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Zona Paolo Sarpi

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La zona Paolo Sarpi (detto anche quartiere Sarpi in riferimento all'omonima via), è un quartiere del Municipio 1 di Milano noto in passato come il Borgo degli Ortolani (originariamente, in dialetto milanese, il nome era Borgh di scigulatt cioè "borgo dei produttori di cipolle"). Essa è compresa tra via Luigi Canonica e via Paolo Sarpi, nelle vicinanze di Porta Volta. Il Borgo degli Ortolani (Borgh di Ortolan in lingua lombarda) era un rione di Milano sito tra Porta Tenaglia e l'Arco della Pace, nell'odierna via Luigi Canonica, in corrispondenza dell'odierna zona Sarpi. Il nome deriva dal fatto che era sede di un'ampia comunità di ortolani. In dialetto milanese era anche noto come Borgh di goss, ossia "borgo dei gozzi", poiché vi erano varie parti di animali esposte al pubblico durante il lavoro. Chinatown è il nome attribuito nel gergo giornalistico (spesso in modo spregiativo), alla zona che va dal Municipio 1 di Milano e si estende anche fin dentro il Municipio 8, caratterizzata dalla notevole concentrazione di esercizi commerciali gestiti da membri della comunità cinese. La presenza cinese a Milano ha avuto inizio intorno al 1920 con una massiccia immigrazione dalla regione dello Zhejiang, soprattutto dalla città di Wenzhou, dalla quale proviene circa il 90% delle persone cinesi residenti in Italia; nel capoluogo lombardo scelsero una zona che, per il particolare tessuto urbanistico, favoriva la concentrazione di laboratori nei cortili delle abitazioni. Già durante il fascismo il quartiere era chiamato "quartier generale dei cinesi". Tradizionalmente invece, anche se la cosa non è veritiera, il primo cinese insediatovisi è stato il pellettiere Wang Sang (1919-2009), detto "Romanino", a Milano dal 1937, attivo anche nella mediazione culturale, citato dal poeta dialettale Sergio Gobbi nel verso Wang Sang prim cinese el derva bottega (Wang Sang primo cinese apre bottega). Le prime attività, localizzate principalmente attorno a via Luigi Canonica furono legate alla lavorazione della seta, specialmente per la produzione di cravatte, favorita dalla vicinanza con gli impianti industriali del comasco. Durante la seconda guerra mondiale la lavorazione venne convertita in quella della pelle, al fine di fornire cinture militari ai contingenti italiani e tedeschi. Il commercio, principalmente all'ingrosso, era sostanzialmente monotematico, concentrato soprattutto sull'abbigliamento e la pelletteria. Dalla fine degli anni novanta inizia il boom: l'area diventa un punto di riferimento per i cittadini cinesi non solo di Milano ma anche del resto della Lombardia. Nascono così supermercati, erboristerie/farmacie e librerie, esercizi in grado di soddisfare le richieste di prodotti cinesi da parte di una clientela cinese. Dagli anni 2000 l'attività si fa via via più ramificata, comprendendo pressoché qualsiasi forma di esercizio commerciale, non più solo all'ingrosso ma al dettaglio: negozi di abbigliamento, telefonia, alta tecnologia, fotografia, ottica; inoltre nascono molti negozi che offrono servizi, come assistenza e riparazione computer e telefoni cellulari, servizi per gli immigrati, agenzie viaggi, parrucchieri, estetisti, internet point e KTV (karaoke cinese). Parallelamente all'esplosione del commercio al dettaglio, dal 1999 si è assistito anche al massiccio incremento del commercio all'ingrosso, insediatosi progressivamente al posto dei dettaglianti italiani, grazie al pagamento di buonuscite molto elevate per subentrare nei loro locali; questi esercizi si espandono lungo via Paolo Sarpi e nelle strade adiacenti del quartiere Canonica-Sarpi-Bramante. Alla fine del 2014, la comunità cinese propose la realizzazione di due paifang alle estremità della strada, in modo analogo a quanto realizzato molte altre chinatown del mondo; tuttavia tale progetto non è stato ad oggi ancora realizzato. Le contraddittorie caratteristiche della presenza cinese nel quartiere Canonica-Sarpi di Milano hanno comportato la decisione comunale di operare per la delocalizzazione dei grossisti, creando una frizione tra l'amministrazione comunale e la comunità cinese, e tra questa e i residenti non cinesi nel quartiere. Il 25 novembre 2000 si ebbe una prima manifestazione di protesta nella zona, ad opera del Comitato ViviSarpi. Diversamente da quanto spesso riferito, essa non era assolutamente in opposizione alla presenza cinese, bensì contro il degrado comportato dall'aumento del commercio all'ingrosso, con conseguente indebolimento del commercio di prossimità. Le proteste del comitato, ripetute nel tempo, ottennero che il Comune stabilisse nell'area una regolamentazione dell'orario in cui è permesso il carico e scarico delle merci nei magazzini e nei negozi, volto nella pratica a regolamentare le attività gestite dalla comunità del quartiere, sia essa italiana o cinese. Il 12 aprile 2007 ebbe luogo una breve rivolta in strada della comunità cinese, con cariche della polizia e l'intervento del console cinese a Milano. Alla fine del 2008 il Comune ha reso via Paolo Sarpi ZTL, ossia Zona a Traffico Limitato, mentre nel 2011 ha pedonalizzato la stessa via, rendendola una lunga passeggiata lastricata che congiunge Porta Volta con Corso Sempione. La massiccia presenza cinese, unita ai tipici ideogrammi per le strade, conferisce al quartiere una forte identità. Al suo interno si possono distinguere delle sotto-aree tipiche della zonizzazione presente nelle città cinesi. In particolare, la parte lungo via Paolo Sarpi e via Antonio Rosmini è specializzata in negozi di tecnologia, in abbigliamento al dettaglio e nell'alimentare (è presente pure un centro commerciale); quella lungo via Messina in parrucchieri e servizi per il corpo; quella lungo via Bramante in abbigliamento all'ingrosso. Per l'Expo del 2015, è stato pure inaugurato un hotel cinese, nel cuore del quartiere, tra le vie Rosmini e Sarpi. Ogni anno è festeggiata la ricorrenza del capodanno cinese, durante il quale una coppia di draghi sfila per la via principale del quartiere (via Paolo Sarpi), addobbata per l'occasione. Il corteo si snoda da piazza Antonio Gramsci, all'estremità occidentale del quartiere, preceduto da danze e rulli di tamburi, e attira una folla di curiosi provenienti da ogni parte della città. Recentemente, inoltre, è stato promosso, sempre in piazza Gramsci, il China Film Festival, una rassegna all'aperto di film in lingua cinese sottotitolati in italiano. Nel quartiere si trovano numerosi ristoranti cinesi della città, che offrono soprattutto la cucina cinese dello Zhejiang. Recentemente hanno cominciato a fare la loro comparsa anche ristoranti specializzati in cucina del Sichuan, di Pechino e in hot pot. Si tratta di cucine diverse rispetto a quella dello Zhejiang, di norma quella più comune in Italia. In questi ultimi anni, anche per le recensioni delle più aggiornate guide turistiche, sta crescendo l'interesse turistico legato sia alla scoperta di una nuova forma di ristorazione cinese, sia alla possibilità di uno shopping di tipo diverso, più contenuto nei prezzi e più eccentrico. Il quartiere ospita inoltre le redazioni di numerosi giornali in lingua cinese che vengono stampati nella periferia della città e distribuiti in tutta Italia. Uno dei più importanti è lo Europe China News. Nei primi anni duemila la Chinatown milanese ha fatto da sfondo ad alcuni fatti di cronaca nera tanto efferati quanto improvvisi che hanno svelato la presenza di bande mafiose dedite a reati come il controllo dell’immigrazione clandestina e del gioco d’azzardo, la gestione della prostituzione, il racket nei confronti di esercizi commerciali e lo spaccio di droghe sintetiche; il tutto perpetrato da cinesi esclusivamente ai danni di altri cinesi. Tutto questo ha visto l'ascesa e il declino di giovanissimi veri e propri boss quali Zhou Wei, detto "il Ballerino", assassinato nel 2007 nemmeno ventenne, Hu Libin, detto Limin, attivo tra Torino e Milano, assassinato ventiduenne nel 2009, e Hu Yun Xiao, detto Wenjie, macchiatosi nel 2015 dell'assassinio di un malavitoso in ascesa, il proprietario di un locale di karaoke Hu Xipu. Carlo Linati, Quartiere Cinese, Casa Editrice Leonardo, Milano, 1942 Piero Colaprico, Mala storie - Il giallo e il nero della vita metropolitana, il Saggiatore, Milano, 2010 Daniele Cologna, La Cina sotto casa - Convivenza e conflitti tra cinesi e italiani in due quartieri di Milano, FrancoAngeli, Milano, 2002. ISBN 88-464-3997-X Donatella della Porta (a cura di), Comitati di cittadini e democrazia urbana, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli, 2004 Patrizia Farina, Cina a Milano - Famiglie, ambienti e lavori della popolazione cinese a Milano, AIM - Associazione Interessi Metropolitani, Milano, 1997 Istituto Nazionale di Urbanistica, Urbanistica, n. 110-111 Giampiero Rossi, Simone Spina (Introduzione di Nando dalla Chiesa), I boss di Chinatown - La mafia cinese in Italia, Editore Melampo, Milano, 2008 Borgo degli Ortolani Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su zona Paolo Sarpi

Estratto dall'articolo di Wikipedia Zona Paolo Sarpi (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

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Via Paolo Sarpi, Milano Porta Volta

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Lombardia, Italia
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Luoghi vicini

Chiesa della Santissima Trinità (Milano)
Chiesa della Santissima Trinità (Milano)

La chiesa della Santissima Trinità è una chiesa parrocchiale di Milano, posta in zona Paolo Sarpi. Fu costruita negli anni sessanta del XX secolo per sostituire una chiesa precedente. La chiesa della Santissima Trinità fu costruita dal 1964 al 1967 su progetto di Fritz Metzger, per sostituire la precedente chiesa parrocchiale, posta poco distante e abbattuta per necessità urbanistiche. Di essa resta il solo campanile. La chiesa fu aperta al culto la notte di Natale del 1967 e consacrata l'8 giugno dell'anno seguente. La chiesa è posta a 3 metri di altezza dal piano stradale, ed è preceduta da un sagrato accessibile tramite una scalinata laterale. Il sagrato è sovrastato dalla copertura, poggiante su sei grandi pilastri a croce, dei quali quattro sono posti all'interno della chiesa, e due sul sagrato stesso. Lo spazio ecclesiale è a pianta quadrata di 33 metri di lato; i fedeli sono disposti in modo assembleare, a semicerchio intorno all'altare. Cecilia de Carli (a cura di), Le nuove chiese della diocesi di Milano 1945-1993, Milano, Edizioni Vita e Pensiero, 1994, ISBN 88-343-3666-6. Chiese di Milano Parrocchie dell'arcidiocesi di Milano Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su chiesa della Santissima Trinità Sito ufficiale, su trinita.tv. Chiesa della Santissima Trinità, su BeWeB, Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici della Conferenza Episcopale Italiana. Parrocchia della Santissima Trinità, su lombardiabeniculturali.it.

Monumentale (metropolitana di Milano)
Monumentale (metropolitana di Milano)

Monumentale è una stazione della linea M5 della metropolitana di Milano. I lavori per la costruzione della stazione iniziarono nel 2010. Questa è stata inoltre una delle due stazioni della seconda tratta da cui sono state calate le tunnel boring machine per la costruzione dei tunnel. La stazione è stata inaugurata l'11 ottobre 2015. Monumentale, come tutte le altre stazioni della linea, è dotata di porte di banchina. Possiede uscite in piazzale Cimitero Monumentale e in via Carlo Farini. In origine, la stazione avrebbe dovuto avere una banchina mediana, visibile dalle banchine laterali che sono state poi costruite in seguito e che vengono attualmente utilizzate. La stazione è, come tutte le altre della linea, accessibile ai portatori di handicap grazie alla presenza di vari ascensori, sia a livello stradale sia all'interno della stazione stessa. Sono inoltre presenti indicatori per i tempi d'attesa nelle banchine e l'intera stazione è sotto video sorveglianza. La stazione dispone di: Accessibilità per portatori di handicap Ascensori Scale mobili Emettitrice automatica biglietti Servizi igienici Stazione video sorvegliata La stazione è servita da diverse linee tranviarie urbane gestite da ATM. Fermata tram (Monumentale M5, linea 10) Fermata tram (Via Farini Via Ferrari, linee 2, 4, 10 e 33) Fermata tram linee 12 e 14 Cimitero Monumentale di Milano Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Monumentale (EN) Monumentale, su Structurae.

Strage dell'Arena
Strage dell'Arena

La strage dell’Arena fu un eccidio fascista avvenuto il 19 dicembre 1943 all’Arena Civica a Milano e nel corso della quale furono uccisi otto partigiani. Otto partigiani furono fucilati da militi della Legione Autonoma Mobile Ettore Muti e del gruppo “Trieste” della RSI, in seguito a una sentenza di condanna a morte emessa dal Tribunale militare straordinario convocato in rappresaglia all’attentato che aveva ucciso il segretario del partito fascista milanese Aldo Resega. Tre gappisti, istruiti la sera prima sull'azione prevista ma senza essere informati sull'identità del dirigente fascista da colpire, uccisero in via Bronzetti il 18 dicembre 1943 il commissario federale milanese del Partito Fascista Repubblicano di Milano Aldo Resega e riuscirono a fuggire in bicicletta. Nonostante Resega avesse scritto nel suo testamento spirituale di non volere rappresaglie nel caso fosse ucciso, su ordine del ministro dell'interno della RSI Guido Buffarini Guidi e del capo della Provincia Oscar Uccelli il generale Solinas costituì un Tribunale militare straordinario che condannò a morte con un giudizio sommario otto partigiani arrestati nel novembre del 1943 detenuti nel carcere di San Vittore: Carmine Campolongo, Fedele Cerini, Giovanni Cervi, Luciano Gaban, Alberto Maddalena, Carlo Mendel, Giuseppe Ottolenghi (detenuto sotto il falso nome di Antonio Maugeri), Amedeo Rossin. Il Corriere della Sera del 20 dicembre dette notizia dell'omaggio alla salma di Resega e accanto degli "Otto criminali giustiziati" sostenendo che la condanna a morte non era una rappresaglia dell'attentato ma un semplice processo. I due articoli scrivevano che Resega aveva affermato nel suo testamento di non volere rappresaglie ma che “tutto il fascismo è rimasto al suo posto, vigile e saldo, fidente che gli organi dello Stato avrebbero compiuto la loro opera di doverosa giustizia contro i sanguinari disgregatori dell’ordine e traditori della Patria”, facendo apparire falsamente la condanna a morte come un'azione non collegata strettamente all'attentato. "All'alba di domenica 19 dicembre 1943 dieci detenuti politici furono prelevati da San Vittore con il cellulare e portati al Palazzo di Giustizia. Dalle 9:30 alle 14:30 furono tenuti ammanettati nella Sala degli Avvocati, in attesa del Tribunale militare straordinari che li doveva giudicare. Alle 14:30 arrivò il questore Santamaria Nicolini con altri due capitani fascisti e dopo nemmeno due ore di uno pseudoprocesso senza difesa, senza pubblico, senza alcuna formalità legale furono condannati a morte in otto". La predeterminazione della condanna a morte è dimostrata dal fatto che l'Arena fu bloccata al pubblico da reparti militari alcune ore prima della sentenza del tribunale militare, come scritto nella sentenza citata della Corte d'Assise del 1946 con nota a pagina 40. Il plotone di esecuzione era costituito dalla Legione Autonoma Mobile Ettore Muti e dalla “Trieste”. Invitati a collocarsi su sedie i condannati rifiutarono e vollero morire in piedi. Dietro di loro erano le casse da morto. Alle 17:30 sopraggiunse Santamaria Nicolini, presidente del Tribunale militare straordinario che lesse la condanna a morte. Chi non morì subito fu ucciso con un colpo di grazia di pistola. Giuseppe Bulferi Bulferetti, nel suo discorso di commemorazione di Giovanni Cervi dell'ottobre del 1945, disse: "Dopo la crudele mistificazione del processo i nove sono portati all'Arena dove era stato predisposto il plotone di esecuzione composto di 20 militi della Trieste (fascisti vestiti da bersaglieri) e da 20 della Muti. Alle 17.30 è data lettura della Sentenza che ne condanna otto alla fucilazione alla schiena e al solo Brenna Mario viene commutata la pena a 20 anni di reclusione. Questi deve però assistere alla fucilazione dei suoi compagni. Le otto vittime innocenti si abbracciano e si baciano nel loro reciproco ultimo saluto e sono costrette a sedersi e a farsi legare su apposite sedie alla presenza del questore, del prefetto Uccelli in rappresentanza del Ministro Buffarini Guidi, ispiratore della strage. Al confessore il Cervi dice che per sé non gli importa di morire, ma gli dispiace per il colpo che dà alla madre e ai fratelli, e perché è una morte ingiusta e immeritata. Si leva il pullover e lo dà al cappellano militare da portare come suo ultimo ricordo alla fidanzata. E quando viene ordinata la terribile parola "fuoco" tutti gli otto martiri d'accordo si alzano in piedi come segno di protesta e per morire da forti. Il Cervi grida: "Viva l'Italia" e cade bocconi in avanti insieme agli altri." Il padre di Maddalena ebbe notizia che “non appena il plotone ebbe eseguito l’esecuzione giunse Alessandro Pavolini, segretario del Partito Fascista Repubblicano, che si adirò perché avrebbe voluto essere presente. Uno dei fucilati era ancora agonizzante ed allora per sfogare la sua ira con la propria rivoltella lo finì.”. Nel 1946 i giudici della Corte di Assise speciale di Milano condannarono a morte i membri del Tribunale militare che ricorsero poi in Cassazione ed ottennero una revisione del processo, dato che nel frattempo era stata decretata un'amnistia. In ricordo dell’uccisione furono posti un cippo e una lapide all’Arena. Il 19 dicembre 2018 per il 75-esimo anniversario della condanna a morte l'ANPI e il Comune di Milano hanno commemorato l'evento presso il cippo all'Arena deponendo due corone. Carmine Campolongo, nato a Ortanova (FG), arrestato il 5 novembre 1943 in Valcuvia Fedele Cerini, manovale, nato a Cuvio nel 1914, arrestato il 10 novembre 1943 in Valcuvia Giovanni Cervi, ingegnere, nato a Gattatico (RE) il 1 giugno 1903, arrestato il 3 novembre 1943 a Milano Luciano Gaban, arrestato nel novembre 1943 a Milano Alberto Maddalena, paracadutista nella guerra d'Africa, nato a Milano il 17 settembre 1916, arrestato nel novembre 1943 a Milano Carlo Mendel, fisico e ricercatore, nato a Sestri Levante (GE) il 29 dicembre 1915, arrestato il 26 ottobre 1943 a Milano Giuseppe Ottolenghi, studente, nato a Milano il 15 novembre 1921, arrestato nel novembre 1943 a Milano Amedeo Rossin, nato a Pressana (VR) nel 1923, arrestato nel novembre 1943 Carmine Capolongo, Luciano Gaban, Alberto Maddalena, Fedele Cerini e Amedeo Rossin erano legati in modi diversi al gruppo «Cinque Giornate – San Martino di Vallalta – Varese», comandato dal colonnello dei Bersaglieri Carlo Croce. Alberto Maddalena si era unito ai partigiani della Valcuvia; dopo la loro sconfitta fu arrestato a Milano dalle SS durante una perquisizione perché trovato con un biglietto di ringraziamento di un militare inglese. Stava per essere liberato il giorno dell'attentato a Resega. Gli fu intitolata via Vitruvio a Milano per un mese dopo la guerra, poi il sindaco Antonio Greppi cambiò idea. I giudici del Tribunale Militare straordinario che condannò a morte le vittime furono: Camillo Santamaria Nicolini, presidente, poi questore di Milano, nato nel 1894 a Maddaloni Francesco Belardinelli, pubblico ministero, nato nel 1911 a Messina Vittorio Mariani, membro, nato nel 1896 a Milano Carmelo Solaro, membro, tenente della X Flottiglia MAS, nato nel 1908 a Milano Alfredo Tarsia, membro, tenente colonnello del terzo reggimento Bersaglieri, nato nel 1903 a San Cipriano Piacentino Santamaria Nicolini, accusato di aver presieduto, nella sua qualità di questore, il tribunale straordinario che ordinò la rappresaglia, fu condannato il 12 novembre 1946 alla pena di morte. Il 4 dicembre 1947 la Corte di Cassazione annullò la sentenza per deficiente ed erronea motivazione circa la configurazione giuridica del reato e sul diniego delle attenuanti generiche e rinviò gli atti alla Corte d’assise di Roma. Francesco Belardinelli, pubblico ministero del tribunale straordinario che ordinò la rappresaglia, fu condannato il 12 novembre 1946 alla pena di morte. La Corte di Cassazione il 14 febbraio 1949 annullò la sentenza e rinviò per nuovo esame alla Corte d’assise di Viterbo. Vittorio Mariani, membro del tribunale straordinario, fu condannato il 12 novembre 1946 alla pena di morte. La Corte di Cassazione il 14 febbraio 1949 annullò la sentenza e rinviò per nuovo esame alla Corte d’assise di Viterbo. Carmelo Solaro, tenente della X Mas, accusato di aver fatto parte del tribunale straordinario che ordinò la rappresaglia, fu condannato il 27 ottobre 1945 a sedici anni e otto mesi. La Corte di Cassazione il 3 settembre 1946 annullò la sentenza e rinviò per un nuovo giudizio alla Corte d'Assise speciale di Como. Alfredo Tarsia, ten. Col. del terzo Reggimento bersaglieri, membro del tribunale straordinario, fu condannato il 12 novembre 1946 a 16 anni di reclusione. Il 4 dicembre 1947 la Corte di Cassazione annullò la sentenza per estinzione del reato a seguito di amnistia. Il ministro degli interni Guido Buffarini Guidi e il presidente della provincia Oscar Uccelli furono condannati a morte nel 1945 dalla Corte d'Assise speciale in quanto le loro responsabilità furono considerate gravissime, ma mentre il primo venne giustiziato come criminale di guerra, il secondo fece ricorso in Cassazione e la Corte d'Assise di Brescia rifece il processo e lo condannò a 30 anni di reclusione. Uscì di prigione già nel 1947. Roberto Cenati e Antonio Quatela, Oltre il Ponte, (Storie e testimonianze della Resistenza in Zona 3) Porta Venezia, Città Studi, Ortica-Lambrate, Progetto "Il Futuro della Memoria", n. 2, ANPI 2009, pag. 200, 211 M. Griner, La “pupilla” del Duce. La Legione autonoma mobile Ettore Muti, Bollati Boringhieri, Torino 2004, p. 116 Franco Giannantoni, Fascismo e società nella Repubblica sociale italiana (Varese 1943-1945), Milano, Franco Angeli, 1984, pag. 692 Samuele Tieghi, Le corti marziali di Salò il Tribunale militare regionale di guerra di Milano (1943-1945), tesi di dottorato dell'anno accademico 2012/13, Scuola di Dottorato Humanae Litterae del Dipartimento Scienza della Storia e della Documentazione Storica, Tutor: Chiar.mo Prof. Luigi Bruti Liberati pag. 249 Sergio Leondi, Fischia il vento, ANPI, Milano 1985 Due estati, un inverno e la rossa primavera. Le Brigate Garibaldi a Milano e provincia (1943-1945), Milano, Franco Angeli, 1985 Leonida Calamida, Gli anni del dolore e della rabbia, ed. La Pietra, Milano 1987 Giovanni Pesce, Senza tregua - La guerra dei GAP, ed. Feltrinelli, Milano 1967 Dalla Resistenza, Amministrazione Provinciale, Milano 1972 Opuscolo commemorativo stampato a Milano il 12 ottobre 1945 con il discorso in memoria di Giovanni Cervi scritto da Giuseppe Bufferi Bulferetti, con una prefazione dell'Ing. Walter Salsi 1943-2003: nel 60º Anniversario della morte Giovanni Cervi Martire della libertà, a cura di Claudio de Biaggi, ANPI Sezione "Osvaldo Brioschi"- Ponte Lambro, 22 giugno 2003 Giovanni Cervi (partigiano) Carlo Mendel Beppe Ottolenghi Sentenza della Corte d’assise speciale n. 358 del 11 novembre 1946 contro i membri del Tribunale militare straordinario del 19 dicembre 1943 Sentenza in formato sfogliabile Scheda compilata dall'INSMLI e dall'ISEC sulla fucilazione all'Arena del dicembre 1943 Documentazione proveniente dalla famiglia Cervi con fotografia, discorsi, cronologia degli avvenimenti e articoli

Cimitero monumentale di Milano
Cimitero monumentale di Milano

Il cimitero monumentale di Milano è il grande cimitero cittadino che si estende nei pressi del centro del capoluogo lombardo. Il monumentale ebbe una gestazione lunga e travagliata cominciata nel 1837 su sollecitazione dell'amministrazione austriaca del Regno Lombardo-Veneto in sostituzione dei sei preesistenti cimiteri milanesi avviati alla chiusura e alla dismissione. Vincitore del concorso finale indetto dal comune di Milano fu il progetto dell'architetto Carlo Maciachini (1818-1899), realizzato a partire dal 1864 in stile eclettico con richiami bizantini, gotici e romanici. La prima deliberazione relativa all'erezione del nuovo cimitero fu quella presa nel 1837 dalla Congregazione Municipale (l'attuale giunta municipale delle città italiane) presieduta dal podestà conte Gabrio Casati nel suo primo anno di mandato: in quella deliberazione la giunta bandiva un concorso per un nuovo cimitero che fosse «degno del lustro di Milano, onde riunirvi lapidi e monumenti per distinti cittadini e sepolcri di famiglia, e vasto a raccogliere tutte le spoglie dei trapassati». Dal 1837, data della prima delibera, al 1863, data dell'approvazione del progetto definitivo del Maciachini, trascorse un quarto di secolo segnato da difficoltà, contrasti e litigi. L'iniziale delibera del 1837 aveva previsto che il cimitero sorgesse su un'area fuori città di 55 200 mq alle Cascine Abbadesse (oggi nei pressi via Melchiorre Gioia): nel giugno 1839, allo scadere del concorso, vennero presentati venticinque progetti fra i quali ebbero grande appoggio quelli degli architetti Alessandro Sidoli e Giulio Aluisetti; i progetti vennero sottoposti per un parere all'Accademia delle Belle Arti di Brera, che preferì il progetto del Sidoli. Nonostante questo parere autorevole, il 12 agosto 1843 il consiglio incaricò l'Aluisetti di redigere un secondo disegno che venne quindi approvato il 4 settembre 1846. Il nuovo progetto, tuttavia, si arenò per una serie di eccezioni e obiezioni sollevate sull'area prescelta e sulle caratteristiche del terreno che lasciavano temere un inquinamento delle acque potabili che lo attraversavano. Superata ogni obiezione grazie al rapporto del celebre chimico Antonio Kramer, il progetto venne inviato per approvarne la spesa al governo che il 10 marzo 1847, contro ogni previsione, negò l'autorizzazione chiedendo un nuovo progetto che prevedesse il cimitero in un'area diversa dalle Cascine Abbadesse, il cui terreno era già stato acquistato dal comune. I fatti politici del 1848 portarono a un ulteriore stallo della questione ma non della lotta fra il progetto del Sidoli e quello dell'Aluisetti: nel 1855, infatti, con Milano nuovamente sotto l'amministrazione asburgica, la congregazione risollevò il tema del monumentale e il periodico Giornale dell'ingegnere-architetto ripresentò, caldeggiandolo, il disegno del Sidoli, ma la morte di quest'ultimo venne a bloccare ogni decisione. Venne quindi nominata una nuova commissione che selezionasse una nuova area sul quale erigere il nuovo cimitero secondo il progetto dell'Aluisetti, ma anche quest'ultimo morì da lì a poco. La nuova area era compresa fra Porta Tenaglia e Porta Comasina ed era stata appositamente acquistata dal comune che, dopo la morte dell'Aluisetti, incaricò l'ing. Pestagalli di adattarne il progetto alla nuova area acquisita, che è quella su cui sorge il cimitero odierno. Cominciarono dunque i lavori di spianamento del terreno e costruzione del muro di cinta. La sopraggiunta liberazione dall'Austria tuttavia determinò che il nuovo comune di Milano nella seduta del 20 maggio 1860 (sotto il sindaco Antonio Beretta) sospendesse ogni lavoro portando come giustificazione l'insufficiente spazio racchiuso nel muro di cinta. Probabilmente, come suggerisce il Beltrami, i motivi erano più legati alla volontà di allontanarsi da una faccenda durata vent'anni sotto la dominazione austriaca e dal progetto orientato a uno stile greco-romano che ormai aveva fatto il suo tempo. Venne quindi indetto un nuovo concorso con termine il 30 settembre 1861, poi protratto al 31 dicembre e infine al febbraio 1863, al quale parteciparono ventuno progetti fra cui quello di Carlo Maciachini che, nella seduta del 10 luglio 1863 venne indicato come il migliore. Negli stessi anni in cui si dava avvio ai lavori per la galleria Vittorio Emanuele II e per la nuova piazza del Duomo, si volle esprimere la necessità di un luogo in cui il culto religioso dei defunti si potesse unire a forti valenze civili. La decisione della Commissione, anche questa volta, non fu esente da polemiche; tuttavia, già alla fine del 1863, si poterono avviare i lavori di trasformazione di un'area di circa 180 mila metri quadri. La benedizione inaugurale fu impartita da monsignor Giuseppe Calvi il 2 novembre (giorno della commemorazione dei defunti) del 1866, alla presenza del sindaco Beretta; nello stesso giorno avvenne la prima tumulazione, quella della salma, traslata dal cimitero di Porta Magenta, del compositore e collezionista di manoscritti e stampe musicali Gustavo Noseda, morto il 27 gennaio dello stesso 1866 di tisi prima del debutto di una sua opera alla Scala. Pur ancora incompleto nelle parti architettoniche, dal 2 novembre al 31 dicembre il Monumentale vide altre 16 tumulazioni, ma l'apertura propriamente detta avvenne il 1º gennaio 1867. Il recinto in muratura venne completato nel 1870, mentre l'Ossario, con allora soprastante cappella cattolica, fu terminato nel 1874. Da allora il monumentale si è andato via via estendendo per un totale di circa 250 mila mq. comprendendo gli edifici di ingresso, i riparti, le sezioni rialzate, nuove aree laterali e le due parti destinate alle sepolture acattoliche e israelitiche. Nonostante questi successivi interventi, il progetto originale del Maciachini non è mai stato stravolto e si è arricchito di un gran numero di opere d'arte funeraria di genere classico e contemporaneo, come templi greci, elaborati obelischi e altri lavori originali, tra cui la versione ridotta della Colonna Traiana. Per l'altissimo valore artistico di sculture, tombe, edicole funerarie e altre opere presenti al suo interno, il cimitero monumentale di Milano è un vero e proprio "museo a cielo aperto", tra i più artisticamente e storicamente importanti d'Italia, insieme al cimitero monumentale di Torino, al monumentale di Brescia, al Verano di Roma, al monumentale di Staglieno a Genova, al monumentale della Certosa di Bologna, al monumentale di Messina e al monumentale di Bonaria a Cagliari. Al 1970 risale un ampliamento con intervento "mimetico" in forme neogotiche. Il progetto Maciachini si caratterizza per la funzionale distribuzione delle costruzioni architettoniche: la facciata dell'ingresso si presenta come una aggregazione ordinata e simmetrica di edifici dal cui fulcro, originariamente destinato a chiesa e trasformato in Famedio nel corso dei lavori, si dipartono ali porticate (dette Gallerie) che terminano piegandosi in avanti di 90° per delimitare un piazzale. Le Gallerie sono scandite dalle cosiddette Edicole, che si trovano in testa e agli angoli di intersezione dei porticati. Anche all'interno del Monumentale prevale questa composizione modulare, con un viale centrale che lo divide in due parti simmetriche e che si incrocia a metà percorso con un asse trasversale, determinando le coordinate di una griglia entro la quale sono compresi i vari Riparti. La rigorosità dell'insieme è tuttavia movimentata dalla varietà di architetture, ispirate a scelte stilistiche eclettiche e meno severe rispetto ad altri cimiteri neoclassici di cui si erano nel frattempo dotate altre città italiane. Importante anche l'uso dei materiali, che Maciachini aveva scelto facendo attenzione alla qualità funzionale ma anche alla resa cromatica, giocando sul contrasto fra il bianco del Botticino e il rosso scuro della pietra Simona nelle fasce orizzontali che risaltano sulla facciata. Il famedio, nome derivante dal latino famae aedes, ossia "tempio della fama", è posto all'entrata principale del cimitero, in posizione innalzata e raggiungibile tramite un grande scalone. Consiste in una voluminosa costruzione in stile neogotico di marmo e mattoni, inizialmente ideata per essere una chiesa. Dal 1869 si incominciò a pensare di far divenire questa chiesa mancata, appunto, un famedio, un luogo di tumulazione dei milanesi (di nascita o d'adozione) "illustri" o "benemeriti". Il lavoro iniziò qualche anno dopo, nel 1875, e fu completato nel 1887. Nel frattempo, a famedio ancora incompleto, vi erano state traslate le salme di Alessandro Manzoni e Carlo Cattaneo, già deceduti da vari anni e già presenti nel cimitero. Il letterato, imbalsamato, vi era stato posto la mattina del 22 maggio 1883, nell'ambito delle cerimonie per il decimo anniversario della sua morte (nel pomeriggio dello stesso giorno verrà inaugurato il monumento manzoniano di piazza San Fedele), alla presenza di numerose autorità e di membri della sua famiglia, mentre il patriota e politologo vi era stato posto il 23 marzo 1884; i due illustrissimi milanesi, i primi ad occupare il famedio, da allora sono tumulati in due sarcofagi marmorei identici, sormontati dallo stemma crociato della città. Nel 1895 morì Cesare Cantù, che venne tumulato nel famedio; vi rimase solo dieci anni, poiché nel 1905 avvenne la traslazione nella natia Brivio. Risale al 1958 il posizionamento al centro del famedio del sarcofago di Manzoni e il suo innalzamento sopra un basamento con bassorilievi scultorei in bronzo di Giannino Castiglioni. I milanesi tumulati direttamente nel famedio per ora sono otto: oltre ai già citati Alessandro Manzoni (tomba principale, innalzata al centro) e Carlo Cattaneo, vi sono anche Luca Beltrami (traslato dal cimitero di Cireggio, frazione di Omegna, nel 1985, riposa in un sarcofago marmoreo opera di Giannino Castiglioni), Leo Valiani, Bruno Munari, Carlo Forlanini, Salvatore Quasimodo e Carla Fracci (tumulati in colombari); nel famedio sono presenti anche diversi cenotafi. Vi è però una parte sottostante, chiamata Cripta del Famedio, comunque parte del famedio stesso, in cui le tumulazioni illustri o benemerite (tutte in colombari o ampie cellette, alcuni dei quali, sia colombari che cellette, contengono ceneri o resti esumati) sono più numerose. Nel famedio sono inoltre incisi, in lista su delle tavole di pietra murate alle pareti, i nomi di altre importanti figure legate a Milano che sono tumulate sia nello stesso cimitero monumentale che in altri luoghi, o conservate privatamente, come ad esempio Giuseppe Verdi, inizialmente tumulato al Monumentale per poi essere traslato in un tempietto-cripta nel cortile della casa di riposo per musicisti da lui fondata, o Raimondo Vianello, tumulato nella sua tomba di famiglia al cimitero del Verano, a Roma, o Sandra Mondaini, tumulata a Milano, ma in un altro cimitero, quello di Lambrate, o Krizia, le cui ceneri sono conservate in famiglia. Anche i nomi di Herbert Kilpin, principale fondatore del Milan, con i resti che riposano in una celletta della Galleria BC di Levante Inferiore dello stesso monumentale, e Giorgio Muggiani, principale fondatore dell'F.C. Internazionale Milano, tumulato nel cimitero di Lenno, a Tremezzina, sul lago di Como, vi sono stati incisi. Tradizionalmente, ogni 2 novembre avviene una cerimonia pubblica presenziata dal sindaco per l'avvenuta aggiunta di nuovi nomi. Nel 1983 gli affreschi delle volte del famedio vennero restaurate da Valeriano Dalzini. Oltre al famedio e alla sua cripta, nel cimitero monumentale vi sono altri tre luoghi specificamente dedicati alla tumulazione di persone illustri o benemerite: il Civico Mausoleo Palanti (una ex edicola privata, dedicata a "illustri cittadini", resa attiva per questo scopo dal 1974 al 1993), la più recente Nicchia D dell'Edicola F di Levante Superiore (dedicata a "cittadini noti e benemeriti", zona porticata tuttora attiva, dotata però soltanto di piccole cellette e, distaccata, dalla colonna che ospita le ceneri di Enzo Tortora) e, da ultimo, il Civico Mausoleo Garbin (altra ex edicola privata, anch'essa composta da piccole cellette, attivata, dopo un lungo restauro, soltanto nel 2014). Tutte queste tumulazioni speciali sono completamente a carico del comune di Milano. Nel 1876 venne edificato, per volontà dell'industriale tessile Alberto Keller, il primo tempio crematorio in Italia. Il primitivo apparecchio crematorio presente nel tempio, consisteva in un'ara dove l'incenerimento della salma era assicurato da una serie di fiammelle alimentate a gas illuminante su sistema Polli-Clericetti. Nel corso degli anni si succedettero numerose modifiche fino all'installazione nel 1896 dei quattro forni di tipo Gorini, originariamente alimentati a legna, tuttora visibili. Il crematorio ha cessato il suo funzionamento dopo l'introduzione dei più moderni forni del crematorio nel cimitero di Lambrate. Nel cimitero monumentale sono inoltre presenti i monumenti sepolcrali di note famiglie della grande borghesia industriale milanese, tra cui quello della famiglia Falck, quello della famiglia di Ferdinando Bocconi — fondatore dell'università dedicata al figlio primogenito disperso nel 1896 nella Battaglia di Adua, e proprietario dei grandi magazzini omonimi poi divenuti la Rinascente, fondata da Senatore Borletti, a sua volta titolare di una maestosa edicola —, quelli delle famiglie Campari, Bracco — industriali farmaceutici —, Brambilla — fondatori delle industrie chimiche e cotoniere omonime —, e quello della famiglia di Giovanni Treccani, industriale e fondatore dell'enciclopedia Treccani. Il Riparto, progettato dal Maciachini, fu aperto nel 1872 in sostituzione delle zone israelitiche dei soppressi cimiteri milanesi. Si trova ad est del famedio, separato dal resto del cimitero da un muro. L'attuale area è il risultato di un ampliamento del 1913, che aggiunse una fascia a sud e una a est. Il padiglione centrale era originariamente l'ingresso del cimitero. La numerazione delle tombe si ripete, in quanto il Riparto è suddiviso in 6 campi e un ampliamento. Vi sono inoltre tre campi comuni di cui uno per i bambini, con sepolture comprese tra il 1873 e il 1894, composto da piccole lapidi in mezzo a un prato riportanti nome, cognome e data di morte. Vi sono anche edicole familiari (di cui due progettate dallo stesso progettista di tutto il cimitero Carlo Maciachini), dei colombari e cellette sulle pareti a nord e ovest, e delle tumulazioni nel padiglione centrale. L'ossario centrale ospita sia i resti dei corpi esumati allo scadere delle concessioni, che quelli traslati dai cimiteri soppressi. In questo Riparto si trovano anche nomi e cenotafi di persone citate alla memoria in quanto uccise dai nazisti, anche in seguito a deportazione nei campi di concentramento. Numerosi sono i monumenti di valore artistico a cui hanno contribuito architetti e scultori importanti, descritti nella guida storico-artistica di Giovanna Ginex e Ornella Selvafolta. Hanno lavorato nel Riparto israeliti gli architetti Carlo Maciachini (edicole Davide Leonino e Pisa), Giovanni Battista Bossi (tomba Anselmo de Benedetti), Ercole Balossi Merlo (edicola Leon David Levi), Luigi Conconi (edicola Segre), Giovanni Ceruti (edicola Vitali), Carlo Meroni (tomba Taranto), Cesare Mazzocchi (edicola Giulio Foligno), Manfredo D'Urbino (edicola Jarach, tomba Mayer, tomba Besso, monumento ai Martiri Israeliti del Nazismo), Gigiotti Zanini (tomba Zanini), Adolfo Valabrega (edicola Moisè Foligno), Agostino Caravati (tomba Alessandro Forti), Luigi Perrone (edicola Goldfinger), e gli scultori Emilio Quadrelli (edicola Pisa), Giuseppe Daniele Benzoni (tomba Ottolenghi Finzi), Luigi Vimercati (tomba Estella Jung), Rizzardo Galli (tomba Vittorio Finzi), Enrico Cassi (tomba De Daninos), Attilio Prendoni (tombe Errera e Conforti), Eduardo Ximenes (edicola Treves), Giulio Branca (tomba Giovanni Norsa, tomba Michelangelo Carpi), fratelli Bonfanti (tombe Davide e Beniamino Foà), Enrico Astorri (tombe Carolina Padova e Fanny Levi Cammeo), Egidio Boninsegna (tomba Giuseppe Levi), Dario Viterbo (colombaro Levi Minzi), Giannino Castiglioni (tombe Ettore Levis e Goldfinger), Adolfo Wildt (tomba Cesare Sarfatti), Eugenio Pellini (tomba Bettino Levi), Arrigo Minerbi (tomba Renato del Mar), Roberto Terracini (tomba Nino Colombo). Il padiglione centrale è stato arricchito nel maggio 2015 con vetrate artistiche rappresentanti le Dodici tribù di Israele, opere dell'artista Diego Pennacchio Ardemagni. La sepoltura al Monumentale divenne nel corso degli anni una forma importante di rappresentanza sociale, soprattutto dopo l'istituzione (1895) delle sepolture perpetue che, garantendo una permanenza nel tempo dell'edificazione di una tomba di famiglia, diede slancio all'attività di grandi architetti, scultori e artisti che nel tempo hanno reso il cimitero un campionario significativo degli stili e delle testimonianze artistiche che si sono avvicendate dall'Ottocento in avanti. Le opere più numerose risalgono ai primi anni del Novecento, quando gli spazi non si erano ancora saturati, ma non mancano esempi di stili successivi, tanto da rendere possibile l'intreccio di diverse letture: non solo il passaggio di diverse stagioni artistiche, ma anche la storia civile e l'immagine stessa della città. All'elevatissimo numero di edicole, monumenti funebri, statue, gruppi scultorei hanno lavorato nel corso della storia del cimitero diversi artisti, tra cui: L. Beltrami, Il Cimitero Monumentale di Milano, in L'Edilizia Moderna, Anno III, fasc. IX-X, Milano, Gennaio 1894 Settembre-Ottobre, pp. 57-58. De Bernardi, Carla e Fumagalli, Lalla, Un Museo a cielo aperto. Il Cimitero Monumentale di Milano, Youcanprint, 2014. Paniccia, Valeria, Passeggiate nei prati dell'eternità, Mursia Editore, 2013. Ginex, Giovanna e Selvafolta, Ornella, Il Cimitero Monumentale di Milano, Guida storico-artistica, Silvana Editoriale, 1999. Michele Pietrantoni (a cura di), Il monumentale di Milano. Il primo Cimitero della Libertà 1866-1992, Milano, Electa, 1992. Ambrogio Annoni, Il cimitero monumentale di Milano, Milano, Bonomi, 1913. Cimiteri di Milano Milano Edicole funerarie del Cimitero Monumentale di Milano Sepolture illustri del Cimitero Monumentale di Milano Civico Mausoleo Palanti Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sul cimitero monumentale di Milano Sito ufficiale, su monumentale.comune.milano.it. Cimitero monumentale di Milano, su LombardiaBeniCulturali, Regione Lombardia. Cimitero monumentale di Milano, su comune.milano.it. Persone sepolte, tumulate e ricordate nel Famedio di Milano, su monumentale.comune.milano.it.