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Tempio Dorico (Pompei)

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Tempio Dorico 4
Tempio Dorico 4

Il Tempio Dorico è un tempio di epoca romana, sepolto dall'eruzione del Vesuvio del 79 e ritrovato a seguito degli scavi archeologici dell'antica Pompei. Si tratta di uno degli edifici con le maggiori influenze greche della città.

Estratto dall'articolo di Wikipedia Tempio Dorico (Pompei) (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

Tempio Dorico (Pompei)
Via Minutella,

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Coordinate geografiche (GPS)

Latitudine Longitudine
N 40.748279 ° E 14.488005 °
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Indirizzo

Scavi archeologici di Pompei

Via Minutella
80045
Campania, Italia
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Tempio Dorico 4
Tempio Dorico 4
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Luoghi vicini

Teatro Grande (Pompei)
Teatro Grande (Pompei)

Il Teatro Grande è un teatro di epoca romana, sepolto dall'eruzione del Vesuvio del 79 e ritrovato a seguito degli scavi archeologici dell'antica Pompei: al suo interno venivano rappresentate commedie, mimi e pantomimi, oltre che le atellane. Il Teatro Grande fu edificato in età sannitica ma completamente rifatto nel II secolo a.C. ed in seguito più volte restaurato: intorno all'80 a.C., in contemporanea con la costruzione del Teatro Piccolo, diversi lavori interessarono principalmente la zona della cavea, ampliata di circa dieci metri, mentre, durante l'epoca augustea, ci fu una ristrutturazione totale, grazie alle sovvenzioni della gens Holconia, una delle famiglie più importanti di Pompei, impegnata nelle coltivazioni di viti; tale evento è ricordato con una targa che riporta la scritta: Inoltre, grazie ai nomi dei benefattori, si è potuto risalire a una data precisa del restauro, probabilmente intorno al 2 o 3 a.C., anni in cui Marco Holconio Rufo era duoviro di Pompei, quando gli venne dedicata una statua, oltre a un bisellio, ossia un posto riservato, all'interno del teatro; il restauro fu affidato a un liberto chiamato Marco Artorio Primo: era infatti consuetudine tra i romani affidare i lavori manuali a tale genere sociale, in quanto era un'attività ritenuta non degna per un uomo libero. A seguito del terremoto di Pompei del 62, che danneggiò parzialmente la struttura, venne rifatta completamente la scena; fu quindi sepolto, con il resto della città, sotto una coltre di ceneri e lapilli nel 79, a seguito dell'eruzione del Vesuvio ed esplorato a seguito delle indagini archeologiche volute dalla dinastia borbonica: a seguito di un accurato restauro viene utilizzato nei mesi estivi per rappresentazioni teatrali e musicali. Il teatro fu edificato sulle pendici di una collina, di cui sfrutta il costone per la gradinata: si trova nei pressi del Tempio Dorico ed ha uno stampo prettamente ellenistico, così come era abitudine dell'antica Grecia costruire i teatri nelle vicinanze di un'area sacra; si apriva inoltre su di uno splendido panorama, dominato dalla valle del Sarno e dai monti Lattari. Il Teatro Grande ha una forma a ferro di cavallo, distinguendosi dal modello tradizionale romano ad emiciclo, e fu realizzato interamente in opera incerta. La parte riservata al pubblico era la cavea e poteva accogliere circa cinquemila spettatori; questa è divisa in tre parti: l'ima cavea, rivestita in marmo, era riservata ai decurioni, la media cavea, la più ampia e la meglio disposta per la visione dello spettacolo, era destinata alle corporazioni e la summa cavea, con posti limitati; a loro volta, sia la media che la summa cavea si dividono in cinque zone: della summa cavea tuttavia rimane solo un piccolo tratto, in quanto crollata a seguito del terremoto del 62. Doveva inoltre essere presenta una gradinata che poggiava su un corridoio con volte a botte, così come altre gradinate sono presenti sui parodi, caratteristica inusuale per questo tipo di edifici, in quanto erano sempre scoperti e quindi sicuramente aggiunte in secondo momento. La parte dedicata al pubblico si completava con dei palchetti, chiamati tribunalia, riservati ad ospiti d'onore, i quali godevano di una perfetta visione sulla scena. Alla zona dell'orchestra si accede tramite due parodos coperti: quello di destra conduceva a un cortile posto dietro la scena, da cui, tramite una scala, si arrivava al Foro Triangolare: sul suo ingresso fu ritrovata una testa maschile d'epoca sillana. Il parodos della parte sinistra invece è raggiungibile da Via Stabia e conduce poi allo stesso cortile del precedente: entrambi i corridoio sono costruiti in opera incerta. La zona del palcoscenico, in opera laterizia, è alta circa un metro e mezzo e presenta due scalette, tramite le quali gli attori accedevano alla scena, mentre ai lati alcune nicchie dovevano ospitare gli addetti all'ordine pubblico. La scena, protetta da un sipario che si alzava dal basso verso l'alto, era limitata da un'imitazione di un palazzo principesco, con tre porte e a due piani, ornato con molte statue; al lato del palco un piccolo spogliatoio che fungeva anche d'accesso a un cortile. Tutta la zona del Teatro, probabilmente, era decorata con fontane e ninfei, ritrovati al momento degli scavi, mentre diversi blocchi forati indicano che nei mesi più caldi l'intera struttura veniva coperta con un velarium. Teatro romano (architettura) Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sul Teatro Grande (IT, EN) Soprintendenza archeologica di Pompei - Sito ufficiale, su pompeiisites.org.

Foro Triangolare
Foro Triangolare

Il Foro Triangolare è un foro di epoca romana, sepolto dall'eruzione del Vesuvio del 79 e ritrovato a seguito degli scavi archeologici dell'antica Pompei; la piazza era utilizzata principalmente per le corse equestri e come luogo di svago in attesa di assistere alle rappresentazione dei vicini teatri. Il Foro Triangolare, così chiamato per la sua forma geometrica a triangolo, fu edificato intorno al II secolo a.C., sulla parte meridionale della collina sulla quale sorgeva Pompei, a seguito della decisione di attuare una sistemazione urbana dell'intera zona dei teatri: nello stesso periodo fu anche ampliato il foro principale. Sepolto sotto una colte di lapilli e ceneri dall'eruzione del 79 del Vesuvio, fu riportato alla luce nel corso degli scavi archeologici alla fine del XVIII secolo. L'ingresso al Foro Triangolare, situato sul vertice più corto del triangolo, è preceduto da un propileo con sei colonne di tipo ionico, due semicolonne ed un architrave, tutto realizzato in tufo. L'ingresso è dato da due porte che si aprono in un muro in opera incerta: originariamente era presente una sola porta, mentre la seconda, più grande, fu aperta a seguito dei lavori di ristrutturazione dopo il terremoto di Pompei del 62. Nella zona dell'ingresso era presente una piccola fontana pubblica. L'interno del Foro Triangolare è caratterizzato su tre lati da un colonnato, eccetto sul lato sud per non impedire la vista del panorama: le colonne erano novantacinque, in ordine dorico, sovrastate da un architrave, ma dalla forma longilinea, in quanto non dovevano sopportare il peso di un secondo ordine superiore; nella parte centrale del colonnato nord era presenta una fontana, di cui rimane solo un supporto in marmo e un piedistallo sul quale poggiava la statua di Marco Claudio Marcello, mentre lungo il lato est è un muretto che delimitava la zona dove si svolgevano probabilmente corse di cavalli o atletiche. Nella parte sud del foro è presente il Tempio Dorico e un thòlos: questo è costruito intorno ad un pozzo sacro, con sette colonne doriche in tufo, ricoperte da un tetto conico ed edificato per volere del magistrato Numerius Trebius, come riportato sull'architrave. Nei pressi del tempio è inoltre presenta una costruzione a forma di quadrilatero, con apertura sulla struttura sacra, all'interno della quale si trova un piccolo recinto: probabilmente si trattava della tomba del fondatore di Pompei. Nell'angolo destro del foro sono posti tre altari in tufo, mentre nell'angolo nord è una meridiana voluta da Lucius Sepunius Sandilianus e Marcus Herennius Epidianus. Sulla parete est si aprivano tre piccole uscite che conducevano al Teatro Grande, all'Odeion e alla Palestra Sannitica. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sul Foro Triangolare (IT, EN) Soprintendenza archeologica di Pompei - Sito ufficiale, su pompeiisites.org.

Casa dei Ceii
Casa dei Ceii

La casa dei Ceii è una casa di epoca romana, sepolta durante l'eruzione del Vesuvio del 79 e ritrovata a seguito degli scavi archeologici dell'antica Pompei: chiamata anche casa della Caccia, casa di Fabia e Tiranno o casa della Regina Elena, deve il suo nome alla famiglia che l'abitava, quella dei Ceii. La casa dei Ceii fu edificata alla fine del II secolo a.C., al termine del periodo sannitico, come testimoniato dall'utilizzo di metodi architettonici, classici di quella popolazione: all'inizio del I secolo, quando presumibilmente apparteneva a Lucius Ceius Secundus, edile nel 76 e duoviro nel 78, subì una pesante ristrutturazione che portò al rifacimento di tutte le pitture interne in terzo stile. I lavori di ammodernamento, come la costruzione di un piano superiore, non erano ancora completati, anche se il ritrovamento di oggetti di uso quotidiano ha confermato che l'abitazione era normalmente utilizzata, quando nel 79, venne seppellita sotto una colte di ceneri e lapilli, a seguito dell'eruzione del Vesuvio. Saccheggiata già probabilmente al termine del fenomeno eruttivo, venne riportata alla luce tra il marzo 1913 e l'agosto 1914, con altre campagne di scavo effettuate nel 1982. La casa, che si affacciata sul vicolo del Menandro, ha un'estensione di duecentoottantotto metri quadrati ed ha l'architettura delle tipiche abitazioni a schiera del quartiere; la facciata presenta elementi architettonici tipici dell'architettura sannitica, come le due lesene che inquadrano il portale d'ingresso che terminano con capitelli cubici, i quali sorreggono un architrave con cornice dentellata, il tutto sormontato da una tettoia: il resto della facciata, nella quale si aprono due finestre, conserva la rifinitura a stucco disposta a finto opus quadratum e su di essa, al momento dello scavo, erano dipinte nove iscrizioni elettorali, e da una, quella inneggiante a L. Ceius, ne è derivato il nome. Superato il portale d'ingresso, di cui è stato possibile ricavare il calco in cemento, a due battenti e con l'aggiunta di elementi in ferro originali, si accede alle fauci, con pareti affrescate in terzo stile, così come nel resto dell'abitazione, con pannelli rossi su fondo bianco e zona superiore in bianco arricchita con raffigurazioni di elementi architettonici; anche il soffitto presenta degli affreschi. Una probabile porta a tre ante, divideva le fauci dall'ambiente successivo, ossia l'atrio: questo è di tipo tetrastilo, con impluvium centrale realizzato con pezzi di anfora e arricchito, a seguito del restauro del I secolo, da bordi in marmo; il pavimento, uguale poi nel resto della casa, è in cocciopesto con l'inserto di tessere bianche, mentre le pareti hanno affreschi in rosso e nero e zona superiore in bianco, sempre con la presenza di elementi architettonici: nell'ambiente sono stati ritrovati un tavolo circolare in marmo, un puteale, doveva esserci un armadio in legno e, sotto una scala, posta lungo parete sinistra, che permetteva di raggiungere il costruendo piano superiore in opus craticium, erano conservate undici lucerne in terracotta, una in ferro ed una lanterna in bronzo. Le camere che si affacciano sull'atrio sono presenti solo sul lato sud e su quello nord: lungo il lato sud, sulla destra, si apre un cubicolo, illuminato da due finestre, con zoccolatura nera, pannelli centrali verdi e rossi e zona superiore gialla con disegni di elementi architettonici ed in particolar modo spicca un quadretto raffigurante una Poetessa che istruisce una suonatrice di cetra, mentre l'ambiente sulla sinistra si ritiene essere una cucina con una latrina, nel quale sono stati ritrovati resti di una statua a grandezza naturale, una colomba in marmo con piedi in ferro, ma mancante di testa, e vasi in ceramica. Le camere sul lato nord sono invece il tablino ed il triclinio: il tablino, che si affaccia direttamente sul giardino, non presenta decorazioni, in quanto a seguito dei lavori per la costruzione del piano superiore, era in attesa di essere affrescato, anche se presenta una pavimentazione in cocciopesto la cui parte centrale è decorata con un mosaico riproducente motivi geometrici che incorniciano piastrelle romboidali in marmo policromo; il triclinio invece presenta una pavimentazione simile a quella del tablino, ma al centro è in opus sectile, mentre le pareti sono affrescate con zoccolatura nera, pannelli centrali in rosso e nero e zona superiore in bianco: in particolare, nella parte centrale delle quattro pareti erano affrescati quattro quadretti di scene mitologiche, di cui solo due conservati: quello sul lato ovest raffigura Dioniso che versa del vino ad una tigre e sul lato est una Menade. Tra il triclinio ed il tablino, un breve corridoio, le cui pareti sono in nero con affreschi di nature morte, congiunge l'atrio con il giardino: questo è preceduto da un ambulacro decorato con pannelli neri arricchiti con raffigurazioni di elementi vegetali; sul suo lato sinistro si apre un piccolo ambiente utilizzato come ripostiglio, mentre sul lato destro, sono presenti altre tre stanze, una adibita ad oecus, con pareti affrescate con zoccolatura in nero, zona mediana in bianco e rosso e parte superiore bianca con elementi architettonici, ghirlande e fasce ornamentali, e le altre due, semplicemente intonacate, erano anch'esse adibite a ripostiglio. Il giardino, al cui interno è stato ritrovato lo scheletro di una tartaruga, è caratterizzato da un canale con alle estremità due fontane, una raffigurante una ninfa, l'altra una sfinge: lungo la parete di fondo sono affrescate scene di caccia, mentre lungo le due pareti laterali paesaggi nilotici, in particolare quella sinistra con pigmei con combattono contro ippopotami e coccodrilli e il trasporto di anfore su una nave e quella a destra con edifici sacri dalla classica architettura egizia; nei pressi di una finestra è ritratto sulla destra una viandante con cappuccio e sulla sinistra un quadretto con uva e mele, mentre vicino ad una finestra più piccola un Priapo itifallico: sparsi per l'ambiente sono stati ritrovati numerosi graffiti. La casa disponeva anche di un piano superiore, che si sviluppava lungo la facciata ed in parte crollato a seguito dell'eruzione: questo era adibito al personale. Arnold De Vos e Mariette De Vos, Pompei, Ercolano, Stabia, Roma, Editori Laterza, 1982, ISBN non esistente. Regio I degli scavi archeologici di Pompei Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla casa dei Cei (IT, EN) Soprintendenza archeologica di Pompei - Sito ufficiale, su pompeiisites.org.

Casa del Menandro
Casa del Menandro

La casa del Menandro (I 10, 4) è una grande domus urbana dell'antica Pompei di quasi 1800 m². È stata scavata negli anni 1926–1932 ed è un buon esempio di una domus di una famiglia benestante dell'antica Pompei. Prende il nome non dal proprietario della casa, ma dall'immagine del poeta greco Menandro, ritrovata lì. La parte più vecchia della casa è composta da un atrio costruito nel 250 a.C. con gli spazi immediatamente circostanti ed è relativamente modesta. Circa 100 anni più tardi la domus fu modernizzata. Per la porta d'ingresso e per il tablinum furono usati capitelli di tufo. In periodo augusteo la domus fu modificata sostanzialmente; in primo luogo fu edificato un peristilio, utilizzando lo spazio ricavato dall'abbattimento degli edifici residenziali adiacenti. Nello spazio a ponente furono ricavate delle terme. A levante si trova la parte economica della domus. Poco prima dell'eruzione furono eseguite in vari posti della casa ulteriori opere di ammodernamento. Si trovano delle anfore riempite di stucco e un forno provvisorio. Il nome dell'ultimo abitante della casa è Quinto Poppeo. Il suo nome è stato trovato in un sigillo di bronzo negli alloggi per la servitù. La casa è decorata con pitture del quarto stile. La parete posteriore del peristilio mostra una sequenza di nicchie, e in quella centrale si trova una immagine di Menandro, che dà il nome alla casa. Nel calidarium si trova un grande mosaico con al centro un grande acanto circondato da pesci, delfini e altri animali marini. In un corridoio sotto il piccolo atrio delle terme private si trovava un tesoro di 118 vasi d'argento, che erano stati accuratamente avvolti in drappi di stoffa e sistemati in un alto armadio di legno durante i lavori di restauro della casa. In un altro cofanetto in legno, e quindi decomposto, si trovavano anche oggetti in oro e monete per un valore di 1432 sesterzi. Amedeo Maiuri: La Casa del Menandro e il suo tesoro di argenteria, Rom 1933 Eugenio La Rocca, M. de Vos Raaijmakers, A. des Vos: Pompeji. Lübbes archäologischer Führer. Gustav Lübbe Verlag, Bergisch Gladbach 1979, ISBN 3-7857-0228-0, S. 175-86 Penelope M. Allison, The Insula of the Menander at Pompeii, volumi primo, secondo e terzo, 0199263124, 9780199263127, Clarendon Press, 2006 Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla casa del Menandro Casa del Menandro, su pompeiisites.org. URL consultato l'8 gennaio 2014 (archiviato dall'url originale il 7 gennaio 2014). (EN) Casa del Menandro, su stoa.org. URL consultato l'8 gennaio 2014 (archiviato dall'url originale l'8 gennaio 2014).