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Casa dell'Obelisco

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CASA OBELISCO 01
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La Casa dell'Obelisco è un edificio residenziale di Torino, ubicato nell'area residenziale Borgo Po, all'interno del quartiere ottocentesco di Borgo Crimea che prende nome dalla piazza omonima dove sorge l'obelisco dedicato alla storica battaglia..

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Casa dell'Obelisco
Piazza Crimea, Torino Circoscrizione 8

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10133 Torino, Circoscrizione 8
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CASA OBELISCO 01
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Luoghi vicini

Santa Maria al Monte dei Cappuccini
Santa Maria al Monte dei Cappuccini

La chiesa di Santa Maria al Monte dei Cappuccini è un edificio di culto cattolico di Torino posta sulla sommità del Monte dei Cappuccini. L'edificio fu progettato nel 1584 da Ascanio Vitozzi e consacrata nel 1656, mentre l'altare maggiore è di Carlo ed Amedeo di Castellamonte. L'architettura è tardo-rinascimentale e manierista con interni barocchi. La chiesa ed il convento furono affidati ai frati Cappuccini, da cui il nome. Fin dall'antichità, il Monte dei Cappuccini era stato destinato a scopi difensivi ed era occupato da una fortezza medioevale, detta Bastita Taurini, assieme ad una chiesa romanica a tre navate detta Santa Maria alla Bastita. Nel 1581 Carlo Emanuele I di Savoia, al fine di recuperare il consenso cattolico nei territori, donò il monte all'Ordine dei frati minori Cappuccini, già alloggiati in città nel borgo di Madonna di Campagna, al fine di costruire loro un convento e una nuova chiesa, sempre dedicata alla Vergine Maria. I lavori dell'impianto iniziarono nel 1583, sulle basi di un primo progetto dell'ingegner Giacomo Soldati, proseguiti successivamente da Ludovico Vanello. Il progetto di Soldati era in stile rinascimentale, sul modello del tempio a pianta centrale. Già nel 1590, a cantieri aperti, i frati Cappuccini poterono insediarsi nel convento, autorizzati anche ad officiare messa nel 1596, sebbene con la chiesa ancora in costruzione. Due anni dopo i lavori si arrestarono, sia per mancanza di fondi che per l'arrivo della peste a Torino. Il cantiere fu ripreso nel 1611 da Ascanio Vitozzi, che completò il progetto della chiesa con una pianta a croce greca, recuperando un piccolo spazio per l'attuale vestibolo d'ingresso, più la retrostante sala del coro, posta dietro l'altare maggiore. A tutto ciò, aggiunse il progetto dell'imponente tamburo ottagonale in muratura, terminante con un'alta cupola in piombo, che si allontana dallo stile rinascimentale e procede verso una sensibilità manierista o barocca. Tuttavia, Vitozzi morì nel 1615, e i lavori dovettero proseguire con l'architetto Carlo di Castellamonte, che modificò solo alcune parti in classico stile barocco. Nel 1630 giunse una nuova epidemia di peste, che rallentò la fine dei lavori. Questi vennero riaperti e conclusi dal figlio di Carlo, Amedeo di Castellamonte ma, ancora, la guerra civile di Torino 1637–1640 ne impedì la consacrazione e l'inaugurazione. Intanto furono terminati l'alta cupola in piombo (esistente fino al 1801), sia gli interni come, ad esempio, l'altare maggiore, opera dello scalpellino Gabriele Casella, su disegni di Carlo di Castellamonte. Il pittore Isidoro Bianchi di Campione d'Italia vi realizzò al suo interno numerosi affreschi nel periodo 1630–1633. Nelle nicchie furono poste delle statue lignee, opera dello scultore Stefano Maria Clemente. Nel Settecento furono poi aggiunti alcuni preziosi dipinti. Durante l'assedio francese di Torino del 1640, il Monte fu subito identificato come luogo di importanza strategica. Il principe Tommaso Francesco di Savoia quindi, ordinò al conte d'Harcourt di espugnare il colle e il monastero; i soldati francesi non ebbero difficoltà a vincere le resistenze della popolazione, ma, entrati nella chiesa, una lingua di fuoco si levò dal tabernacolo per proteggere le ostie consacrate. Afferma padre Pier Maria da Cambiano: I francesi desistettero così dalla spoliazione del luogo sacro. L'episodio mistico, tuttora molto caro ai torinesi, è ricordato da un quadro esposto nell'atrio della chiesa. Sono ancora visibili attualmente i colpi della baionetta e le tracce del presunto fuoco divino sul tabernacolo. I soldati francesi comunque portarono a compimento il massacro dei difensori, che seppellirono in una fossa comune, tornata alla luce nel 1937. La chiesa venne solennemente consacrata soltanto il 22 ottobre 1656, in occasione di una breve visita della regina Cristina di Svezia, da poco convertitasi al cattolicesimo e di passaggio da Torino. Pur essendo riconosciuto un luogo di importanza fondamentale per controllare l'accesso orientale di Torino, i francesi non riuscirono a espugnarlo durante il noto assedio di Torino del 1706, a parte una cannonata sulla chiesa. Nel 1799 poi, il Monte dei Cappuccini venne scelto dalle truppe austro-russe quale postazione per le artiglierie che avrebbero dovuto bombardare Torino se i francesi, nuovamente occupanti in città, avessero offerto resistenza. La chiesa ricevette un solo bombardamento, evento ricordato con una palla di cannone conficcata sulla parete della chiesa, non distante da quella conficcata per ricordare quello del 1706. L'interno della chiesa di Santa Maria al Monte è fortemente arricchito di classiche decorazioni barocche. Sia l'altare maggiore che quelli laterali sono in marmi policromi, tutti progettati da Carlo di Castellamonte (1628). L'altare laterale di sinistra, detto di San Maurizio, patrono di Casa Savoia, presenta un coevo olio su tela di Guglielmo Caccia, detto "il Moncalvo", raffigurante il martirio del santo. Sotto la mensa riposano le spoglie di Sant'Ignazio da Santhià (XVII secolo), al secolo Lorenzo Maurizio Belvisotti, canonizzato da papa Giovanni Paolo II nel 2002. Questo frate cappuccino visse i suoi ultimi anni a Santa Maria del Monte, dove ivi morì il 22 settembre 1770, dopo anni di servizio ai poveri e altresì molto stimato dalla famiglia reale). L'altare laterale di destra, detto di San Francesco, presenta invece un olio su tela di Giuseppe Buccinelli, copia dell'originale (1629) di Crespi detto "Il Cerano" conservato alla Galleria Sabauda, raffigurante il fraticello d'Assisi che riceve il bambino dalla Madonna, alla presenza di un altro frate che tiene un libro e dietro il diacono San Lorenzo. Nei quattro angoli della chiesa troviamo invece gli altari minori, opera di Benedetto Alfieri, con: angolo sinistro dall'ingresso: statua di San Serafino da Montegranaro, con sotto dipinto ovale raffigurante San Giuseppe da Leonessa; angolo destro dall'ingresso: statua di Sant'Antonio di Padova, con sotto dipinto ovale raffigurante San Bernardo da Corleone; angolo sinistro verso il presbiterio: statua di San Felice da Cantalice, con sotto dipinto ovale raffigurante San Lorenzo da Brindisi; angolo destro verso il presbiterio: statua di San Fedele da Sigmaringen, con sotto dipinto ovale raffigurante il Beato Bernardo da Offida. In alto, dietro il presbiterio, disegnato da Amedeo di Castellamonte, e sopra l'altare maggiore di Carlo di Castellamonte, spicca una ricca prospettiva lignea dorata su più piani, che incornicia una piccola tavola raffigurante la Madonna con Bambino, detta La Gloria, opera di Caffaro Rore e restaurata nel 1995. Questa tavola sostituisce una scultura lignea della Madonna con Bambino risalente alla fine del XVI–inizio XVII secolo, trafugata nella notte tra il 17 e il 18 dicembre 1980. Legati al convento di Santa Maria al Monte furono, inoltre, altre figure della chiesa torinese e non solo: dal cardinale Guglielmo Massaia ad Angelico da None. Nel 1989 furono rinvenute, con gran stupore, nel cortile retrostante, le spoglie del conte Filippo San Martino di Agliè; furono poi deposte nel 2010 presso una tomba nel vestibolo d'ingresso. Edifici di culto in Torino Unione escursionisti Torino Funicolare del Monte dei Cappuccini Luoghi d'interesse a Torino Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Santa Maria al Monte dei Cappuccini Sito internet dei Frati Minori Cappuccini del Piemonte e della Valle d'Aosta, su cappuccinipiemonte.com.

Biblioteca Nazionale del Club Alpino Italiano

La Biblioteca nazionale del Club Alpino Italiano (CAI) di Torino è la più importante biblioteca italiana specializzata in alpinismo. La Biblioteca ha sede sul Monte dei Cappuccini, dove nel 1874 venne realizzata la "vedetta alpina" e dove fu successivamente istituito il Museo Nazionale della Montagna Duca degli Abruzzi. La Biblioteca fa parte dell'Area Documentazione del Museo. È presieduta da una commissione composta dal presidente generale del CAI o da un suo delegato e da un numero pari di membri nominati dal Consiglio centrale e dalla Sezione di Torino. La biblioteca fu fondata a Torino nel 1863, subito dopo la fondazione del CAI. Suo modello fu, su preciso auspicio di Quintino Sella, la raccolta libraria del famoso Alpine Club di Londra. In seguito ad un accordo con l'Accademia delle Scienze di Torino, il Club Alpino Italiano ottenne dal Ministero della pubblica istruzione l'uso di un casotto presso il Castello del Valentino, prima sede della Biblioteca. Tra le prime raccolte che andarono ad accrescere il patrimonio bibliografico, vi fu il Fondo Circolo Geografico Italiano di Torino, costituito da importanti resoconti di viaggi e di esplorazioni appartenuti all'omonima associazione, scioltasi pochi anni dopo la nascita del CAI. Nel 1954 è stata inserita nell’elenco delle biblioteche specializzate di interesse nazionale pubblicato dal Ministero dell’Istruzione. Attorno al 1958, sotto la direzione dell'ingegnere torinese Giovanni Bertoglio, la consistenza delle raccolte ammontava a circa 10.200 volumi ed opuscoli, 400 riviste alpinistiche di tutto il mondo, 20 atlanti, 3.600 carte geografiche sciolte, 2.000 fotografie relative alla montagna. All'epoca erano già in uso il catalogo alfabetico per autori, per soggetti, sistematico per materie, dei periodici. Nel 1980 entrò a fra parte delle raccolte il Fondo Giovanni Bertoglio, costituito da circa 2.000 volumi di storia, letteratura, guide, bibliografie e periodici sulle Alpi, appartenuti all'ex direttore della Biblioteca e del periodico “L'Escursionista”, per dieci anni redattore della rivista mensile del CAI. Alla fine degli anni Novanta è nato BiblioCai, un progetto di coordinamento avente come obiettivo la valorizzazione e la divulgazione del patrimonio culturale del CAI e la sua accessibilità anche in Internet, e la creazione di un grande meta-catalogo dedicato alla cultura e all'informazione CAI in ogni sua forma (filmati, documentazione, fotografie, stampa sociale, periodici). Nel 2000 è stato donato l'archivio Giuseppe Lamberti (Ceva, 1911 - La Magdeleine, 1995), formato da incartamenti, analisi del terreno, fotografie e progetti riguardanti la quarantennale attività del tecnico e pioniere della costruzione di funivie e piste da sci . Nel 2003 la Biblioteca ha acquisito il Fondo Mario Fantin (Bologna, 1921 – ivi, 1980), comprendente la biblioteca e l'archivio dell'alpinista, alpinista, fotografo, cartografo e regista. I materiali provenivano dal CISDAE (Centro Italiano Studio e Documentazione Alpinismo Extraeuropeo), fondato dallo stesso Fantin nella sua città natale nel 1967, ed attualmente parte dell'Area Documentazione del Museo della Montagna. Attualmente il patrimonio della Biblioteca Nazionale del Club Alpino Italiano comprende circa 43.000 monografie, 1.650 testate di periodici (considerati i cambi di titolo) per un totale di oltre 22.000 annate, circa 10.000 carte topografiche, sia correnti che storiche, relative all'area alpina e a massicci extraeuropei. Il patrimonio documentario è specializzato sulle montagne di tutto il mondo e comprende pubblicazioni di carattere geografico, meteorologico, glaciologico, geologico, speleologico, manuali, classici dell'alpinismo, dell'esplorazione e della speleologia, opere letterarie e storiche relative alle Alpi e guide in varie lingue. Amedeo Benedetti, La Biblioteca Nazionale del CAI, "Biblioteche Oggi", n. 1, gennaio-febbraio 2008, pp. 41–44. Gianluigi Montresor e Alessandra Ravelli (a cura di), La montagna scritta, viaggio alla scoperta della Biblioteca Nazionale del Club Alpino Italiano., Milano, Club Alpino Italiano, 2021, ISBN 978-88-7982-127-8. Luoghi d'interesse a Torino Sito ufficiale della Biblioteca Nazionale del Club Alpino Italiano, su caisidoc.cai.it. Biblioteca Nazionale del Club Alpino Italiano, su Anagrafe delle Biblioteche Italiane, Istituto Centrale per il Catalogo Unico. Biblioteca Nazionale del Club Alpino Italiano, su SIUSA - Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. Biblioteca Nazionale del Club Alpino Italiano, su CoBiS - Coordinamento delle Biblioteche Speciali e Specialistiche di Torino.

Palazzo Gualino
Palazzo Gualino

Palazzo Gualino, o Palazzo Novecento, è uno storico edificio di Torino, ubicato al civico 8 di corso Vittorio Emanuele II, che rappresenta uno dei più evidenti esempi di razionalismo italiano. Sorto sul terreno occupato precedentemente da Villa Gallenga compreso tra corso Vittorio Emanuele II e via della Rocca, l'edificio fu progettato nel 1927 dagli architetti Gino Levi-Montalcini e Giuseppe Pagano, su commissione del noto finanziere e mecenate biellese Riccardo Gualino per farne la nuova sede delle sue imprese. Fu realizzato tra il 1928 e il 1930 e secondo quanto riportato dalla stampa di settore dell'epoca, l'edificio fu il primo d'Italia a essere concepito appositamente per ospitare esclusivamente uffici. Al suo completamento, fu acclamato dalla stampa di settore come simbolo della nascente corrente del Razionalismo italiano. Fu sede delle molteplici aziende di Gualino tra cui la SNIA fino al 1932, quando Gualino venne arrestato, costretto al confino e le sue aziende sequestrate e messe all'asta. Dapprima l'intero immobile fu acquisito dalla Fiat e divenne sede dell'ufficio personale del Sen. Agnelli e in seguito fu sede degli uffici dei nipoti Giovanni Agnelli e Umberto Agnelli. Negli anni novanta del Novecento venne acquisito dal Comune di Torino che vi dislocò la sede di alcuni uffici pubblici. A partire dagli anni Duemila divenne parte del Fondo Città di Torino che eseguì un primo, necessario restauro variandone anche la destinazione d'uso da commerciale a misto residenziale. Nel marzo 2012 il Comune di Torino decise di alienare l'edificio, permettendo ai nuovi proprietari di convertirlo, non senza polemiche, a uso esclusivamente abitativo, suddividendolo in unità immobiliari residenziali di prestigio. Nell'estate del 2012 la nuova proprietà aveva svelato l'intento di ristrutturare l'intero edificio, destinandolo prevalentemente a uso residenziale. Questa decisione non tardò a far insorgere polemiche anche tra gli eredi stessi dell'architetto Levi-Montalcini, poiché l'originale natura dell'edificio fu celebre per essere appositamente concepita per ospitare uffici. Tuttavia, l'ambizioso progetto firmato dall'architetto torinese Armando Baietto prevedeva la suddivisione delle superfici in unità immobiliari di prestigio, nonché la realizzazione di una grande autorimessa sotterranea mediante una complessa tecnica edilizia. Nonostante l'avvio dei lavori in pompa magna, il cantiere si interruppe nel 2013 per il fallimento della società che operò la ristrutturazione. L'interruzione dei lavori perdurò fino all'ottobre 2016 quando l'IPI ha rilevato la proprietà dell'edificio. Nel marzo del 2017 sono proseguiti i lavori di recupero che sono stati completati nel 2019, ribattezzando l'edificio Palazzo Novecento. L'edificio coniuga l'avanguardia tecnica e funzionale alla volontà di realizzare un'opera austera ma "antimonumentale". La struttura è caratterizzata dalla simmetria della facciata nettamente suddivisa nei diversi ordini: sette piani sul corso e cinque affacciati sulla via laterale. A scandire ulteriormente questa suddivisione contribuiva la cromìa originale delle facciate che prevedeva un accostamento di giallo chiaro e verde acqua ma la vera innovazione, oltre all'impiego di materiali d'avanguardia, era nella rivoluzionaria disposizione degli spazi. Gli uffici dirigenziali, concentrati agli ultimi piani anziché al consueto piano nobile, furono infatti l'evidente elemento di novità nel contesto architettonico torinese dell'epoca. Nella veranda dell'ultimo piano, caratterizzata dall'ampia vetrata con affaccio sull'antistante Parco del Valentino, aveva sede l'ufficio presidenziale di Riccardo Gualino; inoltre le ampie finestre, il largo uso del cemento armato, la copertura con un tetto pensile e la progettazione contestuale di tutti gli arredi completavano l'opera nella sua interezza. Inizialmente, il primo progetto di ristrutturazione dell'architetto Baietto disegnava una suddivisione delle superfici in 30 unità immobiliari, insieme a un'ampia autorimessa sotterranea da 75 posti auto da realizzarsi con la tecnica "top-down", che avrebbe consentito di effettuare i necessari lavori di scavo per la realizzazione di nuove fondazioni. La variante al progetto dell'ultima ristrutturazione portò Palazzo Novecento a ospitare un totale di 47 unità abitative di varia metratura, accessibili da tre diverse scale indipendenti e la nuova autorimessa di tre piani interrati accessibile da un'ampia rampa d’accesso coperta che contiene oltre 40 box, tutti serviti da presa elettrica per l'eventuale ricarica di un’automobile elettrica. Politecnico di Torino Dipartimento Casa-Città (a cura di), Beni culturali ambientali nel Comune di Torino, Società degli Ingegneri e degli Architetti in Torino, Torino, 1984. Giuseppe Pagano, Architettura e città durante il fascismo, (a cura di Cesare De Seta), Laterza, Bari, 1976. Luigi Ferrario, Andrea Mazzoli (a cura di), Riccardo Gualino. Architetture da collezione, Istituto Mides/Trau, Roma, 1984. Antonino Saggio, L'opera di Giuseppe Pagano tra politica e architettura, Edizioni Dedalo, Bari, 1984. Giorgio Ciucci, Gli architetti e il fascismo. Architettura e città 1922-1944, Einaudi, Torino, 1989 , pp. 42–43 Alberto Bassi, Laura Castagno, Giuseppe Pagano, Laterza, Roma, 1994. Palazzo Gualino, in Agostino Magnaghi, Mariolina Monge, Luciano Re, Guida all'architettura moderna di Torino, Lindau, Torino, 1995, pp. 118-119. Alessandro Martini, Riccardo Gualino. Cultura, industria e architetture a Torino negli anni Venti, tesi di laurea, Politecnico di Torino, Facoltà di Architettura, a.a. 1998-1999, relatore Vera Comoli. Michela Rosso, Palazzo Gualino, in Vera Comoli Mandracci, Carlo Olmo (a cura di), Guida di Torino. Architettura, Allemandi, Torino, 1999, p. 184. Emanuele Levi-Montalcini, Anna Maritano, Levi Montalcini e Torino, in «Domus», n. 824, marzo, 2000, pp. 113-120. Fulvio Irace, voce Giuseppe Pagano, in Carlo Olmo (a cura di), Dizionario dell'architettura del XX secolo, Vol. III, Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani, Roma, 2003. Gino Levi-Montalcini. Architetture, disegni e scritti, numero monografico di «Atti e Rassegna tecnica della Società degli Ingegneri e degli Architetti in Torino», n. 2, 2003. Patrizia Bonifazio, voce Gino Levi Montalcini, in Carlo Olmo (a cura di), Dizionario dell'architettura del XX secolo, Vol. II, Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani, Roma, 2003. Alessandro Martini, Architetture per Gualino, in Vera Comoli, Giuseppe Bracco (a cura di), Torino da capitale politica a capitale dell'industria, Tomo I, Il disegno della città (1850-1940), Archivio Storico della Città di Torino, Torino, 2004, pp. 337-344. Palazzo Gualino (ora uffici pubblici), in Maria Adriana Giusti, Rosa Tamborrino, Guida all'Architettura del Novecento in Piemonte (1902-2006), Umberto Allemandi & C., Torino, 2008, pp. 250–251. Ville e palazzi di Torino Razionalismo Riccardo Gualino Villa Gualino Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su palazzo Gualino Palazzo Novecento, su palazzonovecento.com.

Ponte Vittorio Emanuele I
Ponte Vittorio Emanuele I

Il Ponte Vittorio Emanuele I è un ponte che attraversa il fiume Po, all'altezza della zona orientale del centro di Torino. Si tratta, di fatto, del principale ponte cittadino, poiché unisce un'importante parte del centro storico (Piazza Vittorio Veneto) con piazzetta Gran Madre di Dio, sulla riva destra del Po (quartiere Borgo Po). Viene spesso chiamato dai torinesi semplicemente come ponte della Gran Madre, ponte di Piazza Vittorio o ponte dei Murazzi. Durante l'occupazione francese di Torino di inizio XIX secolo, su diretto ordine di Napoleone fu deciso di edificare un solido e massiccio ponte, in sostituzione del precedente ponte di pietra, ormai instabile. Il ponte precedente infatti, risaliva al 1404, progettato in pietra da Antonio Becchio da Villanova, a 12 pilastri, largo circa 10 metri, e commissionato da papa Martino V. La struttura subì vari danneggiamenti nel tempo, uno per tutti una significativa esondazione del fiume Po il 3 novembre 1706, che ne distrusse alcuni archi, sostituiti poi da precarie strutture in legno.. Ancor prima, ovvero in epoca romana e poi nel Medioevo, esistevano varie versioni di ponti provvisori, di accesso al castrum romano di Augusta Taurinorum verso la Porta Fibellona (Piazza Castello)/Via Po - e chiamata la Porta di Po - costruiti interamente in legno, di cui una prima documentazione certa si ha di un passaggio levatoio commissionato dal vescovo Landolfo nel 1037. Per il massiccio passaggio di merci tuttavia, si preferì spesso la tradizionale traghettazione a pedaggio del fiume. La costruzione dell'attuale ponte napoleonico comportò l'abbattimento di un fabbricato adibito a magazzino e della chiesa dei Santi Marco e Leonardo, situata nell'attuale punto tra Piazza Vittorio Veneto angolo Via Bonafus. Quest'ultima, fu eretta dai Barrachi nel 1333, quindi già abbattuta nel 1351 poiché obiettivo militare troppo sensibile a ridosso del ponte; fu quindi rifatta dal Vittone nel 1740, e ancora nuovamente abbattuta nel 1811 per dar spazio all'accesso del nuovo ponte. La posa della prima pietra del ponte avvenne nel novembre 1810, alla presenza del principe Camillo Borghese, marito di Paolina Bonaparte e allora Governatore napoleonico in Piemonte: murate nel pilastro centrale del ponte furono riposte 88 fra monete e medaglie commemorative delle campagne napoleoniche, nonché un metro in argento. I lavori furono eseguiti dall'ingegnere francese Charles Mallet e il piemontese Pellegrini, su progetto di Claude La Ramée Pertinchamp, a cinque arcate, lungo 150 metri e largo 12,9 metri, quindi terminato nel 1813. Un anno dopo, con la fine dell'occupazione francese e con il ritorno dei Savoia in città, fu proposto di abbatterlo, percepito da molti come il simbolo della passata occupazione, ma il re Vittorio Emanuele I si oppose all'idea e, sia il ponte che la grande Piazza Vittorio (già Piazza d'Armi), gli furono entrambi titolati. Nello stesso anno del suo ritorno (1814), fu decisa anche la costruzione della piazzetta e della chiesa della Gran Madre di Dio, dal lato opposto al ponte, in quartiere Borgo Po, edificio, quest'ultimo, realizzato però soltanto nel 1831. Il ponte non subì praticamente modifiche dalla sua apertura, resistendo egregiamente alle varie esondazioni. Furono soltanto eseguiti dei lavori nel 1876, per consentire il passaggio del tram, che comportarono anche la sostituzione dei vecchi parapetti in pietra con quelli attuali in ghisa. Renzo Rossotti, Le strade di Torino, Roma, Newton Compton, 1995. ISBN 978-8881831135 Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Ponte Vittorio Emanuele I Museo di Torino, su museotorino.it. URL consultato il 20 marzo 2011 (archiviato dall'url originale il 22 febbraio 2014). Comune di Torino, su comune.torino.it. URL consultato il 22 gennaio 2011 (archiviato dall'url originale il 27 maggio 2011). Torino Dimentica-Ponte Vittorio Emanuele I, su torinodimentica.altervista.org. URL consultato il 22 gennaio 2011 (archiviato dall'url originale il 20 marzo 2013). Mce Torino-Pontepietra, su mcetorino.altervista.org.