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San Vito al Mantico

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Chiesa san vito
Chiesa san vito

San Vito al Mantico è l'unica frazione di Bussolengo in provincia di Verona. La frazione dista all'incirca 3 chilometri dal capoluogo. La frazione di San Vito al Mantico si trova nella parte occidentale della provincia di Verona, nell'alta pianura veronese, a ridosso delle cerchie moreniche del Garda e delle prime anse della pianura del fiume Adige. A nord, il territorio del comune cui appartiene San Vito al Mantico è diviso rispetto al comune di Pescantina dal fiume Adige. A Ovest si possono notare le ultime cerchie moreniche risalenti alla glaciazione rissiana. L'alta pianura veronese caratterizza il resto del territorio. San Vito al Mantico sorge a 91 metri sopra il livello del mare. L'insediamento più antico archeologicamente documentato, risale all'età del bronzo, circa 3500 anni fa. Sul territorio si succedono Veneti, Reti, Celti e infine i Romani. Il re franco Pipino nell'anno 807, dona un terreno in San Vito al Mantico all'abate del monastero di San Zeno di Verona. Nel XII secolo sembra regnare la signoria rurale degli Olderico. Nel 1405 tutto il Comune passa sotto il dominio della Serenissima Repubblica di Venezia. Nel 1866 viene annesso al Regno d'Italia. Nell'anno 1378 viene documentata una cappella sul limitare del bosco, in prossimità del fiume Adige; ma solo nell'anno 1532 si scopre essere dedicata ai Santi Vito e Modesto. La Chiesa mantiene la sua originaria struttura medioevale fino al XVIII secolo. Intorno all'anno 1769 viene costruita un'aula nuova, semplice e spaziosa, priva di particolari opere d'arte. È stata mantenuta intatta l'antica cappella contenente al suo interno un affresco raffigurante la Madonna con il Bambino e un Santo, probabilmente San Vito. L'affresco risale probabilmente alla fine del XIV secolo. Sulla parete esterna si intravedono tracce di altri affreschi ormai deteriorati. La chiesa di San Giovanni Battista, sita in località Corno Basso, fu fatta edificare a cavallo degli anni 1734/1735 dal latifondista Giovanni Battista Campetti, già proprietario di terreni in località Corno. Divenuta di proprietà della Diocesi nel 1936, nel 1959 diviene la chiesa parrocchiale della nascente parrocchia di Corno-San Vito. Nel 1984 crolla una buona porzione del tetto, danneggiando irreparabilmente la volta decorata. La ricostruzione avviene nel 1985. La chiesa presenta un'unica aula rettangolare, decorata secondo l'estetica tardo-barocca. Il coro è rialzato di un gradino rispetto all'aula e si nota come la volta in canniccio di quest'ultimo, decorata a cassettoni, sia rimasta illesa dal crollo del tetto. Eleganti lesene con capitelli compositi marcano i prospetti all'interno dell'aula, mentre stucchi decorativi riquadrano le opere pittoriche di Antonio Balestra, oggi sostituite da riproduzioni. Di notevole pregio risulta la pala d'altare che raffigura una “Vergine con bambino ed i Santi Giovanni Battista ed Antonio”. L'altare, di pregevole fattura, è costituito da marmi policromi. Bussolengo Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su San Vito al Mantico http://www.comune.bussolengo.vr.it

Estratto dall'articolo di Wikipedia San Vito al Mantico (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

San Vito al Mantico
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Chiesa san vito
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Chiesa di San Martino (Corrubbio)
Chiesa di San Martino (Corrubbio)

La chiesa di San Martino è un edificio religioso cattolica situato a Corrubbio di San Pietro in Cariano, in provincia di Verona. Dipende dalla parrocchia di Castelrotto. San Martino ha origini molto antiche. L'attuale costruzione viene fatta risalire ai primi decenni del XII secolo, tuttavia alcune parti sembrano essere precedenti: la parete nord, in particolare, presenta un lacerto di affresco collocabile nella prima metà del X secolo. Anche la stessa intitolazione al santo-guerriero Martino di Tours ne rimanderebbe la fondazione all'epoca longobarda. Fu probabilmente ricostruita dopo il Terremoto di Verona del 1117. Nonostante le ridotte dimensioni, l'architettura dell'edificio rivela strette analogie con quella della pieve di San Floriano. Costituito da una sola navata con tetto a capriate lignee e facciata a capanna, nel corso dei secoli ha subito numerose trasformazioni, e in particolare nel 1478, quando gli fu addossata nel lato sud, da parte dei conti Banda, una cappella dedicata a San Rocco come voto in occasione di un'epidemia di peste. Nel settembre del 1741 la chiesa di San Martino subì il rialzo di un paio di metri delle strutture murarie, allo scopo di ridurne il divario d'altezza rispetto alla cappella quattrocentesca. Interessante è pure il campanile, la cui parte inferiore è certamente coeva alla primitiva costruzione di San Martino, mentre la parte più alta (cella campanaria e cuspide) è da ritenersi coeva alla costruzione della Cappella di San Rocco. La chiesa di San Martino è importante anche nel campo della pittura medioevale della Valpolicella, visti i numerosi affreschi due-trecenteschi che ancor oggi ne adornano le pareti, alcuni dei quali attribuiti al pittore Maestro Cicogna e datati 1300. Nel 1945 il tetto dell'edificio crollò a seguito dell'esplosione di una polveriera, situata sul monte Sausto, fatta saltare dai tedeschi in fuga (strage di Corrubbio). Il complesso fu oggetto di un intervento di ripristino da parte di Piero Gazzola.

Corrubbio
Corrubbio

Corrubbio è una frazione del comune italiano di San Pietro in Cariano, in provincia di Verona. Il toponimo Corrubbio deriva dal latino quadruvium "quadrivio" e si riferisce al transito della romana via Claudia Augusta o comunque di una sua diramazione. Sino al 1929 ha costituito la sede dell'ex comune di Negarine, comprendente anche la vicina Settimo di Pescantina. Durante la seconda guerra mondiale, la zona fu teatro di eccidi e distruzioni. Dopo l'8 settembre 1943, come gran parte dell'arco alpino, Corrubbio venne occupato dalle truppe della Germania nazista. Vennero quindi requisite ville, edifici privati e scuole. L'imprecisione delle bombe sganciate dagli aerei alleati nel tentativo di colpire la ferrovia e la strada del Brennero causò numerosi danni e diversi morti e feriti tra la popolazione civile. Al termine del conflitto, il 25 aprile 1945 alle dieci e mezza di sera circa, i tedeschi ormai in fuga fecero esplodere una polveriera a Corrubbio (sul monte Sausto) causando 29 morti e distruggendo decine di abitazioni. Compare per la prima volta in un documento del Duecento, tuttavia la dedicazione al santo-guerriero Martino di Tours la potrebbe far risalire all'epoca longobarda. La chiesa attuale è un edificio romanico del XII secolo (forse ricostruito dopo il terremoto di Verona del 1117) ma conserva alcune parti più antiche: in particolare la parete settentrionale reca i resti di un affresco risalente alla prima metà del X secolo. Altri dipinti risalgono al XIV secolo e vengono attribuiti al maestro Pierfrancesco Cicogna. Adiacente è la cappella di San Rocco, tardo-gotica: fu innalzata nel Quattrocento dalla famiglia Banda per chiedere la fine di una pestilenza. La chiesa, come del resto l'intera frazione, dipende dalla parrocchia di Castelrotto. A Corrubbio vi sono alcune ville venete: Villa Zambelli, Caldera, detta "Le Cedrare" Villa Amistà (ora utilizzata come hotel di lusso) Villa Lorenzi-Banda Villa Betteloni detta "San Giusto" Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Corrubbio

Aeroporto di Verona-Boscomantico
Aeroporto di Verona-Boscomantico

L'aeroporto di Verona Boscomantico Angelo Berardi è un piccolo aeroporto situato a pochi chilometri da Verona. L'aeroporto viene utilizzato per voli turistici, per manifestazioni, come base per paracadutisti ed elicotteri, poiché la lunghezza della pista consente decollo e atterraggio solo ad aeromobili di dimensioni ridotte. Nasce come una delle basi della sezione Aviazione del Battaglione Specialisti del Genio del Regio Esercito. Nel gennaio 1911, da qui si sollevò il dirigibile Ausonia bis di Nino Piccoli. Dal 25 marzo arriva il primo dirigibile militare, il P.3 che dal mese di maggio partì per Tripoli, destinato alle operazioni in Libia durante la guerra italo-turca. Nel 1913 fu sede dell'aeronave Parseval P.L.17 e dal il 20 aprile del P.5. All'inizio della guerra il P.5 era a Boscomantico. Il cantiere Dirigibili era attrezzato con tutti i servizi accessori e disponeva di un campo di manovra che si prestava anche al decollo e all'atterraggio di aerei. Nel gennaio del 1916, il cantiere fu in grado di ricoverare i dirigibili tipo M. Il 3 aprile del 1916 l'aeroscalo ospitava il dirigibile M.3, e dal 29 aprile anche l'M.1, operante per la 1ª Armata fino al mese di agosto. L'aeroporto di Boscomantico si trova in una vasta area nella zona nord di Verona e venne attrezzato nel 1916, quando venne stanziato il III Gruppo Aeroplani, che partecipò alla prima guerra mondiale, insieme ad altre squadriglie. Dal 28 giugno 1917 vi volava l'M.11. Esso è composto da una pista di atterraggio in cemento di 1014 m x 22 m per aerei di piccole e medie dimensioni. La zona militare situata a nord della pista di volo è stata acquistata dal Comune di Verona alla fine degli anni ottanta del secolo scorso. È stata negli anni utilizzata come base antincendio dal Corpo Forestale dello Stato. Parte di questa zona dell'aeroporto ha mantenuto le caratteristiche dell'utilizzo militare e reti di filo spinato proteggevano l'accesso ai fortini della seconda guerra mondiale, usati dai militari impegnati nella battaglia. Questi fortini, immersi nel verde e costruiti sottoterra, si raggiungono tramite botole con strette scalette di ferro. Nell'immenso parco del forte ci sono innumerevoli tracce dei bombardamenti, con grandi buche, che danno un'idea della potenza che poteva sprigionare una bomba lasciata cadere da un aereo. Sono pure presenti piccoli rustici utilizzati dai combattenti per proteggersi dal fuoco nemico. Immersi nel verde, sono strutture nascoste che rimangono così quasi inalterate nell'aspetto originario. Il 20 dicembre 1925 vi rinasce il XV Gruppo della Regia Aeronautica con la 32ª Squadriglia e 35ª Squadriglia del 21º Stormo di Bologna. Fu base temporanea operativa americana a partire dal 1958 con l'insediamento dell'Air Group 509 (AIRBONE) quale base di supporto dell'US ARMY fino alla fine anni 60 causa lo spostamento della S.E.T.A.F. da Verona (Ex Caserma Passalacqua) a Vicenza, ugualmente provvista di analogo aeroporto logistico nei pressi della base (Dal Molin). Attività ad uso civile tuttora presenti oltre al normale impiego privato: AeroClub di Verona, fondato nel 1928, che gestisce una delle scuole di volo più frequentate d'Italia. Dispone di 9 velivoli che permettono voli per qualsiasi meta in Italia e all'estero. La Scuola di Volo (IT ATO 0050) è autorizzata ad erogare i seguenti corsi di addestramento LAPL, PPL, CPL, ATPL, Instrument Rating, Night Rating, Flight Instructor, MCC APS. Da qualche anno è presente anche la scuola VDS (Volo da Diporto Sportivo) per il conseguimento dell'attestato basico e avanzato. Associazione Volovelistica Scaligera, nasce il 7 aprile 1997 da un gruppo di volovelisti veronesi decisi a promuovere e sviluppare il volo con alianti nella città e provincia di Verona. Si trova a nord del sedime aeroportuale con accesso a richiesta presso il bar. Dispone di un hangar di circa 1000 m2, di un traino e di circa 18 alianti. Nel 2012 apre la scuola di volo a vela per il conseguimento del brevetto. Negli anni 2000, una parte dell'aeroporto, a nord, è stata adibita dal sindaco Paolo Zanotto a sede per un campo autorizzato di Rom, che abitavano in prefabbricati posizionati nei pressi degli hangar acquistati negli anni ottanta dal Comune e poi caduti in disuso, e nelle vecchie palazzine che in passato servivano ad ospitare i militari americani. Dopo l'elezione a sindaco nel 2007 del leghista Flavio Tosi, il campo è stato smantellato. Nel passato ogni 2 anni si svolgeva la manifestazione aerea di Verona dove era sempre presente la Pattuglia Acrobatica Nazionale Frecce Tricolori, e migliaia di cittadini andavano ad ammirare questo spettacolo, passando dal ponte della Ferrovia e seguendo una passeggiata immersa nel verde per raggiungere l'aeroporto. Dopo una pausa di 7 anni causata dall'incidente di Ramstein in Germania la manifestazione riprese nel 1995 con un programma migliorato per aumentare i livelli di sicurezza per gli spettatori, fino al 1999 sempre con frequenza biennale. Il 10 settembre 2016 a Boscomantico si sono festeggiati i 100 anni dell'aeroporto. Quasi ottomila persone hanno varcato i cancelli nell'area a nord, per conoscere tutte le realtà operanti in aeroporto. Aerei, elicotteri, ultraleggeri, ma anche aerea di ristoro, gonfiabili per i bambini e molte associazioni hanno intrattenuto il numero pubblico fino a sera. Elenco degli aeroporti italiani Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Aeroporto di Verona-Boscomantico

Lugagnano (Sona)
Lugagnano (Sona)

Lugagnano (Lugagnan in dialetto veronese) è una frazione del comune di Sona, la più popolosa, con 9 035 abitanti, un borgo dalle origini incerte. Le origini del toponimo non sono conosciute anche a causa della sua rarità; infatti esistono, oltre a questo paese, solamente Lugagnano Val d'Arda e Cassinetta di Lugagnano, mentre hanno toponimi simili ma etimologia differente Lughignano, Lugugnana e Lucugnano. Sono varie le ipotesi sull'origine del toponimo Lugagnano: da lucus Jani, cioè bosco e radura dedicate a Giano, divinità latina di cui però non si è riscontrato il culto nel veronese; da lucus Anneianus, cioè bosco e radura dedicate ad Anneio, versione accettata dal comune di Lugagnano Val d'Arda; da lucanianus, derivato da Lucanus anu, cioè possedimento di Lucano o delle gens lucana, versione più probabile, e accettata anche da Cassinetta di Lugagnano; da lucanica, traducibile in "terra delle lugàneghe", salsicce di maiale tipiche del Veneto e della Lombardia, ma questa ipotesi piuttosto improbabile. Attorno a Lugagnano vi sono stati vari ritrovamenti di reperti preromani, di cui il più importante presso la vicina località Ca' di Capri: la famosa "spada di Verona", rinvenuta nel 1672 presso un sepolcreto in cui furono ritrovate anche quattro semisfere, probabilmente parti di uno scudo. La spada, secondo studi più recenti, si tratta più facilmente di un attizzatoio votivo, come sembra confermare l'iscrizione etrusca traducibile in «dono offerto per Remie Hirafasuva e così per Velisane». Secondo altri sarebbe stata rinvenuta nello stesso luogo che si svolse una battaglia tra Gaio Mario e i Cimbri nel 102 a.C., narrata da Paolo Diacono. Il nome Lugagnano compare per la prima volta nel testamento dell'arcidiacono Pacifico, redatto il 9 settembre 844, dove viene riportato il seguente testo: «simul damus et terras nostras in Lucaniano in Campanea veronense asionense». Data l'aridità del terreno lugagnanese, però, per lungo tempo la zona fu quasi disabitata e utilizzata per lo più per il pascolo, fino a quando nel Cinquecento venne introdotto il gelso, che portò l'attività della bachicoltura. Più tardi si riscontra in un documento fiscale la coltivazione a Lugagnano anche di mais, frumento, avena, miglio, grano, orzo, segala, ortaggi, e vino, anche se in bassa qualità e quantità, sempre a causa della mancanza d'acqua. Da quel momento l'abitato cominciò lentamente ad ingrandirsi tanto che venne concessa al borgo, il 21 gennaio 1712, la costruzione di una propria chiesa, che fu realizzata in meno di due mesi: l'8 marzo venne consacrato l'edificio, dedicato ai santi Anna e Bernardo. Nel 1797 si decise infine di creare una parrocchia separata da quella di San Massimo, alla quale la contrada era sempre stata soggetta, il vicario generale vescovile osservò quindi l'opportunità di costruire una chiesa più grande, la cui progettazione fu affidata a Luigi Trezza. Durante la prima guerra di indipendenza Lugagnano fu protagonista delle prime scaramucce tra soldati piemontesi e austriaci, che si sarebbero poco dopo scontrati nella battaglia di Santa Lucia: sul paese ripiegarono a fine aprile 1 500 soldati austriaci (che poi si diressero verso Verona), dopo che il loro tentativo di occupare la pianura a valle di Sona fu scoperto e annullato dall'attacco delle truppe piemontesi. Il 6 maggio i comandanti delle truppe sabaude decisero un'avanzata momentanea verso Verona con 30 000 uomini e 70 cannoni, e a sua volta il feldmaresciallo Josef Radetzky decise di avanzare da Verona con 16 000 uomini e 63 cannoni, mentre 11 000 soldati rimanevano all'esterno delle mura, pronti ad intervenire in caso di bisogno: Lugagnano, ormai sgomberata da qualche giorno, si trovava proprio a metà strada. Sempre dalla piccola frazione passò quindi la seconda brigata sabauda, scontrandosi con l'avanguardia austriaca che dovette ripiegare a San Massimo. Il borgo venne nuovamente attraversato da truppe austriache provenienti da Verona a fine luglio, che si scontrarono a Sona con i piemontesi e, da lì, avanzarono fino a Custoza, dove si unirono ad altri reparti austriaci e sconfissero i sabaudi nell'omonima battaglia. Nel 1928 iniziarono i lavori di canalizzazione per portare l'irrigazione nella piana di Lugagnano, lavori conclusi in pochi mesi e che portarono alla messa a coltura dei peschi e altri alberi da frutto. Dopo le vicissitudine delle guerre mondiali, che toccarono solo marginalmente il paese, iniziò la costruzione della nuova chiesa di Lugagnano dedicata a Sant'Anna, dato che la chiesa di Trezza era, ormai, insufficiente per capienza. Il progetto, che prevedeva un campanile mai realizzato, venne donato dall'ingegnere Demetrio Mazzi. La chiesa venne inaugurata il 1º maggio 1955 dopo un totale di 78 mesi di lavori: la chiesa, nonostante sotto il profilo artistico non sia pregevole, sotto quello umano fu un importante lavoro dell'intera comunità. La vecchia chiesa opera dell'architetto Luigi Trezza venne abbandonata e ne venne successivamente richiesta la demolizione per via di presunti problemi di staticità della struttura, anche se in realtà le lesioni sulla facciata della chiesa furono allargate e annerite per giustificare l'abbattimento della chiesa: essa fu quindi demolita tra il 28 ottobre e il 6 novembre 1968. La comunità dell'abitato, diviso amministrativamente tra ben quattro comuni (Verona, Bussolengo, Sommacampagna e Sona), negli anni settanta sentì l'esigenza, col crescere della popolazione, di vedere ridefiniti i confini in maniera che venisse inglobata in un solo Comune. La proposta di legge per la ridefinizione dei confini venne presentata in Regione il 22 gennaio 1974, quindi la Presidenza del Consiglio Regionale indisse un referendum popolare che si svolse il 20 e 21 ottobre 1974, quando votò a favore dell'unificazione con il Comune di Sona il 79% dei votanti. Da quando è diventato parte del comune di Sona, la crescita demografica del paese è stata superiore rispetto alle altre frazioni e al capoluogo, per via della maggiore vicinanza a Verona e per la presenza di un territorio completamente pianeggiante e quindi più facilmente edificabile. Abitanti censiti La chiesa parrocchiale dedicata a sant'Anna venne edificata nel secondo dopoguerra, quando a causa dell'incremento della popolazione si decise di abbandonare (e poi demolire) la precedente chiesa ottocentesca, realizzata dal noto architetto Luigi Trezza ma ritenuta troppo poco capiente. Notevole sia dal punto di vista artistico che delle dimensioni l'affresco del transetto di destra, in cui l'artista Federico Bellomi ha raffigurato un Giudizio Universale. L'enorme affresco, promosso dal parroco don Mario Castagna, venne realizzato nell'arco di cinque anni su una superficie di circa 240 metri quadrati: nei 20 metri di altezza si possono riconoscere oltre 500 figure, tra le quali lo stesso parroco e l'autore dell'affresco. Intorno all'imponente figura centrale del Cristo Risorto si snodano le scene principali del Vecchio e del Nuovo Testamento. La corte della Messedaglia sorse nella seconda metà del XV secolo, come sembra confermare il pozzo della corte, andato perduto, che portava incisa come data il 1484. Il primo edificio realizzato fu la casa padronale, utilizzata dai conti Bevilacqua prima come luogo di villeggiatura e poi come residenza, in quanto possedevano numerosi terreni nelle località Mancalacqua e Ca' di Capri. All'inizio del XVIII secolo venne realizzata invece una chiesetta dedicata a Santa Maria del Carmine e visitata nel 1725 dal Vescovo di Verona. Vi sono varie ipotesi sull'origine del nome della corte, in particolare lo specialista di etimologia Luigi Messedaglia, nipote di Angelo Messedaglia, propone che «al qual nome locale, che risponde ad un miscitalia, si dovrebbe attribuire il significato di campagna messa a diverse colture, oppure di terreni mescolati dalle piene dei fiumi»: a sostegno di questa derivazione viene portato come prova il termine veronese mesedar (oggi mesiar), ossia "mescolare". Altra tesi, che vede "Mazadagia" pronunciato invece con la z dolce, consiglia che potrebbe derivare dal veronese mazo, in italiano "maggio", o mazadego, in italiano "maggiatico", inteso come attività del taglio del fieno a maggio. Corte Beccarie è la corte di maggiori dimensioni di Lugagnano, fatta costruire nel XVIII secolo dalla nobile famiglia dei Personi, proprietari anche della corte Messedaglia e della campagna di pertinenza: la famiglia decise realizzare un secondo insediamento spostato verso la strada che conduce da Verona a Lugagnano. La corte venne ampliata in diverse fasi fino all'Ottocento, quando venne acquistata dalla famiglia Lucchini. In quel periodo la corte aveva ancora i connotati rurali originali, con una forma ad U e la presenza esclusiva delle stalle. Tra il 1848 e il 1856 furono infine costruite le abitazioni sul lato strada, che diedero alla corte la sua forma definitiva. Agli inizi del Novecento venne realizzata una filanda che occupava molte decine di donne di Lugagnano e dei paesi limitrofi mentre la campagna. Il significato del nome della corte, che già nel catasto austriaco era identificata con il toponimo "Beccaria", non è conosciuto, tuttavia molto probabilmente starebbe a indicare il macello (dal veronese becàr, in italiano "macellaio"), origine che sarebbe giustificata dalle dimensioni delle stalle e di una conseguente possibile presenza di un macello in loco. Il forte militare si trova poco all'esterno del territorio comunale, all'incirca a metà strada tra gli abitati di Lugagnano e San Massimo. La moderna fortificazione militare venne progettata dall'Imperiale Regio Ufficio delle Fortificazioni di Verona è costruito tra il 1860 e il 1861, quando venne inaugurato col nome di Werk Kronprinz Rudolf, venendo quindi intitolato all'infante arciduca Rodolfo d'Asburgo-Lorena, principe ereditario dell'Impero austro-ungarico, morto tragicamente durante i fatti di Mayerling. Il forte, caratterizzato da un tracciato poligonale tipico della scuola fortificatoria neotedesca con ridotta centrale, è situato in aperta campagna e faceva sistema con il forte Chievo, arretrato sull'ala destra, e con il forte Dossobuono, sulla sinistra. Le sue artiglierie da fortezza dominavano la pianura antistante fino quasi al limite delle colline di Sommacampagna, Sona, Palazzolo. Il forte è tra quelli più grandi del sistema veronese, avendo avuto una guarnigione di 375 fanti e 72 artiglieri (ma in caso di emergenza poteva ospitare fino a 616 uomini). Trovavano spazio nel forte 4 cannoni rigati da 12 cm a retrocarica, 6 cannoni ad anima rigata da 12 cm a retrocarica, 2 cannoni ad anima rigata da 9,5 cm ad avancarica e 20 cannoni di diverso calibro ad anima liscia. La polveriera aveva una capienza di ben 52 500 kg di polveri da sparo. Nella frazione si tiene, durante il periodo di Carnevale, una grande sfilata di carri allegorici, la cui maschera principale della manifestazione è lo "Tzigano", che viene eletto ogni anno dai cittadini dell'abitato. La maschera dello Tzigano, il cui nome indica uno zingaro, nasce da una leggenda che vuole che il borgo nasca proprio da una carovana di zingari che secoli prima si stanziò nella pianura, integrandosi con gli abitati sparsi nella campagna andando a formare insieme il centro abitato. Massimo Gasparato e Gianluigi Mazzi, Fregole de storia: appunti e spunti su Lugagnano e dintorni, Verona, Pro Forma Comunicazione, 1997, SBN IT\ICCU\VIA\0072065. Sona Museo storico degli Alpini e della civiltà locale Wikinotizie contiene notizie di attualità su Lugagnano Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Lugagnano Carnevale di Lugagnano, su tzigano.it. URL consultato il 25 marzo 2020.

Chiesetta di Santa Sofia
Chiesetta di Santa Sofia

La chiesetta di Santa Sofia è un edificio religioso situato a Pedemonte, frazione di San Pietro in Cariano, in provincia di Verona. Grazie all'epigrafe su una lapide, ora custodita presso il convento dei padri Stimatini a Sezano di Valpantena, su cui si legge: si sa che già era presente un edificio di culto cristiano edificato nel IX secolo dall'abate Odiberto I appartenente al monastero di Santa Maria in Organo di Verona. Di questa prima costruzione (che si suppone fosse stato, a sua volta, costruito su di uno precedente) non rimane, tuttavia, alcuna traccia ad esclusione delle fondamenta. L'attuale fabbricato risale alla metà del XIV secolo e costituisce un esempio di architettura tardo romanica del veronese. All'interno presenta affreschi databili intorno alla fine del XIV secolo e l'inizio del XV, oltre alle firme di vicari e notabili che la frequentarono, mentre l'impianto strutturale risale ad un periodo compreso tra l'831 e l'845. La chiesa si affaccia su un'antica via utilizzata ancora oggi dai pastori per il transito delle greggi: alcune firme ancora oggi leggibili ne sono una testimonianza. L'edificio si presenta con una facciata a capanna, più alta del tetto, realizzata con conci di tufo squadrata orientata verso ovest, come tradizione per le chiese romaniche. L'interno, ad un'unica navata, è coperto da un tetto sorretto da capriate lignee mentre il pavimento è costituito sa semplici lastroni in marmo. A nord vi è una piccola cappella, da cui si accede da una porticciola subito prima del presbitero, di recente costruzione. L'altare barocco è realizzato in marmo, principalmente con l'utilizzo del rosso veronese. All'estremo orientale, la chiesa termina con un'abside di forma rettangolare. I muri interni e l'abside sono impreziositi da alcuni affreschi di pregevole fattura, probabilmente realizzati, almeno in parte, nel trecento da un allievo del Turone. Sempre sui muri interni si possono trovare iscrizioni di vicari e personaggi di rilievo che hanno, negli anni, frequentato questo luogo. Attualmente la chiesa risulta inagibile, soprattutto in seguito ai danni riportati dai terremoti del 2012. Rimangono visitabili solamente il sagrato e il giardino esterno. È stata luogo del cuore FAI del 2014, raccogliendo dei fondi per il mantenimento della struttura. Dal 2015 è costituita l'Associazione per la tutela e la valorizzazione della Chiesa di Santa Sofia di Pedemonte che ne promuove la conoscenza e il restauro. Gianfranco Benini, Chiese romanche nel territorio veronese, Rotary Club Verona Est, 1995, ISBN non esistente. Giuseppe Franco Viviani (a cura di), Chiese nel veronese, Società cattolica di assicurazione, 2004, ISBN non esistente. Pierpaolo Brugnoli, San Pietro in Cariano ieri e oggi, Centro di documentazione per la storia della Valpolicella, 2009, ISBN non esistente. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su chiesa di Santa Sofia