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Grand Hotel Rimini

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Grand Hotel Rimini
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Il Grand Hotel Rimini è uno storico hotel di lusso di Rimini, eletto monumento nazionale nel 1994 e situato nel Parco Federico Fellini. Fa parte dei Locali storici d'Italia.

Estratto dall'articolo di Wikipedia Grand Hotel Rimini (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

Grand Hotel Rimini
Viale Alfredo Cappellini, Rimini

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Grand Hotel di Rimini (Grand Hotel Rimini)

Viale Alfredo Cappellini
47921 Rimini
Emilia-Romagna, Italia
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Luoghi vicini

Chiesa di San Nicolò al Porto
Chiesa di San Nicolò al Porto

L'antica chiesa di San Nicolò al Porto era una chiesa cattolica di Rimini, situata nella zona del porto. In precedenza dedicata a San Lorenzo, cambiò nome nel XII secolo con l'arrivo delle reliquie di San Nicola di Bari. Già parzialmente ricostruita alla fine del XVIII secolo, fu definitivamente rasa al suolo durante i bombardamenti del 27 novembre 1943, che lasciarono in piedi solo il campanile e la Sala Celestina con affreschi di scuola riminese. Nel dopoguerra è stata costruita una nuova chiesa che porta lo stesso nome, al cui interno si continuano a conservare le reliquie del santo. Nel 1087 le reliquie di San Nicola erano state trafugate dalla chiesa di San Nicola a Myra (attuale Turchia) e portate a Bari. Nell'estate 1177 parte di esse, precisamente l'omero sinistro che appunto manca nelle spoglie del santo presenti a Rimini, vengono trafugate da un vescovo tedesco di nome Gulto di passaggio nella città pugliese. Il veliero che avrebbe dovuto riportare in Germania il vescovo e la reliquia fa tappa a Rimini, non riuscendo più a ripartire. Considerandolo un segno divino, il vescovo confessa il furto e deposita la reliquia nella chiesa di San Lorenzo, situata fuori le mura della città, nella zona portuale, e frequentata prevalentemente da marinai. Dopo questo avvenimento, ritenuto miracoloso, il nome della chiesa viene cambiato in San Nicolò, dalla forma contratta del nome latino del santo, Nicolaus. Nel 1338 fu concesso ai monaci celestini di stabilirsi fuori dalle mura, nella zona portuale della città di Rimini. Non è ancora chiaro se continuarono a usare, abbellendola, l'originaria chiesa di San Nicolò o se ne costruirono una nuova. Poco si sa anche dell'attiguo convento, di cui è nota solo la planimetria da un foglio catastale di metà XVIII secolo. Al periodo di poco seguente l'arrivo dei celestini sono datate le decorazioni dell'abside. Durante la peste del 1630, che risparmierà la città, l'attiguo convento è adibito a lazzaretto. Il 6 luglio 1797 il convento fu chiuso come da decreto napoleonico sulla soppressione degli ordini monastici, a cui seguì il 23 agosto dello stesso anno l'erezione della parrocchia di San Nicolò al Porto. Da una mappa recuperata nell'archivio storico parrocchiale è stato possibile ricostruire la chiesa trecentesca, che come detto precedentemente non è chiaro se fosse coincidente o meno con l'edificio in cui il vescovo Gulto depositò le reliquie di san Nicola. La chiesa era a navata unica con la facciata rivolta a sud-ovest. L'edificio era dotato di due ingressi laterali in quanto a un certo punto, in epoca sconosciuta e per motivi non noti, contro la facciata era stato costruito un altro edificio. Sul lato sud-est vi era una cappella dedicata alla Madonna. Il campanile, situato sul lato porto, era probabilmente un'antica torre di difesa e veniva usato anche come faro. L'abside aveva una volta a crociera, contenente un ciclo di affreschi trecenteschi di scuola riminese con episodi della Genesi. L'edificio iniziava a versare in condizioni precarie, nonostante i lavori di restauro del 1825 e il rifacimento della pavimentazione nel 1837. Il 17 gennaio 1863 iniziano i lavori di demolizione, che salvarono il campanile e l'abside. Quest'ultimo fu trasformato nella cosiddetta Sala Celestina, andando ad ospitare la teca con la reliquia di San Nicola. Il progetto fu affidato all'ingegnere Filippo Morolli, già autore della Chiesa di San Gaudenzo, anch'essa in seguito distrutta dai bombardamenti. La nuova chiesa di San Nicolò si differenziava dall'originale a partire dall'orientamento della facciata, rivolta a nord-ovest in direzione del porto canale. L'inaugurazione avvenne il 1º novembre 1863. Durante i restauri del 1925, che seguirono il terremoto del 1916, furono riportati alla luce gli affreschi trecenteschi della Sala Celestina. Il 27 novembre 1943 gli alleati bombardarono Rimini. La chiesa di San Nicolò al porto fu letteralmente rasa al suolo. Si salvarono solo il campanile e la Sala Celestina. Nel dopoguerra fu eretta una nuova chiesa, inaugurata il 10 aprile 1955, giorno di Pasqua. La nuova chiesa ha la facciata rivolta in direzione opposta alla precedente, verso la stazione. Al suo interno conserva un Crocifisso quattrocentesco, recuperato dalle macerie al termine della guerra. Gli affreschi trecenteschi, nonostante alcuni tentavi di restauro, rimangono in condizioni molto precarie. L'edificio è chiuso al pubblico dalla primavera del 2019 a causa di problemi strutturali. Le condizioni precarie della struttura hanno fatto ipotizzare, come alternativa a un restauro, una demolizione e conseguente ricostruzione in minori dimensioni, con salvaguardia del campanile, degli affreschi trecenteschi e delle parti murarie sopravvissute più antiche. I tre altari, quello maggiore dedicato a San Nicolò e a Sant'Antonio da Padova, quello laterale dedicato a San Pietro Celestino e il terzo dedicato a San Gioacchino e a Sant'Anna, erano tutti opera del Centino. Tra i quadri conservati all'interno alla seconda metà del Settecento vi erano: un San Benedetto con fanciullo e una Morte di San Pietro Celestino, entrambi di Matteo Zamboni, allievo del Cignani, un San Pietro Celestino che rinuncia al papato e un San Mauro che soccorre San Placido, entrambi del Garofanini, allievo del bolognese Franceschini. Sempre opera del Garofanini erano i due San Pietro e San Nicolò laterali all'altare maggiore. Carlo Francesco Marcheselli, Pitture delle Chiese di Rimino descritte dal Signor Carlo Francesco Marcheselli, Rimini, Stamperia Albertiniana, 1754, ISBN non esistente, IT\ICCU\RMLE\008656. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su chiesa di San Nicolò

Domus del chirurgo
Domus del chirurgo

La domus del chirurgo è un'abitazione romana della seconda metà del II secolo, scoperta nel 1989 a Rimini in piazza Luigi Ferrari, e aperta al pubblico il 7 dicembre 2007; qui sono stati rinvenuti mosaici, affreschi e reperti, tra cui una delle serie più complete di strumenti chirurgici di età romana, conservate al Museo della città di Rimini. Il sito archeologico della domus del chirurgo mette in luce anche successive stratigrafie archeologiche, comprendendo delle mura di età imperiale, un'abitazione palaziale e parte di una casa bizantina altomedievale. Il sito archeologico rappresenta una sintesi storica delle vicende edilizie della città a partire dal I secolo a.C. fino all'età moderna: gli elementi di maggiore interesse sono identificabili in quattro settori: il comparto della domus del chirurgo, le mura di età imperiale, l'abitazione palaziale risalente in un periodo compreso tra la tarda romanità e l'età gota, e infine la parte di una casa bizantina altomedievale. A seguito del restauro, il complesso archeologico è stato musealizzato in sito per le parti non trasferibili e all'interno del Museo di Rimini per i reperti archeologici rinvenuti. Nella primavera del 1989, durante lo sradicamento di un albero nell'ambito della sistemazione dei giardini di piazza Ferrari, si scoprirono dei frammenti di affresco intrappolati nelle radici dell'albero, uno dei mosaici e ruderi di età romana. Al ritrovamento seguì l'intervento della Soprintendenza Archeologica e del Museo della città di Rimini; dopo i primi accertamenti fu eseguito un sondaggio che mise alla luce delle strutture murarie, una porzione di mosaico e dei manufatti in bronzo, il che diede inizio all'indagine sistematica dell'area. Le campagne di scavo hanno esplorato un'area di 700 m², il cui sottosuolo ha rivelato i primi mosaici a circa 2,5 m di profondità dal piano di campagna, oltre che stratificazioni e varie strutture databili a partire dall'età tardorepubblicana. L'attuale struttura museale in sito fu aperta nel dicembre del 2007 e consente al pubblico di vedere i ritrovamenti camminando su piattaforme sospese trasparenti. Il nome con cui è noto il sito archeologico "domus del chirurgo", si deve al corredo chirurgico rinvenuto: da una mensola originariamente posta sulla parete era caduta una scatola di bronzo, da cui si era rovesciato un gruppo di strumenti in ferro e bronzo utilizzati dal medico per i suoi interventi, pinze, bisturi, scalpelli, sonde e altri attrezzi, nonché bilance e misurini di bronzo; e ancora vasetti in terracotta, e un gruppo di vetri ormai irriconoscibili, pertinenti a fiale e ad altri contenitori di uso farmaceutico. La domus era collocata nei pressi del bacino portuale della foce del fiume Marecchia, prima che il suo percorso fosse deviato verso nord e prima che la linea di costa si spostasse di 1,5 km verso il mare. La domus nel suo complesso aveva un perimetro trapezoidale, che misurava circa 30 m in larghezza con un massimo di 21 m in profondità, con una superficie di 450 m², metà dei quali scoperti; in realtà l'edificio comprendeva anche il corpo residenziale anteriore, che era il componente primario, arrivando così a ricoprire un'area superiore a 1000 m². Della domus sono visibili in planimetria le varie stanze: il vestibolo, cioè l'ingresso, che si affacciava su un cardine romano minore (l'attuale Corso Giovanni XXIII); la prima stanza usata come prolungamento dell'ingresso, che attraverso una porta faceva accedere al cortile e probabilmente al piano superiore; il cortile-giardino, in cui sono stati ritrovati il piede della statua di Ermarco e un bacile marmoreo; il corridoio, che metteva in collegamento la prima stanza con le restanti e dava sul cortile; il triclinio, ambiente dedicato ai pasti, caratterizzato dalla presenza di tre letti disposti intorno a una mensa centrale; la taberna medica composta da: il cubicolo, posizionato successivamente al triclinio, ambiente provvisto di un letto dedicato al ricovero dei pazienti, dotato di una finestra che si affacciava sul corridoio e di una porta che collegava alla stanza di Orfeo; la stanza di Orfeo, in cui è stata rinvenuta la collezione di strumenti medici, tra cui anche quelli chirurgici; una sala di ricevimento; i locali di servizio, tra cui una latrina con caditoia di scarico, un sudatorium o laconicum con riscaldamento pavimentale a ipocausto, su suspensure e un sistema di riscaldamento parietale a tubuli. Sezioni della domus del chirurgo Il piano superiore, ora non più esistente in quanto crollato con l'incendio, conteneva altre stanze residenziali affrescate e mosaicate, probabilmente una dispensa sopra al triclinio e una mensa con cucina. La domus fu ristrutturata nella seconda metà del II secolo, come è testimoniato dalla zona del peristilio, al fine di ricavare nuove aree abitative; successivamente fu abbandonata a causa di un repentino incendio che la distrusse completamente, testimoniato dal fatto che non siano stati messi in salvo una cassetta lignea contenente 89 monete romane e gli strumenti chirurgici ritrovati tra le macerie, oltre al fatto che questi ultimi mostrino segni di fusione dovuta al calore. La datazione dell'incendio è stata fatta sulla base delle monete ritrovate, le più tarde risalenti agli anni 257 e 258. Si suppone che il nome del medico fosse Eutyches sulla base del graffito, tracciato con uno stile di scrittura del III secolo, presente sull'intonaco decorativo del muro del cubicolo nel posto dove era appoggiato il letto, probabilmente inciso da un paziente per ringraziarlo delle cure: Dai ritrovamenti, dai mosaici, dalle decorazioni e dalle numerose scritte in greco ritrovate sul vasellame, si ipotizza che Eutyches fosse proveniente dal mondo greco-orientale, dove probabilmente ha anche studiato, essendo presenti le più grandi scuole di medicina del tempo. A supportare l'origine ellenica di Eutyches ci sono alcuni oggetti che teneva in casa tra cui: un pinax, un quadretto policromo in pasta di vetro con rappresentati tre creature marine, difficilmente reperibile sul mercato occidentale, di cui si ha un esemplare simile a Corinto; due vasetti che contenevano erbe medicinali, i cui nomi sono incisi in greco sugli stessi; un piede della statua di Ermarco, filosofo successore di Epicuro, ritrovata nel giardino della domus; una mano votiva in bronzo associata al culto di Giove Dolicheno, divinità di origine siriana settentrionale venerata dai soldati romani dal II secolo. Inoltre, lo strumentario chirurgico ritrovato suggerisce la specializzazione militare del medico, essendo principalmente rivolto alla cura di traumi e ferite, come il ciatisco di Diocle (un cucchiaio per l'estrazione di punte di freccia), e esclusivamente degli uomini, non delle donne, in quanto mancano strumenti da ostetricia. All'interno della domus sono stati ritrovati centinaia di reperti, ora conservati nella sezione archeologica del Museo della città di Rimini: ferri chirurgici, vasellame da cucina, monete, una consistente serie di decorazioni e mosaici. Gli strumenti chirurgici ritrovati a Rimini rappresentano a oggi la più ricca collezione chirurgica antica del mondo, per varietà e numero degli oggetti: circa 150 pezzi utilizzati per intervenire su ferite e traumi ossei, più una serie di vasetti utilizzati per la preparazione e la conservazione dei medicinali. Nel corredo chirurgico spiccano vari bisturi, sonde, pinzette, tenaglie odontoiatriche, leve ortopediche, un trapano a bracci mobili e diversi ferri utilizzati per esportare calcoli urinari. La tipologia dei ferri chirurgici indica che il chirurgo riminese era un medico militare. Uno dei ritrovamenti più importanti è il cucchiaio di Diocle, pezzo unico al mondo, che serviva per estrarre le punte di freccia conficcate nel corpo: un manico di ferro termina con una lamina a forma di cucchiaio, forata al centro, in modo da bloccare ed estrarre la freccia. Era utilizzato dai medici che operavano sul campo di battaglia. Nel triclinio è stato invece ritrovato il pannello di pasta di vetro con raffigurati i tre animali marini. In mezzo alle macerie del crollo del secondo piano, sopra lo studio medico, sono state trovate 89 monete romane in una cassetta lignea, quasi tutte d'argento. Gli scavi archeologici hanno riportato alla luce molti mosaici ancora intatti e affreschi policromi. Tra i mosaici spicca Orfeo tra gli animali, ritrovato nella taberna medica, che vede al centro Orfeo circondato da animali in ascolto. I mosaici furono realizzati prevalentemente con la tecnica dell'opus tessellatum e dell'opus reticulatum. Mosaici della domus del chirurgo Ilaria Balena e Marco Sassi, La domus del chirurgo e il complesso archeologico di piazza Ferrari, 2. ed, La Pieve, 2009, ISBN 978-88-904644-0-9, OCLC 1075912945. Stefano De Carolis, Ars medica : i ferri del mestiere : la domus del Chirurgo di Rimini e la chirurgia nell'antica Roma, Guaraldi, 2009, ISBN 978-88-8049-351-8, OCLC 876597506. Cristina Giovagnetti, La Domus del Chirurgo - Arredi e suppellettili, in Ariminum, n. 6, Novembre - Dicembre 2017, p. 21. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Domus del chirurgo Domus Rimini, su domusrimini.com. Alberto Angela, La domus del chirurgo in "Creature fantastiche" - Passaggio a Nord Ovest, Rai, 9 gennaio 2021, a 14 min 28 s. Gli scavi di Piazza Ferrari e la domus "del Chirurgo": duemila anni di storia riminese, su archeobologna.beniculturali.it. URL consultato il 24 luglio 2008 (archiviato dall'url originale il 4 aprile 2011).