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Museo Accorsi-Ometto

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La cour dentrée du musée des arts décoratifs (Turin) (2874931873)
La cour dentrée du musée des arts décoratifs (Turin) (2874931873)

Il Museo Fondazione Accorsi-Ometto è un museo d’arti decorative di Torino, nonché il primo fondato in Italia nel suo genere. Inaugurato nel 1999, ospita la collezione permanente del celebre antiquario torinese Pietro Accorsi e quella di Giulio Ometto, nonché eventi culturali e mostre temporanee.

Estratto dall'articolo di Wikipedia Museo Accorsi-Ometto (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

Museo Accorsi-Ometto
Torino Circoscrizione 1

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10124 Torino, Circoscrizione 1
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La cour dentrée du musée des arts décoratifs (Turin) (2874931873)
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Luoghi vicini

Liceo classico Vincenzo Gioberti
Liceo classico Vincenzo Gioberti

Il liceo Classico e Linguistico Statale Vincenzo Gioberti di Torino è uno dei più antichi licei italiani. Si tratta di uno dei quattro licei classici statali della città, insieme al D'Azeglio, il Cavour e l'Alfieri. Situato nel centro della città capoluogo piemontese, ha due sedi e l'indirizzo Linguistico, in cui si studiano il tedesco, il francese e lo spagnolo. Il liceo "Vincenzo Gioberti" venne fondato come Regio Collegio di San Francesco da Paola presso l'antico complesso conventuale dei Frati Minimi, edificato a partire dal 1627 in Contrada di Po a Torino grazie alle donazioni di Maria Cristina di Borbone-Francia, moglie di Vittorio Amedeo I di Savoia, e diretto a partire dal 1821 dai Gesuiti. Istituito il 4 marzo 1865, tra i primi 68 licei classici del Regno d'Italia e a lungo il più frequentato di tutto il Regno, fu intitolato al filosofo e politico italiano Vincenzo Gioberti, tra le figure più importanti del Risorgimento. Nel 1969 è stato sede della prima "commissione fabbriche" costituita in una scuola superiore italiana, citata nel film Vento dell'est di Jean-Luc Godard. Nel 2020, durante la pandemia di COVID-19, è stato attivo nelle proteste studentesche pacifiche contro la chiusura delle scuole e per il ritorno in sicurezza degli studenti in presenza e segnò l'inizio delle proteste a livello liceale di tutta italia. L'istituto conta 1.370 iscritti (anno scolastico 2020/2021) ed è articolato in sezioni di classico tradizionale e di classico linguistico. Dall'anno scolastico 2005-2006 all'interno dell'istituto viene pubblicato il giornale scolastico Joe Berti, che include rassegne di cronaca internazionale, cucina, poesia e arte. La sede storica, in Via Sant'Ottavio 9/11, nel pieno centro di Torino e a pochi metri dal Palazzo delle facoltà umanistiche dell'Università e dalla Mole Antonelliana, risale ai primi anni del XX secolo. Il liceo si è ampliato nel 2001 e comprende una parte dell'edificio scolastico in via Giulia di Barolo, condiviso con il liceo Gobetti. La sede principale, che comprende oltre alle aule ordinarie anche l'Aula magna intitolata a Piero Gobetti, laboratori di fisica, chimica, linguistici e informatici, aule specifiche per l'insegnamento di scienze e storia dell'arte e una biblioteca, è stata oggetto di restauro nel 2007. Le sue aule conservano molti reperti naturalistici con un vasto assortimento di animali impagliati, strumentistica d'epoca di fisica e chimica e numerosi campioni di pietre e minerali. A. Torricella, Torino e le sue vie, Torino, Borgarelli, 1868 A. Galante Garrone, P. Borgna, Il mite giacobino. Conversazione su libertà e democrazia, Roma, Donzelli, 1994 C. Dionisotti, Ricordi della scuola italiana, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1998 G. Viglongo, Notarelle gobettiane, Roma, Robin Edizioni, 2003 A. Ascenzi, Tra educazione etico-civile e costruzione dell'identità nazionale. L'insegnamento della storia nelle scuole italiane dell'Ottocento, Milano, Vita e Pensiero, 2004 A. Pronzato, Il folle di Dio: san Luigi Orione, Milano, Edizioni Paoline, 2004 E. Guastone Belcredi, La carriera. Pagine di vita diplomatica, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2006 Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Liceo classico Vincenzo Gioberti Sito ufficiale, su liceogioberti.gov.it.

Palazzo Nuovo (Torino)

Palazzo Nuovo è un edificio in Via Sant'Ottavio 20 a Torino. Attualmente è una delle principali sedi dell'Università degli Studi di Torino. Costruito tra il 1961 e il 1966 dagli architetti Gino Levi-Montalcini, Felice Bardelli, Sergio Hutter e Domenico Morelli in seguito a un concorso bandito dall'Università di Torino per la nuova sede delle facoltà umanistiche, è stato oggetto di critiche sin dalla sua inaugurazione e più volte discusso e contestato per il suo impatto visivo e volumetrico rispetto all'ambiente edilizio e storico circostante. Negli anni '70 l'edificio fu più volte terreno di scontri tra studenti di diverse tendenze politiche e la polizia, nonché di occupazioni ed assemblee studentesche, specialmente negli anni 1976 e 1977, con danni non indifferenti alla struttura ed alle aule. Negli anni 2011 - 2012 le fiancate dell'edificio sono state interessate da una complicata opera di pittura di murales molto colorati per spezzare l'uniformità cromatica delle facciate. Tuttavia, uno di questi è stato cancellato dalla recente riqualificazione che ha coinvolto l'esterno dell'edificio, reso adesso più simile allo stile del neonato Campus Luigi Einaudi e, inoltre, ottimizzato per quanto riguarda l'efficienza energetica. Nella primavera 2015 è stato chiuso per mesi per ragioni precauzionali, causa sospetta presenza di amianto. Nel settembre 2015 è iniziata una riapertura graduale, mentre nel 2016 sono proseguiti i lavori di bonifica dell'edificio. Nel 2018 è iniziata la riqualificazione complessiva e la messa a norma rispetto alle regole di sicurezza del costo di circa un milione di euro. Inoltre verranno riorganizzati i dipartimenti: il sesto e ultimo piano sarà messo a disposizione di Filosofia (attualmente al secondo), come parte del quinto, dove ci saranno anche uffici e aule seminario di Storia e Lettere, ora chiamata studi umanistici, mentre il quarto e il terzo piano saranno divisi tra questi ultimi due dipartimenti. Il prossimo passaggio riguarda le biblioteche per cui sarà necessario trovare i fondi. "Palazzo delle Facoltà Umanistiche dell'università di Torino", in Agostino Magnaghi, Mariolina Monge, Luciano Re, Guida all'architettura moderna di Torino, Lindau, Torino 1995, pp. 244-245 Giulietta Fassino, "L'edilizia universitaria", in Regione Piemonte, Osservatorio regionale per l'Università e per il Diritto allo studio universitario (a cura di), I numeri del Sistema universitario in Piemonte: azioni, risultati, prospettive, Torino 2010, pp. 244-313 Università degli studi di Torino Palazzo dell'Università (Torino) Campus Luigi Einaudi Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Palazzo Nuovo Scheda su MuseoTorino

Piazza Vittorio Veneto (Torino)
Piazza Vittorio Veneto (Torino)

Piazza Vittorio Veneto (detta semplicemente Piazza Vittorio dai torinesi), è una delle piazze storiche e porticate di Torino, situata nella parte orientale del centro cittadino, tra il termine di via Po e la riva sinistra del fiume Po. La piazza termina con lo storico ponte Vittorio Emanuele I, che collega la piazza stessa, insieme ai due lungofiume viari laterali e i cosiddetti Murazzi del Po, alla riva destra del fiume, permettendo così l'accesso al quartiere detto di Borgo Po, dove sono chiaramente visibili la chiesa della Gran Madre di Dio, il Monte dei Cappuccini e le strade viarie di accesso alla parte orientale e collinare della città. Data la straordinaria capienza (40 000-100 000 persone circa, oggi limitata a circa 38 000 per motivi di sicurezza), la piazza si presta da sempre ad accogliere eventi di massa, come concerti, spettacoli e manifestazioni culturali di vario tipo. È notoriamente luogo di ritrovo e di aggregazione, soprattutto giovanile. Numerosi i locali che vi si affacciano direttamente, molto frequentati soprattutto durante il fine settimana. Di forma rettangolare con un lato a semicerchio, si estende su una superficie di 31.000 m² (360 x 111 metri massimi). È erroneamente diffusa tra i torinesi l'idea che sia la piazza più grande di Torino, o addirittura d'Italia o d'Europa (lo è, tuttavia, come piazza porticata); invece, la piazza più grande di Torino risulterebbe piazza della Repubblica (51.300 m²). Questo luogo seguì passo passo le vicissitudini dell'intera storia di Torino, a partire dai primi insediamenti umani nella zona a ridosso del fiume Po (l'Eridano), come la presenza delle tribù dei Taurini-Taurisci nel cosiddetto villaggio di Taurasia, attestato già nel III secolo a.C. (che per alcuni storici si sarebbe trovato più a nord, ovvero alla confluenza con il fiume Dora Riparia). La successiva presenza della colonia romana (castrum romano) nei primi secoli dopo Cristo, attraverso l'accesso orientale alla cittadina di Augusta Taurinorum verso la cosiddetta Porta Praetoria, successivamente chiamata Fibellona e poi piazza Castello, rafforzò ulteriormente l'importanza strategica del luogo come ingresso, provenendo da Roma, all'intero castrum. All'epoca, infatti, esisteva solo uno stradone di accesso, l'attuale via Po, che confluiva verso le rive del fiume attraverso imbarcazioni prima, precari ponti a levatoio e in legno nei successivi secoli. L'antico spiazzo che precedeva il ponte sul fiume fu quindi chiamato "Porta di Po". Come verosimilmente poteva esser stato al tempo dei Taurini, l'intera zona, molto esposta all'attacco nemico, doveva servire come area di avvistamento militare e strategico nei confronti degli invasori e doveva quindi prevedere piccole torrette di avvistamento, sparse qua e là nei pressi del lungofiume. In epoca medioevale, ad esempio, è attestato già dal X secolo circa il cosiddetto "Bastione della Rocca", dove oggi sorge l'attuale via della Rocca; il bastione ospitava delle torrette non solo per avvistamenti militari, ma per prevenire eventuali principi di incendi delle casette in legno sottostanti, comprese quelle intorno allo spiazzo antistante che serviva come abitazione a pescatori e traghettatori, ma anche casette adibite a mulini ad acqua. Il ricovero delle imbarcazioni diventerà quello che verrà chiamato il lungo fiume dei "Murazzi del Po". Una prima forma della piazza si determinò all'inizio del XIV secolo, proprio grazie alla definizione perimetrale delle case che composero la nascente contrada a ridosso dello stesso fiume Po. A partire dal XV secolo, poi, fu costruito il primo ponte in pietra sul fiume, che diede un ulteriore slancio allo sviluppo demografico della zona. Tuttavia, l'aria insalubre a ridosso del fiume, culminata poi con le epidemie di peste del XVII secolo, dovette far riflettere sul risanamento sanitario e urbano dell'intera zona, chiamata "Contrada di Po". I lavori partirono soltanto nel 1620, quando il duca Carlo Emanuele II di Savoia diede ordine all'architetto Amedeo di Castellamonte di contribuire alla seconda espansione urbanistica della città del XVII secolo, soprattutto attraverso la costruzione di edifici più eleganti, e soprattutto porticati, lungo la "via di Po". Da una precedente idea del Vittozzi, la via stessa doveva permettere una continuità del porticato stesso, per permettere ai cittadini di transitare al coperto durante il tragitto che partiva dal Palazzo Reale, lungo i due lati di via Po, in direzione del fiume. Il percorso doveva quindi confluire naturalmente nel largo spiazzo della piazza, detta Porta di Po, ma poi utilizzato per molto tempo per le parate militari e quindi ribattezzata nuova "Piazza d'Armi"; complice qui fu anche il lieve dislivello del suolo, che contribuì ad aumentare l'effetto scenico delle adunate. La piazza, infatti, non è in piano, ma tra il lato che immette in via Po e quello sul fiume vi sono ben 7,19 metri di discesa. La monumentale Porta di Po fu demolita con i bastioni nel periodo dell'annessione di Torino all'Impero Napoleonico, ne furono rinvenuti i resti durante i lavori di realizzazione del parcheggio interrato. Durante il periodo dell'occupazione francese, Torino fu governata dal cognato di Napoleone, Camillo Borghese e, come tanti altri luoghi della città, la Porta di Po, adibita a nuova Piazza d'Armi, fu rinominata con un nome francese, ovvero Place Impérial. Nel 1807, in occasione del rifacimento del ponte sul fiume Po, così come lo si vede oggi, fu anch'essa rimaneggiata dai francesi. Lo stesso ingegnere francese del ponte, La Ramée Pertinchamp, suggerì una topografia della piazza a "ventaglio", influenzato probabilmente da alcuni progetti passati riguardanti una struttura a "esedra", per ottenere un impatto scenico-visivo maggiore. Con la ritirata dell'esercito di Napoleone e la fine del dominio francese, il ritorno del re Vittorio Emanuele I di Savoia il 20 maggio 1814, come è indicato anche dalla scritta sopra la chiesa della Gran Madre di Dio e la prospiciente statua del monarca a lui dedicata sulla opposta riva del fiume, fu accolto in totale trionfo della città, a tal punto che sia il ponte che la piazza, furono intitolati al "Tenacissimo" monarca. Vittorio Emanuele I, sostenitore dell'avanzamento dei lavori della piazza a lui intitolata, stabilì tuttavia che il progetto semicircolare fosse modificato nell'attuale forma a "rettangolo", e dunque già nel 1817 furono apportate le debite modifiche, già in corso di cantiere: questo lo si può notare ancor oggi dalla forma rimasta ancora curva sul solo lato di via Po, per poi estendersi in rettangolo fino al fiume. L'entusiasmo del re per l'effetto che la nuova piazza dava come luogo di adunata militare fu smorzato soltanto qualche anno dopo, quando questo luogo perse gradualmente d'importanza a causa dell'imminente progetto di ampliamento urbanistico della città verso sud, che avverrà intorno al 1825, con lo spostamento della Piazza d'Armi della città nella zona più a sud, detta di "San Secondo" (zona di Borgo Nuovo e zona di Porta Nuova). Gli eleganti palazzi perimetrali intorno alla piazza furono progettati dall'architetto ticinese Giuseppe Frizzi nel 1821 circa; egli aggiunse alle classiche linee ancora barocche di via Po, elementi neoclassici semplici, con pilastri e arcate a tutto sesto al piano porticato e altri tre piani sovrastanti, congiungendo il porticato in entrambi i lati ai già esistenti semicerchi verso via Po. Il dislivello della piazza da via Po fino al fiume, inoltre, fu abilmente mascherato dall'architetto attraverso il disegno prospettico degli edifici sui due lati, in modo proprio da nasconderlo; si può intuire questa differenza soltanto passeggiando sotto i portici, verso il Po, dove al fondo si potrà notare che gli stessi sono leggermente più alti rispetto al livello di calpestio di quanto lo siano al principio della piazza.. In totale, i tre edifici lungo i lati maggiori della piazza, pur in continuità di porticato, tagliano, di fatto, le attuali via Bonafus-via Della Rocca-via Plana fino a lungo Po Diaz a sud, via Giulia di Barolo-via Vanchiglia-via Bava fino a lungo Po Cadorna a nord. Gli edifici furono realizzati nella pratica soltanto a partire dal periodo della Restaurazione, ovvero durante gli ultimi anni di reggenza di Carlo Felice di Savoia (periodo 1825-1831), inserendoli nel più grande progetto di un secondo ampliamento della città verso il fiume, la costruzione di una piazza in asse con via Po e la nascita del quartiere Borgo Nuovo verso nord. Lungo tutto il XIX secolo, piazza Vittorio divenne quindi un elegante ritrovo per molti torinesi, nobili e non, arricchendosi di locali e bistrot sotto i portici, fino ai giorni nostri. Fu un'importante vetrina torinese e sede centrale di manifestazioni varie, quali le esposizioni torinesi del 1884 e del 1911, di comizi ufficiali, e dello storico Carlevé 'd Turin, ovvero il carnevale di Torino. Nel 1913 venne inaugurato il Cinema Impero, oggi Classico. Alla fine degli anni dieci del XX secolo, dovendo scegliere una piazza da dedicare alla vittoriosa battaglia di Vittorio Veneto, episodio che chiuse vittoriosamente la prima guerra mondiale per l'Italia, si optò per questa, poiché popolarmente già nota semplicemente come "Piazza Vittorio" per la popolazione torinese. Come tante altre in Italia, la piazza fu formalmente ribattezzata con questo nome a partire dal 1920. La piazza fu ancora ampiamente utilizzata come Piazza d'Armi per le adunate del fascismo e per gli eventi ufficiali del regime stesso, come la visita del Duce del 14 maggio 1939, ma fu particolarmente martoriata durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale, in particolare quelli dell'estate 1943, quando furono significativamente danneggiati gli eleganti edifici perimetrici, specialmente quello tra via Bonafus e via Della Rocca. Tutta la zona e gli edifici circostanti subirono ingenti distruzioni a causa della presenza della caserma all'angolo con via Principe Amedeo che fu infine rasa al suolo, creando uno spiazzo in cui per anni si tenne la Fiera dei Vini, di grande attrazione per i torinesi. Proprio per questo motivo, piazza Vittorio Veneto fu scelta come luogo ufficiale per le sfilate per le celebrazioni della liberazione d'Italia, a partire proprio dai giorni di fine aprile 1945, fino a confluire nella grande festa ufficiale in piazza, che avvenne proprio qui, il 6 maggio 1945. Da quel momento la piazza divenne anche luogo di raduni politici e partenze di cortei per proteste e scioperi dei lavoratori, in particolare, per la ricorrenza della Festa del lavoro. Nel XX secolo piazza Vittorio ha continuato ad essere sede di manifestazioni e raduni. Negli anni sessanta, fu deciso di realizzare l'illuminazione della piazza con i tipici "lampioni impero con braccio a cornucopia", che peraltro esistevano già come di evince dalla foto del 6 maggio 1945 qui a fianco. Il 1º maggio 1971, la piazza fu teatro di un tragico fatto di cronaca nera, con l'uccisione a colpi di arma da fuoco di quattro persone nel bar all'angolo con lungo Po Armando Diaz, nell'ambito dei contrasti tra componenti del cosiddetto racket delle braccia nel settore dell'edilizia. La piazza continuò a esser sede dello storico carnevale, quest'ultimo arricchito sempre più negli anni di attrazioni, giochi, e giostre meccaniche, fino a che, nel 1977, una navicella di una giostra volante si staccò, cadde, e vi morì una bambina. L'incidente provocò non poche polemiche, tanto che negli anni successivi si decise di spostare i vari luna park di Torino verso aree più idonee, rispetto al centro, ovvero verso la periferia. Le giostre meccaniche della piazza rimasero quindi in questo luogo soltanto parzialmente fino al 1986, quando l'allora prefetto Sparano fece definitivamente vietare qui la presenza delle giostre meccaniche, autorizzandovi soltanto spazi espositivi, cortei e sfilate storico-folkloristiche.. La piazza acquistò, insieme alla zona degli ex ricoveri per imbarcazioni lungo le rive del fiume, comunemente detti "Murazzi del Po", un valore turistico e divenne un tradizionale luogo di diporto giovanile e mondano torinese, complice anche la vicinanza alle varie sedi universitarie. Tuttavia, la progressiva chiusura dei locali serali e notturni dei "Murazzi del Po" a partire dal 2012 ha riversato l'intera popolazione torinese a ritrovarsi soltanto più nella piazza e nelle vie limitrofe a essa, fino al vicino quartiere di Borgo Vanchiglia. Nel periodo 2003-2006, in occasione delle Olimpiadi invernali 2006 a Torino, insieme ad altre opere di riqualificazione della città, fu decisa l'intera ristrutturazione della piazza, mantenendo comunque le stesse pendenze precedenti, sia in larghezza che in lunghezza, e lo stesso utilizzo in superficie stradale delle vie di accesso centrali e laterali, con gli spiazzi pedonali per dehor e passeggiate ai lati. Fu quindi scavato e costruito un parcheggio sotterraneo a pagamento e fu rifatta la pavimentazione pedonale di superficie, con il posizionamento di mattonelle a cubetti di porfido. La piazza è altresì tradizionale sede dei festeggiamenti conclusivi per la festa patronale di San Giovanni Battista; fino al 2017 vi fu la presenza del tradizionale spettacolo pirotecnico dei fuochi d'artificio sul fiume Po, poi sostituito dallo spettacolo aereo eseguito da droni luminosi, a partire dal 2019. La piazza ha ospitato anche alcune visite pastorali di vari pontefici della Chiesa Cattolica, tra cui papa Giovanni Paolo II il 13 aprile 1980 e papa Francesco il 21 giugno 2015. Dal 2014 ha qui sede legale (nello storico Cinema Classico già Impero - Vittorio Veneto - Empire) la casa di distribuzione cinematografica italiana Movies Inspired. Il folle inseguimento delle auto di Un colpo all'italiana di Peter Collinson, del 1969, si svolge sotto i portici di piazza Vittorio Veneto. Alcune scene notturne del film La seconda volta, di Mimmo Calopresti, del 1995, sono state girate in un'affollata e trafficata piazza Vittorio. Giovanni Battista Pioda, "Elogio funebre dell'architetto Giuseppe Frizzi di Minusio recitato dal capitano G.B. Pioda", in Osservatore del Ceresi, 44, Lugano 1831, 417-418. Emilio Motta, "L'architetto Giuseppe Frizzi", in Bollettino Storico della Svizzera italiana, VII, 1.2, Bellinzona 1895, 89-90. Giuseppe Bianchi, Gli artisti ticinesi. Dizionario biografico, Libreria Bianchi, Lugano 1900, 84. Luigi Simona, Artisti della Svizzera italiana a Torino e in Piemonte, Lugano 1933, 72-73. AA.VV., Giuseppe Frizzi (Minusio 10 febbraio 1797 - Montafia, 13 ottobre 1831), Montafia d'Asti 1977, 1-9. Elena Gianasso, "Giuseppe Frizzi di Minusio. Un architetto urbanista della Torino ottocentesca", in Giorgio Mollisi (a cura di), Svizzeri a Torino nella storia, nell'arte, nella cultura, nell'economia dal Cinquecento ad oggi, «Arte&Storia», anno 11, numero 52, ottobre 2011, Edizioni Ticino Management, Lugano 2011. Renzo Rossotti, Le strade di Torino, Roma, Newton Compton, 1995, ISBN 88-8183-113-9. Luoghi d'interesse a Torino Ponte Vittorio Emanuele I Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su piazza Vittorio Veneto Piazza Vittorio Veneto, già Piazza di Po, su museotorino.it.

Museo della Radio e della Televisione
Museo della Radio e della Televisione

Il Museo della Radio e della Televisione è un museo di Torino, situato nel Centro di produzione Rai di via Giuseppe Verdi, 14-16, e dedicato alla Storia della radio e della televisione in Italia. Il primo progetto di un museo della radio risale al 1939. All'epoca, l’Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche aveva Direzione Generale e Laboratorio Ricerche a Torino. La guerra interruppe il progetto; esso fu recuperato nella seconda metà degli anni '60 da un gruppo di esperti, tra cui l’ingegner Banfi (già direttore tecnico dell’EIAR). Il materiale raccolto, che inizialmente doveva essere ospitato nello storico palazzo aziendale di Via dell’Arsenale 21, trovò una sistemazione provvisoria presso il Centro di produzione Rai; nel 1980 una parte dei cimeli venne collocata in alcune vetrine dell’atrio. Nel 1984, in occasione della mostra La Radio, storia di sessant’anni: 1924-1984, la collezione venne presentata per la prima volta al pubblico. L'inaugurazione vera e propria del Museo fu nel 1993: la raccolta fu ordinata, restaurata e ampliata, e si stabilì permanentemente nella Sala Enrico Marchesi del Centro di produzione Rai.Ad inizio 2020, sotto il nuovo direttore Alberto Allegranza, venne stabilita la seguente trasformazione: “Da Museo tecnico per collezionisti di oggetti, a spazio esperienziale e multimediale che accoglie la diversità di gusti del pubblico in un’atmosfera da studio televisivo”. Dopo nove mesi di lavoro, il 26 settembre 2020 è stato inaugurato il "nuovo" Museo. Il percorso del museo parte dal primo telegrafo Wheatstone per arrivare fino al DVD-Video. Le raccolte sono impreziosite anche dalla presenza di arredi di storici programmi Rai, quali Rischiatutto e Portobello. Musei di Torino Luoghi d'interesse a Torino Museo della Radio e della Televisione, su museotorino.it. Museo della radio e della televisione di Torino, su beniculturali.it. Museo della Radio e della Televisione, su comune.torino.it. Museo della Radio e della Televisione, su museionline.info. Museo della Radio e della Televisione, su rai.it.

Taverna del Santopalato

La Taverna Futurista del Santopalato, abbreviato Taverna del Santopalato, era un locale storico di Torino, primo e unico ristorante di cucina futurista in Italia. In seguito all'apertura di un ristorante di cucina futurista a Parigi su iniziativa di Filippo Tommaso Marinetti e Jules Maincave che rimase però attivo per poco tempo, e la pubblicazione del Manifesto della cucina futurista il 28 dicembre del 1930, venne annunciata su un articolo de La Stampa del Dott. Stradella l'apertura a Torino di un nuovo punto di ristoro che avrebbe servito ricette futuriste: La Taverna del Santopalato venne costruita in via Vanchiglia 2, angolo corso San Maurizio, a pochi passi da Piazza Vittorio Veneto, progettata e decorata da Fillìa e Nicolay Diulgheroff, che resero l'interno del locale simile a un sottomarino con tinteggiature in alluminio, colonne luminose e occhi metallici sulle pareti. Stando a quanto riportano le fonti, la Taverna venne inaugurata da Marinetti "dopo una febbrile giornata di intenso lavoro nella cucina, dove i futuristi Fillìa e Saladin gareggiavano con i cuochi del Ristorante". Durante la cena di apertura del locale, che perdurò fra la mezzanotte e le quattro dell'8 marzo 1931, furono servite quattordici portate ideate da Fillìa, Paolo Alcide Saladin, Diulgheroff, Enrico Prampolini e Mino Rosso che erano il frutto di combinazioni inedite di ingredienti e sapori, dove coesistevano, ad esempio, dolce e salato e carne e pesce. Fra queste vi erano il "carneplastico" (polpetta di vitello e verdure ricoperta di miele alla cui base figurano un anello di salsiccia e tre palline di pollo fritto), il "pollofiat" o "pollo d'acciaio" (un volatile ripieno di zabaglione e decorato da confetti argentati che dovevano simulare dei cuscinetti a sfere), il "brodo solare", l'"ultravirile" (per sole donne), cocktail, sandwich, del purè e il dessert (che venivano però rinominati dai futuristi rispettivamente "polibibite", "traidue", "poltiglie" e "peralzarsi"). Durante l'happening, le pietanze vennero gustate seguendo la prassi del futurismo, quindi attraverso il coinvolgimento generale di tutti i sensi (profumi, musiche e azioni tattili, come, ad esempio il consumo del cibo senza l'uso delle posate e il far passare queste su determinati materiali). La cena fu mal accolta dai critici e i partecipanti, ma qualcuno sostiene che i piatti serviti e il clima dell'evento avrebbero anticipato l'odierna gastronomia molecolare. Il locale chiuse nel 1940 per problemi economici. Filippo Tommaso Marinetti e Fillia, La cucina futurista, Sonzogno, 1932. Cristina Fantuzzi, Elena Rolla, 101 storie su Torino che non ti hanno mai raccontato, Newton Compton, 2015, pp. 70. La taverna del Santopalato. Cucina futurista Manifesto della cucina futurista Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla Taverna del Santopalato

Museo nazionale del cinema
Museo nazionale del cinema

Il Museo Nazionale del Cinema è un museo sito a Torino con sede nel monumento simbolo della città, la Mole Antonelliana. Il Museo si sviluppa a spirale verso l’alto, su più livelli espositivi, dando vita a una presentazione ricca di collezioni che ripercorre la storia del cinema dalle origini ai giorni nostri. In una cornice di scenografie, proiezioni e giochi di luce, arricchita dall'esposizione di fotografie, bozzetti, manifesti e oggetti d'epoca, i percorsi di visita danno vita a una presentazione che consente di scoprire in prima persona i segreti nascosti dietro la macchina da presa e le fasi che precedono la proiezione del film. Il Museo racchiude e illustra tutta la storia del cinema in un itinerario interattivo: dal teatro d’ombre e le prime affascinanti lanterne magiche che hanno costituito la preistoria della “settima arte”, ai più spettacolari effetti speciali dei nostri giorni. Nel 2022 ha ricevuto 567 182 visitatori, risultando uno dei musei più visitati d'Italia. Nel progettare l’allestimento museale lo scenografo svizzero François Confino non ha dovuto soltanto tener conto delle caratteristiche dell’edificio che lo ospita, ma, seguendo il crescendo antonelliano, ha sovrapposto livelli diversi di lettura, combinando le necessità di un rigoroso impianto scientifico con le esigenze di una presentazione spettacolare che si propone di riprodurre e giocare con i meccanismi della fascinazione che sono alla base della rappresentazione cinematografica. Il museo si sviluppa a spirale verso l'alto su più livelli espositivi che ripercorrono la storia del cinema dalle origini ai giorni nostri. Al piano dedicato all'Archeologia del Cinema si possono visitare otto aree tematiche per sperimentare in prima persona gli spettacoli ottici e i dispositivi che hanno segnato alcune tappe fondamentali per la nascita del cinema. Cuore spettacolare del Museo è l'Aula del Tempio, circondata da aree espositive dedicate ai grandi generi della storia del cinema, più un’area dedicata al capolavoro del cinema muto italiano, Cabiria e una a Torino “Città del Cinema”. Dall’Aula si accede alla Rampa elicoidale che, come una pellicola cinematografica, si srotola a salire verso la cupola: il percorso è sede delle mostre temporanee e permette di ammirare dall’alto l’Aula in una visione spettacolare e mozzafiato. La Macchina del Cinema illustra le diverse componenti e fasi dell’industria del film: gli studi di produzione, la regia, la sceneggiatura, gli attori e lo star system, i costumi di scena, la scenografia, gli storyboard, la sala cinematografica. Si sale alla Galleria dei Manifesti, che ripercorrono la storia del cinema, i film e gli autori più rilevanti e illustrano l’evoluzione del gusto figurativo, della grafica e della cartellonistica pubblicitaria italiana e internazionale. Il Museo Nazionale del Cinema è anche un polo di iniziative culturali, tra i più importanti a livello nazionale e internazionale. Ricerche d’avanguardia sulla conservazione dei materiali e sulla storia del cinema, un vasto programma di restauri, iniziative editoriali, rassegne cinematografiche, incontri con autori e protagonisti del cinema, programmi didattici. Da diversi anni il Museo Nazionale del Cinema ha ulteriormente rafforzato il suo impegno nel recupero e nel restauro di pellicole che si pensavano irrimediabilmente perdute. Molte le iniziative realizzate in collaborazione con prestigiose istituzioni di tutto il mondo, presentate poi, riscuotendo ampi consensi di pubblico e critica, nei maggiori festival di cinema internazionali. Il presidente del comitato di gestione della Fondazione M.A. Prolo - Museo Nazionale del Cinema è l'ex parlamentare Enzo Ghigo. Il primo progetto di costituire un museo italiano del cinema risale al giugno 1941, quando la studiosa piemontese di storia e di cinema Maria Adriana Prolo (1901–1991) cominciò a lavorare per realizzare l'idea. Col sostegno artistico di alcuni pionieri del cinema, tra cui il regista astigiano Giovanni Pastrone, che nel 1914 diresse proprio a Torino Cabiria, il più grande kolossal del cinema muto italiano, e col sostegno giornalistico di Francesco Pasinetti, arrivarono i primi contributi finanziari per l'acquisto di cimeli e documenti della storia del cinema italiano. Il materiale fu inizialmente immagazzinato in una sala della Mole Antonelliana, concessa dal Comune di Torino. Terminata la seconda guerra mondiale, nel 1946 fu organizzata nel capoluogo piemontese la prima mostra retrospettiva nella galleria sotterranea di via Roma, seguita da altre mostre temporanee negli anni 1950-1951. Nel 1952 poi, il nascente museo partecipò ad una delle prime trasmissioni televisive sperimentali, fornendo materiali e consulenze. Queste attività stimolarono l'interesse del pubblico e degli studiosi sulla collezione di cimeli, che però non riusciva a trovare un'esposizione permanente. L'idea iniziale di insediare il museo all'interno della Mole Antonelliana di Torino sfumò nel 1953, a causa di una tromba d'aria che danneggiò gravemente l'edificio. Nello stesso anno, arrivò a Torino Henri Langlois, fondatore della Cinémathèque française e del Musée du cinéma di Parigi, il quale incontrò giornalisti e consiglieri comunali e li persuase della necessità di dare una sistemazione adeguata al patrimonio raccolto. Il 7 luglio 1953, si costituì ufficialmente l'Associazione Museo del cinema, che aveva tra i soci fondatori il regista Pastrone (all'epoca con lo pseudonimo Piero Fosco), lo sceneggiatore Arrigo Frusta, lo scrittore e critico cinematografico Mario Gromo, l'architetto Leonardo Mosso, Carlo Giacheri e l'imprenditore cinematografico e giornalista Giordano Bruno Ventavoli. Nello stesso periodo la professoressa Prolo fu nominata presidente dell'Associazione; nel 1956 fu anche nominata direttrice a vita del museo che, nel frattempo aveva trovato una sua sistemazione definitiva. Furono infatti sfruttati gli spazi di un'ala di Palazzo Chiablese, edificio situato tra la centralissima Piazzetta Reale (sul lato nord di Piazza Castello) e piazzetta San Giovanni (Duomo di Torino). Fu allestito il piano terreno, mentre una sala era adibita a locale di proiezione; la cineteca e la biblioteca furono collocati al piano superiore. La sede museale fu inaugurata al pubblico il 27 settembre 1958. Il Museo divenne membro dell'Associazione nazionale dei musei italiani nel 1959, e fu riconosciuto tra i musei medi dello Stato nel 1960. Alcune delle manifestazioni più importanti di questo periodo compresero una "Mostra della caricatura nella fotografia e nel cinema dal 1839 al 1939" nel 1960, la "Mostra della Stereoscopia" nel 1966, una rassegna del cinema muto italiano in collaborazione con l'Istituto di storia del cinema e dello spettacolo dell'Università di Torino nel 1973, la "Mostra dei manifesti del cinema muto italiano" nel 1974. Nel 1975 poi, si tenne a Torino il trentunesimo congresso della FIAF (Fédération internationale des archives du film), che comprendeva anche un convegno su Pastrone e David W. Griffith. Il museo fu quindi chiuso al pubblico per ragioni di sicurezza nel 1983, alcuni mesi dopo l'incendio del Cinema Statuto. Alcuni allestimenti furono quindi spostati nel 1986 presso la sede dello storico e piccolo Cinema Massimo di via Verdi, vicino alla Mole Antonelliana e al Centro di produzione Rai di Torino. Nel 1991 la professoressa Prolo morì, e l'anno dopo il museo divenne una Fondazione, che prese il suo nome, sostenuta dall'Associazione Museo nazionale del cinema, dagli enti locali e della Cassa di Risparmio di Torino, tuttavia ancora con la sede provvisoria nei piccoli spazi del Cinema Massimo. Nel 1995, in occasione del centenario della nascita del cinema, fu deciso di trasferire l'allestimento del museo presso l'interno della vicina Mole Antonelliana così come fu inizialmente raccolto nel 1946. In una scenografia suggestiva, organizzata dall'architetto torinese Gianfranco Gritella e lo scenografo svizzero François Confino, nel luglio 2000 venne inaugurata l'attuale sede, presso l'interno della Mole Antonelliana. In breve tempo il museo divenne tra i più visitati, con oltre due milioni di visitatori nei primi cinque anni e mezzo di attività (2000-2005). Nel 2004 il regista Davide Ferrario ambientò qui il film Dopo mezzanotte facendo conoscere il museo al grande pubblico. In occasione dei XX Giochi olimpici invernali di Torino 2006, l'allestimento fu rinnovato con nuove postazioni multimediali e interattive, tre nuovi ambienti dedicati al western, al musical e alla fantascienza, e un restauro del film Cabiria di Giovanni Pastrone. Amedeo Benedetti, Gli archivi delle immagini. Fototeche, cineteche e videoteche in Italia, Genova, Erga, 2000, SBN IT\ICCU\REA\0048559. Amedeo Benedetti, Museo Nazionale del Cinema, in Il Cinema documentato. Cineteche, Musei del Cinema e Biblioteche cinematografiche in Italia, Genova, Cineteca D.W. Griffith, 2002, pp. 16–25, SBN IT\ICCU\LO1\0712717. Musei di Torino (e luoghi d'interesse a Torino in generale) Cinema Mole Antonelliana Precinema Torino Film Festival Attilio Prevost (1890-1954) Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sul Museo nazionale del cinema Sito ufficiale, su museocinema.it. Museo nazionale del cinema, su CulturaItalia, Istituto centrale per il catalogo unico. Associazione Museo Nazionale del Cinema (AMNC), su amnc.it. Legge statale, su normattiva.it, 29 dicembre 2000, n. 404 (Interventi in favore del Museo nazionale del cinema "Fondazione Maria Adriana Prolo" di Torino). Film Commission Torino Piemonte, su fctp.it. Torino Città del Cinema 2020, su torinocittadelcinema2020.it. Enciclopedia del cinema in Piemonte, su torinocittadelcinema.it. Piemonte Movie Glocal Network, su piemontemovie.com.