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Monumentale (metropolitana di Milano)

Linea M5 (metropolitana di Milano)Pagine con mappeStazioni della metropolitana di MilanoStazioni ferroviarie attivate nel 2015
Station Monumentale Métro Milan Ligne 5 Milan (IT25) 2022 09 04 3
Station Monumentale Métro Milan Ligne 5 Milan (IT25) 2022 09 04 3

Monumentale è una stazione della linea M5 della metropolitana di Milano. I lavori per la costruzione della stazione iniziarono nel 2010. Questa è stata inoltre una delle due stazioni della seconda tratta da cui sono state calate le tunnel boring machine per la costruzione dei tunnel. La stazione è stata inaugurata l'11 ottobre 2015. Monumentale, come tutte le altre stazioni della linea, è dotata di porte di banchina. Possiede uscite in piazzale Cimitero Monumentale e in via Carlo Farini. In origine, la stazione avrebbe dovuto avere una banchina mediana, visibile dalle banchine laterali che sono state poi costruite in seguito e che vengono attualmente utilizzate. La stazione è, come tutte le altre della linea, accessibile ai portatori di handicap grazie alla presenza di vari ascensori, sia a livello stradale sia all'interno della stazione stessa. Sono inoltre presenti indicatori per i tempi d'attesa nelle banchine e l'intera stazione è sotto video sorveglianza. La stazione dispone di: Accessibilità per portatori di handicap Ascensori Scale mobili Emettitrice automatica biglietti Servizi igienici Stazione video sorvegliata La stazione è servita da diverse linee tranviarie urbane gestite da ATM. Fermata tram (Monumentale M5, linea 10) Fermata tram (Via Farini Via Ferrari, linee 2, 4, 10 e 33) Fermata tram linee 12 e 14 Cimitero Monumentale di Milano Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Monumentale (EN) Monumentale, su Structurae.

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Monumentale (metropolitana di Milano)
Piazzale del Cimitero Monumentale, Milano Porta Volta

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Cimitero Monumentale (Monumentale)

Piazzale del Cimitero Monumentale
20154 Milano, Porta Volta
Lombardia, Italia
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Luoghi vicini

Cimitero monumentale di Milano
Cimitero monumentale di Milano

Il cimitero monumentale di Milano è il grande cimitero cittadino che si estende nei pressi del centro del capoluogo lombardo. Il monumentale ebbe una gestazione lunga e travagliata cominciata nel 1837 su sollecitazione dell'amministrazione austriaca del Regno Lombardo-Veneto in sostituzione dei sei preesistenti cimiteri milanesi avviati alla chiusura e alla dismissione. Vincitore del concorso finale indetto dal comune di Milano fu il progetto dell'architetto Carlo Maciachini (1818-1899), realizzato a partire dal 1864 in stile eclettico con richiami bizantini, gotici e romanici. La prima deliberazione relativa all'erezione del nuovo cimitero fu quella presa nel 1837 dalla Congregazione Municipale (l'attuale giunta municipale delle città italiane) presieduta dal podestà conte Gabrio Casati nel suo primo anno di mandato: in quella deliberazione la giunta bandiva un concorso per un nuovo cimitero che fosse «degno del lustro di Milano, onde riunirvi lapidi e monumenti per distinti cittadini e sepolcri di famiglia, e vasto a raccogliere tutte le spoglie dei trapassati». Dal 1837, data della prima delibera, al 1863, data dell'approvazione del progetto definitivo del Maciachini, trascorse un quarto di secolo segnato da difficoltà, contrasti e litigi. L'iniziale delibera del 1837 aveva previsto che il cimitero sorgesse su un'area fuori città di 55 200 mq alle Cascine Abbadesse (oggi nei pressi via Melchiorre Gioia): nel giugno 1839, allo scadere del concorso, vennero presentati venticinque progetti fra i quali ebbero grande appoggio quelli degli architetti Alessandro Sidoli e Giulio Aluisetti; i progetti vennero sottoposti per un parere all'Accademia delle Belle Arti di Brera, che preferì il progetto del Sidoli. Nonostante questo parere autorevole, il 12 agosto 1843 il consiglio incaricò l'Aluisetti di redigere un secondo disegno che venne quindi approvato il 4 settembre 1846. Il nuovo progetto, tuttavia, si arenò per una serie di eccezioni e obiezioni sollevate sull'area prescelta e sulle caratteristiche del terreno che lasciavano temere un inquinamento delle acque potabili che lo attraversavano. Superata ogni obiezione grazie al rapporto del celebre chimico Antonio Kramer, il progetto venne inviato per approvarne la spesa al governo che il 10 marzo 1847, contro ogni previsione, negò l'autorizzazione chiedendo un nuovo progetto che prevedesse il cimitero in un'area diversa dalle Cascine Abbadesse, il cui terreno era già stato acquistato dal comune. I fatti politici del 1848 portarono a un ulteriore stallo della questione ma non della lotta fra il progetto del Sidoli e quello dell'Aluisetti: nel 1855, infatti, con Milano nuovamente sotto l'amministrazione asburgica, la congregazione risollevò il tema del monumentale e il periodico Giornale dell'ingegnere-architetto ripresentò, caldeggiandolo, il disegno del Sidoli, ma la morte di quest'ultimo venne a bloccare ogni decisione. Venne quindi nominata una nuova commissione che selezionasse una nuova area sul quale erigere il nuovo cimitero secondo il progetto dell'Aluisetti, ma anche quest'ultimo morì da lì a poco. La nuova area era compresa fra Porta Tenaglia e Porta Comasina ed era stata appositamente acquistata dal comune che, dopo la morte dell'Aluisetti, incaricò l'ing. Pestagalli di adattarne il progetto alla nuova area acquisita, che è quella su cui sorge il cimitero odierno. Cominciarono dunque i lavori di spianamento del terreno e costruzione del muro di cinta. La sopraggiunta liberazione dall'Austria tuttavia determinò che il nuovo comune di Milano nella seduta del 20 maggio 1860 (sotto il sindaco Antonio Beretta) sospendesse ogni lavoro portando come giustificazione l'insufficiente spazio racchiuso nel muro di cinta. Probabilmente, come suggerisce il Beltrami, i motivi erano più legati alla volontà di allontanarsi da una faccenda durata vent'anni sotto la dominazione austriaca e dal progetto orientato a uno stile greco-romano che ormai aveva fatto il suo tempo. Venne quindi indetto un nuovo concorso con termine il 30 settembre 1861, poi protratto al 31 dicembre e infine al febbraio 1863, al quale parteciparono ventuno progetti fra cui quello di Carlo Maciachini che, nella seduta del 10 luglio 1863 venne indicato come il migliore. Negli stessi anni in cui si dava avvio ai lavori per la galleria Vittorio Emanuele II e per la nuova piazza del Duomo, si volle esprimere la necessità di un luogo in cui il culto religioso dei defunti si potesse unire a forti valenze civili. La decisione della Commissione, anche questa volta, non fu esente da polemiche; tuttavia, già alla fine del 1863, si poterono avviare i lavori di trasformazione di un'area di circa 180 mila metri quadri. La benedizione inaugurale fu impartita da monsignor Giuseppe Calvi il 2 novembre (giorno della commemorazione dei defunti) del 1866, alla presenza del sindaco Beretta; nello stesso giorno avvenne la prima tumulazione, quella della salma, traslata dal cimitero di Porta Magenta, del compositore e collezionista di manoscritti e stampe musicali Gustavo Noseda, morto il 27 gennaio dello stesso 1866 di tisi prima del debutto di una sua opera alla Scala. Pur ancora incompleto nelle parti architettoniche, dal 2 novembre al 31 dicembre il Monumentale vide altre 16 tumulazioni, ma l'apertura propriamente detta avvenne il 1º gennaio 1867. Il recinto in muratura venne completato nel 1870, mentre l'Ossario, con allora soprastante cappella cattolica, fu terminato nel 1874. Da allora il monumentale si è andato via via estendendo per un totale di circa 250 mila mq. comprendendo gli edifici di ingresso, i riparti, le sezioni rialzate, nuove aree laterali e le due parti destinate alle sepolture acattoliche e israelitiche. Nonostante questi successivi interventi, il progetto originale del Maciachini non è mai stato stravolto e si è arricchito di un gran numero di opere d'arte funeraria di genere classico e contemporaneo, come templi greci, elaborati obelischi e altri lavori originali, tra cui la versione ridotta della Colonna Traiana. Per l'altissimo valore artistico di sculture, tombe, edicole funerarie e altre opere presenti al suo interno, il cimitero monumentale di Milano è un vero e proprio "museo a cielo aperto", tra i più artisticamente e storicamente importanti d'Italia, insieme al cimitero monumentale di Torino, al monumentale di Brescia, al Verano di Roma, al monumentale di Staglieno a Genova, al monumentale della Certosa di Bologna, al monumentale di Messina e al monumentale di Bonaria a Cagliari. Al 1970 risale un ampliamento con intervento "mimetico" in forme neogotiche. Il progetto Maciachini si caratterizza per la funzionale distribuzione delle costruzioni architettoniche: la facciata dell'ingresso si presenta come una aggregazione ordinata e simmetrica di edifici dal cui fulcro, originariamente destinato a chiesa e trasformato in Famedio nel corso dei lavori, si dipartono ali porticate (dette Gallerie) che terminano piegandosi in avanti di 90° per delimitare un piazzale. Le Gallerie sono scandite dalle cosiddette Edicole, che si trovano in testa e agli angoli di intersezione dei porticati. Anche all'interno del Monumentale prevale questa composizione modulare, con un viale centrale che lo divide in due parti simmetriche e che si incrocia a metà percorso con un asse trasversale, determinando le coordinate di una griglia entro la quale sono compresi i vari Riparti. La rigorosità dell'insieme è tuttavia movimentata dalla varietà di architetture, ispirate a scelte stilistiche eclettiche e meno severe rispetto ad altri cimiteri neoclassici di cui si erano nel frattempo dotate altre città italiane. Importante anche l'uso dei materiali, che Maciachini aveva scelto facendo attenzione alla qualità funzionale ma anche alla resa cromatica, giocando sul contrasto fra il bianco del Botticino e il rosso scuro della pietra Simona nelle fasce orizzontali che risaltano sulla facciata. Il famedio, nome derivante dal latino famae aedes, ossia "tempio della fama", è posto all'entrata principale del cimitero, in posizione innalzata e raggiungibile tramite un grande scalone. Consiste in una voluminosa costruzione in stile neogotico di marmo e mattoni, inizialmente ideata per essere una chiesa. Dal 1869 si incominciò a pensare di far divenire questa chiesa mancata, appunto, un famedio, un luogo di tumulazione dei milanesi (di nascita o d'adozione) "illustri" o "benemeriti". Il lavoro iniziò qualche anno dopo, nel 1875, e fu completato nel 1887. Nel frattempo, a famedio ancora incompleto, vi erano state traslate le salme di Alessandro Manzoni e Carlo Cattaneo, già deceduti da vari anni e già presenti nel cimitero. Il letterato, imbalsamato, vi era stato posto la mattina del 22 maggio 1883, nell'ambito delle cerimonie per il decimo anniversario della sua morte (nel pomeriggio dello stesso giorno verrà inaugurato il monumento manzoniano di piazza San Fedele), alla presenza di numerose autorità e di membri della sua famiglia, mentre il patriota e politologo vi era stato posto il 23 marzo 1884; i due illustrissimi milanesi, i primi ad occupare il famedio, da allora sono tumulati in due sarcofagi marmorei identici, sormontati dallo stemma crociato della città. Nel 1895 morì Cesare Cantù, che venne tumulato nel famedio; vi rimase solo dieci anni, poiché nel 1905 avvenne la traslazione nella natia Brivio. Risale al 1958 il posizionamento al centro del famedio del sarcofago di Manzoni e il suo innalzamento sopra un basamento con bassorilievi scultorei in bronzo di Giannino Castiglioni. I milanesi tumulati direttamente nel famedio per ora sono otto: oltre ai già citati Alessandro Manzoni (tomba principale, innalzata al centro) e Carlo Cattaneo, vi sono anche Luca Beltrami (traslato dal cimitero di Cireggio, frazione di Omegna, nel 1985, riposa in un sarcofago marmoreo opera di Giannino Castiglioni), Leo Valiani, Bruno Munari, Carlo Forlanini, Salvatore Quasimodo e Carla Fracci (tumulati in colombari); nel famedio sono presenti anche diversi cenotafi. Vi è però una parte sottostante, chiamata Cripta del Famedio, comunque parte del famedio stesso, in cui le tumulazioni illustri o benemerite (tutte in colombari o ampie cellette, alcuni dei quali, sia colombari che cellette, contengono ceneri o resti esumati) sono più numerose. Nel famedio sono inoltre incisi, in lista su delle tavole di pietra murate alle pareti, i nomi di altre importanti figure legate a Milano che sono tumulate sia nello stesso cimitero monumentale che in altri luoghi, o conservate privatamente, come ad esempio Giuseppe Verdi, inizialmente tumulato al Monumentale per poi essere traslato in un tempietto-cripta nel cortile della casa di riposo per musicisti da lui fondata, o Raimondo Vianello, tumulato nella sua tomba di famiglia al cimitero del Verano, a Roma, o Sandra Mondaini, tumulata a Milano, ma in un altro cimitero, quello di Lambrate, o Krizia, le cui ceneri sono conservate in famiglia. Anche i nomi di Herbert Kilpin, principale fondatore del Milan, con i resti che riposano in una celletta della Galleria BC di Levante Inferiore dello stesso monumentale, e Giorgio Muggiani, principale fondatore dell'F.C. Internazionale Milano, tumulato nel cimitero di Lenno, a Tremezzina, sul lago di Como, vi sono stati incisi. Tradizionalmente, ogni 2 novembre avviene una cerimonia pubblica presenziata dal sindaco per l'avvenuta aggiunta di nuovi nomi. Nel 1983 gli affreschi delle volte del famedio vennero restaurate da Valeriano Dalzini. Oltre al famedio e alla sua cripta, nel cimitero monumentale vi sono altri tre luoghi specificamente dedicati alla tumulazione di persone illustri o benemerite: il Civico Mausoleo Palanti (una ex edicola privata, dedicata a "illustri cittadini", resa attiva per questo scopo dal 1974 al 1993), la più recente Nicchia D dell'Edicola F di Levante Superiore (dedicata a "cittadini noti e benemeriti", zona porticata tuttora attiva, dotata però soltanto di piccole cellette e, distaccata, dalla colonna che ospita le ceneri di Enzo Tortora) e, da ultimo, il Civico Mausoleo Garbin (altra ex edicola privata, anch'essa composta da piccole cellette, attivata, dopo un lungo restauro, soltanto nel 2014). Tutte queste tumulazioni speciali sono completamente a carico del comune di Milano. Nel 1876 venne edificato, per volontà dell'industriale tessile Alberto Keller, il primo tempio crematorio in Italia. Il primitivo apparecchio crematorio presente nel tempio, consisteva in un'ara dove l'incenerimento della salma era assicurato da una serie di fiammelle alimentate a gas illuminante su sistema Polli-Clericetti. Nel corso degli anni si succedettero numerose modifiche fino all'installazione nel 1896 dei quattro forni di tipo Gorini, originariamente alimentati a legna, tuttora visibili. Il crematorio ha cessato il suo funzionamento dopo l'introduzione dei più moderni forni del crematorio nel cimitero di Lambrate. Nel cimitero monumentale sono inoltre presenti i monumenti sepolcrali di note famiglie della grande borghesia industriale milanese, tra cui quello della famiglia Falck, quello della famiglia di Ferdinando Bocconi — fondatore dell'università dedicata al figlio primogenito disperso nel 1896 nella Battaglia di Adua, e proprietario dei grandi magazzini omonimi poi divenuti la Rinascente, fondata da Senatore Borletti, a sua volta titolare di una maestosa edicola —, quelli delle famiglie Campari, Bracco — industriali farmaceutici —, Brambilla — fondatori delle industrie chimiche e cotoniere omonime —, e quello della famiglia di Giovanni Treccani, industriale e fondatore dell'enciclopedia Treccani. Il Riparto, progettato dal Maciachini, fu aperto nel 1872 in sostituzione delle zone israelitiche dei soppressi cimiteri milanesi. Si trova ad est del famedio, separato dal resto del cimitero da un muro. L'attuale area è il risultato di un ampliamento del 1913, che aggiunse una fascia a sud e una a est. Il padiglione centrale era originariamente l'ingresso del cimitero. La numerazione delle tombe si ripete, in quanto il Riparto è suddiviso in 6 campi e un ampliamento. Vi sono inoltre tre campi comuni di cui uno per i bambini, con sepolture comprese tra il 1873 e il 1894, composto da piccole lapidi in mezzo a un prato riportanti nome, cognome e data di morte. Vi sono anche edicole familiari (di cui due progettate dallo stesso progettista di tutto il cimitero Carlo Maciachini), dei colombari e cellette sulle pareti a nord e ovest, e delle tumulazioni nel padiglione centrale. L'ossario centrale ospita sia i resti dei corpi esumati allo scadere delle concessioni, che quelli traslati dai cimiteri soppressi. In questo Riparto si trovano anche nomi e cenotafi di persone citate alla memoria in quanto uccise dai nazisti, anche in seguito a deportazione nei campi di concentramento. Numerosi sono i monumenti di valore artistico a cui hanno contribuito architetti e scultori importanti, descritti nella guida storico-artistica di Giovanna Ginex e Ornella Selvafolta. Hanno lavorato nel Riparto israeliti gli architetti Carlo Maciachini (edicole Davide Leonino e Pisa), Giovanni Battista Bossi (tomba Anselmo de Benedetti), Ercole Balossi Merlo (edicola Leon David Levi), Luigi Conconi (edicola Segre), Giovanni Ceruti (edicola Vitali), Carlo Meroni (tomba Taranto), Cesare Mazzocchi (edicola Giulio Foligno), Manfredo D'Urbino (edicola Jarach, tomba Mayer, tomba Besso, monumento ai Martiri Israeliti del Nazismo), Gigiotti Zanini (tomba Zanini), Adolfo Valabrega (edicola Moisè Foligno), Agostino Caravati (tomba Alessandro Forti), Luigi Perrone (edicola Goldfinger), e gli scultori Emilio Quadrelli (edicola Pisa), Giuseppe Daniele Benzoni (tomba Ottolenghi Finzi), Luigi Vimercati (tomba Estella Jung), Rizzardo Galli (tomba Vittorio Finzi), Enrico Cassi (tomba De Daninos), Attilio Prendoni (tombe Errera e Conforti), Eduardo Ximenes (edicola Treves), Giulio Branca (tomba Giovanni Norsa, tomba Michelangelo Carpi), fratelli Bonfanti (tombe Davide e Beniamino Foà), Enrico Astorri (tombe Carolina Padova e Fanny Levi Cammeo), Egidio Boninsegna (tomba Giuseppe Levi), Dario Viterbo (colombaro Levi Minzi), Giannino Castiglioni (tombe Ettore Levis e Goldfinger), Adolfo Wildt (tomba Cesare Sarfatti), Eugenio Pellini (tomba Bettino Levi), Arrigo Minerbi (tomba Renato del Mar), Roberto Terracini (tomba Nino Colombo). Il padiglione centrale è stato arricchito nel maggio 2015 con vetrate artistiche rappresentanti le Dodici tribù di Israele, opere dell'artista Diego Pennacchio Ardemagni. La sepoltura al Monumentale divenne nel corso degli anni una forma importante di rappresentanza sociale, soprattutto dopo l'istituzione (1895) delle sepolture perpetue che, garantendo una permanenza nel tempo dell'edificazione di una tomba di famiglia, diede slancio all'attività di grandi architetti, scultori e artisti che nel tempo hanno reso il cimitero un campionario significativo degli stili e delle testimonianze artistiche che si sono avvicendate dall'Ottocento in avanti. Le opere più numerose risalgono ai primi anni del Novecento, quando gli spazi non si erano ancora saturati, ma non mancano esempi di stili successivi, tanto da rendere possibile l'intreccio di diverse letture: non solo il passaggio di diverse stagioni artistiche, ma anche la storia civile e l'immagine stessa della città. All'elevatissimo numero di edicole, monumenti funebri, statue, gruppi scultorei hanno lavorato nel corso della storia del cimitero diversi artisti, tra cui: L. Beltrami, Il Cimitero Monumentale di Milano, in L'Edilizia Moderna, Anno III, fasc. IX-X, Milano, Gennaio 1894 Settembre-Ottobre, pp. 57-58. De Bernardi, Carla e Fumagalli, Lalla, Un Museo a cielo aperto. Il Cimitero Monumentale di Milano, Youcanprint, 2014. Paniccia, Valeria, Passeggiate nei prati dell'eternità, Mursia Editore, 2013. Ginex, Giovanna e Selvafolta, Ornella, Il Cimitero Monumentale di Milano, Guida storico-artistica, Silvana Editoriale, 1999. Michele Pietrantoni (a cura di), Il monumentale di Milano. Il primo Cimitero della Libertà 1866-1992, Milano, Electa, 1992. Ambrogio Annoni, Il cimitero monumentale di Milano, Milano, Bonomi, 1913. Cimiteri di Milano Milano Edicole funerarie del Cimitero Monumentale di Milano Sepolture illustri del Cimitero Monumentale di Milano Civico Mausoleo Palanti Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sul cimitero monumentale di Milano Sito ufficiale, su monumentale.comune.milano.it. Cimitero monumentale di Milano, su LombardiaBeniCulturali, Regione Lombardia. Cimitero monumentale di Milano, su comune.milano.it. Persone sepolte, tumulate e ricordate nel Famedio di Milano, su monumentale.comune.milano.it.

Civico Mausoleo Palanti
Civico Mausoleo Palanti

L'Edicola Palanti è un'opera architettonica funeraria che si trova all'interno del cimitero monumentale di Milano, al Riparto V, del quale è l'Edicola 83. Venne progettata inizialmente come tomba per i genitori dall'architetto Mario Palanti ed edificata fra il 1924 e il 1928; come scolpito in rilievo sul lato posteriore, fu inaugurata nel MCMXXIX (1929), anno VII (dell'era fascista). Dotata di una profonda cripta, venne usata come rifugio antiaereo durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale. Dati gli onerosi costi di manutenzione e restauro, venne donata per volontà dello stesso Palanti al comune di Milano nel 1974, che da subito la utilizzò per tumularvi, usandola come un secondo famedio, salme di "illustri cittadini", alcuni di essi (così come lo erano gli stessi genitori del Palanti quando vi vennero tumulati) anche morti da vari anni e di conseguenza già tumulati in altre zone del cimitero. Il 4 febbraio 1981 l'Edicola venne ufficialmente denominata "Civico Mausoleo Palanti". Vi sono tumulati, oltre allo stesso Mario Palanti e ai genitori Giovanni Palanti e Virginia De Gaspari: Giovanni D'Anzi, Emilio Guicciardi, Virgilio Ferrari, Franco Russoli, Alfredo Bracchi, Maria Bonizzi, Ermanno (Hermann) Einstein, Girolamo Palazzina, Innocenzo Gasparini, Ciro Fontana, Fernanda Wittgens, Angelo Cucchi, Walter Chiari, Carlo Mariano Colombo, Luisa Tetrazzini. I loro nomi sono incisi ciascuno su una delle varie piccole placche metalliche che, fissate su una lastra anch'essa metallica al di fuori del Mausoleo, indicano i nomi dei defunti presenti. Luigi Berlusconi è stato per un periodo nel Civico Palanti. Il Civico Mausoleo Palanti ha ospitato anche Paolo Grassi, successivamente traslato nella cripta del famedio, e fino a ottobre 2013 ha ospitato Franco Parenti, anch'egli traslato nella cripta del famedio. Mausoleo Palanti (Cimitero Monumentale di Milano) Archiviato il 24 giugno 2016 in Internet Archive., in "Rassegna di Architettura", n. 11, 15 novembre 1930, pp. 422–424 Edicole funerarie del Cimitero Monumentale di Milano Mario Palanti Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sul Civico Mausoleo Palanti Edicola Famiglia Palanti - Arch. Mario Palanti, su comune.milano.it. Piantina: pos.35, su comune.milano.it. URL consultato il 25 maggio 2019 (archiviato dall'url originale il 20 marzo 2012). Edicola (JPG), su image2.findagrave.com. URL consultato il 12 giugno 2013 (archiviato dall'url originale l'11 novembre 2012). Accesso - Sei Odiato Perché Temuto Ritemprati (JPG), su image2.findagrave.com. URL consultato il 12 giugno 2013 (archiviato dall'url originale l'11 novembre 2012).

Monumento funebre a Isabella Airoldi Casati
Monumento funebre a Isabella Airoldi Casati

Il monumento funebre a Isabella Airoldi Casati, anche noto come La morente, è un'edicola funeraria situata presso il Cimitero Monumentale di Milano. È composta di una scultura a dimensioni reali in bronzo realizzata nel 1890-1891 dallo scultore Enrico Butti (1847-1932). Il monumento fu posto a corredo dell'edicola Casati, sepoltura della nobile milanese Isabella Airoldi in Casati (1865-1889). L'opera in bronzo fu commissionata dalla famiglia della giovane Isabella Airoldi, moglie del conte Gian Luigi Casati, morta di parto all'età di 24 anni e sepolta al Cimitero Monumentale, il quale fin dalla sua apertura nel 1866 era divenuto celebre per le opere d'arte funeraria che adornavano le sepolture della borghesia milanese. La giovane Isabella viene ritratta abbandonata sul letto di morte nell'attimo del trapasso, con il ventre ricoperto da un drappo e su cui è appoggiato un grande crocifisso, i seni nudi e le chiome sparse sul cuscino. Dietro al capo della giovane un grande disco con una schiera di angeli che scendono dall'alto per accompagnare la morta nell'Aldilà. Modella per la scultura del Butti fu Virginia Sevesi, modella prediletta e poi compagna dello scultore. L'opera fu presentata dal Butti alla Prima Esposizione Triennale del 1891 della Regia Accademia di Belle Arti di Brera e catalogata come Monumento funerario in bronzo; pronosticata vincente dalla critica per l'assegnazione del premio Principe Umberto tuttavia non entrò nella rosa dei premiati, venendo preferite tre opere pittoriche di Pietro Fragiacomo (Pace), Adolfo Feragutti (Ritratto di Signora) e di Cesare Laurenti (Le Parche). All'epoca della presentazione dell'opera vi fu un reale turbamento della giuria e del pubblico che, colpiti dalla nudità della giovane giacente, la ritennero poco decorosa per una scultura tombale. Ne seguì una vera e propria polemica che vide schierarsi a favore o contro il Butti sia critici che osservatori. Ancora oggi, grazie anche alla sua posizione particolarmente visibile all'interno del Monumentale, l'edicola Casati è fra i monumenti più ammirati del cimitero milanese e meta di turisti e visitatori. Il gesso preparatorio del monumento è conservato e visibile presso il Museo Enrico Butti di Viggiù (VA), gipsoteca che raccoglie una vasta collezione di opere dello scultore. Arturo Demarchi, Prima esposizione triennale 1891 - Catalogo ufficiale illustrato, Milano, 1891, p. 7, ISBN non esistente. Ospitato su archive.org. Atti dell'imp. regia Accademia di belle arti in Milano per la distribuzione de' premi, Anni 1890 e 1891, Milano, F. Manini - Wiget, 1893, p. 207, ISBN non esistente. Ospitato su archive.org. La morente, su Musei Civici Viggiutesi, http://www.museiciviciviggiutesi.com (archiviato dall'url originale il 20 novembre 2018). Prima Esposizione Triennale di Belle Arti Accademia di belle arti di Brera Cimitero Monumentale di Milano Edicole funerarie del Cimitero Monumentale di Milano Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Monumento funebre a Isabella Airoldi Casati

Santuario di Sant'Antonio di Padova (Milano)
Santuario di Sant'Antonio di Padova (Milano)

Il santuario di Sant'Antonio di Padova è una chiesa di Milano, affidata all'Ordine dei Frati Minori. È situato in via Carlo Farini, non lontano dal Cimitero Monumentale e dalla Stazione di Milano Porta Garibaldi. Nel 1872 venne costruito poco fuori Porta Tenaglia l'Ospizio di Terra Santa retto dai Frati Minori, con annessi convento e cappella dedicata all'Immacolata Concezione, costruita tra il 1875 e il 1876. Nel 1898, il convento, nel frattempo era stato ampliato ed era diventato sede della curia della neonata provincia dei Frati Minori (ruolo che mantenne fino al 1954), si decise di costruire una nuova e più grande chiesa. Il progetto dell'edificio sacro, che sarebbe stato dedicato a Sant'Antonio di Padova, fu affidato all'architetto milanese Paolo Cesa Bianchi, e la sua costruzione si protrasse per quattro anni, fino al 1902. Il 12 giugno 1902, vigilia della festa di Sant'Antonio di Padova, il cardinale Andrea Ferrari, arcivescovo di Milano, ne compiva la solenne consacrazione . Tra il 1932 e il 1927 la chiesa venne ampliata con la costruzione delle navate e delle cappelle laterali e del campanile su progetto di Ugo Zanchetta. Il santuario fu elevato alla dignità di basilica minore il 18 luglio 1937 da papa Pio XI e divenne sede parrocchiale il 5 febbraio 1957 per volere dell'arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini. Nel 1971 l'area presbiterale è stata pesantemente modificata con l'installazione dei nuovi altare maggiore e ambone su progetto di Giovanni Muzio. Lo stesso architetto, nel 1965, aveva progettato il nuovo oratorio, annesso al convento. La chiesa è stata interessata da una serie di restauri conservativi sia all'interno che all'esterno tra il 1995 e il 2001. La chiesa di Sant'Antonio di Padova sorge alla confluenza di Via Pietro Maroncelli in Via Carlo Farini. Essa è preceduta da un piccolo slargo triangolare con un'aiuola alberata al centro della quale si trova una fontana decorata da una statua in bronzo raffigurante Sant'Antonio di Padova che predica ai pesci, opera dello scultore Giuseppe Maretto. La statua fu collocata nel 1932 in occasione del VII centenario antoniano su iniziativa del Circolo di coltura francescana e reca sul piedistallo la firma dello scultore: "Giuseppe Maretto 1932 X" La facciata della chiesa è in stile neobarocco, ispirata a quelle sette-ottocentesche milanesi. Il prospetto è diviso in due fasce sovrapposte da un alto cornicione decorato con metope e triglifi. Nell'ordine inferiore si aprono i tre portali, chiusi da battenti lignei; mentre i due laterali sono sormontati da un timpano semicircolare, quello centrale, invece, è sovrastato da una lunetta con una decorazione a bassorilievo raffigurante Tiara e chiavi e recante la dicitura Basilica Minore Romana. Il portale è preceduto da un protiro poco sporgente, sostenuto da due colonne tuscaniche in marmo rosso e coronato da una balaustra. L'ordine superiore presenta tre monofore con arco a tutto sesto, con quella centrale inserita all'interno di una serliana ionica. La facciata termina con un frontone scolpito a bassorilievo raffigurante, al centro, Sant'Antonio di Padova col Bambino. Lungo il fianco sinistro della chiesa si eleva la torre campanaria, alta 55 metri e sormontata da una statua di Sant'Antonio con in braccio Gesù Bambino, alta 5 m. Essa è in stile liberty, con paramento murario in mattoncini rossi alternati ad intonaco chiaro ed è decorato con lo stemma dell'ordine dei Frati Minori. La cella campanaria è a pianta circolare, a differenza della base della torre che invece è a pianta quadrata, ed ospita cinque campane in Do3 maggiore calante. Sulla sommità si trova una statua in ghisa raffigurante Sant'Antonio di Padova col Bambino. L'interno della chiesa è in un particolare stile eclettico, ispirata al neoclassico con elementi neorinascimentali e neobarocchi. La struttura è a tre navate con un'unica profonda abside semicircolare e senza transetto. La navata centrale è coperta con soffitto piano dipinto con Scene della vita di Sant'Antonio di Attilio Andreoli, è divisa in otto campate da travi sorrette da semicolonne, ed è separata dalle navate laterali tramite archi a tutto sesto poggianti su pilastri. Al di sopra delle navatelle, si trova un matroneo che dà sulla navata mediana con delle bifore con colonne composite. Tra la quinta e la sesta campata della navata centrale, sulla sinistra, si trova il pulpito ligneo scolpito. Lungo ciascuna delle due navate laterali, si aprono tre cappelle in corrispondenza delle campate quinta, sesta e settima. Le cappelle di destra, dall'ingresso, sono dedicate a San Giuseppe, a San Francesco d'Assisi e al Sacro Cuore di Gesù; quelle di sinistra, invece, a Gesù Crocifisso, a Santa Chiara d'Assisi e alla Madonna. Ai piedi dell'altare della cappella dedicata a Sant'Antonio giacciono i resti venerati dei vescovi di Mogadiscio Bernardino Bigi, Fulgenzio Lazzati e Salvatore Colombo, martire della carità ucciso in Somalia il 9 luglio 1989. La navata centrale termina con l'abside, preceduta da un sottarco con volta sostenuta da due loggette con archi a tutto sesto decorate con statue di otto santi francescani e sostenute da colonne tuscaniche. Al di sotto di esso si trova il presbiterio, rialzato di alcuni gradini, con al centro, alle spalle del moderno altare maggiore (realizzato nel 1971 su disegno di Giovanni Muzio), entro un'edicola marmorea neoclassica, una statua policroma raffigurante Sant'Antonio di Padova con Gesù Bambino. L'abside semicircolare ospita gli stalli lignei del coro dei frati al di sopra del quale si trova l'organo a canne; il catino è affrescato con la Gloria di Sant'Antonio. Alle spalle dell'altare maggiore, entro una nicchia all'interno della parete fondale dell'abside, si trova l'organo a canne Mascioni opus 718, costruito nel 1955. Lo strumento è a trasmissione elettrica e conta un totale di 36 registri. L'ambiente all'interno del quale è alloggiato il materiale fonico dà sull'abside con quattro nicchie quadrangolari: le tre di sinistra hanno mostra composta da canne di principale disposte a cuspide unica con ali laterali; quella di destra è priva di mostra ed è chiusa da una vetrata policroma. La consolle, indipendente, è collocata anch'essa nell'abside, al centro del coro dei frati. Essa è priva di decorazioni e dispone di tre tastiere di 61 note ciascuna e pedaliera concavo-radiale di 32 note. Anacleto Mosconi e Gabriele della Patrona, Santuario di S. Antonio di Padova: Milano, Milano, Edizioni del Santuario parrocchia S. Antonio di Padova, [dopo il 1967]. Gianni Mezzanotte, Giovanni Muzio. Architetture francescane, Milano, ERIS, 1974, BNI 753312. Filiberto Sabbadin OFM, Il Santuario di S. Antonio di Padova - Milano, Porta Volta - nel centenario della fondazione 1902-2002, Milano, Edizioni del Santuario parrocchia S. Antonio di Padova, maggio 2002. Chiese di Milano Antonio di Padova Ordine dei Frati Minori Wikibooks contiene testi o manuali sulla disposizione fonica dell'organo a canne Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sul santuario di Sant'Antonio di Padova Sito ufficiale, su santuariosantantoniomilano.blogspot.com. Diocesi di Milano, S. Antonio di Padova, su to.chiesadimilano.it (archiviato dall'url originale il 5 dicembre 2013). Frati Minori di Lombardia, Convento di S. Antonio di Padova - Milano, su fratiminori.it (archiviato dall'url originale il 20 maggio 2013).

Porta Volta
Porta Volta

Porta Volta è una delle cinque porte più recenti di Milano, ricavata lungo i bastioni spagnoli, oggi demoliti, per consentire una più diretta comunicazione fra la città e il Cimitero monumentale, oltre che con la nuova strada per Como (l'attuale via Carlo Farini). Posta a nord della città, conserva i caselli daziari (1880), sorgendo al centro di piazzale Baiamonti, allo sbocco dei Bastioni di Porta Volta. La porta venne aperta nel 1880 lungo il tracciato delle mura spagnole di Milano, erette nel 1555 per ordine di Ferrante Gonzaga. Scopo della nuova porta era il collegamento della città con il nuovo cimitero, edificato nel 1866, e con la nuova strada Comasina (attuale via Carlo Farini) realizzata negli stessi anni in sostituzione della vecchia (attuale Corso Como), troncata dagli impianti ferroviari connessi all'allora stazione centrale. La porta, composta di due caselli daziari inquadranti una cancellata, fu progettata da Cesare Beruto secondo una funzione unicamente daziaria, e quindi come porta "aperta", per pressione esercitata da due proprietari terrieri, Molteni e Feltrinelli, che vedevano in questo nuovo accesso una possibilità di valorizzare i propri terreni limitrofi. Con l'espansione della città, il piazzale di Porta Volta, noto oggi come piazzale Baiamonti, è divenuto un importante snodo di traffico lungo la circonvallazione interna. Mentre le cancellate sono state rimosse all'inizio del XX secolo, i caselli daziari sono rimasti in funzione fino ad oggi, pur cambiando utilizzo nel corso degli anni. Fino al 1957 la porta è stata attraversata dalle tranvie interurbane per Limbiate e per Carate e Giussano; i binari attraversanti la porta sono ancora presenti, seppur troncati dal resto della rete. Dal 2020 il casello destro, adiacente a Viale Pasubio, ospita la Camera del Non Lavoro. "Milano e le sue vie: studi storici", a cura di Felice Venosta (edito da Giocondo Messagi, 1867) Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Porta Volta

Zona Paolo Sarpi
Zona Paolo Sarpi

La zona Paolo Sarpi (detto anche quartiere Sarpi in riferimento all'omonima via), è un quartiere del Municipio 1 di Milano noto in passato come il Borgo degli Ortolani (originariamente, in dialetto milanese, il nome era Borgh di scigulatt cioè "borgo dei produttori di cipolle"). Essa è compresa tra via Luigi Canonica e via Paolo Sarpi, nelle vicinanze di Porta Volta. Il Borgo degli Ortolani (Borgh di Ortolan in lingua lombarda) era un rione di Milano sito tra Porta Tenaglia e l'Arco della Pace, nell'odierna via Luigi Canonica, in corrispondenza dell'odierna zona Sarpi. Il nome deriva dal fatto che era sede di un'ampia comunità di ortolani. In dialetto milanese era anche noto come Borgh di goss, ossia "borgo dei gozzi", poiché vi erano varie parti di animali esposte al pubblico durante il lavoro. Chinatown è il nome attribuito nel gergo giornalistico (spesso in modo spregiativo), alla zona che va dal Municipio 1 di Milano e si estende anche fin dentro il Municipio 8, caratterizzata dalla notevole concentrazione di esercizi commerciali gestiti da membri della comunità cinese. La presenza cinese a Milano ha avuto inizio intorno al 1920 con una massiccia immigrazione dalla regione dello Zhejiang, soprattutto dalla città di Wenzhou, dalla quale proviene circa il 90% delle persone cinesi residenti in Italia; nel capoluogo lombardo scelsero una zona che, per il particolare tessuto urbanistico, favoriva la concentrazione di laboratori nei cortili delle abitazioni. Già durante il fascismo il quartiere era chiamato "quartier generale dei cinesi". Tradizionalmente invece, anche se la cosa non è veritiera, il primo cinese insediatovisi è stato il pellettiere Wang Sang (1919-2009), detto "Romanino", a Milano dal 1937, attivo anche nella mediazione culturale, citato dal poeta dialettale Sergio Gobbi nel verso Wang Sang prim cinese el derva bottega (Wang Sang primo cinese apre bottega). Le prime attività, localizzate principalmente attorno a via Luigi Canonica furono legate alla lavorazione della seta, specialmente per la produzione di cravatte, favorita dalla vicinanza con gli impianti industriali del comasco. Durante la seconda guerra mondiale la lavorazione venne convertita in quella della pelle, al fine di fornire cinture militari ai contingenti italiani e tedeschi. Il commercio, principalmente all'ingrosso, era sostanzialmente monotematico, concentrato soprattutto sull'abbigliamento e la pelletteria. Dalla fine degli anni novanta inizia il boom: l'area diventa un punto di riferimento per i cittadini cinesi non solo di Milano ma anche del resto della Lombardia. Nascono così supermercati, erboristerie/farmacie e librerie, esercizi in grado di soddisfare le richieste di prodotti cinesi da parte di una clientela cinese. Dagli anni 2000 l'attività si fa via via più ramificata, comprendendo pressoché qualsiasi forma di esercizio commerciale, non più solo all'ingrosso ma al dettaglio: negozi di abbigliamento, telefonia, alta tecnologia, fotografia, ottica; inoltre nascono molti negozi che offrono servizi, come assistenza e riparazione computer e telefoni cellulari, servizi per gli immigrati, agenzie viaggi, parrucchieri, estetisti, internet point e KTV (karaoke cinese). Parallelamente all'esplosione del commercio al dettaglio, dal 1999 si è assistito anche al massiccio incremento del commercio all'ingrosso, insediatosi progressivamente al posto dei dettaglianti italiani, grazie al pagamento di buonuscite molto elevate per subentrare nei loro locali; questi esercizi si espandono lungo via Paolo Sarpi e nelle strade adiacenti del quartiere Canonica-Sarpi-Bramante. Alla fine del 2014, la comunità cinese propose la realizzazione di due paifang alle estremità della strada, in modo analogo a quanto realizzato molte altre chinatown del mondo; tuttavia tale progetto non è stato ad oggi ancora realizzato. Le contraddittorie caratteristiche della presenza cinese nel quartiere Canonica-Sarpi di Milano hanno comportato la decisione comunale di operare per la delocalizzazione dei grossisti, creando una frizione tra l'amministrazione comunale e la comunità cinese, e tra questa e i residenti non cinesi nel quartiere. Il 25 novembre 2000 si ebbe una prima manifestazione di protesta nella zona, ad opera del Comitato ViviSarpi. Diversamente da quanto spesso riferito, essa non era assolutamente in opposizione alla presenza cinese, bensì contro il degrado comportato dall'aumento del commercio all'ingrosso, con conseguente indebolimento del commercio di prossimità. Le proteste del comitato, ripetute nel tempo, ottennero che il Comune stabilisse nell'area una regolamentazione dell'orario in cui è permesso il carico e scarico delle merci nei magazzini e nei negozi, volto nella pratica a regolamentare le attività gestite dalla comunità del quartiere, sia essa italiana o cinese. Il 12 aprile 2007 ebbe luogo una breve rivolta in strada della comunità cinese, con cariche della polizia e l'intervento del console cinese a Milano. Alla fine del 2008 il Comune ha reso via Paolo Sarpi ZTL, ossia Zona a Traffico Limitato, mentre nel 2011 ha pedonalizzato la stessa via, rendendola una lunga passeggiata lastricata che congiunge Porta Volta con Corso Sempione. La massiccia presenza cinese, unita ai tipici ideogrammi per le strade, conferisce al quartiere una forte identità. Al suo interno si possono distinguere delle sotto-aree tipiche della zonizzazione presente nelle città cinesi. In particolare, la parte lungo via Paolo Sarpi e via Antonio Rosmini è specializzata in negozi di tecnologia, in abbigliamento al dettaglio e nell'alimentare (è presente pure un centro commerciale); quella lungo via Messina in parrucchieri e servizi per il corpo; quella lungo via Bramante in abbigliamento all'ingrosso. Per l'Expo del 2015, è stato pure inaugurato un hotel cinese, nel cuore del quartiere, tra le vie Rosmini e Sarpi. Ogni anno è festeggiata la ricorrenza del capodanno cinese, durante il quale una coppia di draghi sfila per la via principale del quartiere (via Paolo Sarpi), addobbata per l'occasione. Il corteo si snoda da piazza Antonio Gramsci, all'estremità occidentale del quartiere, preceduto da danze e rulli di tamburi, e attira una folla di curiosi provenienti da ogni parte della città. Recentemente, inoltre, è stato promosso, sempre in piazza Gramsci, il China Film Festival, una rassegna all'aperto di film in lingua cinese sottotitolati in italiano. Nel quartiere si trovano numerosi ristoranti cinesi della città, che offrono soprattutto la cucina cinese dello Zhejiang. Recentemente hanno cominciato a fare la loro comparsa anche ristoranti specializzati in cucina del Sichuan, di Pechino e in hot pot. Si tratta di cucine diverse rispetto a quella dello Zhejiang, di norma quella più comune in Italia. In questi ultimi anni, anche per le recensioni delle più aggiornate guide turistiche, sta crescendo l'interesse turistico legato sia alla scoperta di una nuova forma di ristorazione cinese, sia alla possibilità di uno shopping di tipo diverso, più contenuto nei prezzi e più eccentrico. Il quartiere ospita inoltre le redazioni di numerosi giornali in lingua cinese che vengono stampati nella periferia della città e distribuiti in tutta Italia. Uno dei più importanti è lo Europe China News. Nei primi anni duemila la Chinatown milanese ha fatto da sfondo ad alcuni fatti di cronaca nera tanto efferati quanto improvvisi che hanno svelato la presenza di bande mafiose dedite a reati come il controllo dell’immigrazione clandestina e del gioco d’azzardo, la gestione della prostituzione, il racket nei confronti di esercizi commerciali e lo spaccio di droghe sintetiche; il tutto perpetrato da cinesi esclusivamente ai danni di altri cinesi. Tutto questo ha visto l'ascesa e il declino di giovanissimi veri e propri boss quali Zhou Wei, detto "il Ballerino", assassinato nel 2007 nemmeno ventenne, Hu Libin, detto Limin, attivo tra Torino e Milano, assassinato ventiduenne nel 2009, e Hu Yun Xiao, detto Wenjie, macchiatosi nel 2015 dell'assassinio di un malavitoso in ascesa, il proprietario di un locale di karaoke Hu Xipu. Carlo Linati, Quartiere Cinese, Casa Editrice Leonardo, Milano, 1942 Piero Colaprico, Mala storie - Il giallo e il nero della vita metropolitana, il Saggiatore, Milano, 2010 Daniele Cologna, La Cina sotto casa - Convivenza e conflitti tra cinesi e italiani in due quartieri di Milano, FrancoAngeli, Milano, 2002. ISBN 88-464-3997-X Donatella della Porta (a cura di), Comitati di cittadini e democrazia urbana, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli, 2004 Patrizia Farina, Cina a Milano - Famiglie, ambienti e lavori della popolazione cinese a Milano, AIM - Associazione Interessi Metropolitani, Milano, 1997 Istituto Nazionale di Urbanistica, Urbanistica, n. 110-111 Giampiero Rossi, Simone Spina (Introduzione di Nando dalla Chiesa), I boss di Chinatown - La mafia cinese in Italia, Editore Melampo, Milano, 2008 Borgo degli Ortolani Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su zona Paolo Sarpi