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Campionati italiani assoluti di atletica leggera 2013

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I CIII campionati italiani assoluti di atletica leggera si sono tenuti a Milano, presso l'Arena Civica, tra il 26 e il 28 luglio 2013. Sono stati assegnati 44 titoli italiani in 22 specialità, al maschile e al femminile. Durante la manifestazione si sono svolti anche i campionati italiani assoluti di prove multiple, che hanno visto l'assegnazione di 2 titoli: uno nell'eptathlon e uno nel decathlon, oltre al Grand Prix Eptathlon e al Grand Prix Decathlon. Le gare di marcia erano valide per il campionato italiano di società di marcia. Campionati italiani individuali assoluti su pista, su fidal.it, FIDAL.

Estratto dall'articolo di Wikipedia Campionati italiani assoluti di atletica leggera 2013 (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori).

Campionati italiani assoluti di atletica leggera 2013
Viale Comizi di Lione, Milano Municipio 1

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Arena Civica Gianni Brera

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Arena Civica
Arena Civica

L'Arena Civica Gianni Brera, fino al 2001 chiamata semplicemente Arena civica, è un impianto sportivo polifunzionale di Milano. Inaugurato nel 1807 come Anfiteatro di Milano, nel 1870 divenne Arena Civica a seguito dell'acquisizione da parte del Comune. Nel 2002 l'Arena fu intitolata alla memoria di Gianni Brera, giornalista e scrittore, scomparso dieci anni prima. Nel 1805 la commissione di pubblico ornato, nell'ambito di un ampio progetto di ristrutturazione dell'area, commissionò all'architetto Luigi Canonica la realizzazione di un grande edificio civico per feste, spettacoli e celebrazioni. Tale progetto andava a colmare parzialmente il vuoto lasciato dalla demolizione delle fortificazioni spagnole che avevano circondato il nucleo rinascimentale del Castello Sforzesco, sino agli abbattimenti ordinati da Napoleone nel 1800. Una prima proposta, quella di Giovanni Antonio Antolini, era stata bocciata sin dal 1801 dal Bonaparte perché troppo costosa e sostituita da una, ben più modesta, disegnata dal Canonica, il quale aveva provveduto a sistemare il semiarco verso la città. Era rimasta interrotta, invece, la sistemazione dell'intera area retrostante, adibita a piazza d'armi, alla quale in quel 1805 si mise mano. Per l'edificio fu scelta la forma dell'anfiteatro, come richiamo alla tradizione imperiale romana, a cui Napoleone esplicitamente si richiamava. Canonica disegnò ispirandosi al circo di Massenzio, situato fuori Roma sulla via Appia Antica, vicino alla basilica di San Sebastiano fuori le mura, forse il meglio conservato degli antichi circhi romani. L'impianto aveva forma ellittica, con una lunghezza complessiva di 238 metri e una larghezza di 116 e poteva contenere fino a 30 000 spettatori, ovvero poco meno di un quarto dell'intera popolazione di Milano dell'epoca. La tribuna d'onore progettata dal Canonica si connota per la presenza della palazzina Appiani, che prese il nome dall'autore della decorazione pittorica interna, Andrea Appiani; questa costruzione dall'esterno si presenta nelle forme di un palazzo gentilizio, mentre sul lato interno dell'anfiteatro si apre con una "loggia reale" ispirata ai frontoni dei templi greci in antis, con i due pilastri quadrangolari, posti agli estremi della facciata, tra i quali vi erano le colonne; queste però non erano due, come da tradizione, ma otto (in granito rosa, con capitelli corinzi), al fine di dare una maggiore larghezza all'intera struttura. Questo era probabilmente dovuto all'esigenza di contenere un elevato numero di persone, che una struttura più compatta e slanciata non avrebbe potuto fare. Particolare imponenza fu riservata alla realizzazione del pulvinare, il palco dove sedeva il monarca, e della porta principale. Per la costruzione furono impiegate le pietre ricavate dalla demolizione delle fortificazioni spagnole del Castello Sforzesco e gli avanzi del castello di Trezzo sull'Adda, cosicché la struttura venne realizzata interamente in pietra viva. L'anfiteatro venne inaugurato, dopo soli due anni di lavori, il 17 dicembre 1807, con una grande naumachia, alla presenza di Napoleone. Durante la Repubblica Cisalpina ed il Regno d'Italia, l'Arena ospitò prevalentemente naumachie (allagandola con l'acqua di un'attigua roggia), corse di cavalli e giochi pirotecnici. Nell'Ottocento venne utilizzata per feste, spettacoli circensi (come il famoso circo di Buffalo Bill), ascensioni in pallone aerostatico e pattinaggio invernale. Nel 1895 l'Arena si aprì agli sport moderni con lo svolgimento dei campionati italiani di ciclismo. Nel 1910 fu anche teatro dell'esordio assoluto della nazionale italiana di calcio contro quella francese, con gli azzurri vittoriosi sui rivali per 6-2. Nella prima metà del Novecento, dal 1930 al 1947, l'Arena ospitò stabilmente le gare interne dell'Inter. Per un breve periodo, dall'ottobre del 1941 al giugno del 1945, divenne l'impianto casalingo dell'altra squadra milanese, il Milan; durante il secondo conflitto bellico, infatti, San Siro era difficilmente raggiungibile dai tifosi rossoneri per via della penuria di energia elettrica, che era indispensabile per far funzionare i tram che portavano gli spettatori all'impianto sportivo. Nel 1944 fu la sede di tutti gli incontri del triangolare finale del Campionato Alta Italia 1944 fra Vigili del Fuoco Spezia (vincitori della competizione), Torino FIAT e Venezia. Negli anni a seguire l'Arena ospitò gare di atletica leggera di livello internazionale; nel 1973 Marcello Fiasconaro vi stabilì il nuovo record mondiale degli 800 metri, mentre nel 1977 Pietro Mennea sconfisse il giamaicano Don Quarrie sui 200 metri. Storicamente casa del rugby internazionale azzurro (vi si tennero 11 dei 13 incontri dell'Italia a Milano prima che la nazionale passasse al Meazza, ospitò tra il 2010 e il 2011 le gare interne dell'Amatori, storico club rugbistico milanese, mentre successivamente è diventata sede dell'Atletica Riccardi. Il 19 dicembre 1943 l'Arena fu teatro della fucilazione di otto antifascisti condannati a morte da un tribunale militare straordinario come rappresaglia dell'attentato al segretario dei fascisti di Milano Aldo Resega: Carmine Campolongo, Fedele Cerini, Giovanni Cervi, Luciano Gaban, Alberto Maddalena, Carlo Mendel, Giuseppe Ottolenghi, Amedeo Rossin. Nel secondo dopoguerra l'Arena ha altresì accolto le gare interne di alcune società calcistiche dilettantistiche milanesi, quali il Brera e l'Alcione. Milan e Inter, per contro, vi hanno organizzato diverse feste per la tifoseria e manifestazioni collaterali: il 18 luglio 1986 Silvio Berlusconi scelse l'Arena per l'evento inaugurale della propria presidenza del club rossonero. Nel novembre del 2023, a seguito di un accordo fra l'Inter e il Comune di Milano, l'Arena Civica ha ufficialmente iniziato ad ospitare le partite in casa della squadra femminile nerazzurra, militante in Serie A: il comune ha stanziato quasi 4 milioni di euro per gli interventi di ristrutturazione dell’impianto, che hanno riguardato la pista d’atletica, gli spogliatoi, il terreno di gioco e le tribune. Il 25 novembre dello stesso anno, l'Inter Femminile ha giocato il suo primo incontro ufficiale all'Arena, un derby di campionato contro il Milan, vinto per 1-0: nell'occasione, lo stadio è tornato ad ospitare un'edizione del derby di Milano a 77 anni di distanza dall'ultima volta, e per la prima volta in assoluto nella storia del calcio femminile. Non ebbe invece inizialmente esito positivo la richiesta avanzata dall'Alcione, nell'estate 2023, di poter formulare domanda di ripescaggio in Serie C usando proprio l'Arena come campo interno; sebbene il club del municipio 7, nel successivo mese di dicembre, avesse sottoscritto un accordo con il Comune di Milano finalizzato all'utilizzo congiunto dell'impianto con l'Inter femminile, ancora a giugno 2024 la prefettura del capoluogo lombardo negò agli orange il permesso di usare l'Arena per esordire nel professionismo. L'Arena Civica dispone di: una pista sintetica di atletica leggera di 400 m a 8 corsie, con deviazione 3 000 siepi e due prolungamenti nelle curve per il riscaldamento degli atleti (a seguito della ristrutturazione ultimata nel 2020, i prolungamenti di entrambe le curve sono raccordati direttamente alla pista principale); due pedane per il salto con l'asta; due pedane per il salto in alto; due pedane per il salto in lungo e il triplo; una pedana per il lancio del giavellotto; una pedana per il getto del peso; una pedana per il lancio del disco e del martello; due aree di riscaldamento, in corrispondenza delle due curve della pista di atletica; un terreno da gioco per calcio, football americano e rugby; due palestrine per corsi di preparazione. alcuni uffici e magazzini a beneficio di società sportive. La capienza degli spalti è stata progressivamente limitata a 10 000 posti per motivi di sicurezza; l'accesso dall'esterno avviene attraverso dieci varchi, otto dei quali danno accesso ad altrettanti vomitori, mentre i due principali che portano direttamente in campo sono la porta "libitinaria" (che divide in due il rettilineo est, il cui nome deriva dai Libitinari, gli inservienti che nell'antica Roma erano incaricati di raccogliere i cadaveri dei gladiatori morti durante gli spettacoli) e la porta "trionfale" (in mezzo alla curva sud, è costruita in granito di Baveno; pensata per l'ingresso solenne del monarca, è strutturata in forma di arco di trionfo, con un pronao di ordine dorico e il timpano recante il bassorilievo di Gaetano Monti La Fama che distribuisce le corone d’alloro ai vincitori). La curva nord è invece sostanzialmente occupata dall'edificio delle carceri, il cui nome è a sua volta derivato dall'età romana, evocando le gabbie che davano accesso all'arena ai protagonisti dei ludi (gladiatori, animali, carri): la struttura presenta un andamento curvilineo, con dieci arcate (alcune delle quali sono vani chiusi, mentre altre mettono in comunicazione con l'esterno), ed è sormontata da due livelli di balconata, "chiusi" ai lati da due torri a pianta trapezoidale, con archi su tre lati, e sormontate a loro volta da terrazze balaustrate. Sulla tribuna centrale, che è chiusa posteriormente dalla palazzina Appiani, spicca altresì il "pulvinare" o "loggia reale", ossia il palco d'onore dove prendevano posto gli spettatori di più alto rango, delimitato da una massiccia balaustra lapidea scolpita, con agli angoli dei leoni alati affrontati. Caratteristica peculiare dell'anfiteatro è la presenza, in cima alle gradinate, di un filare di alberi che descrive praticamente tutto il contorno del "catino". A latere della palazzina Appiani sono inoltre collocate la torre dei cronometristi e una piccola tribuna stampa coperta, costruite in prefabbricato metallico e plastico. L'illuminazione dell'arena è assicurata da due torri faro sul lato est e da cluster di riflettori collocati sul tetto della palazzina e dell'edificio delle carceri. Matteo Lunardini, I fantasmi dell'Arena Civica, Milano, Milieu edizioni, 2013. Almanacco illustrato del Milan, 1ª ed., Panini, 1999. Luigi Canonica Gianni Brera Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Arena civica Arena Civica, su LombardiaBeniCulturali, Regione Lombardia.

Strage dell'Arena
Strage dell'Arena

La strage dell’Arena fu un eccidio fascista avvenuto il 19 dicembre 1943 all’Arena Civica a Milano e nel corso della quale furono uccisi otto partigiani. Otto partigiani furono fucilati da militi della Legione Autonoma Mobile Ettore Muti e del gruppo “Trieste” della RSI, in seguito a una sentenza di condanna a morte emessa dal Tribunale militare straordinario convocato in rappresaglia all’attentato che aveva ucciso il segretario del partito fascista milanese Aldo Resega. Tre gappisti, istruiti la sera prima sull'azione prevista ma senza essere informati sull'identità del dirigente fascista da colpire, uccisero in via Bronzetti il 18 dicembre 1943 il commissario federale milanese del Partito Fascista Repubblicano di Milano Aldo Resega e riuscirono a fuggire in bicicletta. Nonostante Resega avesse scritto nel suo testamento spirituale di non volere rappresaglie nel caso fosse ucciso, su ordine del ministro dell'interno della RSI Guido Buffarini Guidi e del capo della Provincia Oscar Uccelli il generale Solinas costituì un Tribunale militare straordinario che condannò a morte con un giudizio sommario otto partigiani arrestati nel novembre del 1943 detenuti nel carcere di San Vittore: Carmine Campolongo, Fedele Cerini, Giovanni Cervi, Luciano Gaban, Alberto Maddalena, Carlo Mendel, Giuseppe Ottolenghi (detenuto sotto il falso nome di Antonio Maugeri), Amedeo Rossin. Il Corriere della Sera del 20 dicembre dette notizia dell'omaggio alla salma di Resega e accanto degli "Otto criminali giustiziati" sostenendo che la condanna a morte non era una rappresaglia dell'attentato ma un semplice processo. I due articoli scrivevano che Resega aveva affermato nel suo testamento di non volere rappresaglie ma che “tutto il fascismo è rimasto al suo posto, vigile e saldo, fidente che gli organi dello Stato avrebbero compiuto la loro opera di doverosa giustizia contro i sanguinari disgregatori dell’ordine e traditori della Patria”, facendo apparire falsamente la condanna a morte come un'azione non collegata strettamente all'attentato. "All'alba di domenica 19 dicembre 1943 dieci detenuti politici furono prelevati da San Vittore con il cellulare e portati al Palazzo di Giustizia. Dalle 9:30 alle 14:30 furono tenuti ammanettati nella Sala degli Avvocati, in attesa del Tribunale militare straordinari che li doveva giudicare. Alle 14:30 arrivò il questore Santamaria Nicolini con altri due capitani fascisti e dopo nemmeno due ore di uno pseudoprocesso senza difesa, senza pubblico, senza alcuna formalità legale furono condannati a morte in otto". La predeterminazione della condanna a morte è dimostrata dal fatto che l'Arena fu bloccata al pubblico da reparti militari alcune ore prima della sentenza del tribunale militare, come scritto nella sentenza citata della Corte d'Assise del 1946 con nota a pagina 40. Il plotone di esecuzione era costituito dalla Legione Autonoma Mobile Ettore Muti e dalla “Trieste”. Invitati a collocarsi su sedie i condannati rifiutarono e vollero morire in piedi. Dietro di loro erano le casse da morto. Alle 17:30 sopraggiunse Santamaria Nicolini, presidente del Tribunale militare straordinario che lesse la condanna a morte. Chi non morì subito fu ucciso con un colpo di grazia di pistola. Giuseppe Bulferi Bulferetti, nel suo discorso di commemorazione di Giovanni Cervi dell'ottobre del 1945, disse: "Dopo la crudele mistificazione del processo i nove sono portati all'Arena dove era stato predisposto il plotone di esecuzione composto di 20 militi della Trieste (fascisti vestiti da bersaglieri) e da 20 della Muti. Alle 17.30 è data lettura della Sentenza che ne condanna otto alla fucilazione alla schiena e al solo Brenna Mario viene commutata la pena a 20 anni di reclusione. Questi deve però assistere alla fucilazione dei suoi compagni. Le otto vittime innocenti si abbracciano e si baciano nel loro reciproco ultimo saluto e sono costrette a sedersi e a farsi legare su apposite sedie alla presenza del questore, del prefetto Uccelli in rappresentanza del Ministro Buffarini Guidi, ispiratore della strage. Al confessore il Cervi dice che per sé non gli importa di morire, ma gli dispiace per il colpo che dà alla madre e ai fratelli, e perché è una morte ingiusta e immeritata. Si leva il pullover e lo dà al cappellano militare da portare come suo ultimo ricordo alla fidanzata. E quando viene ordinata la terribile parola "fuoco" tutti gli otto martiri d'accordo si alzano in piedi come segno di protesta e per morire da forti. Il Cervi grida: "Viva l'Italia" e cade bocconi in avanti insieme agli altri." Il padre di Maddalena ebbe notizia che “non appena il plotone ebbe eseguito l’esecuzione giunse Alessandro Pavolini, segretario del Partito Fascista Repubblicano, che si adirò perché avrebbe voluto essere presente. Uno dei fucilati era ancora agonizzante ed allora per sfogare la sua ira con la propria rivoltella lo finì.”. Nel 1946 i giudici della Corte di Assise speciale di Milano condannarono a morte i membri del Tribunale militare che ricorsero poi in Cassazione ed ottennero una revisione del processo, dato che nel frattempo era stata decretata un'amnistia. In ricordo dell’uccisione furono posti un cippo e una lapide all’Arena. Il 19 dicembre 2018 per il 75-esimo anniversario della condanna a morte l'ANPI e il Comune di Milano hanno commemorato l'evento presso il cippo all'Arena deponendo due corone. Carmine Campolongo, nato a Ortanova (FG), arrestato il 5 novembre 1943 in Valcuvia Fedele Cerini, manovale, nato a Cuvio nel 1914, arrestato il 10 novembre 1943 in Valcuvia Giovanni Cervi, ingegnere, nato a Gattatico (RE) il 1 giugno 1903, arrestato il 3 novembre 1943 a Milano Luciano Gaban, arrestato nel novembre 1943 a Milano Alberto Maddalena, paracadutista nella guerra d'Africa, nato a Milano il 17 settembre 1916, arrestato nel novembre 1943 a Milano Carlo Mendel, fisico e ricercatore, nato a Sestri Levante (GE) il 29 dicembre 1915, arrestato il 26 ottobre 1943 a Milano Giuseppe Ottolenghi, studente, nato a Milano il 15 novembre 1921, arrestato nel novembre 1943 a Milano Amedeo Rossin, nato a Pressana (VR) nel 1923, arrestato nel novembre 1943 Carmine Capolongo, Luciano Gaban, Alberto Maddalena, Fedele Cerini e Amedeo Rossin erano legati in modi diversi al gruppo «Cinque Giornate – San Martino di Vallalta – Varese», comandato dal colonnello dei Bersaglieri Carlo Croce. Alberto Maddalena si era unito ai partigiani della Valcuvia; dopo la loro sconfitta fu arrestato a Milano dalle SS durante una perquisizione perché trovato con un biglietto di ringraziamento di un militare inglese. Stava per essere liberato il giorno dell'attentato a Resega. Gli fu intitolata via Vitruvio a Milano per un mese dopo la guerra, poi il sindaco Antonio Greppi cambiò idea. I giudici del Tribunale Militare straordinario che condannò a morte le vittime furono: Camillo Santamaria Nicolini, presidente, poi questore di Milano, nato nel 1894 a Maddaloni Francesco Belardinelli, pubblico ministero, nato nel 1911 a Messina Vittorio Mariani, membro, nato nel 1896 a Milano Carmelo Solaro, membro, tenente della X Flottiglia MAS, nato nel 1908 a Milano Alfredo Tarsia, membro, tenente colonnello del terzo reggimento Bersaglieri, nato nel 1903 a San Cipriano Piacentino Santamaria Nicolini, accusato di aver presieduto, nella sua qualità di questore, il tribunale straordinario che ordinò la rappresaglia, fu condannato il 12 novembre 1946 alla pena di morte. Il 4 dicembre 1947 la Corte di Cassazione annullò la sentenza per deficiente ed erronea motivazione circa la configurazione giuridica del reato e sul diniego delle attenuanti generiche e rinviò gli atti alla Corte d’assise di Roma. Francesco Belardinelli, pubblico ministero del tribunale straordinario che ordinò la rappresaglia, fu condannato il 12 novembre 1946 alla pena di morte. La Corte di Cassazione il 14 febbraio 1949 annullò la sentenza e rinviò per nuovo esame alla Corte d’assise di Viterbo. Vittorio Mariani, membro del tribunale straordinario, fu condannato il 12 novembre 1946 alla pena di morte. La Corte di Cassazione il 14 febbraio 1949 annullò la sentenza e rinviò per nuovo esame alla Corte d’assise di Viterbo. Carmelo Solaro, tenente della X Mas, accusato di aver fatto parte del tribunale straordinario che ordinò la rappresaglia, fu condannato il 27 ottobre 1945 a sedici anni e otto mesi. La Corte di Cassazione il 3 settembre 1946 annullò la sentenza e rinviò per un nuovo giudizio alla Corte d'Assise speciale di Como. Alfredo Tarsia, ten. Col. del terzo Reggimento bersaglieri, membro del tribunale straordinario, fu condannato il 12 novembre 1946 a 16 anni di reclusione. Il 4 dicembre 1947 la Corte di Cassazione annullò la sentenza per estinzione del reato a seguito di amnistia. Il ministro degli interni Guido Buffarini Guidi e il presidente della provincia Oscar Uccelli furono condannati a morte nel 1945 dalla Corte d'Assise speciale in quanto le loro responsabilità furono considerate gravissime, ma mentre il primo venne giustiziato come criminale di guerra, il secondo fece ricorso in Cassazione e la Corte d'Assise di Brescia rifece il processo e lo condannò a 30 anni di reclusione. Uscì di prigione già nel 1947. Roberto Cenati e Antonio Quatela, Oltre il Ponte, (Storie e testimonianze della Resistenza in Zona 3) Porta Venezia, Città Studi, Ortica-Lambrate, Progetto "Il Futuro della Memoria", n. 2, ANPI 2009, pag. 200, 211 M. Griner, La “pupilla” del Duce. La Legione autonoma mobile Ettore Muti, Bollati Boringhieri, Torino 2004, p. 116 Franco Giannantoni, Fascismo e società nella Repubblica sociale italiana (Varese 1943-1945), Milano, Franco Angeli, 1984, pag. 692 Samuele Tieghi, Le corti marziali di Salò il Tribunale militare regionale di guerra di Milano (1943-1945), tesi di dottorato dell'anno accademico 2012/13, Scuola di Dottorato Humanae Litterae del Dipartimento Scienza della Storia e della Documentazione Storica, Tutor: Chiar.mo Prof. Luigi Bruti Liberati pag. 249 Sergio Leondi, Fischia il vento, ANPI, Milano 1985 Due estati, un inverno e la rossa primavera. Le Brigate Garibaldi a Milano e provincia (1943-1945), Milano, Franco Angeli, 1985 Leonida Calamida, Gli anni del dolore e della rabbia, ed. La Pietra, Milano 1987 Giovanni Pesce, Senza tregua - La guerra dei GAP, ed. Feltrinelli, Milano 1967 Dalla Resistenza, Amministrazione Provinciale, Milano 1972 Opuscolo commemorativo stampato a Milano il 12 ottobre 1945 con il discorso in memoria di Giovanni Cervi scritto da Giuseppe Bufferi Bulferetti, con una prefazione dell'Ing. Walter Salsi 1943-2003: nel 60º Anniversario della morte Giovanni Cervi Martire della libertà, a cura di Claudio de Biaggi, ANPI Sezione "Osvaldo Brioschi"- Ponte Lambro, 22 giugno 2003 Giovanni Cervi (partigiano) Carlo Mendel Beppe Ottolenghi Sentenza della Corte d’assise speciale n. 358 del 11 novembre 1946 contro i membri del Tribunale militare straordinario del 19 dicembre 1943 Sentenza in formato sfogliabile Scheda compilata dall'INSMLI e dall'ISEC sulla fucilazione all'Arena del dicembre 1943 Documentazione proveniente dalla famiglia Cervi con fotografia, discorsi, cronologia degli avvenimenti e articoli

Acquario civico di Milano
Acquario civico di Milano

L'Acquario civico di Milano fu istituito nel 1906, nell'ambito dell'Esposizione Internazionale di Milano, ed è l'unico padiglione costruito nel parco Sempione a non essere stato smantellato una volta conclusosi l'evento. È il terzo acquario più antico d'Europa. Posizionato nell'attuale area del Parco Sempione, tra l'Arena Civica e il Castello Sforzesco, in pieno centro, l'edificio esterno è stato oggetto per 3 anni di un lungo restauro, con l'intento di offrire una dettagliata visione degli ambienti acquatici d'acqua dolce e marini italiani. La storia dell'Acquario Civico milanese prende il via nel 1906 quando a Milano si tiene una grande Esposizione Internazionale per festeggiare l'apertura del traforo del Sempione. Quello di Milano è pertanto il terzo acquario più antico d'Europa. Costruito su progetto dell'architetto Sebastiano Locati e per finanziamento del duca Giuseppe Crivelli Serbelloni, presidente della Società Lombarda per la Pesca e l'Acquicoltura, l'acquario civico di Milano viene inaugurato il 28 aprile del 1906, ed è considerato uno degli edifici di maggior pregio e significato del liberty milanese. Due anni dopo la sua inaugurazione, nel 1908, l'Acquario viene inoltre arricchito dalla costituzione di una Stazione di biologia e di bioidrologia applicata. L'Acquario continua la sua attività fino all'agosto del 1943 allorché, colpito dalle bombe anglo-americane, viene notevolmente lesionato. Nel 1952 cominciano i primi lavori di sistemazione che, nel 1960, divengono una vera e propria ristrutturazione. Questa ristrutturazione si occupò prevalentemente delle vasche e poco fece per la preservazione architettonica dell'edificio. Nel 1963 l'Acquario riapre e, sotto la guida del suo direttore Menico Torchio, ricomincia ad essere operativo sia dal punto di vista della ricerca scientifica sia di quello puramente ostensivo, rivolto al grande pubblico. Ne diviene Direttore, Mauro Mariani, nel febbraio del 1988 Intorno agli anni '90 si comincia a percepire la necessità di un ulteriore ammodernamento dello storico edificio e della concreta possibilità di una ridistribuzione di tutti gli spazi. Prende dunque il via nel 2003, ad opera degli architetti Piero De Amicis e Luigi Maria Guffanti (con la supervisione scientifica del Direttore dell'Acquario, Mauro Mariani) la ristrutturazione dell'intero edificio che, terminata nella primavera del 2006, ha permesso di restituire alla città questo importante edificio notevolmente rinnovato, celebrandone, al contempo, I primi cento anni di vita. La struttura dell'acquario civico di Milano è costituita da una palazzina di stile liberty milanese, con rimandi allo stile della secessione viennese. La facciata, decorata con maioliche floreali prodotte dalla ditta Richard-Ginori e con rilievi in cemento a tema acquatico prodotti della ditta Chini, presenta al centro una statua rappresentante il dio Nettuno, protettore delle acque, opera dello scultore Oreste Labò, sotto la quale si trova una fontana caratterizzata dal capo di un ippopotamo dal quale sgorga l'acqua. Al piano terreno si trovano le aule didattiche per le attività con le scuole, sale per ospitare mostre temporanee e un percorso espositivo preciso che si sviluppa lungo un perimetro di forma ellittica. Al primo piano si trova invece la biblioteca dell'acquario. La struttura è circondata da un giardino in forma di parco pubblico, nel quale oltre ad un percorso botanico di notevole interesse, si trovano vasche aperte all'esterno con ambienti specifici, come ad esempio quello della palude. Il progetto di ristrutturazione iniziato nel 2003 ha portato, oltre al recupero in un linguaggio contemporaneo delle qualità architettoniche e decorative dell'edificio liberty, alla ristrutturazione completa delle strutture dell'acquario, rendendolo più tecnologicamente avanzato e in grado di offrire al pubblico un ambiente espositivo ed educativo funzionale, accessibile anche agli utenti disabili. Il pian terreno è stato interamente dedicato al pubblico con la costruzione di aule didattiche per le attività con le scuole, sale per ospitare mostre temporanee e un percorso espositivo rinnovato esteticamente attraverso giochi di volumi, unitamente alla possibilità di osservare direttamente gli organismi di alcune vasche con il livello dell'acqua basso, senza l'interposizione del vetro. Nell'atrio, un'ampia scalinata permette l'accesso al seminterrato dove è stato creato un nuovo spazio con un bar e una libreria. Sono state poi realizzate due scale che, dal percorso espositivo, permettono di accedere alla terrazza la quale offre la possibilità di osservare dall'alto il giardino e gli ambienti padani ricostruiti. Il nuovo percorso espositivo dell'acquario racconta la storia dell'acqua da quando le precipitazioni atmosferiche confluiscono in un torrente montano fino ad arrivare al mare, attraverso i principali ambienti che si formano. Dieci sono le vasche degli ambienti d'acqua dolce e dodici sono quelle dedicate agli ambienti marini, di cui due a cielo aperto. Del mare vengono mostrati i principali ambienti della zona infralitorale, circalitorale e pelagica. Gli ambienti ricostruiti sono italiani e mediterranei, ad eccezione di una vasca fuori percorso che ripropone la scogliera madreporica del Mar Rosso come esempio di possibile evoluzione nei prossimi anni del Mar Mediterraneo. Le vasche di ostensione sono distribuite lungo l'ellisse espositiva, ed i visitatori possono decidere se percorrere questo viaggio seguendo la corrente o risalendola, andando cioè dalla montagna al mare o viceversa; un maggior dettaglio degli ecosistemi padani d'acqua dolce sono presentati nel giardino esterno. Oltre alle vasche, nelle sale espositive sono presentati al visitatore filmati, mostre a tema e percorsi interattivi sui diversi argomenti. È il primo tratto di un corso d'acqua (epirithron) che discende le pendici delle montagne, caratterizzato da acque decisamente fredde (temperatura inferiore a 10 °C) e ben ossigenate, da un'elevata pendenza e da un fondo di massi e ghiaia grossolana. La corrente è elevata e l'acqua scorre in modo turbolento. Le specie che vivono in questo ambiente si posizionano frequentemente sotto i sassi e hanno caratteristiche morfologiche che consentono la vita in presenza di elevata corrente e bassa temperatura. Piccole dimensioni e corpo piatto (planarie, larve di insetti) permettono di restare protetti fra le fessure o sotto i sassi, appendici uncinate (larve di Ditteri) servono ad ancorarsi alle rocce, gusci protettivi appesantiscono il corpo per non essere trascinati via dalla corrente (Tricotteri), organi adesivi permettono di aderire tenacemente al substrato (Ancylus fluviatilis). Le piante acquatiche superiori sono rare a causa della corrente che impedisce loro di radicarsi al fondo. Alghe e muschi acquatici come Fontinalis antipyretica si ancorano tenacemente a rocce o altri substrati duri. La vegetazione riparia è costituita soprattutto da bassi cespugli ed erbe. La trota fario (Salmo trutta fario) è un vorace predatore con un corpo idrodinamico e una potente muscolatura che le consentono di muoversi anche contro corrente. Di solito questa specie divide lo stesso tratto del corso d'acqua con lo scazzone e la sanguinerola. Viene illustrato il percorso del fiume dopo la sua nascita e la vita in un lago alpino. In questa fase viene spiegata la vita in una "pozza montana" ovvero un lago di ridotte dimensioni. Questa sezione presenta un tratto di fiume in montagna. In questo tratto il corso d'acqua si allarga e diventa più profondo, la pendenza si riduce notevolmente e diminuisce la velocità della corrente. L'acqua, ben ossigenata, è meno turbolenta e meno fredda rispetto al tratto precedente: scorre veloce su un fondo di sassi e ghiaia grossolana e rallenta in corrispondenza di pozze e insenature dove spesso si accumula sabbia fine o limo. Qui dominano le alghe e i muschi acquatici e, nelle zone riparate dalla corrente dove il fondo è sabbioso, compaiono le prime piante acquatiche come il ceratofillo comune (Ceratophyllum demersum) la brasca increspata (Potamogeton crispus), il ranuncolo fluitante (Ranunculus fluitans) e la peste d'acqua comune (Elodea canadensis). Il temolo (Thymallus thymallus) è una specie presente particolarmente in questo tratto idrico, facilmente riconoscibile, che condivide questo ambiente col gobione e la trota marmorata. In continuità col tratto precedente, sono presenti molte larve di insetti (efemerotteri, plecotteri, tricotteri) e altri organismi in grado di vivere in presenza di corrente. Tra la vegetazione acquatica trovano rifugio e nutrimento numerosi molluschi gasteropodi e crostacei gammaridi. Il gambero di fiume (Austropotamobius pallipes), caratteristico di questo ambiente, è ormai molto raro a causa dell'inquinamento e dell'introduzione di specie alloctone più resistenti. Il fiume si sposta ai piedi dei monti, in una zona tecnicamente denominata epipotamon. Qui il corso d'acqua aumenta di ampiezza, la pendenza si riduce ulteriormente rispetto ai tratti precedenti e la corrente rallenta anche se alcuni tratti si presentano ancora forti. La temperatura dell'acqua subisce notevoli variazioni stagionali e può raggiungere i 20 °C. L'acqua, limpida e ossigenata, scorre su un fondo di ghiaia e sabbia grossolana. Accanto a muschi ed alghe filamentose troviamo piante acquatiche come il ranuncolo fluitante (Ranunculus fluitans), i millefoglie (Myriophyllum), la brasca comune (Potamogeton natans) e la peste d'acqua comune (Elodea canadensis). Nei tratti a corrente lenta con fondo sabbioso compaiono le callitriche e le piante palustri. La maggior parte dei pesci presenti appartengono alla famiglia dei ciprinidi, meno esigenti dei salmonidi. Il barbo è la specie più comune in questo tratto di fiume, pesce che ha la caratteristica di riposare durante il giorno e al tramonto si impegna a "setacciare" il fondo del fiume coi propri bargigli (organi sensori) per individuare le prede nascoste. Nuotano in queste acque anche lasche, savette, vaironi, triotti e gruppi di giovani cavedani che da adulti conducono vita solitaria. Qui viene presentata l'ambiente del lago di Como (Lario), preso ad esempio per rappresentare un ideale di grande lago lombardo. Il cosiddetto metapotamon, il fiume che dopo il tratto pedemontano e lacustre scorre in pianura, con la presenza delle carpe e dei lucci. Questa sezione è divisa in due parti e presentano quei corsi d'acqua che esistono in quanto mantenuti e "lavorati dall'uomo", ovvero la roggia e il fontanile, tipici della Pianura Padana. Detta anche hypopotamon, è l'area dove il fiume si getta nel mare con delta ed estuario dove si ha il rimescolamento di acque dolci e marine. Il fiume scorre molto lentamente su un fondo genericamente sabbioso-fangoso. L'ossigeno disciolto è scarso e l'acqua è torbida per la grande quantità di materiale trasportato dal fiume. Qui vivono organismi d'acqua dolce e marini in grado di apportare le frequenti variazioni di temperatura e di salinità. La ridotta velocità di corrente permette lo sviluppo del plancton vegetale e animale. Potamogeti e miriofilli formano "foreste subacquee". Tra la fitta vegetazione, accanto alla cannuccia di palude (Phragmites australis) e alle clarici, compaiono gruppi di tife e di scirpi. Nelle anse del fiume galleggiano le ninfee e il ranuncolo a foglie capillari (Ranunculus trichophyllus). La maggior parte dei pesci sono eurialini, cioè sopportano grandi variazioni di salinità. È questa la zona in cui infatti vive lo storione che risale dal mare per riprodursi, assieme al cefalo, alla passera di mare e all'anguilla, nella fase giovanile. Come nel tratto precedente, gli organismi sono in grado di sfruttare al massimo i basi livelli di ossigeno presenti. Trovano il loro ambiente ideale vermi (oligocheti, tubificidi), numerosi insetti (ditteri, odonati, coleotteri, efemerotteri), crostacei (isopodi), molluschi gasteropodi e bivalvi (Dreissena polymorpha, Psidium). Viene qui presentato l'ambiente acquatico tipico della laguna Vasca che illustra le vaste praterie di posidonia oceanica (Posidonietum oceanicae) presenti nel Mediterraneo. Questa sezione è divisa in quattro vasche differenti, due delle quali rappresentano gli ambienti costieri marittimi italiani caratterizzati da litorale roccioso, uno è dedicato al paesaggio con fondali sabbiosi e uno dedicato esclusivamente al cavalluccio marino, una specie rara e oggi protetta, presente nelle coste italiane del Mediterraneo. Sezione divisa in due vasche dedicate all'ambiente marittimo italiano, di cui una dedicata interamente alla medusa quadrifoglio, una delle specie più particolari presenti nei nostri mari. Vasca tematica dedicata interamente al polpo (Octopus vulgaris), endemico sulle coste italiane. Area che mostra la forte presenza di relitti di imbarcazioni di tutte le epoche all'interno del Mediterraneo. Quanto essi possano essere importanti per la ricerca, cosa rappresentino per l'habitat dei pesci che vivono quel tratto marino e gli eventuali pericoli che possono esservi per la loro presenza. Un esempio di scogliera marittima dove è forte la presenza delle madrepore, viene qui riportato l'esempio del Mar Rosso. Per la scarsa profondità i limitati scambi d'acqua con l'oceano e l'area geografica arida, il Mar Rosso è considerato un bacino semi-chiuso con una salinità superiore del 10% a quella degli oceani. I lunghi e ripetuti periodi di isolamento hanno favorito la formazione di molti endemismi. Le scogliere madreporiche, dette anche reef, derivano dall'attività costruttrice dei polipi delle madrepore. I polipi formano grandi colonie composte da centinaia o migliaia di individui comunicanti tra loro che vivono all'interno di calici calcarei secreti da loro stessi. Le madrepore, per riprodursi, hanno bisogno di condizioni particolarmente stabili, acque calde, limpide, a salinità costante e un substrato duro su cui crescere. Il reef, che fornisce cibo e riparo a migliaia di organismi diversi, è un ambiente molto competitivo. I coralli usano cellule urticanti sia per alimentarsi che per conquistare uno spazio, molti molluschi e vermi scavano gallerie nelle madrepore sgretolandole, mentre la stella marina (Acanthaster planci) si nutre dei polipi corallini. Sul reef del Mar Rosso vivono circa un migliaio di pesci tra cui castagnole, damigelle e pesci pagliaccio. Alcuni sono erbivori come il pesce chirurgo, mentre altri sono predatori come la cernia. La maggior parte si nutre di invertebrati come i coloratissimi pesci angelo e pesci farfalla, tordi e donzelle, pesci palla, pesci scatola e pesci balestra. Vasca introdotta per illustrare la tendenza alla tropicalizzazione da parte del Mediterraneo, un problema a cui l'uomo sta cercando di far fronte con l'innalzarsi delle temperature delle acque. Nel 2015 l'Amministrazione comunale ha deciso l'assorbimento della Biblioteca dell'Acquario Civico nel patrimonio della Biblioteca del Museo di Storia Naturale, rinominando quest'ultima Biblioteca del Museo di Storia Naturale e dell'Acquario Civico di Milano. La consultazione dei documenti è possibile previa prenotazione presso la sede del Museo di Storia Naturale, Milano. Acquario (museo vivente) Acquariofilia Acquario di Genova Stazione zoologica Anton Dohrn Liberty a Milano Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su acquario civico di Milano Sito ufficiale, su acquariodimilano.it. Acquario civico di Milano, su LombardiaBeniCulturali, Regione Lombardia. Acquario civico di Milano, su LombardiaBeniCulturali, Regione Lombardia.

Chiesa di San Protaso alle Tenaglie

La chiesa di San Protaso alle Tenaglie, chiamata anche San Protaso in Campo foris, era una chiesa di Milano. Situata nell'attuale via Legnano (in corrispondenza del civico 14) non lontano dall'incrocio con via Anfiteatro, fu demolita nel 1786. L'origine della chiesa è fatta risalire a prima dell'anno 1015 grazie a delle iscrizioni sepolcrali dove si indicava la sepoltura di tale Andrea Martignoni nella chiesa in tane anno: il suo nome "in Campo foris" era dato in quanto situata fuori dalle mura dell'epoca , per distinguerla dalla vicina Chiesa di San Protaso al Castello detta al contrario "in Campo intus" in quanto dentro le mura. La chiesa assunse più tardi, dopo il XVI secolo, il nominativo "alle Tenaglie" per la vicinanza alle tenaglie delle nuove mura spagnole di Milano: nello stesso secolo la chiesa fu completamente ricostruita. Serviliano Latuada descrive la chiesa alla sua epoca con un solo altare, mentre altri due furono tolti nei primi anni del '700 in quanto "la ristringevano ed erano indecenti": i due altari erano dedicati a Sant'Antonio Abate e al santo titolare della chiesa. L'altare maggiore era decorato con una pala d'altare raffigurante Maria Vergine dei Sette Dolori, Santo Antonio Abate e San Protaso. Serviliano Latuada, Descrizione di Milano, vol. 5, Milano, 1738. Lorenzo Sonzogno, Vicende di Milano rammentate dai nomi delle sue contrade, Milano, 1835. Paolo Rotta, Passeggiate storiche, ossia Le chiese di Milano dalla loro origine fino al presente, Milano, 1891. Chiese di Milano Chiese scomparse di Milano Chiesa di San Protaso al Castello