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Chiesa della Santissima Annunziata (Torino)

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La chiesa della Santissima Annunziata di Torino si trova in via Po.

Estratto dall'articolo di Wikipedia Chiesa della Santissima Annunziata (Torino) (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

Chiesa della Santissima Annunziata (Torino)
Via Sant'Ottavio, Torino Circoscrizione 1

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Coordinate geografiche (GPS)

Latitudine Longitudine
N 45.06697 ° E 7.69275 °
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Indirizzo

Santissima Annunziata

Via Sant'Ottavio
10124 Torino, Circoscrizione 1
Piemonte, Italia
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Numero di telefono

call+390118171423

Sito web
annunziata.to.it

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Luoghi vicini

Liceo classico Vincenzo Gioberti
Liceo classico Vincenzo Gioberti

Il liceo Classico e Linguistico Statale Vincenzo Gioberti di Torino è uno dei più antichi licei italiani. Si tratta di uno dei quattro licei classici statali della città, insieme al D'Azeglio, il Cavour e l'Alfieri. Situato nel centro della città capoluogo piemontese, ha due sedi e l'indirizzo Linguistico, in cui si studiano il tedesco, il francese e lo spagnolo. Il liceo "Vincenzo Gioberti" venne fondato come Regio Collegio di San Francesco da Paola presso l'antico complesso conventuale dei Frati Minimi, edificato a partire dal 1627 in Contrada di Po a Torino grazie alle donazioni di Maria Cristina di Borbone-Francia, moglie di Vittorio Amedeo I di Savoia, e diretto a partire dal 1821 dai Gesuiti. Istituito il 4 marzo 1865, tra i primi 68 licei classici del Regno d'Italia e a lungo il più frequentato di tutto il Regno, fu intitolato al filosofo e politico italiano Vincenzo Gioberti, tra le figure più importanti del Risorgimento. Nel 1969 è stato sede della prima "commissione fabbriche" costituita in una scuola superiore italiana, citata nel film Vento dell'est di Jean-Luc Godard. Nel 2020, durante la pandemia di COVID-19, è stato attivo nelle proteste studentesche pacifiche contro la chiusura delle scuole e per il ritorno in sicurezza degli studenti in presenza e segnò l'inizio delle proteste a livello liceale di tutta italia. L'istituto conta 1.370 iscritti (anno scolastico 2020/2021) ed è articolato in sezioni di classico tradizionale e di classico linguistico. Dall'anno scolastico 2005-2006 all'interno dell'istituto viene pubblicato il giornale scolastico Joe Berti, che include rassegne di cronaca internazionale, cucina, poesia e arte. La sede storica, in Via Sant'Ottavio 9/11, nel pieno centro di Torino e a pochi metri dal Palazzo delle facoltà umanistiche dell'Università e dalla Mole Antonelliana, risale ai primi anni del XX secolo. Il liceo si è ampliato nel 2001 e comprende una parte dell'edificio scolastico in via Giulia di Barolo, condiviso con il liceo Gobetti. La sede principale, che comprende oltre alle aule ordinarie anche l'Aula magna intitolata a Piero Gobetti, laboratori di fisica, chimica, linguistici e informatici, aule specifiche per l'insegnamento di scienze e storia dell'arte e una biblioteca, è stata oggetto di restauro nel 2007. Le sue aule conservano molti reperti naturalistici con un vasto assortimento di animali impagliati, strumentistica d'epoca di fisica e chimica e numerosi campioni di pietre e minerali. A. Torricella, Torino e le sue vie, Torino, Borgarelli, 1868 A. Galante Garrone, P. Borgna, Il mite giacobino. Conversazione su libertà e democrazia, Roma, Donzelli, 1994 C. Dionisotti, Ricordi della scuola italiana, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1998 G. Viglongo, Notarelle gobettiane, Roma, Robin Edizioni, 2003 A. Ascenzi, Tra educazione etico-civile e costruzione dell'identità nazionale. L'insegnamento della storia nelle scuole italiane dell'Ottocento, Milano, Vita e Pensiero, 2004 A. Pronzato, Il folle di Dio: san Luigi Orione, Milano, Edizioni Paoline, 2004 E. Guastone Belcredi, La carriera. Pagine di vita diplomatica, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2006 Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Liceo classico Vincenzo Gioberti Sito ufficiale, su liceogioberti.gov.it.

Palazzo Nuovo (Torino)

Palazzo Nuovo è un edificio in Via Sant'Ottavio 20 a Torino. Attualmente è una delle principali sedi dell'Università degli Studi di Torino. Costruito tra il 1961 e il 1966 dagli architetti Gino Levi-Montalcini, Felice Bardelli, Sergio Hutter e Domenico Morelli in seguito a un concorso bandito dall'Università di Torino per la nuova sede delle facoltà umanistiche, è stato oggetto di critiche sin dalla sua inaugurazione e più volte discusso e contestato per il suo impatto visivo e volumetrico rispetto all'ambiente edilizio e storico circostante. Negli anni '70 l'edificio fu più volte terreno di scontri tra studenti di diverse tendenze politiche e la polizia, nonché di occupazioni ed assemblee studentesche, specialmente negli anni 1976 e 1977, con danni non indifferenti alla struttura ed alle aule. Negli anni 2011 - 2012 le fiancate dell'edificio sono state interessate da una complicata opera di pittura di murales molto colorati per spezzare l'uniformità cromatica delle facciate. Tuttavia, uno di questi è stato cancellato dalla recente riqualificazione che ha coinvolto l'esterno dell'edificio, reso adesso più simile allo stile del neonato Campus Luigi Einaudi e, inoltre, ottimizzato per quanto riguarda l'efficienza energetica. Nella primavera 2015 è stato chiuso per mesi per ragioni precauzionali, causa sospetta presenza di amianto. Nel settembre 2015 è iniziata una riapertura graduale, mentre nel 2016 sono proseguiti i lavori di bonifica dell'edificio. Nel 2018 è iniziata la riqualificazione complessiva e la messa a norma rispetto alle regole di sicurezza del costo di circa un milione di euro. Inoltre verranno riorganizzati i dipartimenti: il sesto e ultimo piano sarà messo a disposizione di Filosofia (attualmente al secondo), come parte del quinto, dove ci saranno anche uffici e aule seminario di Storia e Lettere, ora chiamata studi umanistici, mentre il quarto e il terzo piano saranno divisi tra questi ultimi due dipartimenti. Il prossimo passaggio riguarda le biblioteche per cui sarà necessario trovare i fondi. "Palazzo delle Facoltà Umanistiche dell'università di Torino", in Agostino Magnaghi, Mariolina Monge, Luciano Re, Guida all'architettura moderna di Torino, Lindau, Torino 1995, pp. 244-245 Giulietta Fassino, "L'edilizia universitaria", in Regione Piemonte, Osservatorio regionale per l'Università e per il Diritto allo studio universitario (a cura di), I numeri del Sistema universitario in Piemonte: azioni, risultati, prospettive, Torino 2010, pp. 244-313 Università degli studi di Torino Palazzo dell'Università (Torino) Campus Luigi Einaudi Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Palazzo Nuovo Scheda su MuseoTorino

Museo della Radio e della Televisione
Museo della Radio e della Televisione

Il Museo della Radio e della Televisione è un museo di Torino, situato nel Centro di produzione Rai di via Giuseppe Verdi, 14-16, e dedicato alla Storia della radio e della televisione in Italia. Il primo progetto di un museo della radio risale al 1939. All'epoca, l’Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche aveva Direzione Generale e Laboratorio Ricerche a Torino. La guerra interruppe il progetto; esso fu recuperato nella seconda metà degli anni '60 da un gruppo di esperti, tra cui l’ingegner Banfi (già direttore tecnico dell’EIAR). Il materiale raccolto, che inizialmente doveva essere ospitato nello storico palazzo aziendale di Via dell’Arsenale 21, trovò una sistemazione provvisoria presso il Centro di produzione Rai; nel 1980 una parte dei cimeli venne collocata in alcune vetrine dell’atrio. Nel 1984, in occasione della mostra La Radio, storia di sessant’anni: 1924-1984, la collezione venne presentata per la prima volta al pubblico. L'inaugurazione vera e propria del Museo fu nel 1993: la raccolta fu ordinata, restaurata e ampliata, e si stabilì permanentemente nella Sala Enrico Marchesi del Centro di produzione Rai.Ad inizio 2020, sotto il nuovo direttore Alberto Allegranza, venne stabilita la seguente trasformazione: “Da Museo tecnico per collezionisti di oggetti, a spazio esperienziale e multimediale che accoglie la diversità di gusti del pubblico in un’atmosfera da studio televisivo”. Dopo nove mesi di lavoro, il 26 settembre 2020 è stato inaugurato il "nuovo" Museo. Il percorso del museo parte dal primo telegrafo Wheatstone per arrivare fino al DVD-Video. Le raccolte sono impreziosite anche dalla presenza di arredi di storici programmi Rai, quali Rischiatutto e Portobello. Musei di Torino Luoghi d'interesse a Torino Museo della Radio e della Televisione, su museotorino.it. Museo della radio e della televisione di Torino, su beniculturali.it. Museo della Radio e della Televisione, su comune.torino.it. Museo della Radio e della Televisione, su museionline.info. Museo della Radio e della Televisione, su rai.it.

Museo nazionale del cinema
Museo nazionale del cinema

Il Museo Nazionale del Cinema è un museo sito a Torino con sede nel monumento simbolo della città, la Mole Antonelliana. Il Museo si sviluppa a spirale verso l’alto, su più livelli espositivi, dando vita a una presentazione ricca di collezioni che ripercorre la storia del cinema dalle origini ai giorni nostri. In una cornice di scenografie, proiezioni e giochi di luce, arricchita dall'esposizione di fotografie, bozzetti, manifesti e oggetti d'epoca, i percorsi di visita danno vita a una presentazione che consente di scoprire in prima persona i segreti nascosti dietro la macchina da presa e le fasi che precedono la proiezione del film. Il Museo racchiude e illustra tutta la storia del cinema in un itinerario interattivo: dal teatro d’ombre e le prime affascinanti lanterne magiche che hanno costituito la preistoria della “settima arte”, ai più spettacolari effetti speciali dei nostri giorni. Nel 2022 ha ricevuto 567 182 visitatori, risultando uno dei musei più visitati d'Italia. Nel progettare l’allestimento museale lo scenografo svizzero François Confino non ha dovuto soltanto tener conto delle caratteristiche dell’edificio che lo ospita, ma, seguendo il crescendo antonelliano, ha sovrapposto livelli diversi di lettura, combinando le necessità di un rigoroso impianto scientifico con le esigenze di una presentazione spettacolare che si propone di riprodurre e giocare con i meccanismi della fascinazione che sono alla base della rappresentazione cinematografica. Il museo si sviluppa a spirale verso l'alto su più livelli espositivi che ripercorrono la storia del cinema dalle origini ai giorni nostri. Al piano dedicato all'Archeologia del Cinema si possono visitare otto aree tematiche per sperimentare in prima persona gli spettacoli ottici e i dispositivi che hanno segnato alcune tappe fondamentali per la nascita del cinema. Cuore spettacolare del Museo è l'Aula del Tempio, circondata da aree espositive dedicate ai grandi generi della storia del cinema, più un’area dedicata al capolavoro del cinema muto italiano, Cabiria e una a Torino “Città del Cinema”. Dall’Aula si accede alla Rampa elicoidale che, come una pellicola cinematografica, si srotola a salire verso la cupola: il percorso è sede delle mostre temporanee e permette di ammirare dall’alto l’Aula in una visione spettacolare e mozzafiato. La Macchina del Cinema illustra le diverse componenti e fasi dell’industria del film: gli studi di produzione, la regia, la sceneggiatura, gli attori e lo star system, i costumi di scena, la scenografia, gli storyboard, la sala cinematografica. Si sale alla Galleria dei Manifesti, che ripercorrono la storia del cinema, i film e gli autori più rilevanti e illustrano l’evoluzione del gusto figurativo, della grafica e della cartellonistica pubblicitaria italiana e internazionale. Il Museo Nazionale del Cinema è anche un polo di iniziative culturali, tra i più importanti a livello nazionale e internazionale. Ricerche d’avanguardia sulla conservazione dei materiali e sulla storia del cinema, un vasto programma di restauri, iniziative editoriali, rassegne cinematografiche, incontri con autori e protagonisti del cinema, programmi didattici. Da diversi anni il Museo Nazionale del Cinema ha ulteriormente rafforzato il suo impegno nel recupero e nel restauro di pellicole che si pensavano irrimediabilmente perdute. Molte le iniziative realizzate in collaborazione con prestigiose istituzioni di tutto il mondo, presentate poi, riscuotendo ampi consensi di pubblico e critica, nei maggiori festival di cinema internazionali. Il presidente del comitato di gestione della Fondazione M.A. Prolo - Museo Nazionale del Cinema è l'ex parlamentare Enzo Ghigo. Il primo progetto di costituire un museo italiano del cinema risale al giugno 1941, quando la studiosa piemontese di storia e di cinema Maria Adriana Prolo (1901–1991) cominciò a lavorare per realizzare l'idea. Col sostegno artistico di alcuni pionieri del cinema, tra cui il regista astigiano Giovanni Pastrone, che nel 1914 diresse proprio a Torino Cabiria, il più grande kolossal del cinema muto italiano, e col sostegno giornalistico di Francesco Pasinetti, arrivarono i primi contributi finanziari per l'acquisto di cimeli e documenti della storia del cinema italiano. Il materiale fu inizialmente immagazzinato in una sala della Mole Antonelliana, concessa dal Comune di Torino. Terminata la seconda guerra mondiale, nel 1946 fu organizzata nel capoluogo piemontese la prima mostra retrospettiva nella galleria sotterranea di via Roma, seguita da altre mostre temporanee negli anni 1950-1951. Nel 1952 poi, il nascente museo partecipò ad una delle prime trasmissioni televisive sperimentali, fornendo materiali e consulenze. Queste attività stimolarono l'interesse del pubblico e degli studiosi sulla collezione di cimeli, che però non riusciva a trovare un'esposizione permanente. L'idea iniziale di insediare il museo all'interno della Mole Antonelliana di Torino sfumò nel 1953, a causa di una tromba d'aria che danneggiò gravemente l'edificio. Nello stesso anno, arrivò a Torino Henri Langlois, fondatore della Cinémathèque française e del Musée du cinéma di Parigi, il quale incontrò giornalisti e consiglieri comunali e li persuase della necessità di dare una sistemazione adeguata al patrimonio raccolto. Il 7 luglio 1953, si costituì ufficialmente l'Associazione Museo del cinema, che aveva tra i soci fondatori il regista Pastrone (all'epoca con lo pseudonimo Piero Fosco), lo sceneggiatore Arrigo Frusta, lo scrittore e critico cinematografico Mario Gromo, l'architetto Leonardo Mosso, Carlo Giacheri e l'imprenditore cinematografico e giornalista Giordano Bruno Ventavoli. Nello stesso periodo la professoressa Prolo fu nominata presidente dell'Associazione; nel 1956 fu anche nominata direttrice a vita del museo che, nel frattempo aveva trovato una sua sistemazione definitiva. Furono infatti sfruttati gli spazi di un'ala di Palazzo Chiablese, edificio situato tra la centralissima Piazzetta Reale (sul lato nord di Piazza Castello) e piazzetta San Giovanni (Duomo di Torino). Fu allestito il piano terreno, mentre una sala era adibita a locale di proiezione; la cineteca e la biblioteca furono collocati al piano superiore. La sede museale fu inaugurata al pubblico il 27 settembre 1958. Il Museo divenne membro dell'Associazione nazionale dei musei italiani nel 1959, e fu riconosciuto tra i musei medi dello Stato nel 1960. Alcune delle manifestazioni più importanti di questo periodo compresero una "Mostra della caricatura nella fotografia e nel cinema dal 1839 al 1939" nel 1960, la "Mostra della Stereoscopia" nel 1966, una rassegna del cinema muto italiano in collaborazione con l'Istituto di storia del cinema e dello spettacolo dell'Università di Torino nel 1973, la "Mostra dei manifesti del cinema muto italiano" nel 1974. Nel 1975 poi, si tenne a Torino il trentunesimo congresso della FIAF (Fédération internationale des archives du film), che comprendeva anche un convegno su Pastrone e David W. Griffith. Il museo fu quindi chiuso al pubblico per ragioni di sicurezza nel 1983, alcuni mesi dopo l'incendio del Cinema Statuto. Alcuni allestimenti furono quindi spostati nel 1986 presso la sede dello storico e piccolo Cinema Massimo di via Verdi, vicino alla Mole Antonelliana e al Centro di produzione Rai di Torino. Nel 1991 la professoressa Prolo morì, e l'anno dopo il museo divenne una Fondazione, che prese il suo nome, sostenuta dall'Associazione Museo nazionale del cinema, dagli enti locali e della Cassa di Risparmio di Torino, tuttavia ancora con la sede provvisoria nei piccoli spazi del Cinema Massimo. Nel 1995, in occasione del centenario della nascita del cinema, fu deciso di trasferire l'allestimento del museo presso l'interno della vicina Mole Antonelliana così come fu inizialmente raccolto nel 1946. In una scenografia suggestiva, organizzata dall'architetto torinese Gianfranco Gritella e lo scenografo svizzero François Confino, nel luglio 2000 venne inaugurata l'attuale sede, presso l'interno della Mole Antonelliana. In breve tempo il museo divenne tra i più visitati, con oltre due milioni di visitatori nei primi cinque anni e mezzo di attività (2000-2005). Nel 2004 il regista Davide Ferrario ambientò qui il film Dopo mezzanotte facendo conoscere il museo al grande pubblico. In occasione dei XX Giochi olimpici invernali di Torino 2006, l'allestimento fu rinnovato con nuove postazioni multimediali e interattive, tre nuovi ambienti dedicati al western, al musical e alla fantascienza, e un restauro del film Cabiria di Giovanni Pastrone. Amedeo Benedetti, Gli archivi delle immagini. Fototeche, cineteche e videoteche in Italia, Genova, Erga, 2000, SBN IT\ICCU\REA\0048559. Amedeo Benedetti, Museo Nazionale del Cinema, in Il Cinema documentato. Cineteche, Musei del Cinema e Biblioteche cinematografiche in Italia, Genova, Cineteca D.W. Griffith, 2002, pp. 16–25, SBN IT\ICCU\LO1\0712717. Musei di Torino (e luoghi d'interesse a Torino in generale) Cinema Mole Antonelliana Precinema Torino Film Festival Attilio Prevost (1890-1954) Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sul Museo nazionale del cinema Sito ufficiale, su museocinema.it. Museo nazionale del cinema, su CulturaItalia, Istituto centrale per il catalogo unico. Associazione Museo Nazionale del Cinema (AMNC), su amnc.it. Legge statale, su normattiva.it, 29 dicembre 2000, n. 404 (Interventi in favore del Museo nazionale del cinema "Fondazione Maria Adriana Prolo" di Torino). Film Commission Torino Piemonte, su fctp.it. Torino Città del Cinema 2020, su torinocittadelcinema2020.it. Enciclopedia del cinema in Piemonte, su torinocittadelcinema.it. Piemonte Movie Glocal Network, su piemontemovie.com.

Teatro Gobetti
Teatro Gobetti

Il Teatro Gobetti è un teatro situato a Torino. È la sede principale del Teatro Stabile di Torino. Nel 1828 un gruppo di amatori di teatro istituirono l’Accademia Filodrammatica di Torino, un’associazione amatoriale di studio dell’arte teatrale; allestirono la sede in una sala del "Palazzo Pallenzo" un edificio posto nella Contrada San Carlo (attuale via Alfieri): qui tenevano dibattiti e rappresentazioni teatrali aperte ad un ristretto pubblico su invito. L’associazione crebbe fino al punto di necessitare, nel 1839, di una sede più consona; la società acquisto, dunque, un terreno adibito a campo da trincotto (una variante della pallacorda) sito in Contrada della Posta (attuale via Rossini) di fronte ai cancelli dei Giardini Reali. Diede poi l’incarico all’architetto Barnaba Panizza, il quale, però, lasciò il progetto incompiuto. Gli subentrò l’architetto ticinese Giuseppe Leoni, il quale era membro dell’accademia. I lavori di costruzione cominciarono nel 1840 e furono terminati in due anni: l’inaugurazione ebbe luogo la sera del 21 gennaio 1842 alla presenza del principe Vittorio Emanuele II, con la rappresentazione de "La Pia dei Tolomei", una tragedia di Carlo Marenco, membro anch’egli della società, e della commedia " Una visita a Bedlam" di Eugène Scribe . Nel novembre del 1847 il teatro fu sede della prima esecuzione assoluta del Canto degli italiani, composto dall'autore genovese Michele Novaro, secondo tenore e maestro dei cori dei teatri Regio e Carignano . Nel 1860 l’accademia viene sciolta e l’edificio rimane inutilizzato fino al 1881, quando l’amministrazione cittadina ne acquista la proprietà e ne destina i locali,al Liceo Musicale cittadino. Nel 1928 la scuola si trasferisce nella sede attuale di via Mazzini e il teatro diventa sede della "Casa del soldato", centro d’accoglienza e conforto per i militari di stanza in città. Nel secondo dopoguerra il Comune decide di ripristinarne l'originaria funzione, dedicando il teatro al critico teatrale e intellettuale antifascista Piero Gobetti; l’inaugurazione del ‘’Teatro Gobetti’’ ebbe luogo il 22 dicembre del 1945 con la rappresentazione della commedia Le miserie 'd Monsù Travet di Vittorio Bersezio . Il 16 settembre il comune affida il Gobetti al Piccolo Teatro di Genova e Torino, una associazione formata dal Piccolo Teatro “Eleonora “Duse” di Genova affiancata ad una piccola compagine cittadina.. Un anno più tardi, il 27 maggio del 1955, il consiglio comunale di Torino presieduto dal sindaco Amedeo Peyron decreta la fondazione del Piccolo Teatro della Città di Torino, ponendo la sede nel Teatro Gobetti: l'inaugurazione avvenne il 3 novembre, con la rappresentazione della commedia Gl'innamorati di Carlo Goldoni, affiancata dall'atto unico di Alfred De Musset Non si può pensare a tutti. Sebbene fossero stati fatti piccoli interventi di ammodernamento e manutenzione, il teatro aveva bisogno di operazioni più importanti: nel 1956 furono affidati all'architetto Mario Augusto Valinotti i lavori di restauro dell’edificio. Nel 1984, dopo i fatti del Cinema Statuto, il teatro venne ritenuto non idoneo alle norme di sicurezza e fu chiuso. Dopo diversi anni di stallo, il 23 maggio 1995 la giunta comunale presieduta dal sindaco Valentino Castellani delibera lo stanziamento di 10,88 miliardi di lire tramite mutuo con la cassa depositi e prestiti. I lavori, affidati agli architetti Luigi De Abate e Maria De Abate, ebbero inizio nel 1998 e, seppur subendo qualche ritardo, furono terminati nel 2001: l’inaugurazione avvenne il 18 aprile con l’opera La ragione degli altri di Luigi Pirandello, prodotta dalla compagnia del Teatro Stabile di Torino in collaborazione con il Teatro Stabile dell'Umbria. Nel 2016 furono affidati allo "Studio De Ferrari" i lavori per il restyling dell'atrio e della hall del teatro. Progettato dall'architetto ticinese Giuseppe Leoni, ispirato anche dall'idea iniziale del primo progettista Barnaba Panizza, l’edificio neoclassico è uno dei pochi esempio di struttura teatrale del primo Ottocento pervenutaci sostanzialmente integra . Le proporzioni particolari dell’edificio son dovute al terreno su cui sorge, destinato precedentemente ad un campo da gioco per la pallacorda. La facciata dell’edificio di tre piani è composta da un basamento a bugnato piatto, con tre ingressi, su cui poggiano 6 lesene scanalate di ordine corinzio che alternano 5 finestre sormontate da timpani, di cui tre balaustrate in marmo. Sul fregio all’ultimo piano v’era l’incisione, oggi eliminata, “’’Accademia Filodrammatica’’” . Nel 1929 l’edificio era sede della “casa del soldato”. La presidentessa dell’epoca, Idelgarda Ocella, propose di affiggere una lapide dedicata alla commemorazione della prima esecuzione assoluta del Canto degli Italiani, avvenuta proprio in quell’edificio. La Regia Sovrintendenza alle Arti, la Municipalità e il podestà Paolo Thaon di Revel approvarono la delibera per l'esecuzione e il 15 giugno 1930, il frontone della finestra centrale venne rimosso per far spazio alla posa della lapide. La lastra in marmo, opera dello scultore Edoardo Rubino, è composta da un medaglione in bronzo rappresentante il ritratto di Goffredo Mameli sovrastante l’incisione: Il foyer è composto da diverse sale. L’anticamera della sala teatrale è di forma ellittica, con il soffitto che originariamente recava un affresco dipinto da Luigi Vacca rappresentante una figura allegorica dell’Italia e diversi puttini e ritratti di personaggi piemontesi illustri. La sala delle rappresentazioni è di pianta rettangolare con fondo semicircolare. Le pareti sono ritmicamente scandite da 24 lesene ioniche che intervallano i ritratti delle nove muse dipinte dal pittore piemontese Pietro Ayres, sormontati da archivolti con scolpiti, dentro un corone di alloro e quercia, le effigi di alcuni autori italiani e stranieri. La porta d’ingreesso, centrale, è invece sovrastata da una lastra di marmo ornata con un ritratto in bassorilievo della direttrice dell’accademia all’epoca della costruzione del teatro, Carlotta Marchionni, eseguito dallo scultore Stefano Butti; sotto il ritratto v’è l’incisione: La disposizione dei posti a sedere è mutata diverse volte, passando dai tre ordini originari ai due, divisi centralmente, del XX secolo, fino ad arrivare, dopo la riprogettazione del 2001, ad un unico ordine, centrale, con tribunetta rialzata in fondo sala (opera che ha destato inizialmente qualche critica ). I tessuti del tendaggio e dei sedili sono blu. Il palco, largo 11,60 m. e profondo 9,80 m. (di cui 7,35 m. di boccascena) è dotata di una torre scenica alta 7,60 m. . Il proscenio è ornato da quattro lesene, un soffitto a cassettoni scolpiti e quinte ornate con emblemi musicali. Il teatro fu sede della prima assoluta di: Canto degli italiani di Goffredo Mameli (dicembre 1847) Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Teatro Gobetti Teatro Gobetti, su teatrostabiletorino.it. URL consultato l'8 giugno 2021.

Taverna del Santopalato

La Taverna Futurista del Santopalato, abbreviato Taverna del Santopalato, era un locale storico di Torino, primo e unico ristorante di cucina futurista in Italia. In seguito all'apertura di un ristorante di cucina futurista a Parigi su iniziativa di Filippo Tommaso Marinetti e Jules Maincave che rimase però attivo per poco tempo, e la pubblicazione del Manifesto della cucina futurista il 28 dicembre del 1930, venne annunciata su un articolo de La Stampa del Dott. Stradella l'apertura a Torino di un nuovo punto di ristoro che avrebbe servito ricette futuriste: La Taverna del Santopalato venne costruita in via Vanchiglia 2, angolo corso San Maurizio, a pochi passi da Piazza Vittorio Veneto, progettata e decorata da Fillìa e Nicolay Diulgheroff, che resero l'interno del locale simile a un sottomarino con tinteggiature in alluminio, colonne luminose e occhi metallici sulle pareti. Stando a quanto riportano le fonti, la Taverna venne inaugurata da Marinetti "dopo una febbrile giornata di intenso lavoro nella cucina, dove i futuristi Fillìa e Saladin gareggiavano con i cuochi del Ristorante". Durante la cena di apertura del locale, che perdurò fra la mezzanotte e le quattro dell'8 marzo 1931, furono servite quattordici portate ideate da Fillìa, Paolo Alcide Saladin, Diulgheroff, Enrico Prampolini e Mino Rosso che erano il frutto di combinazioni inedite di ingredienti e sapori, dove coesistevano, ad esempio, dolce e salato e carne e pesce. Fra queste vi erano il "carneplastico" (polpetta di vitello e verdure ricoperta di miele alla cui base figurano un anello di salsiccia e tre palline di pollo fritto), il "pollofiat" o "pollo d'acciaio" (un volatile ripieno di zabaglione e decorato da confetti argentati che dovevano simulare dei cuscinetti a sfere), il "brodo solare", l'"ultravirile" (per sole donne), cocktail, sandwich, del purè e il dessert (che venivano però rinominati dai futuristi rispettivamente "polibibite", "traidue", "poltiglie" e "peralzarsi"). Durante l'happening, le pietanze vennero gustate seguendo la prassi del futurismo, quindi attraverso il coinvolgimento generale di tutti i sensi (profumi, musiche e azioni tattili, come, ad esempio il consumo del cibo senza l'uso delle posate e il far passare queste su determinati materiali). La cena fu mal accolta dai critici e i partecipanti, ma qualcuno sostiene che i piatti serviti e il clima dell'evento avrebbero anticipato l'odierna gastronomia molecolare. Il locale chiuse nel 1940 per problemi economici. Filippo Tommaso Marinetti e Fillia, La cucina futurista, Sonzogno, 1932. Cristina Fantuzzi, Elena Rolla, 101 storie su Torino che non ti hanno mai raccontato, Newton Compton, 2015, pp. 70. La taverna del Santopalato. Cucina futurista Manifesto della cucina futurista Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla Taverna del Santopalato