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Biblioteca Nazionale del Club Alpino Italiano

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La Biblioteca nazionale del Club Alpino Italiano (CAI) di Torino è la più importante biblioteca italiana specializzata in alpinismo. La Biblioteca ha sede sul Monte dei Cappuccini, dove nel 1874 venne realizzata la "vedetta alpina" e dove fu successivamente istituito il Museo Nazionale della Montagna Duca degli Abruzzi. La Biblioteca fa parte dell'Area Documentazione del Museo. È presieduta da una commissione composta dal presidente generale del CAI o da un suo delegato e da un numero pari di membri nominati dal Consiglio centrale e dalla Sezione di Torino. La biblioteca fu fondata a Torino nel 1863, subito dopo la fondazione del CAI. Suo modello fu, su preciso auspicio di Quintino Sella, la raccolta libraria del famoso Alpine Club di Londra. In seguito ad un accordo con l'Accademia delle Scienze di Torino, il Club Alpino Italiano ottenne dal Ministero della pubblica istruzione l'uso di un casotto presso il Castello del Valentino, prima sede della Biblioteca. Tra le prime raccolte che andarono ad accrescere il patrimonio bibliografico, vi fu il Fondo Circolo Geografico Italiano di Torino, costituito da importanti resoconti di viaggi e di esplorazioni appartenuti all'omonima associazione, scioltasi pochi anni dopo la nascita del CAI. Nel 1954 è stata inserita nell’elenco delle biblioteche specializzate di interesse nazionale pubblicato dal Ministero dell’Istruzione. Attorno al 1958, sotto la direzione dell'ingegnere torinese Giovanni Bertoglio, la consistenza delle raccolte ammontava a circa 10.200 volumi ed opuscoli, 400 riviste alpinistiche di tutto il mondo, 20 atlanti, 3.600 carte geografiche sciolte, 2.000 fotografie relative alla montagna. All'epoca erano già in uso il catalogo alfabetico per autori, per soggetti, sistematico per materie, dei periodici. Nel 1980 entrò a fra parte delle raccolte il Fondo Giovanni Bertoglio, costituito da circa 2.000 volumi di storia, letteratura, guide, bibliografie e periodici sulle Alpi, appartenuti all'ex direttore della Biblioteca e del periodico “L'Escursionista”, per dieci anni redattore della rivista mensile del CAI. Alla fine degli anni Novanta è nato BiblioCai, un progetto di coordinamento avente come obiettivo la valorizzazione e la divulgazione del patrimonio culturale del CAI e la sua accessibilità anche in Internet, e la creazione di un grande meta-catalogo dedicato alla cultura e all'informazione CAI in ogni sua forma (filmati, documentazione, fotografie, stampa sociale, periodici). Nel 2000 è stato donato l'archivio Giuseppe Lamberti (Ceva, 1911 - La Magdeleine, 1995), formato da incartamenti, analisi del terreno, fotografie e progetti riguardanti la quarantennale attività del tecnico e pioniere della costruzione di funivie e piste da sci . Nel 2003 la Biblioteca ha acquisito il Fondo Mario Fantin (Bologna, 1921 – ivi, 1980), comprendente la biblioteca e l'archivio dell'alpinista, alpinista, fotografo, cartografo e regista. I materiali provenivano dal CISDAE (Centro Italiano Studio e Documentazione Alpinismo Extraeuropeo), fondato dallo stesso Fantin nella sua città natale nel 1967, ed attualmente parte dell'Area Documentazione del Museo della Montagna. Attualmente il patrimonio della Biblioteca Nazionale del Club Alpino Italiano comprende circa 43.000 monografie, 1.650 testate di periodici (considerati i cambi di titolo) per un totale di oltre 22.000 annate, circa 10.000 carte topografiche, sia correnti che storiche, relative all'area alpina e a massicci extraeuropei. Il patrimonio documentario è specializzato sulle montagne di tutto il mondo e comprende pubblicazioni di carattere geografico, meteorologico, glaciologico, geologico, speleologico, manuali, classici dell'alpinismo, dell'esplorazione e della speleologia, opere letterarie e storiche relative alle Alpi e guide in varie lingue. Amedeo Benedetti, La Biblioteca Nazionale del CAI, "Biblioteche Oggi", n. 1, gennaio-febbraio 2008, pp. 41–44. Gianluigi Montresor e Alessandra Ravelli (a cura di), La montagna scritta, viaggio alla scoperta della Biblioteca Nazionale del Club Alpino Italiano., Milano, Club Alpino Italiano, 2021, ISBN 978-88-7982-127-8. Luoghi d'interesse a Torino Sito ufficiale della Biblioteca Nazionale del Club Alpino Italiano, su caisidoc.cai.it. Biblioteca Nazionale del Club Alpino Italiano, su Anagrafe delle Biblioteche Italiane, Istituto Centrale per il Catalogo Unico. Biblioteca Nazionale del Club Alpino Italiano, su SIUSA - Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. Biblioteca Nazionale del Club Alpino Italiano, su CoBiS - Coordinamento delle Biblioteche Speciali e Specialistiche di Torino.

Estratto dall'articolo di Wikipedia Biblioteca Nazionale del Club Alpino Italiano (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori).

Biblioteca Nazionale del Club Alpino Italiano
Piazzale Monte dei Cappuccini, Torino Borgo Po

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Santa Maria al Monte dei Cappuccini
Santa Maria al Monte dei Cappuccini

La chiesa di Santa Maria al Monte dei Cappuccini è un edificio di culto cattolico di Torino posta sulla sommità del Monte dei Cappuccini. L'edificio fu progettato nel 1584 da Ascanio Vitozzi e consacrata nel 1656, mentre l'altare maggiore è di Carlo ed Amedeo di Castellamonte. L'architettura è tardo-rinascimentale e manierista con interni barocchi. La chiesa ed il convento furono affidati ai frati Cappuccini, da cui il nome. Fin dall'antichità, il Monte dei Cappuccini era stato destinato a scopi difensivi ed era occupato da una fortezza medioevale, detta Bastita Taurini, assieme ad una chiesa romanica a tre navate detta Santa Maria alla Bastita. Nel 1581 Carlo Emanuele I di Savoia, al fine di recuperare il consenso cattolico nei territori, donò il monte all'Ordine dei frati minori Cappuccini, già alloggiati in città nel borgo di Madonna di Campagna, al fine di costruire loro un convento e una nuova chiesa, sempre dedicata alla Vergine Maria. I lavori dell'impianto iniziarono nel 1583, sulle basi di un primo progetto dell'ingegner Giacomo Soldati, proseguiti successivamente da Ludovico Vanello. Il progetto di Soldati era in stile rinascimentale, sul modello del tempio a pianta centrale. Già nel 1590, a cantieri aperti, i frati Cappuccini poterono insediarsi nel convento, autorizzati anche ad officiare messa nel 1596, sebbene con la chiesa ancora in costruzione. Due anni dopo i lavori si arrestarono, sia per mancanza di fondi che per l'arrivo della peste a Torino. Il cantiere fu ripreso nel 1611 da Ascanio Vitozzi, che completò il progetto della chiesa con una pianta a croce greca, recuperando un piccolo spazio per l'attuale vestibolo d'ingresso, più la retrostante sala del coro, posta dietro l'altare maggiore. A tutto ciò, aggiunse il progetto dell'imponente tamburo ottagonale in muratura, terminante con un'alta cupola in piombo, che si allontana dallo stile rinascimentale e procede verso una sensibilità manierista o barocca. Tuttavia, Vitozzi morì nel 1615, e i lavori dovettero proseguire con l'architetto Carlo di Castellamonte, che modificò solo alcune parti in classico stile barocco. Nel 1630 giunse una nuova epidemia di peste, che rallentò la fine dei lavori. Questi vennero riaperti e conclusi dal figlio di Carlo, Amedeo di Castellamonte ma, ancora, la guerra civile di Torino 1637–1640 ne impedì la consacrazione e l'inaugurazione. Intanto furono terminati l'alta cupola in piombo (esistente fino al 1801), sia gli interni come, ad esempio, l'altare maggiore, opera dello scalpellino Gabriele Casella, su disegni di Carlo di Castellamonte. Il pittore Isidoro Bianchi di Campione d'Italia vi realizzò al suo interno numerosi affreschi nel periodo 1630–1633. Nelle nicchie furono poste delle statue lignee, opera dello scultore Stefano Maria Clemente. Nel Settecento furono poi aggiunti alcuni preziosi dipinti. Durante l'assedio francese di Torino del 1640, il Monte fu subito identificato come luogo di importanza strategica. Il principe Tommaso Francesco di Savoia quindi, ordinò al conte d'Harcourt di espugnare il colle e il monastero; i soldati francesi non ebbero difficoltà a vincere le resistenze della popolazione, ma, entrati nella chiesa, una lingua di fuoco si levò dal tabernacolo per proteggere le ostie consacrate. Afferma padre Pier Maria da Cambiano: I francesi desistettero così dalla spoliazione del luogo sacro. L'episodio mistico, tuttora molto caro ai torinesi, è ricordato da un quadro esposto nell'atrio della chiesa. Sono ancora visibili attualmente i colpi della baionetta e le tracce del presunto fuoco divino sul tabernacolo. I soldati francesi comunque portarono a compimento il massacro dei difensori, che seppellirono in una fossa comune, tornata alla luce nel 1937. La chiesa venne solennemente consacrata soltanto il 22 ottobre 1656, in occasione di una breve visita della regina Cristina di Svezia, da poco convertitasi al cattolicesimo e di passaggio da Torino. Pur essendo riconosciuto un luogo di importanza fondamentale per controllare l'accesso orientale di Torino, i francesi non riuscirono a espugnarlo durante il noto assedio di Torino del 1706, a parte una cannonata sulla chiesa. Nel 1799 poi, il Monte dei Cappuccini venne scelto dalle truppe austro-russe quale postazione per le artiglierie che avrebbero dovuto bombardare Torino se i francesi, nuovamente occupanti in città, avessero offerto resistenza. La chiesa ricevette un solo bombardamento, evento ricordato con una palla di cannone conficcata sulla parete della chiesa, non distante da quella conficcata per ricordare quello del 1706. L'interno della chiesa di Santa Maria al Monte è fortemente arricchito di classiche decorazioni barocche. Sia l'altare maggiore che quelli laterali sono in marmi policromi, tutti progettati da Carlo di Castellamonte (1628). L'altare laterale di sinistra, detto di San Maurizio, patrono di Casa Savoia, presenta un coevo olio su tela di Guglielmo Caccia, detto "il Moncalvo", raffigurante il martirio del santo. Sotto la mensa riposano le spoglie di Sant'Ignazio da Santhià (XVII secolo), al secolo Lorenzo Maurizio Belvisotti, canonizzato da papa Giovanni Paolo II nel 2002. Questo frate cappuccino visse i suoi ultimi anni a Santa Maria del Monte, dove ivi morì il 22 settembre 1770, dopo anni di servizio ai poveri e altresì molto stimato dalla famiglia reale). L'altare laterale di destra, detto di San Francesco, presenta invece un olio su tela di Giuseppe Buccinelli, copia dell'originale (1629) di Crespi detto "Il Cerano" conservato alla Galleria Sabauda, raffigurante il fraticello d'Assisi che riceve il bambino dalla Madonna, alla presenza di un altro frate che tiene un libro e dietro il diacono San Lorenzo. Nei quattro angoli della chiesa troviamo invece gli altari minori, opera di Benedetto Alfieri, con: angolo sinistro dall'ingresso: statua di San Serafino da Montegranaro, con sotto dipinto ovale raffigurante San Giuseppe da Leonessa; angolo destro dall'ingresso: statua di Sant'Antonio di Padova, con sotto dipinto ovale raffigurante San Bernardo da Corleone; angolo sinistro verso il presbiterio: statua di San Felice da Cantalice, con sotto dipinto ovale raffigurante San Lorenzo da Brindisi; angolo destro verso il presbiterio: statua di San Fedele da Sigmaringen, con sotto dipinto ovale raffigurante il Beato Bernardo da Offida. In alto, dietro il presbiterio, disegnato da Amedeo di Castellamonte, e sopra l'altare maggiore di Carlo di Castellamonte, spicca una ricca prospettiva lignea dorata su più piani, che incornicia una piccola tavola raffigurante la Madonna con Bambino, detta La Gloria, opera di Caffaro Rore e restaurata nel 1995. Questa tavola sostituisce una scultura lignea della Madonna con Bambino risalente alla fine del XVI–inizio XVII secolo, trafugata nella notte tra il 17 e il 18 dicembre 1980. Legati al convento di Santa Maria al Monte furono, inoltre, altre figure della chiesa torinese e non solo: dal cardinale Guglielmo Massaia ad Angelico da None. Nel 1989 furono rinvenute, con gran stupore, nel cortile retrostante, le spoglie del conte Filippo San Martino di Agliè; furono poi deposte nel 2010 presso una tomba nel vestibolo d'ingresso. Edifici di culto in Torino Unione escursionisti Torino Funicolare del Monte dei Cappuccini Luoghi d'interesse a Torino Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Santa Maria al Monte dei Cappuccini Sito internet dei Frati Minori Cappuccini del Piemonte e della Valle d'Aosta, su cappuccinipiemonte.com.

Ponte Vittorio Emanuele I
Ponte Vittorio Emanuele I

Il Ponte Vittorio Emanuele I è un ponte che attraversa il fiume Po, all'altezza della zona orientale del centro di Torino. Si tratta, di fatto, del principale ponte cittadino, poiché unisce un'importante parte del centro storico (Piazza Vittorio Veneto) con piazzetta Gran Madre di Dio, sulla riva destra del Po (quartiere Borgo Po). Viene spesso chiamato dai torinesi semplicemente come ponte della Gran Madre, ponte di Piazza Vittorio o ponte dei Murazzi. Durante l'occupazione francese di Torino di inizio XIX secolo, su diretto ordine di Napoleone fu deciso di edificare un solido e massiccio ponte, in sostituzione del precedente ponte di pietra, ormai instabile. Il ponte precedente infatti, risaliva al 1404, progettato in pietra da Antonio Becchio da Villanova, a 12 pilastri, largo circa 10 metri, e commissionato da papa Martino V. La struttura subì vari danneggiamenti nel tempo, uno per tutti una significativa esondazione del fiume Po il 3 novembre 1706, che ne distrusse alcuni archi, sostituiti poi da precarie strutture in legno.. Ancor prima, ovvero in epoca romana e poi nel Medioevo, esistevano varie versioni di ponti provvisori, di accesso al castrum romano di Augusta Taurinorum verso la Porta Fibellona (Piazza Castello)/Via Po - e chiamata la Porta di Po - costruiti interamente in legno, di cui una prima documentazione certa si ha di un passaggio levatoio commissionato dal vescovo Landolfo nel 1037. Per il massiccio passaggio di merci tuttavia, si preferì spesso la tradizionale traghettazione a pedaggio del fiume. La costruzione dell'attuale ponte napoleonico comportò l'abbattimento di un fabbricato adibito a magazzino e della chiesa dei Santi Marco e Leonardo, situata nell'attuale punto tra Piazza Vittorio Veneto angolo Via Bonafus. Quest'ultima, fu eretta dai Barrachi nel 1333, quindi già abbattuta nel 1351 poiché obiettivo militare troppo sensibile a ridosso del ponte; fu quindi rifatta dal Vittone nel 1740, e ancora nuovamente abbattuta nel 1811 per dar spazio all'accesso del nuovo ponte. La posa della prima pietra del ponte avvenne nel novembre 1810, alla presenza del principe Camillo Borghese, marito di Paolina Bonaparte e allora Governatore napoleonico in Piemonte: murate nel pilastro centrale del ponte furono riposte 88 fra monete e medaglie commemorative delle campagne napoleoniche, nonché un metro in argento. I lavori furono eseguiti dall'ingegnere francese Charles Mallet e il piemontese Pellegrini, su progetto di Claude La Ramée Pertinchamp, a cinque arcate, lungo 150 metri e largo 12,9 metri, quindi terminato nel 1813. Un anno dopo, con la fine dell'occupazione francese e con il ritorno dei Savoia in città, fu proposto di abbatterlo, percepito da molti come il simbolo della passata occupazione, ma il re Vittorio Emanuele I si oppose all'idea e, sia il ponte che la grande Piazza Vittorio (già Piazza d'Armi), gli furono entrambi titolati. Nello stesso anno del suo ritorno (1814), fu decisa anche la costruzione della piazzetta e della chiesa della Gran Madre di Dio, dal lato opposto al ponte, in quartiere Borgo Po, edificio, quest'ultimo, realizzato però soltanto nel 1831. Il ponte non subì praticamente modifiche dalla sua apertura, resistendo egregiamente alle varie esondazioni. Furono soltanto eseguiti dei lavori nel 1876, per consentire il passaggio del tram, che comportarono anche la sostituzione dei vecchi parapetti in pietra con quelli attuali in ghisa. Renzo Rossotti, Le strade di Torino, Roma, Newton Compton, 1995. ISBN 978-8881831135 Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Ponte Vittorio Emanuele I Museo di Torino, su museotorino.it. URL consultato il 20 marzo 2011 (archiviato dall'url originale il 22 febbraio 2014). Comune di Torino, su comune.torino.it. URL consultato il 22 gennaio 2011 (archiviato dall'url originale il 27 maggio 2011). Torino Dimentica-Ponte Vittorio Emanuele I, su torinodimentica.altervista.org. URL consultato il 22 gennaio 2011 (archiviato dall'url originale il 20 marzo 2013). Mce Torino-Pontepietra, su mcetorino.altervista.org.

Piazza Vittorio Veneto (Torino)
Piazza Vittorio Veneto (Torino)

Piazza Vittorio Veneto (detta semplicemente Piazza Vittorio dai torinesi), è una delle piazze storiche e porticate di Torino, situata nella parte orientale del centro cittadino, tra il termine di via Po e la riva sinistra del fiume Po. La piazza termina con lo storico ponte Vittorio Emanuele I, che collega la piazza stessa, insieme ai due lungofiume viari laterali e i cosiddetti Murazzi del Po, alla riva destra del fiume, permettendo così l'accesso al quartiere detto di Borgo Po, dove sono chiaramente visibili la chiesa della Gran Madre di Dio, il Monte dei Cappuccini e le strade viarie di accesso alla parte orientale e collinare della città. Data la straordinaria capienza (40 000-100 000 persone circa, oggi limitata a circa 38 000 per motivi di sicurezza), la piazza si presta da sempre ad accogliere eventi di massa, come concerti, spettacoli e manifestazioni culturali di vario tipo. È notoriamente luogo di ritrovo e di aggregazione, soprattutto giovanile. Numerosi i locali che vi si affacciano direttamente, molto frequentati soprattutto durante il fine settimana. Di forma rettangolare con un lato a semicerchio, si estende su una superficie di 31.000 m² (360 x 111 metri massimi). È erroneamente diffusa tra i torinesi l'idea che sia la piazza più grande di Torino, o addirittura d'Italia o d'Europa (lo è, tuttavia, come piazza porticata); invece, la piazza più grande di Torino risulterebbe piazza della Repubblica (51.300 m²). Questo luogo seguì passo passo le vicissitudini dell'intera storia di Torino, a partire dai primi insediamenti umani nella zona a ridosso del fiume Po (l'Eridano), come la presenza delle tribù dei Taurini-Taurisci nel cosiddetto villaggio di Taurasia, attestato già nel III secolo a.C. (che per alcuni storici si sarebbe trovato più a nord, ovvero alla confluenza con il fiume Dora Riparia). La successiva presenza della colonia romana (castrum romano) nei primi secoli dopo Cristo, attraverso l'accesso orientale alla cittadina di Augusta Taurinorum verso la cosiddetta Porta Praetoria, successivamente chiamata Fibellona e poi piazza Castello, rafforzò ulteriormente l'importanza strategica del luogo come ingresso, provenendo da Roma, all'intero castrum. All'epoca, infatti, esisteva solo uno stradone di accesso, l'attuale via Po, che confluiva verso le rive del fiume attraverso imbarcazioni prima, precari ponti a levatoio e in legno nei successivi secoli. L'antico spiazzo che precedeva il ponte sul fiume fu quindi chiamato "Porta di Po". Come verosimilmente poteva esser stato al tempo dei Taurini, l'intera zona, molto esposta all'attacco nemico, doveva servire come area di avvistamento militare e strategico nei confronti degli invasori e doveva quindi prevedere piccole torrette di avvistamento, sparse qua e là nei pressi del lungofiume. In epoca medioevale, ad esempio, è attestato già dal X secolo circa il cosiddetto "Bastione della Rocca", dove oggi sorge l'attuale via della Rocca; il bastione ospitava delle torrette non solo per avvistamenti militari, ma per prevenire eventuali principi di incendi delle casette in legno sottostanti, comprese quelle intorno allo spiazzo antistante che serviva come abitazione a pescatori e traghettatori, ma anche casette adibite a mulini ad acqua. Il ricovero delle imbarcazioni diventerà quello che verrà chiamato il lungo fiume dei "Murazzi del Po". Una prima forma della piazza si determinò all'inizio del XIV secolo, proprio grazie alla definizione perimetrale delle case che composero la nascente contrada a ridosso dello stesso fiume Po. A partire dal XV secolo, poi, fu costruito il primo ponte in pietra sul fiume, che diede un ulteriore slancio allo sviluppo demografico della zona. Tuttavia, l'aria insalubre a ridosso del fiume, culminata poi con le epidemie di peste del XVII secolo, dovette far riflettere sul risanamento sanitario e urbano dell'intera zona, chiamata "Contrada di Po". I lavori partirono soltanto nel 1620, quando il duca Carlo Emanuele II di Savoia diede ordine all'architetto Amedeo di Castellamonte di contribuire alla seconda espansione urbanistica della città del XVII secolo, soprattutto attraverso la costruzione di edifici più eleganti, e soprattutto porticati, lungo la "via di Po". Da una precedente idea del Vittozzi, la via stessa doveva permettere una continuità del porticato stesso, per permettere ai cittadini di transitare al coperto durante il tragitto che partiva dal Palazzo Reale, lungo i due lati di via Po, in direzione del fiume. Il percorso doveva quindi confluire naturalmente nel largo spiazzo della piazza, detta Porta di Po, ma poi utilizzato per molto tempo per le parate militari e quindi ribattezzata nuova "Piazza d'Armi"; complice qui fu anche il lieve dislivello del suolo, che contribuì ad aumentare l'effetto scenico delle adunate. La piazza, infatti, non è in piano, ma tra il lato che immette in via Po e quello sul fiume vi sono ben 7,19 metri di discesa. La monumentale Porta di Po fu demolita con i bastioni nel periodo dell'annessione di Torino all'Impero Napoleonico, ne furono rinvenuti i resti durante i lavori di realizzazione del parcheggio interrato. Durante il periodo dell'occupazione francese, Torino fu governata dal cognato di Napoleone, Camillo Borghese e, come tanti altri luoghi della città, la Porta di Po, adibita a nuova Piazza d'Armi, fu rinominata con un nome francese, ovvero Place Impérial. Nel 1807, in occasione del rifacimento del ponte sul fiume Po, così come lo si vede oggi, fu anch'essa rimaneggiata dai francesi. Lo stesso ingegnere francese del ponte, La Ramée Pertinchamp, suggerì una topografia della piazza a "ventaglio", influenzato probabilmente da alcuni progetti passati riguardanti una struttura a "esedra", per ottenere un impatto scenico-visivo maggiore. Con la ritirata dell'esercito di Napoleone e la fine del dominio francese, il ritorno del re Vittorio Emanuele I di Savoia il 20 maggio 1814, come è indicato anche dalla scritta sopra la chiesa della Gran Madre di Dio e la prospiciente statua del monarca a lui dedicata sulla opposta riva del fiume, fu accolto in totale trionfo della città, a tal punto che sia il ponte che la piazza, furono intitolati al "Tenacissimo" monarca. Vittorio Emanuele I, sostenitore dell'avanzamento dei lavori della piazza a lui intitolata, stabilì tuttavia che il progetto semicircolare fosse modificato nell'attuale forma a "rettangolo", e dunque già nel 1817 furono apportate le debite modifiche, già in corso di cantiere: questo lo si può notare ancor oggi dalla forma rimasta ancora curva sul solo lato di via Po, per poi estendersi in rettangolo fino al fiume. L'entusiasmo del re per l'effetto che la nuova piazza dava come luogo di adunata militare fu smorzato soltanto qualche anno dopo, quando questo luogo perse gradualmente d'importanza a causa dell'imminente progetto di ampliamento urbanistico della città verso sud, che avverrà intorno al 1825, con lo spostamento della Piazza d'Armi della città nella zona più a sud, detta di "San Secondo" (zona di Borgo Nuovo e zona di Porta Nuova). Gli eleganti palazzi perimetrali intorno alla piazza furono progettati dall'architetto ticinese Giuseppe Frizzi nel 1821 circa; egli aggiunse alle classiche linee ancora barocche di via Po, elementi neoclassici semplici, con pilastri e arcate a tutto sesto al piano porticato e altri tre piani sovrastanti, congiungendo il porticato in entrambi i lati ai già esistenti semicerchi verso via Po. Il dislivello della piazza da via Po fino al fiume, inoltre, fu abilmente mascherato dall'architetto attraverso il disegno prospettico degli edifici sui due lati, in modo proprio da nasconderlo; si può intuire questa differenza soltanto passeggiando sotto i portici, verso il Po, dove al fondo si potrà notare che gli stessi sono leggermente più alti rispetto al livello di calpestio di quanto lo siano al principio della piazza.. In totale, i tre edifici lungo i lati maggiori della piazza, pur in continuità di porticato, tagliano, di fatto, le attuali via Bonafus-via Della Rocca-via Plana fino a lungo Po Diaz a sud, via Giulia di Barolo-via Vanchiglia-via Bava fino a lungo Po Cadorna a nord. Gli edifici furono realizzati nella pratica soltanto a partire dal periodo della Restaurazione, ovvero durante gli ultimi anni di reggenza di Carlo Felice di Savoia (periodo 1825-1831), inserendoli nel più grande progetto di un secondo ampliamento della città verso il fiume, la costruzione di una piazza in asse con via Po e la nascita del quartiere Borgo Nuovo verso nord. Lungo tutto il XIX secolo, piazza Vittorio divenne quindi un elegante ritrovo per molti torinesi, nobili e non, arricchendosi di locali e bistrot sotto i portici, fino ai giorni nostri. Fu un'importante vetrina torinese e sede centrale di manifestazioni varie, quali le esposizioni torinesi del 1884 e del 1911, di comizi ufficiali, e dello storico Carlevé 'd Turin, ovvero il carnevale di Torino. Nel 1913 venne inaugurato il Cinema Impero, oggi Classico. Alla fine degli anni dieci del XX secolo, dovendo scegliere una piazza da dedicare alla vittoriosa battaglia di Vittorio Veneto, episodio che chiuse vittoriosamente la prima guerra mondiale per l'Italia, si optò per questa, poiché popolarmente già nota semplicemente come "Piazza Vittorio" per la popolazione torinese. Come tante altre in Italia, la piazza fu formalmente ribattezzata con questo nome a partire dal 1920. La piazza fu ancora ampiamente utilizzata come Piazza d'Armi per le adunate del fascismo e per gli eventi ufficiali del regime stesso, come la visita del Duce del 14 maggio 1939, ma fu particolarmente martoriata durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale, in particolare quelli dell'estate 1943, quando furono significativamente danneggiati gli eleganti edifici perimetrici, specialmente quello tra via Bonafus e via Della Rocca. Tutta la zona e gli edifici circostanti subirono ingenti distruzioni a causa della presenza della caserma all'angolo con via Principe Amedeo che fu infine rasa al suolo, creando uno spiazzo in cui per anni si tenne la Fiera dei Vini, di grande attrazione per i torinesi. Proprio per questo motivo, piazza Vittorio Veneto fu scelta come luogo ufficiale per le sfilate per le celebrazioni della liberazione d'Italia, a partire proprio dai giorni di fine aprile 1945, fino a confluire nella grande festa ufficiale in piazza, che avvenne proprio qui, il 6 maggio 1945. Da quel momento la piazza divenne anche luogo di raduni politici e partenze di cortei per proteste e scioperi dei lavoratori, in particolare, per la ricorrenza della Festa del lavoro. Nel XX secolo piazza Vittorio ha continuato ad essere sede di manifestazioni e raduni. Negli anni sessanta, fu deciso di realizzare l'illuminazione della piazza con i tipici "lampioni impero con braccio a cornucopia", che peraltro esistevano già come di evince dalla foto del 6 maggio 1945 qui a fianco. Il 1º maggio 1971, la piazza fu teatro di un tragico fatto di cronaca nera, con l'uccisione a colpi di arma da fuoco di quattro persone nel bar all'angolo con lungo Po Armando Diaz, nell'ambito dei contrasti tra componenti del cosiddetto racket delle braccia nel settore dell'edilizia. La piazza continuò a esser sede dello storico carnevale, quest'ultimo arricchito sempre più negli anni di attrazioni, giochi, e giostre meccaniche, fino a che, nel 1977, una navicella di una giostra volante si staccò, cadde, e vi morì una bambina. L'incidente provocò non poche polemiche, tanto che negli anni successivi si decise di spostare i vari luna park di Torino verso aree più idonee, rispetto al centro, ovvero verso la periferia. Le giostre meccaniche della piazza rimasero quindi in questo luogo soltanto parzialmente fino al 1986, quando l'allora prefetto Sparano fece definitivamente vietare qui la presenza delle giostre meccaniche, autorizzandovi soltanto spazi espositivi, cortei e sfilate storico-folkloristiche.. La piazza acquistò, insieme alla zona degli ex ricoveri per imbarcazioni lungo le rive del fiume, comunemente detti "Murazzi del Po", un valore turistico e divenne un tradizionale luogo di diporto giovanile e mondano torinese, complice anche la vicinanza alle varie sedi universitarie. Tuttavia, la progressiva chiusura dei locali serali e notturni dei "Murazzi del Po" a partire dal 2012 ha riversato l'intera popolazione torinese a ritrovarsi soltanto più nella piazza e nelle vie limitrofe a essa, fino al vicino quartiere di Borgo Vanchiglia. Nel periodo 2003-2006, in occasione delle Olimpiadi invernali 2006 a Torino, insieme ad altre opere di riqualificazione della città, fu decisa l'intera ristrutturazione della piazza, mantenendo comunque le stesse pendenze precedenti, sia in larghezza che in lunghezza, e lo stesso utilizzo in superficie stradale delle vie di accesso centrali e laterali, con gli spiazzi pedonali per dehor e passeggiate ai lati. Fu quindi scavato e costruito un parcheggio sotterraneo a pagamento e fu rifatta la pavimentazione pedonale di superficie, con il posizionamento di mattonelle a cubetti di porfido. La piazza è altresì tradizionale sede dei festeggiamenti conclusivi per la festa patronale di San Giovanni Battista; fino al 2017 vi fu la presenza del tradizionale spettacolo pirotecnico dei fuochi d'artificio sul fiume Po, poi sostituito dallo spettacolo aereo eseguito da droni luminosi, a partire dal 2019. La piazza ha ospitato anche alcune visite pastorali di vari pontefici della Chiesa Cattolica, tra cui papa Giovanni Paolo II il 13 aprile 1980 e papa Francesco il 21 giugno 2015. Dal 2014 ha qui sede legale (nello storico Cinema Classico già Impero - Vittorio Veneto - Empire) la casa di distribuzione cinematografica italiana Movies Inspired. Il folle inseguimento delle auto di Un colpo all'italiana di Peter Collinson, del 1969, si svolge sotto i portici di piazza Vittorio Veneto. Alcune scene notturne del film La seconda volta, di Mimmo Calopresti, del 1995, sono state girate in un'affollata e trafficata piazza Vittorio. Giovanni Battista Pioda, "Elogio funebre dell'architetto Giuseppe Frizzi di Minusio recitato dal capitano G.B. Pioda", in Osservatore del Ceresi, 44, Lugano 1831, 417-418. Emilio Motta, "L'architetto Giuseppe Frizzi", in Bollettino Storico della Svizzera italiana, VII, 1.2, Bellinzona 1895, 89-90. Giuseppe Bianchi, Gli artisti ticinesi. Dizionario biografico, Libreria Bianchi, Lugano 1900, 84. Luigi Simona, Artisti della Svizzera italiana a Torino e in Piemonte, Lugano 1933, 72-73. AA.VV., Giuseppe Frizzi (Minusio 10 febbraio 1797 - Montafia, 13 ottobre 1831), Montafia d'Asti 1977, 1-9. Elena Gianasso, "Giuseppe Frizzi di Minusio. Un architetto urbanista della Torino ottocentesca", in Giorgio Mollisi (a cura di), Svizzeri a Torino nella storia, nell'arte, nella cultura, nell'economia dal Cinquecento ad oggi, «Arte&Storia», anno 11, numero 52, ottobre 2011, Edizioni Ticino Management, Lugano 2011. Renzo Rossotti, Le strade di Torino, Roma, Newton Compton, 1995, ISBN 88-8183-113-9. Luoghi d'interesse a Torino Ponte Vittorio Emanuele I Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su piazza Vittorio Veneto Piazza Vittorio Veneto, già Piazza di Po, su museotorino.it.

Taverna del Santopalato

La Taverna Futurista del Santopalato, abbreviato Taverna del Santopalato, era un locale storico di Torino, primo e unico ristorante di cucina futurista in Italia. In seguito all'apertura di un ristorante di cucina futurista a Parigi su iniziativa di Filippo Tommaso Marinetti e Jules Maincave che rimase però attivo per poco tempo, e la pubblicazione del Manifesto della cucina futurista il 28 dicembre del 1930, venne annunciata su un articolo de La Stampa del Dott. Stradella l'apertura a Torino di un nuovo punto di ristoro che avrebbe servito ricette futuriste: La Taverna del Santopalato venne costruita in via Vanchiglia 2, angolo corso San Maurizio, a pochi passi da Piazza Vittorio Veneto, progettata e decorata da Fillìa e Nicolay Diulgheroff, che resero l'interno del locale simile a un sottomarino con tinteggiature in alluminio, colonne luminose e occhi metallici sulle pareti. Stando a quanto riportano le fonti, la Taverna venne inaugurata da Marinetti "dopo una febbrile giornata di intenso lavoro nella cucina, dove i futuristi Fillìa e Saladin gareggiavano con i cuochi del Ristorante". Durante la cena di apertura del locale, che perdurò fra la mezzanotte e le quattro dell'8 marzo 1931, furono servite quattordici portate ideate da Fillìa, Paolo Alcide Saladin, Diulgheroff, Enrico Prampolini e Mino Rosso che erano il frutto di combinazioni inedite di ingredienti e sapori, dove coesistevano, ad esempio, dolce e salato e carne e pesce. Fra queste vi erano il "carneplastico" (polpetta di vitello e verdure ricoperta di miele alla cui base figurano un anello di salsiccia e tre palline di pollo fritto), il "pollofiat" o "pollo d'acciaio" (un volatile ripieno di zabaglione e decorato da confetti argentati che dovevano simulare dei cuscinetti a sfere), il "brodo solare", l'"ultravirile" (per sole donne), cocktail, sandwich, del purè e il dessert (che venivano però rinominati dai futuristi rispettivamente "polibibite", "traidue", "poltiglie" e "peralzarsi"). Durante l'happening, le pietanze vennero gustate seguendo la prassi del futurismo, quindi attraverso il coinvolgimento generale di tutti i sensi (profumi, musiche e azioni tattili, come, ad esempio il consumo del cibo senza l'uso delle posate e il far passare queste su determinati materiali). La cena fu mal accolta dai critici e i partecipanti, ma qualcuno sostiene che i piatti serviti e il clima dell'evento avrebbero anticipato l'odierna gastronomia molecolare. Il locale chiuse nel 1940 per problemi economici. Filippo Tommaso Marinetti e Fillia, La cucina futurista, Sonzogno, 1932. Cristina Fantuzzi, Elena Rolla, 101 storie su Torino che non ti hanno mai raccontato, Newton Compton, 2015, pp. 70. La taverna del Santopalato. Cucina futurista Manifesto della cucina futurista Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla Taverna del Santopalato