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Museo storico degli Alpini e della civiltà locale

Musei della provincia di VeronaPagine con mappeSona
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Il Museo storico degli Alpini e della civiltà locale si trova in via Caduti del Lavoro 4 a Lugagnano, frazione del comune di Sona. Il museo, nato da un'iniziativa del Gruppo Alpini locale, venne inaugurato nel 2011 all'interno della Baita Monte Baldo con un percorso strutturato per raccontare la storia di quei militari che lasciavano le loro comunità per andare in guerra. Non solo quindi un'esposizione di oggetti legati alla guerra, ma anche oggetti inerenti attività e professioni legate alla realtà di quel momento. Al 2022 sono esposti o archiviati 980 pezzi della guerra, 642 sulla naja, 1939 inerenti le arti e mestieri, circa 800 pezzi di numismatica e miniassegni oltre a circa 4000 documenti. Infine è presente una biblioteca contenente 2934 libri. Lugagnano (Sona) Alpini Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Museo storico degli Alpini e della civiltà locale Museo Storico Baita Monte Baldo presso il gruppo Alpini di Lugagnano, su comune.sona.vr.it. Gruppo Alpini Lugagnano, su analugagnanovr.it.

Estratto dall'articolo di Wikipedia Museo storico degli Alpini e della civiltà locale (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

Museo storico degli Alpini e della civiltà locale
Via Caduti del lavoro,

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Baita Alpini

Via Caduti del lavoro
37060
Veneto, Italia
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Luoghi vicini

Lugagnano (Sona)
Lugagnano (Sona)

Lugagnano (Lugagnan in dialetto veronese) è una frazione del comune di Sona, la più popolosa, con 9 035 abitanti, un borgo dalle origini incerte. Le origini del toponimo non sono conosciute anche a causa della sua rarità; infatti esistono, oltre a questo paese, solamente Lugagnano Val d'Arda e Cassinetta di Lugagnano, mentre hanno toponimi simili ma etimologia differente Lughignano, Lugugnana e Lucugnano. Sono varie le ipotesi sull'origine del toponimo Lugagnano: da lucus Jani, cioè bosco e radura dedicate a Giano, divinità latina di cui però non si è riscontrato il culto nel veronese; da lucus Anneianus, cioè bosco e radura dedicate ad Anneio, versione accettata dal comune di Lugagnano Val d'Arda; da lucanianus, derivato da Lucanus anu, cioè possedimento di Lucano o delle gens lucana, versione più probabile, e accettata anche da Cassinetta di Lugagnano; da lucanica, traducibile in "terra delle lugàneghe", salsicce di maiale tipiche del Veneto e della Lombardia, ma questa ipotesi piuttosto improbabile. Attorno a Lugagnano vi sono stati vari ritrovamenti di reperti preromani, di cui il più importante presso la vicina località Ca' di Capri: la famosa "spada di Verona", rinvenuta nel 1672 presso un sepolcreto in cui furono ritrovate anche quattro semisfere, probabilmente parti di uno scudo. La spada, secondo studi più recenti, si tratta più facilmente di un attizzatoio votivo, come sembra confermare l'iscrizione etrusca traducibile in «dono offerto per Remie Hirafasuva e così per Velisane». Secondo altri sarebbe stata rinvenuta nello stesso luogo che si svolse una battaglia tra Gaio Mario e i Cimbri nel 102 a.C., narrata da Paolo Diacono. Il nome Lugagnano compare per la prima volta nel testamento dell'arcidiacono Pacifico, redatto il 9 settembre 844, dove viene riportato il seguente testo: «simul damus et terras nostras in Lucaniano in Campanea veronense asionense». Data l'aridità del terreno lugagnanese, però, per lungo tempo la zona fu quasi disabitata e utilizzata per lo più per il pascolo, fino a quando nel Cinquecento venne introdotto il gelso, che portò l'attività della bachicoltura. Più tardi si riscontra in un documento fiscale la coltivazione a Lugagnano anche di mais, frumento, avena, miglio, grano, orzo, segala, ortaggi, e vino, anche se in bassa qualità e quantità, sempre a causa della mancanza d'acqua. Da quel momento l'abitato cominciò lentamente ad ingrandirsi tanto che venne concessa al borgo, il 21 gennaio 1712, la costruzione di una propria chiesa, che fu realizzata in meno di due mesi: l'8 marzo venne consacrato l'edificio, dedicato ai santi Anna e Bernardo. Nel 1797 si decise infine di creare una parrocchia separata da quella di San Massimo, alla quale la contrada era sempre stata soggetta, il vicario generale vescovile osservò quindi l'opportunità di costruire una chiesa più grande, la cui progettazione fu affidata a Luigi Trezza. Durante la prima guerra di indipendenza Lugagnano fu protagonista delle prime scaramucce tra soldati piemontesi e austriaci, che si sarebbero poco dopo scontrati nella battaglia di Santa Lucia: sul paese ripiegarono a fine aprile 1 500 soldati austriaci (che poi si diressero verso Verona), dopo che il loro tentativo di occupare la pianura a valle di Sona fu scoperto e annullato dall'attacco delle truppe piemontesi. Il 6 maggio i comandanti delle truppe sabaude decisero un'avanzata momentanea verso Verona con 30 000 uomini e 70 cannoni, e a sua volta il feldmaresciallo Josef Radetzky decise di avanzare da Verona con 16 000 uomini e 63 cannoni, mentre 11 000 soldati rimanevano all'esterno delle mura, pronti ad intervenire in caso di bisogno: Lugagnano, ormai sgomberata da qualche giorno, si trovava proprio a metà strada. Sempre dalla piccola frazione passò quindi la seconda brigata sabauda, scontrandosi con l'avanguardia austriaca che dovette ripiegare a San Massimo. Il borgo venne nuovamente attraversato da truppe austriache provenienti da Verona a fine luglio, che si scontrarono a Sona con i piemontesi e, da lì, avanzarono fino a Custoza, dove si unirono ad altri reparti austriaci e sconfissero i sabaudi nell'omonima battaglia. Nel 1928 iniziarono i lavori di canalizzazione per portare l'irrigazione nella piana di Lugagnano, lavori conclusi in pochi mesi e che portarono alla messa a coltura dei peschi e altri alberi da frutto. Dopo le vicissitudine delle guerre mondiali, che toccarono solo marginalmente il paese, iniziò la costruzione della nuova chiesa di Lugagnano dedicata a Sant'Anna, dato che la chiesa di Trezza era, ormai, insufficiente per capienza. Il progetto, che prevedeva un campanile mai realizzato, venne donato dall'ingegnere Demetrio Mazzi. La chiesa venne inaugurata il 1º maggio 1955 dopo un totale di 78 mesi di lavori: la chiesa, nonostante sotto il profilo artistico non sia pregevole, sotto quello umano fu un importante lavoro dell'intera comunità. La vecchia chiesa opera dell'architetto Luigi Trezza venne abbandonata e ne venne successivamente richiesta la demolizione per via di presunti problemi di staticità della struttura, anche se in realtà le lesioni sulla facciata della chiesa furono allargate e annerite per giustificare l'abbattimento della chiesa: essa fu quindi demolita tra il 28 ottobre e il 6 novembre 1968. La comunità dell'abitato, diviso amministrativamente tra ben quattro comuni (Verona, Bussolengo, Sommacampagna e Sona), negli anni settanta sentì l'esigenza, col crescere della popolazione, di vedere ridefiniti i confini in maniera che venisse inglobata in un solo Comune. La proposta di legge per la ridefinizione dei confini venne presentata in Regione il 22 gennaio 1974, quindi la Presidenza del Consiglio Regionale indisse un referendum popolare che si svolse il 20 e 21 ottobre 1974, quando votò a favore dell'unificazione con il Comune di Sona il 79% dei votanti. Da quando è diventato parte del comune di Sona, la crescita demografica del paese è stata superiore rispetto alle altre frazioni e al capoluogo, per via della maggiore vicinanza a Verona e per la presenza di un territorio completamente pianeggiante e quindi più facilmente edificabile. Abitanti censiti La chiesa parrocchiale dedicata a sant'Anna venne edificata nel secondo dopoguerra, quando a causa dell'incremento della popolazione si decise di abbandonare (e poi demolire) la precedente chiesa ottocentesca, realizzata dal noto architetto Luigi Trezza ma ritenuta troppo poco capiente. Notevole sia dal punto di vista artistico che delle dimensioni l'affresco del transetto di destra, in cui l'artista Federico Bellomi ha raffigurato un Giudizio Universale. L'enorme affresco, promosso dal parroco don Mario Castagna, venne realizzato nell'arco di cinque anni su una superficie di circa 240 metri quadrati: nei 20 metri di altezza si possono riconoscere oltre 500 figure, tra le quali lo stesso parroco e l'autore dell'affresco. Intorno all'imponente figura centrale del Cristo Risorto si snodano le scene principali del Vecchio e del Nuovo Testamento. La corte della Messedaglia sorse nella seconda metà del XV secolo, come sembra confermare il pozzo della corte, andato perduto, che portava incisa come data il 1484. Il primo edificio realizzato fu la casa padronale, utilizzata dai conti Bevilacqua prima come luogo di villeggiatura e poi come residenza, in quanto possedevano numerosi terreni nelle località Mancalacqua e Ca' di Capri. All'inizio del XVIII secolo venne realizzata invece una chiesetta dedicata a Santa Maria del Carmine e visitata nel 1725 dal Vescovo di Verona. Vi sono varie ipotesi sull'origine del nome della corte, in particolare lo specialista di etimologia Luigi Messedaglia, nipote di Angelo Messedaglia, propone che «al qual nome locale, che risponde ad un miscitalia, si dovrebbe attribuire il significato di campagna messa a diverse colture, oppure di terreni mescolati dalle piene dei fiumi»: a sostegno di questa derivazione viene portato come prova il termine veronese mesedar (oggi mesiar), ossia "mescolare". Altra tesi, che vede "Mazadagia" pronunciato invece con la z dolce, consiglia che potrebbe derivare dal veronese mazo, in italiano "maggio", o mazadego, in italiano "maggiatico", inteso come attività del taglio del fieno a maggio. Corte Beccarie è la corte di maggiori dimensioni di Lugagnano, fatta costruire nel XVIII secolo dalla nobile famiglia dei Personi, proprietari anche della corte Messedaglia e della campagna di pertinenza: la famiglia decise realizzare un secondo insediamento spostato verso la strada che conduce da Verona a Lugagnano. La corte venne ampliata in diverse fasi fino all'Ottocento, quando venne acquistata dalla famiglia Lucchini. In quel periodo la corte aveva ancora i connotati rurali originali, con una forma ad U e la presenza esclusiva delle stalle. Tra il 1848 e il 1856 furono infine costruite le abitazioni sul lato strada, che diedero alla corte la sua forma definitiva. Agli inizi del Novecento venne realizzata una filanda che occupava molte decine di donne di Lugagnano e dei paesi limitrofi mentre la campagna. Il significato del nome della corte, che già nel catasto austriaco era identificata con il toponimo "Beccaria", non è conosciuto, tuttavia molto probabilmente starebbe a indicare il macello (dal veronese becàr, in italiano "macellaio"), origine che sarebbe giustificata dalle dimensioni delle stalle e di una conseguente possibile presenza di un macello in loco. Il forte militare si trova poco all'esterno del territorio comunale, all'incirca a metà strada tra gli abitati di Lugagnano e San Massimo. La moderna fortificazione militare venne progettata dall'Imperiale Regio Ufficio delle Fortificazioni di Verona è costruito tra il 1860 e il 1861, quando venne inaugurato col nome di Werk Kronprinz Rudolf, venendo quindi intitolato all'infante arciduca Rodolfo d'Asburgo-Lorena, principe ereditario dell'Impero austro-ungarico, morto tragicamente durante i fatti di Mayerling. Il forte, caratterizzato da un tracciato poligonale tipico della scuola fortificatoria neotedesca con ridotta centrale, è situato in aperta campagna e faceva sistema con il forte Chievo, arretrato sull'ala destra, e con il forte Dossobuono, sulla sinistra. Le sue artiglierie da fortezza dominavano la pianura antistante fino quasi al limite delle colline di Sommacampagna, Sona, Palazzolo. Il forte è tra quelli più grandi del sistema veronese, avendo avuto una guarnigione di 375 fanti e 72 artiglieri (ma in caso di emergenza poteva ospitare fino a 616 uomini). Trovavano spazio nel forte 4 cannoni rigati da 12 cm a retrocarica, 6 cannoni ad anima rigata da 12 cm a retrocarica, 2 cannoni ad anima rigata da 9,5 cm ad avancarica e 20 cannoni di diverso calibro ad anima liscia. La polveriera aveva una capienza di ben 52 500 kg di polveri da sparo. Nella frazione si tiene, durante il periodo di Carnevale, una grande sfilata di carri allegorici, la cui maschera principale della manifestazione è lo "Tzigano", che viene eletto ogni anno dai cittadini dell'abitato. La maschera dello Tzigano, il cui nome indica uno zingaro, nasce da una leggenda che vuole che il borgo nasca proprio da una carovana di zingari che secoli prima si stanziò nella pianura, integrandosi con gli abitati sparsi nella campagna andando a formare insieme il centro abitato. Massimo Gasparato e Gianluigi Mazzi, Fregole de storia: appunti e spunti su Lugagnano e dintorni, Verona, Pro Forma Comunicazione, 1997, SBN IT\ICCU\VIA\0072065. Sona Museo storico degli Alpini e della civiltà locale Wikinotizie contiene notizie di attualità su Lugagnano Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Lugagnano Carnevale di Lugagnano, su tzigano.it. URL consultato il 25 marzo 2020.

Quadrante Europa

Quadrante Europa è una zona produttiva di Verona, posta all'incrocio delle autostrade del Brennero e della Serenissima, e all'incrocio delle corrispondenti linee ferroviarie (ferrovia del Brennero e ferrovia Milano-Venezia). Originariamente il nome riguardava solo l'interporto, che si estende su una superficie di forma quadrata; oggi il nome che deriva dalla posizione immediatamente a sud - ovest dell'incrocio tra le linee ferroviarie del Brennero e Torino - Trieste ed immediatamente a nord est dell'incrocio tra le autostrade Modena - Innsbruck e Milano - Venezia, che costituiscono così due assi cartesiani, viene utilizzato per l'intera area nodale, che oggi vede la presenza anche del mercato ortofrutticolo. Il Quadrante Europa è il punto di incontro ideale per il trasporto merci sia stradale, che ferroviario ed aereo, essendo collegato anche all'aeroporto di Verona-Villafranca. Da qui vi passano traffici merci provenienti o diretti al nord Europa, attraverso il Brennero, e i traffici da e per la Francia e la Spagna per i Paesi dell'est Europa. Secondo i dati della classifica 2019 redatta da Deutsche Gvz-Gesellschaft mbH, l'interporto veronese è il più importante d'Italia ed il secondo a livello europeo dopo l'interporto di Brema. In questo sistema di servizi logistici e intermodali sono insediate più di cento aziende, con oltre 4.500 addetti. Dall'interporto di Verona circola nel 2006 il 30% di tutto il traffico combinato italiano e oltre il 50% del traffico combinato internazionale da e per l'Italia. Il Quadrante Europa è l'interporto che movimenta più merci nel Veneto, ha infatti movimentato 25.589.000 tonnellate di merci nel 2006, su un totate di 30.681.000 di tonnellate movimentate in tutta la regione. L'area destinata ai centri logistici è di circa 220000 m², di cui 150000 m² appartengono a Volkswagen Group Italia, cioè il distributore italiano della Volkswagen, dell'Audi, della Škoda, e della Seat. Volkswagen Group Italia vi ha costruito uffici, con salone per esposizioni, mensa per i dipendenti, un edificio per la formazione e un grande magazzino logistico. Nella zona ferroviaria sono presenti un terminal intermodale da 12 binari, un interterminal con 3 binari e un compact terminal con 5 binari. Il mercato ortofrutticolo sorge su un'area di circa 550000 m² a lato della scalo merci. Nel centro vi è il mercato dell'ortofrutta, il settore ittico, il settore florovivaistico ed il settore agroalimentare. È presente anche un edificio direzionale per le aziende del settore terziario. Stazione di Verona Porta Nuova Stazione di Verona Porta Vescovo Sito del mercato ortofrutticolo di Verona, su veronamercato.it. Sito del Quadrante Europa, su quadranteeuropa.it.

Incidente del Caproni Ca.48
Incidente del Caproni Ca.48

L'incidente del Caproni Ca.48 è stato un incidente verificatosi il 2 agosto 1919, quando un aereo per trasporto passeggeri si schiantò a terra a Verona (Italia). Lo schianto del Caproni Ca.48 provocò la morte di tutte le persone a bordo dell'aereo (i 2 membri dell'equipaggio, oltre che i 12, 13 o 15 passeggeri). L'incidente è stato il primo disastro che ha avuto come protagonista un aereo commerciale di tipo aerodina (ovvero un aereo più pesante dell'aria). Alle ore 7:30 di mattina del 2 agosto 1919, il Caproni Ca.48, di proprietà della società Caproni e pilotato da due aviatori militari italiani, è decollato dalla pista di Taliedo (un sobborgo di Milano), di proprietà della stessa compagnia aerea, con destinazione Venezia, dove è arrivato senza alcun problema alle ore 9:22. Dopo essere rimasto a terra per quasi tutto il giorno, alle 17:00 circa il Caproni è decollato nuovamente per ritornare a Taliedo. Testimonianze oculari hanno raccontato di aver visto l'aereo volare nei pressi dell'aeroporto di Verona, a un'altezza di 3000 piedi (circa 910 metri), con le ali che mostravano movimenti bruschi per poi collassare completamente. Alcune persone a bordo si sono lanciate dall'aereo prima dello schianto, trovando comunque la morte. Non ci sono stati sopravvissuti. Il triplano Caproni Ca.48 era la versione per il volo di linea del Ca.42, a sua volta derivato dal Ca.4, bombardiere pesante in uso alla Regia Aeronautica italiana. Questo bombardiere aveva preso servizio durante la Prima guerra mondiale con la funzione di bombardare obiettivi in Austria-Ungheria (l'aereo era stato anche utilizzato dal Royal Naval Air Force britannico). Per convertire a uso civile il Ca.48, la Caproni aveva rimosso tutti gli armamenti e montato una cabina di pilotaggio per due piloti con finestrini larghi, oltre che 23 posti per i passeggeri. Nonostante abbia fatto notevole impressione al pubblico, il Ca.48 non è stato probabilmente mai impiegato stabilmente per un servizio di linea. Le fonti disponibili sul disastro del Ca.48 sono tutte concordanti sul fatto che non vi è stato nessun sopravvissuto. Una di esse, pubblicata cinque giorni dopo la tragedia, afferma che a bordo vi fossero 14 persone: i 2 membri dell'equipaggio, 5 importanti giornalisti italiani (tra cui Tullo Morgagni) e 7 meccanici della Caproni. Fonti più tarde aumentano il bilancio dei morti a 15 o 17, senza ulteriori spiegazioni. The Civilian Transport Aircraft of Caproni (1918-1939) Flight, 7 agosto 1919 Venice Airport Lido: On the Wings of the Sparrow Jon Guttman, "Crazy Capronis", Aviation History, luglio 2008. Incidente sul database ASN.

Aeroporto di Verona-Villafranca
Aeroporto di Verona-Villafranca

L'aeroporto di Verona-Villafranca, intitolato a Valerio Catullo, si trova a cavallo dei territori di Villafranca di Verona (nella frazione di Dossobuono) e di Sommacampagna (nella frazione di Caselle). Dista circa 12 km dal centro della città di Verona. L'aeroporto opera al servizio di uno fra i più importanti comprensori in Europa. Al centro di un'area che comprende le province di Brescia, Mantova, Rovigo, Vicenza, Trento, Bolzano e Verona e che, con circa quattro milioni di abitanti raggiunge il 12% del PIL nazionale. L'aeroporto, precedentemente classificato come aeroporto militare, dall'11 settembre 2008 ha assunto lo status di aeroporto civile appartenente allo Stato, aperto al traffico militare. L'aeroporto viene gestito dalla società Aeroporto Valerio Catullo di Verona Villafranca S.p.A., che gestisce anche l'Aeroporto Gabriele D'Annunzio di Brescia-Montichiari. La Base Aerea di Villafranca fu un aeroporto militare durante la prima guerra mondiale. A Ganfardine il 3 maggio 1918 arriva la 134ª Squadriglia che vi resta fino al 1º dicembre, il 12 maggio la 61ª Squadriglia fino al 25 novembre e la 1ª Sezione SVA fino al marzo 1919 e il 14 maggio la 75ª Squadriglia caccia fino al 15 giugno e dal 29 giugno fino al marzo 1919. Il 6 luglio arriva anche il III Gruppo (poi 3º Gruppo caccia terrestre) fino al 4 dicembre. L'8 novembre 1918 arriva la 60ª Squadriglia fino al febbraio 1919 e il 12 dicembre la 56ª Squadriglia fino alla fine del 1919 e la 57ª Squadriglia fino al 1919. Sempre in dicembre arriva la 58ª Squadriglia fino a febbraio 1919. Aprì al traffico civile nei primi anni dieci con voli giornalieri per Roma e voli a nolo per destinazioni del Nord Europa. Nel 1951 arriva il 5º Stormo che il 1º febbraio 1953 diventa 5ª Aerobrigata restando fino al 1956 e dal 1º dicembre 1954 il 3º Stormo che il 1º gennaio 1956 diventa 3ª Aerobrigata Ricognizione Tattica. Verso la fine degli anni settanta, con il primo progetto comune tra Provincia, Comune e la locale Camera di commercio, vennero costruiti il molo passeggeri, uffici e strutture di assistenza. La società di gestione Aeroporto Valerio Catullo di Verona Villafranca S.p.A. fu creata nel dicembre 1978. La proprietà era divisa tra le amministrazioni della Regione Veneto, del comune di Villafranca di Verona, del comune di Sommacampagna, della Provincia di Rovigo, della Regione Lombardia, della Provincia di Brescia, della Provincia autonoma di Trento (secondo principale azionista) e della Provincia autonoma di Bolzano. Nel 1990 il molo passeggeri fu ampliato per far fronte al costante aumento del traffico. Il piazzale aeromobili e i parcheggi auto furono ingranditi; inoltre l'accesso all'aeroporto fu migliorato con un collegamento al nuovo anello stradale di Verona (SS 12) in occasione della Coppa del mondo di calcio. Nel 1995 l'aeroporto raggiunse il primato di un milione di passeggeri annui. Nel 1999 raggiunse il secondo grado in Italia nella classifica dei voli charter, subito dietro Milano-Malpensa e Roma-Fiumicino. Il numero di passeggeri continuò a crescere: 2 milioni all'anno nel 2001 e 3 milioni nel 2006. In risposta alla costante crescita del traffico, la società di gestione sta provvedendo ad un deciso ampliamento delle strutture. I primi interventi sono stati compiuti il rifacimento e l'allungamento della pista di volo, l'ampliamento dei piazzali di sosta aeromobili e la costruzione di un nuovo molo arrivi, detto Terminal 2, inaugurato a maggio 2006 dal viceministro dei Trasporti Cesare De Piccoli e dal vicepresidente della Regione Veneto Luca Zaia, situato vicino alla struttura originale, detta Terminal 1. Come risultato del programma di espansione, la capacità dell'aeroporto è raddoppiata. Attualmente il Terminal 1 è usato solo per le partenze e il Terminal 2 per gli arrivi. Piani futuri prevedono l'integrazione tra le due strutture (con l'aggiunta di un piano superiore), l'estensione dei piazzali aeromobili, la costruzione di una stazione ferroviaria sulla linea Verona-Modena e una nuova uscita dell'autostrada A22. Infatti, a luglio 2016, si è concluso il rifacimento del piazzale aeromobili e l'apertura di una nuova area commerciale. Tra il 2018 e il 2019 sono stati realizzati i seguenti interventi: rifacimento pavimentazione della via di rullaggio T situata sul lato opposto dei moli, con adeguamento AVL a diodi; rifacimento testata 22 e 04 della pista, con realizzazione del piazzale di manovra su testata 04 per aumentare la capacità; sentiero di avvicinamento pista 04 sopraelevato. Nel 2019, in occasione dei lavori di rifacimento del fognolo nord nel piazzale di sosta, sono stati predisposti i cavidotti per i futuri pozzetti 400 Hz a servizio degli aeromobili. Nel 2020 era previsto il rifacimento di un ampio tratto della pista, con passaggio di tutte le luci a diodi e di un rullaggio, oltre all'inizio dell'ampliamento del Terminal Partenze (T1), sia lato terra che lato volo, con l'aggiunta di tre torrini collegati con altrettanti pontili al corpo dell'edificio. Tuttavia, a causa del COVID-19, tali interventi sono stati rimandati di un anno. Nel 2021, per effetto della riforma Madia, Aerogest viene liquidata, ma i singoli soci che la componevano accettano di partecipare all'aumento di capitale nell'ottica di finanziare le opere di riqualificazione e ampliamento dell'aeroporto in vista delle Olimpiadi di Milano-Cortina del 2026. La superficie del terminale passerà da 24.840 mq a 36.370 mq e verranno ristrutturati 10.000 mq di superficie già esistente. I lavori propedeutici all'ampliamento inizieranno a fine luglio 2021. Dal 13 settembre al 26 ottobre 2021 è stato riqualificato un ampio tratto della pavimentazione della pista e della via di rullaggio C, sulle quali è avvenuto il passaggio delle luci a LED. I lavori hanno avuto un costo di circa 10 milioni di euro e sono stati eseguiti principalmente di notte, infatti lo scalo è rimasto chiuso solo dal 3 all'8 ottobre 2021. L'aeroporto ha visto lo sbarco deciso delle compagnie a basso costo nel 2007. Wind Jet aveva inaugurato i collegamenti (da/per Catania e Palermo) a settembre 2006 e ha aggiunto a marzo 2007 Mosca e San Pietroburgo, Ryanair è sbarcata a Verona con un volo da Francoforte e dal 2007 anche Brema. Clickair ha iniziato il 1º aprile 2007 a collegare Verona a Barcellona. Il traffico aereo ha continuato a crescere durante gli anni 2010, con 3.385.794 passeggeri registrati nel 2011. A causa di un'investigazione dell'Unione europea riguardante le elevate sovvenzioni ricevute dalla compagnia aerea irlandese Ryanair per i suoi voli di linea, la compagnia aerea ha lasciato l'aeroporto di Villafranca nel 2012. Questo ha causato una notevole riduzione del traffico passeggeri nel 2013. A partire dall'inverno 2014, la compagnia a nolo italiana Neos ha stabilito nell'aviorimessa la sua principale base di manutenzione, ampliando inoltre l'offerta di voli di lungo raggio verso le destinazioni di Messico (Cancun) e Tanzania (Zanzibar), che si aggiungono ai voli per Capoverde (Boavista e Sal), Dubai, Egitto (Marsa Alam, Hurgada, Sharm el Sheikh, Marsa Matrouh), Tunisia (Djerba, Monastir, Hammamet), Canarie (Tenerife, Las Palmas, Fuerteventura), Baleari (Ibiza, Minorca, Palma di Maiorca), Tel Aviv, Grecia (Kos, Karpathos, Creta, Rodi, Mykonos, Santorini) e Cagliari. La compagnia irlandese Ryanair, dopo aver chiuso tutti i voli nel 2012, torna all'aeroporto di Verona con nuove rotte dal 1º aprile 2015, per Bruxelles (Zaventem), Palermo e Londra. Diverse compagnie aeree hanno modificato i loro voli a nolo in servizi di linea durante la stagione invernale 2015-2016: Finnair vola tra Verona ed Helsinki e AirBaltic tra Verona e Riga. La rotta tra Parigi e Verona, operata da Air France, ha invece cessato le operazioni ad ottobre 2015, venendo sostituita con voli operati dalla sua sussidiaria economica Transavia, che a sua volta ha cessato le operazioni nel 2017, lasciando Verona senza collegamenti diretti con la capitale francese. Da aprile 2022 Volotea ha ripristinato il collegamento. L'aeroporto è dotato di una sola pista, orientata a 044° (o a 224° a seconda della direzione). La pista 04 (quindi quella orientata a 044°) è dotata del sistema di atterraggio strumentale (ILS), mentre sia la pista 04 che la 22 sono dotate del sistema PAPI. L'aeroporto è stato dotato inoltre nel gennaio del 2008 di un innovativo impianto per la sicurezza dei voli in caso di nebbia (per la prima volta in Italia). Questo sistema è utilizzato per la guida degli aerei a terra e garantisce massima sicurezza. L'aeroporto si trovava all'interno dell'area controllata dal CCA di Padova, ma dal 20 maggio 2021 è stato affidato al CCA di Milano. Auto L'aeroporto si raggiunge in auto dalle autostrade A4 e A22: provenendo da Brescia con uscita Sommacampagna in circa 10 minuti seguendo le indicazioni "Aeroporto". Con provenienza da Vicenza, Mantova, Trento, Bolzano uscita Verona Nord in circa 10 minuti seguendo le indicazioni "Aeroporto". Trasporto pubblico L'aeroporto è collegato alla stazione ferroviaria di Verona con un servizio di aerobus ogni 20 minuti. Taxi I taxi sono situati all'esterno dell'aerostazione, area arrivi. All'aeroporto di Verona è presente il servizio di autonoleggio. Aeroporti più trafficati in Italia Disastro aereo di Verona Stazione meteorologica di Verona Villafranca Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su aeroporto di Verona-Villafranca Wikivoyage contiene informazioni turistiche su aeroporto di Verona-Villafranca Sito ufficiale, su aeroportoverona.it. Database fotografico storico, su pitispotterclub.it (archiviato dall'url originale il 25 settembre 2022).

Forte Lugagnano
Forte Lugagnano

Forte Lugagnano, originariamente chiamato Werk Kronprinz Rudolf, è una fortificazione posta a ovest di Verona, parte del complesso sistema difensivo cittadino e più in particolare del secondo campo trincerato di pianura, messo in opera tra 1859 e 1866. La struttura fortificata fu realizzata tra 1860 e 1861 e i lavori furono diretti dall’Imperiale Regio Ufficio delle Fortificazioni di Verona. Il forte è intitolato all'arciduca Rodolfo d'Asburgo-Lorena, principe ereditario d'Impero austriaco, morto tragicamente durante i fatti di Mayerling. Il forte, a tracciato poligonale (un sistema poligonale misto tipico della scuola fortificatoria neotedesca) con ridotto centrale, è situato in aperta campagna e faceva sistema con il forte Chievo, arretrato sull'ala destra, e con il forte Dossobuono, sulla sinistra. Le sue artiglierie da fortezza dominavano la pianura antistante fino quasi al limite dei rilievi morenici di Sommacampagna, Sona e Palazzolo, e in particolare battevano la strada proveniente da Peschiera e la ferrovia Milano-Venezia. L'ingresso al forte fu risolto dal progettista con una disposizione complessa, coordinata al doppio recinto di sicurezza interno. Nel terrapieno del fronte di gola rettilineo è inserita un'opera casamattata, alla quale è innestata la caponiera di gola, per artiglieria e fucileria, che difendeva l'accesso. La strada di accesso si sdoppia quindi davanti alla caponiera arrotondata, in direzione dei due portali laterali, simmetrici, preceduti dal ponte levatoio. Dai due portali ad arco si accede al piazzale interno, sotto il tiro dei fucilieri. Al centro del forte si eleva, su due piani e con copertura casamattata, il ridotto a corpo lineare, piegato sul tracciato a lunetta, con raccordi d'angolo arrotondati. Lungo il cortile interno del ridotto, al centro della facciata, sporge un corpo su pianta trapezoidale che contiene la scala e i servizi igienici. Sui due piani, nei locali a volta, sono disposti i ricoveri per la numerosa guarnigione e le varie funzioni logistiche, che rendevano l'opera autosufficiente. Il fronte principale del ridotto è ordinato per la difesa, su ogni piano, con galleria perimetrale a feritoie per fucilieri. Sul fronte secondario, concavo, il cortile è chiuso da un muro rettilineo di sicurezza. Nel mezzo, ai lati del passaggio per l'accesso al cortile, altri due muri paralleli si collegano alle casematte del fronte di gola, delimitando un ulteriore compartimento di sicurezza. Il tutto forma un doppio recinto a feritoie che, assieme alle gallerie per fucilieri del fronte principale, assicurava la difesa progressiva dell'opera. Inoltre tre pozzi per le riserve d'acqua sono collocati agli angoli del piazzale interno, in nicchie casamattate. Attorno al ridotto, il grande terrapieno si eleva sull'impianto a lunetta pentagonale, e copre in aderenza anche l'intero fronte di gola. Le postazioni di combattimento per l'artiglieria da fortezza, a cielo aperto, sono protette da numerose traverse, in parte casamattate. All'esterno, completavano l'opera la scarpa a pendenza naturale, rivestita dal muro aderente solo in corrispondenza delle tre caponiere. Dall'esterno, verso il fronte principale, si percepisce l'architettura di terra, con masse dai profili ben modellati dalla geometria del defilamento, mentre le opere murarie sono completamente sottratte alla vista. Nel fronte di gola, secondo un modello classico, spiccano i portali monumentali, inseriti nelle severe membrature murarie. Nel nucleo del forte il ridotto assume duplice fisionomia: fortificatoria, nel prospetto esterno, convesso, con la serrata sequenza di feritoie su due ordini; quasi civile, nel prospetto concavo interno, che affaccia sulla corte, con la successione di bifore a sesto ribassato. Una rarità costruttiva la si incontra nelle poterne principali, coperte da volte di laterizio a gradoni discendenti e con il tratto terminale a volta gotica. Ciottoli e listati di laterizio (come nella tradizione costruttiva del medioevo veronese) rivestono i muri di controscarpa, mentre il tufo di Verona riveste gli altri edifici del forte, conferendogli un aspetto di straordinaria saldezza. L'armamento della fortificazione consisteva in: 4 cannoni rigati da 12 cm a retrocarica 6 cannoni ad anima rigata da 12 cm a retrocarica 2 cannoni ad anima rigata da 9,5 cm ad avancarica 20 cannoni di diverso calibro ad anima liscia Riserve di munizioni: 52 500 kg di polveri. Il presidio in caso di guerra della fortificazione consisteva in: 375 fanti 72 artiglieri Era inoltre possibile disporre un presidio di emergenza di 616 uomini. Verona Monumenti di Verona Sistema difensivo di Verona Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Forte Lugagnano

San Vito al Mantico
San Vito al Mantico

San Vito al Mantico è l'unica frazione di Bussolengo in provincia di Verona. La frazione dista all'incirca 3 chilometri dal capoluogo. La frazione di San Vito al Mantico si trova nella parte occidentale della provincia di Verona, nell'alta pianura veronese, a ridosso delle cerchie moreniche del Garda e delle prime anse della pianura del fiume Adige. A nord, il territorio del comune cui appartiene San Vito al Mantico è diviso rispetto al comune di Pescantina dal fiume Adige. A Ovest si possono notare le ultime cerchie moreniche risalenti alla glaciazione rissiana. L'alta pianura veronese caratterizza il resto del territorio. San Vito al Mantico sorge a 91 metri sopra il livello del mare. L'insediamento più antico archeologicamente documentato, risale all'età del bronzo, circa 3500 anni fa. Sul territorio si succedono Veneti, Reti, Celti e infine i Romani. Il re franco Pipino nell'anno 807, dona un terreno in San Vito al Mantico all'abate del monastero di San Zeno di Verona. Nel XII secolo sembra regnare la signoria rurale degli Olderico. Nel 1405 tutto il Comune passa sotto il dominio della Serenissima Repubblica di Venezia. Nel 1866 viene annesso al Regno d'Italia. Nell'anno 1378 viene documentata una cappella sul limitare del bosco, in prossimità del fiume Adige; ma solo nell'anno 1532 si scopre essere dedicata ai Santi Vito e Modesto. La Chiesa mantiene la sua originaria struttura medioevale fino al XVIII secolo. Intorno all'anno 1769 viene costruita un'aula nuova, semplice e spaziosa, priva di particolari opere d'arte. È stata mantenuta intatta l'antica cappella contenente al suo interno un affresco raffigurante la Madonna con il Bambino e un Santo, probabilmente San Vito. L'affresco risale probabilmente alla fine del XIV secolo. Sulla parete esterna si intravedono tracce di altri affreschi ormai deteriorati. La chiesa di San Giovanni Battista, sita in località Corno Basso, fu fatta edificare a cavallo degli anni 1734/1735 dal latifondista Giovanni Battista Campetti, già proprietario di terreni in località Corno. Divenuta di proprietà della Diocesi nel 1936, nel 1959 diviene la chiesa parrocchiale della nascente parrocchia di Corno-San Vito. Nel 1984 crolla una buona porzione del tetto, danneggiando irreparabilmente la volta decorata. La ricostruzione avviene nel 1985. La chiesa presenta un'unica aula rettangolare, decorata secondo l'estetica tardo-barocca. Il coro è rialzato di un gradino rispetto all'aula e si nota come la volta in canniccio di quest'ultimo, decorata a cassettoni, sia rimasta illesa dal crollo del tetto. Eleganti lesene con capitelli compositi marcano i prospetti all'interno dell'aula, mentre stucchi decorativi riquadrano le opere pittoriche di Antonio Balestra, oggi sostituite da riproduzioni. Di notevole pregio risulta la pala d'altare che raffigura una “Vergine con bambino ed i Santi Giovanni Battista ed Antonio”. L'altare, di pregevole fattura, è costituito da marmi policromi. Bussolengo Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su San Vito al Mantico http://www.comune.bussolengo.vr.it

Dossobuono
Dossobuono

Dossobuono (Dossobon in veneto, AFI: doso'bon) è la più popolosa frazione del comune di Villafranca di Verona, in provincia di Verona, con oltre 7 000 abitanti. Posto a circa metà strada fra Verona e Villafranca, dal secondo decennio del XXI secolo ha conosciuto un notevole incremento della popolazione. La prima documentazione storica che riguarda questa località si trova in una pergamena, conservata all'Archivio di Stato di Verona, e risale all'anno 1037, quando tre cittadini di Verona, rispettivamente di legge salica, di diritto romano e di legge longobarda, fecero dono all'abbazia di Nonantola di una pezza di terra aratoria e prativa nel fondo detto Puviliano, nella località chiamata Dossobono. Altri documenti successivi confermano per il medioevo la presenza di una domus dei Templari, e di proprietà fondiarie appartenenti alla famiglia Dal Verme, al monastero di S. Domenico, all'ospedale di S. Giacomo alla Tomba. Nel 1311 vi è notizia della costruzione di una chiesa, dedicata a S. Maria Maddalena, su un terreno appartenente alla chiesa cittadina di S. Nicolò, terreno che sarà acquistato nel secolo XV dalla famiglia Vertua. È però a partire dal 1500 che le notizie sul territorio divengono più copiose e continuative. Una fonte importante sono infatti i verbali delle visite pastorali che i vescovi di Verona facevano periodicamente a tutte le chiese del territorio. La prima visita documentata, a cura del vescovo Gian Matteo Giberti, alla chiesa di S. Maria Maddalena risale al 1526 quando dipendeva ancora dalla pieve di S. Pietro di Villafranca, dipendenza durata fino al 1585 quando venne eretta in parrocchia con circa 150 abitanti. Facevano infatti riferimento a questa chiesa le contrade della Maddalena, della Torre, di Dossobuono, di Calzoni e di Caselle. Un avvenimento importante fu nel 1517 l'attuazione a Dossobuono del trattato di Noyon firmato il 6 dicembre 1516 dall'imperatore Massimiliano I, dal re Francesco I di Francia e da Carlo V re di Spagna. Secondo questo accordo Verona, che era stata conquistata dagli imperiali, sarebbe stata restituita ai Veneziani dietro pagamento, in due rate, di 20 000 scudi d'oro. Le Trattative, come racconta Francesco Guicciardini nel capitolo XXII del libro XII della sua Storia d'Italia, iniziarono il 5 gennaio 1517 e si svolsero a Dossobuono ed ebbero per protagonisti il vescovo di Trento Bernardo Clesio, il comandante francese Odet de Foix visconte di Lautrec, Gian Giacomo Trivulzio comandante delle truppe veneziane e i due provveditori veneti Andrea Gritti e Giovanni Gradenigo. L'accordo fu firmato il 13 gennaio a Dossobuono. Proprio per compensare l'ospitalità offerta sulla propria terra dalla famiglia Vertua in occasione di questa trattativa, la repubblica di Venezia concesse uno degli ultimi benefici feudali. I successivi secoli XVII e XVIII vedono l'affermazione di alcuni grandi proprietari terrieri. Tra questi: la famiglia Pantini con oltre 500 campi di terra soprattutto a Calzoni, la famiglia Vertua con circa 400 campi di terra, la famiglia Zignoli - Alessandri con oltre 500 campi. Altri proprietari erano la Commenda dei Santi Vitale e Sepolcro, la famiglia Maffei con circa 200 campi, la famiglia Pindemonte con 100 campi e il monastero di Santa Maria degli Angeli con circa 200 campi. Il territorio di Dossobuono era quindi costituito da più nuclei che avevano diverse appartenenze amministrative. Vi era infatti la contrada della Maddalena, nella zona attorno al campanile, che era feudo della famiglia Vertua ed era sede della chiesa parrocchiale, luogo d'incontro della comunità. Vi era poi la contrada di Dossobuono, tra le attuali via Cavour, viale Europa e via Vertua, che faceva parte del territorio del comune di Villafranca assieme alla contrada di Calzoni. Vi era infine la contrada della Torre di Dossobuono, con autonomia amministrativa, facente parte delle Ca' di Campagna nel territorio del comune di Verona. Una lotta secolare fu quella che contrappose la popolazione di Dossobuono alla famiglia Vertua per il diritto di nomina e mantenimento del parroco. Dopo aver adito le vie legali, finalmente nel 1681 una sentenza del patriarcato di Aquileia stabilì che la famiglia Vertua, in quanto proprietaria della chiesa aveva il diritto di scegliere e presentare al vescovo il parroco, mentre gli abitanti di Dossobuono potevano convenzionarsi con il parroco scelto dal Vertua o scegliersi un loro sacerdote che officiasse e amministrasse i sacramenti per loro. Questa decisione non risolse la questione che si trascinò fino alla fine del secolo XIX quando, estintasi la famiglia Vertua, subentrò la famiglia Alessandri che cedette al vescovo di Verona il diritto di giuspatronato sulla chiesa di Dossobuono. Dal punto di vista amministrativo, dopo le riforme napoleoniche, con il ritorno degli austriaci e la sistemazione del territorio del regno Lombardo-Veneto, Dossobuono, nel 1818 fu definitivamente aggregato al comune di Villafranca di Verona. Un'epidemia di colera scoppiò nel 1836 provocando la morte di 40 persone e accelerando i lavori di costruzione del nuovo cimitero che fu inaugurato il 6 maggio 1839. Nel 1848 la prima guerra di indipendenza si fece sentire con le sue violenze. Il parroco infatti lamenta da parte dei soldati “il rubamento continuo di polli, de' maiali, delle pecore, de' cavalli e de' bovi; a tacere del denaro che colla spada al collo e col fucile al petto... pretendono violentemente per forza”. I soldati austriaci infatti “sotto il pretesto di cercar piemontesi, fanno esame entro alle più piccole casse, entro ai calti delle tavole ed armadj e comò, per rubare quello che a loro piace meglio”. Altre tristi vicende colpirono il paese nel 1854 e 1855: furono rispettivamente una carestia e una nuova epidemia di colera con 80 morti. Accanto agli avvenimenti tristi vi furono anche occasioni di festa. Nel 1834 l'inaugurazione di un concerto di Campane alla veronese, ancora oggi suonabili manualmente, sul nuovo campanile e nel 1838 il passaggio dell'imperatore d'Austria Francesco Giuseppe I d'Asburgo che si recava a Verona. Il 7 aprile 1851 fu inaugurata la ferrovia Verona-Mantova-Modena alla presenza di molte onorevoli persone. Nel 1862 fu iniziata la costruzione del forte Dossobuono, il cui nome tedesco era Werk Erzherzogin Gisela dal nome della principessa Gisella d'Asburgo-Lorena, che offrì occasione di lavoro a molti sterratori e scarriolanti del luogo. Nel 1871, il 10 dicembre fu inaugurato il nuovo campanile, dopo il crollo del precedente, con la fusione di cinque nuove campane. Nel 1880 fu fondata una Società Operaia di Mutuo Soccorso che contava 141 soci e qualche anno più tardi, nel 1896, prese vita anche una [Cassa Rurale][1] Archiviato il 29 marzo 2010 in Internet Archive.. Nel 1895 morì l'ultimo discendente della famiglia Alessandri lasciando tutti i beni di Dossobuono, villa e campi, per la realizzazione di un [ospedale dei bambini][2] da fondarsi a Verona. Verso la fine del secolo, nel 1897, si tenne un'esercitazione generale dell'esercito italiano, conosciuta come “grandi manovre” cui partecipò lo stesso re d'Italia Umberto I. A Dossobuono era stato allestito un ospedale militare proprio nei locali di villa Alessandri e il 18 settembre, alle ore 10 il re vi si recò inaspettato trattenendosi per tre quarti d'ora. Si chiude così questo secolo che ha visto la popolazione passare dai 500 abitanti del 1802 ai 1200 del 1895. Negli ultimi decenni, Dossobuono, è stata protagonista di una espansione urbanistica edilizia nelle zone di periferia e di uno sviluppo della propria zona industriale, con l'aumento dei grandi esercizi commerciali e col potenziamento ed adeguamento della viabilità. Infatti nel 1962 fu aperta l'autostrada Serenissima, nel 1963 iniziarono i primi voli Verona-Roma presso le nuove strutture dell'aeroporto militare. Infine nei primi anni '70 fu aperta al traffico l'autostrada Modena-Brennero facendo di Dossobuono un centro nevralgico tra importanti vie di comunicazione. Dossobuono è servito dalla propria stazione ferroviaria che si trova sulla linea ferroviaria Verona-Mantova-Modena. A Dossobuono si trova anche l'aeroporto di Verona: l'aeroporto Valerio Catullo. La principale squadra di calcio è l'A.C.D. Olimpica Dossobuono che milita in Prima Categoria, è inoltre presente una squadra di calcio a 5, militante in serie C2. È presente anche la squadra di pallavolo Dual Volley e la Pallamano Olimpica Dossobuono sia maschile che femminile (entrambe militano in Serie A2 dei rispettivi campionati di pallamano). Lorenzo Antonini, Aspetti di vita a Dossobuono dal sec. XI al XIX, Verona 1985. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Dossobuono