Gio Ponti, già autore del Grattacielo Pirelli di Milano nel 1960 e di cui infatti si possono trovare numerose citazioni stilistiche anche nella nuova chiesa. L'opera di insieme, edificio e arredo liturgico, venne realizzata in stretta collaborazione con la Scuola Beato Angelico e don Marco Melzi, amico di Gio Ponti. La costruzione ha pianta esagonale asimmetrica e facciata sulla via Paolo Giovio e risulta stretta fra le facciate di altri due edifici religiosi attigui anch'essi opera del Ponti e che creano una sorta di palcoscenico aperto sulla medesima via. Nella facciata sono ricavate otto aperture, o finestre, a forma di diamante allungato verticalmente attraverso le quali si vede il cielo e che conferiscono leggerezza alla facciata intera. La medesima forma di diamante viene riproposta in tre ampie aperture centrali, poste sopra l'ingresso, decorate da vetrate realizzate negli anni '70 dal pittore Cristoforo De Amicis. L'ampia rampa di accesso che porta all'ingresso anticipa quanto verrà poi realizzato anche nella chiesa dell'Ospedale San Carlo di Milano del 1966. Molte le opere d'arte contenute nella chiesa: in particolare è da segnalare la grande pala absidale del pittore Francesco Tabusso dal titolo "Il Cantico delle Creature". La tela, la più grande pala d'altare del ‘900 di dimensioni di 12x8 metri, fu realizzata in due parti come le pagine aperte di un libro. Il grande bosco e l'acqua che scorre fanno da contorno alle figure di San Francesco e Santa Chiara. L'opera sarà completata successivamente con 8 trittici che a partire dalla parete sinistra e lungo tutto il perimetro della chiesa illustrano con episodi della vita di San Francesco il testo della Preghiera semplice, attribuita al Santo di Assisi. Alla Chiesa di San Francesco viene donato nel 1978, dopo essere stato esposto nel '76 alla Galleria Gian Ferrari, il "Presepe degli artisti" che Tabusso realizza insieme a Gloria Argeles, Giacomo Soffiantino, Francesco Casorati, Nino Aimone, Giorgio Ramella, Riccardo Cordero e Bruno Grassi. Documentazione 1950-1960, in Fede e Arte, n. 10, PCCASI, 1962, pp. 226-271. Nuove chiese a Milano, in Nuove Chiese, n. 2, Milano, a cura dell'Arcivescovado di Milano, 1968, p. 34. Gian Carlo Bojani, Claudio Piersanti, Rita Rava (a cura di), Gio Ponti. Ceramiche e architettura, Firenze, Centro Di, 1987, pp. 127-131, ISBN 88-7038-129-3. L. Bracchi, Il poeta delle vetrate, in Diocesi di Milano, n. 5, Milano, Società editrice Il Duomo, 1965, pp. 255-259. S. P. Caligaris, Intorni di edilizia religiosa. La chiesa dei Santi Giovanni e Carlo al Fopponino e la nuova parrocchiale di San Francesco d'Assisi a Milano, in Arte Cristiana, n. 6, Milano, a cura della Scuola Beato Angelico, 1966, pp. 177-186. L. Castoldi, Una chiesa di Gio Ponti architetto, in Nuove Chiese, n. 2, Milano, a cura dell'Arcivescovado di Milano, 1968, pp. 17-27. A. Coccia, La scultura nelle nuove chiese, in Nuove Chiese, n° 1-bis, Milano, a cura dell'Arcivescovado di Milano, 1967, p. 25. Cecilia De Carli, Arte Cristiana, n. 696, Milano, a cura della Scuola Beato Angelico, 1983, p. 182. Cecilia De Carli (a cura di), Le nuove chiese della diocesi di Milano. 1945-1993, Milano, Edizioni Vita e Pensiero, 1994, p. 163, ISBN 88-343-3666-6. Maria Teresa Fiorio, Le chiese di Milano, Milano, Electa, 1985, pp. 362-363, ISBN non esistente. Cleto Gnech (a cura di), Ventidue chiese per ventidue concili, Milano, Comitato per le nuove chiese di Milano, 1969, pp. 79-83, ISBN non esistente. Fulvio Irace, Gio Ponti. La casa all'italiana, Milano, Electa, 1988, pp. 182-183, ISBN 88-435-2449-6. Lisa Licitra Ponti, Gio Ponti, l'opera, Milano, Edizioni Leonardo, 1990, pp. 218-219, 277, ISBN 88-355-0083-4. Giovanni Battista Montini, Tra le pareti di cristallo, in Le sue chiese, Milano, a cura del Comitato Nuove Chiese di Milano, 1964. Wolfango Pinardi, I Corpi Santi di Porta Vercellina a Milano, Milano, Arte Cristiana, 1966, ISBN non esistente. Wolfango Pinardi, Il Fopponino di Porta Vercellina, Milano, 1969, pp. 101-128, 141-160. Gio Ponti, La chiesa di San Francesco, in Il Fopponino, n. 4, 1961. Fopponino di Porta Vercellina Chiese di Milano Parrocchie dell'arcidiocesi di Milano Ventidue chiese per ventidue concili Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su chiesa di San Francesco d'Assisi al Fopponino Sito ufficiale, su fopponino.it. Chiesa di San Francesco d'Assisi al Fopponino, su BeWeB, Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici della Conferenza Episcopale Italiana.

Casa Bassanini
Casa Bassanini

La Casa d'appartamenti Bassanini in via Foppa è un edificio storico di Milano, sito in via Foppa al civico 4, nelle vicinanze del parco Solari. Fu realizzata fra il 1930 e il 1934 su progetto dell'architetto Piero Portaluppi e su commissione dell'impresa appaltatrice S.A. Magnaghi & Bassanini. Ingegnere strutturale fu Paolo Mario Boschini. L'edificio fu commissionato in concomitanza con la liberazione dell'intera area dello scalo bestiame ferroviario che serviva il vicino Macello pubblico e la conseguente realizzazione del parco Solari. La casa d'appartamenti di via Foppa segna un netto stacco rispetto alle precedenti architetture del Portaluppi per la mancanza di elementi decorativi in facciata. La fronte dell'edificio risulta evidentemente ripartita in tre partiti: i due piani comprendenti la zoccolatura, il secondo a vetrata e il terzo comprendente l'ordine superiore originariamente distribuito su cinque piani oggi portati a sei. L'edificio presentava all'ultimo piano una grande terrazza, in origine di pertinenza del secondo piano, e oggi occupata dal rialzo con cui è ottenuto l'ultimo piano. La facciata mostra un andamento orizzontale accentuato dalla serie dei balconcini che ne occupano l'intera larghezza. Il progetto originale dell'edificio, realizzato con ossatura di cemento armato e muratura di mattoni, prevedeva 89 locali oltre i servizi e le anticamere e un piano seminterrato adibito a uffici; le terrazze realizzate nel corpo interno e in quello esterno coprivano una superficie di 500 m², i balconcini verso i cortili occupavano 25 m² mentre i balconi verso strada avevano una superficie complessiva di 75 m².

Monastero di San Vittore al Corpo
Monastero di San Vittore al Corpo

Il monastero di San Vittore al Corpo fu un antico monastero benedettino, poi olivetano, di Milano; il complesso ha conosciuto fasi alterne fino alla distruzione durante la seconda guerra mondiale e alla successiva ricostruzione come sede del Museo nazionale della scienza e della tecnologia Leonardo da Vinci. Il monastero sorge accanto alla basilica di San Vittore al Corpo, detta anche Basilica porziana, forse costruita da Porzio, figlio del nobile Filippo Oldano, in epoca paleocristiana. I primi ad abitare il monastero furono i monaci benedettini, intorno all'anno mille; il periodo benedettino costituisce il culmine della sua fortuna che dura fino all'epoca dei Visconti e degli Sforza (XV sec). Il monastero e la chiesa passano poi agli Olivetani intorno al XVI secolo che decidono subito di ampliare gli ambienti distruggendo quelli preesistenti. I lavori si susseguono nel Settecento riprendendo il grandioso piano di ricostruzione. I monaci olivetani vi restano fino al XIX secolo. Il decreto di Napoleone dell'8 giugno 1805 decreta la fine del monastero. Dapprima diventa un ospedale militare, poi una caserma. All'esercito francese subentra poi quello austriaco e infine quello italiano. La caserma, intitolata al generale Giovanni Villata, viene devastata dai bombardamenti dell'agosto 1943 che distruggono gran parte dell'ex monastero. Questo rimane in stato di abbandono fino al 1949 quando viene deciso di destinare i chiostri di san Vittore al Museo della scienza e della tecnica. L'edificio visitabile oggi è la ricostruzione che fecero gli architetti Ferdinando Reggiori e Piero Portaluppi alla fine della seconda guerra mondiale. È costituito da due chiostri coperti circondati da portici sostenuti da colonne e pilastri. Tra gli ambienti più rilevanti la sala del Cenacolo, sontuosamente affrescata, che era anticamente destinata a refettorio; al piano superiore la Sala delle colonne, un tempo biblioteca del monastero; e la lunga galleria che ospita tutto il materiale scientifico legato a Leonardo da Vinci. Museo nazionale della scienza e della tecnica "Leonardo da Vinci" (Milano): 5 anni del Museo 1953-1958. Museoscienza: tutto il: Museo nazionale della scienza e della tecnica Leonardo da Vinci / a cura di Orazio Curti. - Milano: Associazione Amici del Museo, 1978. Ferdinando Reggiori, Il monastero olivetano di San Vittore al Corpo in Milano e la sua rinascita quale sede del Museo Nazionale della Scienza e della Tecnica "Leonardo da Vinci"... - Milano: Silvana, 1954. Agnoldomenico Pica, La Basilica Porziana di San Vittore al Corpo, Milano, 1934 Chiesa di San Vittore al Corpo Museo nazionale della scienza e della tecnologia Leonardo da Vinci Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sul monastero di San Vittore al Corpo Museo nazionale della scienza e della tecnologia, su museoscienza.org.