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Palazzo della Borsa Valori di Torino

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Borsa valori torino progetto gabetti isola 01
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Il Palazzo della Borsa Valori di Torino sorge nel sotto-quartiere Borgo Nuovo del Centro storico cittadino. Il suo ingresso principale si affaccia sul Piazzale Valdo Fusi. È un'importante testimonianza del rinnovamento architettonico che si ebbe in Italia all'inizio del secondo dopoguerra e della ricerca strutturale ed estetica seguita al razionalismo.

Estratto dall'articolo di Wikipedia Palazzo della Borsa Valori di Torino (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

Palazzo della Borsa Valori di Torino
Via Camillo Benso Conte di Cavour, Torino Circoscrizione 1

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Coordinate geografiche (GPS)

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N 45.064486 ° E 7.685833 °
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Indirizzo

Via Camillo Benso Conte di Cavour 23
10123 Torino, Circoscrizione 1
Piemonte, Italia
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Luoghi vicini

Museo di antropologia ed etnografia dell'Università degli Studi di Torino

Il Museo di Antropologia ed Etnografia dell'Università degli Studi di Torino (MAET) è stato fondato nel 1926 dal medico psichiatra e antropologo Giovanni Marro. È chiuso al pubblico dal 1984 e fa parte del Sistema Museale di Ateneo dal 2014; è in attesa di essere riallestito presso il Palazzo degli Istituti Anatomici di Torino, dove sono già presenti il Museo di Anatomia Umana Luigi Rolando e il Museo di Antropologia Criminale Cesare Lombroso. La storia del Museo è collegata a quella dell’omonimo Istituto universitario nato nel 1923 negli ammezzati di Palazzo Carignano e presieduto dallo stesso Marro. Sin da subito, il direttore avviò la costituzione di una ricca collezione di reperti antropologici, frutto di campagne di scavo condotte in Egitto dalla Missione Archeologica Italiana guidata da Ernesto Schiaparelli a cui Marro partecipò in quanto antropologo. Contemporaneamente, il nascente patrimonio del Museo fu arricchito da raccolte di manufatti etnografici di svariata origine e provenienza, nonché manufatti artistici realizzati da ricoverati presso l’Ospedale Psichiatrico di Collegno. Nel 1936 le collezioni furono trasferite nella sede dell’antico Ospedale San Giovanni Battista di Torino. Disponendo di nuovi locali, le collezioni si ampliarono notevolmente. Tra il 1962 ed il 1968 si attuò una nuova fase di ristrutturazione e venne impostato un nuovo percorso espositivo. Nel 1984 il MAET fu costretto alla chiusura al pubblico in quanto i locali dello storico edificio non erano più rispondenti alle nuove norme di sicurezza. Fra il 1996 e il 2014 furono realizzate numerose azioni volte alla presentazione delle collezioni attraverso l’allestimento di mostre tematiche temporanee o itineranti e cicli di conferenze. Con l'adesione al Sistema Museale di Ateneo di Torino nel 2014, è stato avviato il progetto di trasferimento delle collezioni al Palazzo degli Istituti Anatomici. Il nucleo fondante del Museo è la collezione di reperti antropologici egizi che consta di 550 scheletri completi (di cui una sessantina di epoca neolitica) e 600 crani isolati, la maggior parte in ottimo stato di conservazione. Questi reperti provengono dagli scavi della Missione Archeologica Italiana in Egitto fra il 1905 e il 1920 presso le località di Gebelein, Assuan, e Asyut. Oltre al materiale osteologico, la collezione comprende 80 teste di mummia (alcune predinastiche) e più di 30 corpi mummificati o imbalsamati. Il MAET conserva una ricca collezione etnografica, frutto di donazioni avvenute nel corso del Novecento da parte di ricercatori, viaggiatori e antiquari. Il corpus etnografico offre esempi della cultura materiale di una grande varietà di culture. Le provenienze dei manufatti, infatti, toccano tutti i continenti. Di area europea vanno citati i corpora dalle Alpi occidentali e dalla Romania. Dall'Africa sono presenti oggetti raccolti nel Congo belga tra la fine del XIX secolo e i primi anni del XX, ma anche manufatti prodotti in Africa orientale, in Zambia, in Sud Africa, nel Corno d'Africa e in Libia. Il corpus più consistente è quello asiatico che comprende oggetti provenienti da Afghanistan, Pakistan, India, Cina, Giappone e Giava. Dall'America del nord si contano numerosi cestini e oggetti di uso quotidiano prodotti sulla costa nord occidentale. Il corpus latinoamericano è, invece, composto da manufatti provenienti da Messico, Guatemala, Brasile e dall'area di Gran Chaco. Dal Messico provengono, inoltre, una sessantina di reperti archeologici, molto probabilmente di origine Maya, mentre dal Perù è conservato un reperto umano mummificato risalente alla cultura Chancay. Il museo poi custodisce l’unico Zemi antillano della popolazione Taino in cotone esistente al mondo di epoca precolombiana, rinvenuto a fine Ottocento in una grotta della Repubblica Dominicana. Nella prima metà del Novecento, il fondatore del Museo collezionò anche una raccolta di manufatti artistici realizzati da ricoverati nei Regi Ospedali Psichiatrici di Torino (in particolare di Collegno), dove lavorava come psichiatra. Già il padre, Antonio Marro, Direttore del Mamicomio fra il 1890 e il 1913, aveva espresso interesse per le creazioni artistiche prodotte in ambito manicomiale e aveva iniziato a conservarle. A partire dagli anni 80 del Novecento, la collezione è stata ribattezzata Art Brut, rifacendosi alla definizione del pittore francese Jean Dubuffet. Fra il patrimonio museale si possono inoltre annoverare collezioni archeologiche, collezioni osteologiche varie, collezioni di strumenti scientifici, collezioni cerebrologiche, collezioni di calchi in gesso e in resina e collezioni fotografiche. Infine, il MAET comprende anche una biblioteca storica di 350 volumi e un archivio storico di 5 metri lineari. R. Boano, E. Rabino Massa, «Il Museo di Antropologia ed Etnografia», in: Giacobini (a cura di) La Memoria della Scienza. Musei e collezioni dell'Università di Torino, Torino, Fondazione CRT Ed, 2004 M. Masali, «A History of Anthropology in Turin’s Faculty of Sciences», in: J. Biol. Res., LXXXIV(1), 2011 G. Mangiapane, E. Grasso, Il patrimonio, i non detti e il silenzio: le storie del MAET, in: “Roots&Routes. Research on Visual Cultures”, IX (30), 2019, ISSN 2039-5426. C. Pennacini, «Immagini dell’Africa nel collezionismo italiano di oggetti del Congo», in: Castelli, Laurenzi (a cura di), Permanenze e metamorfosi dell’immaginario coloniale in Italia, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2000 Musei di Torino (e luoghi d'interesse a Torino in generale) Sito ufficiale, su unito.it. Sito ufficiale

Biblioteca di storia e cultura del Piemonte
Biblioteca di storia e cultura del Piemonte "Giuseppe Grosso"

La Biblioteca di storia e cultura del Piemonte "Giuseppe Grosso" è una biblioteca pubblica, a vocazione universitaria e specialistica, appartenente alla Città metropolitana di Torino. La Biblioteca rappresenta un punto di riferimento essenziale per l'intera area regionale, grazie all'intrinseco valore culturale e testimoniale delle sue raccolte, arricchite anche da alcune preziosità e particolarità. Indirizzata al mondo universitario, ma aperta a tutti, vanta un patrimonio librario di 200.000 volumi, una nutrita sezione di periodici, ed un'ampia sezione archivistica; conserva inoltre raccolte grafiche, fotografiche e stampe storiche. La sede si trova in via Maria Vittoria, 12 all'interno di Palazzo Cisterna, già dei principi Dal Pozzo della Cisterna, a cui seguirono per via matrimoniale i duchi di Savoia-Aosta. Acquistato dalla Provincia di Torino nel 1940, questo palazzo di alta rappresentanza fu realizzato fra Sei e Settecento da un architetto anonimo (schema aperto a C su giardino e androne passante); nell'ultimo quarto del Settecento l'architetto Francesco Valeriano Dellala di Beinasco progettò una nuova manica sull'attuale via Carlo Alberto e la facciata principale sull'attuale via Maria Vittoria, ma nell'Ottocento il palazzo risultava ancora incompleto e i corpi del cortile dissimmetrici in altezza. Successivamente ampliato e modificato, Palazzo Cisterna riunisce elementi stilistici differenti, propri degli stili Barocco, Tardobarocco settecentesco, Eclettismo, Novecento e Razionalismo. La Biblioteca occupa parte del piano terreno del palazzo. Nella sala lettura il soffitto è ornato da decorazioni a stucco (Stuccatori luganesi, sec. XVII); uno dei locali interni, di particolare rilievo architettonico, era in origine il guardaroba del duca d'Aosta, mentre i fondi Ignazio Giulio, Gian Carlo Falconieri, Giorgio Anselmi, Marino Parenti, Lorenzo Valerio occupano l'Ala di Ponente del palazzo in due sale ridecorate ai tempi di Amedeo di Savoia-Aosta.

Chiesa di San Massimo (Torino)
Chiesa di San Massimo (Torino)

La chiesa di San Massimo è un edificio di culto cattolico che si trova nella zona centrale di Torino, in via San Massimo angolo via Mazzini, non lontano da corso Vittorio Emanuele II. Fu costruita tra il 1845 e il 1853 e progettata dagli architetti Carlo Sada e Giuseppe Leoni, ed è dedicata a San Massimo, primo vescovo di Torino. Assieme alla chiesa di San Francesco di Sales, è un esempio di architettura neoclassica dell'Ottocento nel Borgo Nuovo. La chiesa, a ridosso dei giardini Cavour e dall'aiuola Balbo, venne realizzata su sollecitazione nel 1843 degli abitanti del nuovo quartiere, il cosiddetto Borgo Nuovo (l’area compresa tra le attuali via della Rocca, dei Mille, e Mazzini). La commissione giudicatrice del bando di concorso scelse Giuseppe Leoni e Carlo Sada, che la progettarono in gusto tardo-neoclassico. Il lotto di terra venne fornito dal Comune, con 60.000 lire assieme ad altre 90.000 fornite da Carlo Alberto. La prima pietra fu posta nel 1849 e la chiesa venne dedicata il 14 giugno 1853. La chiesa fu danneggiata dai bombardamenti dell'aeronautica militare britannica l'8 dicembre del 1942 e il 13 luglio del 1943. Nell'inverno 1943-1944, il parroco Pompeo Borghezio vi accolse riunioni del Comitato di liberazione nazionale. Durante la guerra egli aiutò ebrei e partigiani e, nel marzo del 1945, ospitò un apparecchio radiotrasmittente per fornire informazioni agli alleati. La chiesa di San Massimo è a croce latina con navata unica. Fu definita da Cavallari-Murat "un palazzo tra i palazzi", per via dell'allineamento perfetto con il reticolo viario del nuovo borgo circostante, dato dalla forma allungata della croce latina e dalla posizione centrale del transetto, che rende il presbiterio lungo quanto l'ingresso. Questo collocamento della cupola e del transetto a metà dell'edificio aiuta a evitare il controsenso strutturale di una cupola montate al di sopra di un frontone, posizionamento criticato Francesco Milizia poiché un tetto a falde (evocato dal frontone classico) non potrebbe sopportare una cupola. Il pronao di San Massimo dunque appare leggero e privo di tale struttura pesante, inserendosi elegantemente nel contesto della piazzatta antistante. L'imponente cupola di 45 metri di altezza è stata affrescata da Paolo Emilio Morgari e ornata all'esterno con statue di profeti di Giovanni Albertoni, Silvestro Simonetta, Giuseppe Raimondi e Giuseppe Dini. La cupola si innesta sulla volta a botte di copertura con un alto tamburo circondata con una serie di colonne di altezza uguale alla calotta semisferica. La facciata neoclassica espone un pronao tetrastilo corinzio con quattro nicchie adornate da statue in marmo raffiguranti i quattro evangelisti opere degli scultori Antonio Bisetti (San Giovanni), Giuseppe Bogliani (Santi Marco e Luca), Santo Varni (San Matteo) donate da Vittorio Emanuele II nel 1853 e realizzate negli anni successivi. Lo spazio interno si presenta a navata unica ipostile con copertura a botte, su modello di provenienza dal neoclassicismo francese (tale la Chiesa di Saint-Philippe-du-Roule) elaborato in Piemonte precedentemente anche da Giuseppe Talucchi. All'interno, nel battistero realizzato da Cesare Reduzzi, la pala della Natività della Vergine del Legnanino (1707). Nell'abside affresco di Francesco Gonin (1853) che raffigura San Massimo che predica ai Torinesi incitandoli a difendersi da Attila . La Pietà, nella cappella di San Giuda Taddeo, appena entrati sulla destra, è opera dello scultore ligure Salvatore Revelli (1816 - 1859) e fu donata dal duca di Genova Ferdinando di Savoia-Genova. Altri affreschi sono opera di Gonin, Gastaldi, Paolo Emilio Morgari, e Quarenghi. L'organo a tre manuali - uno fra i più pregevoli di Torino e completamente ripristinato nel 2015 - è la prima opera considerevole del giovane Carlo Vegezzi-Bossi: lo strumento, presentato all'Esposizione generale italiana di Torino del 1884, è stato riallestito l'anno successivo nella chiesa. Edifici di culto in Torino Wikibooks contiene testi o manuali sulla disposizione fonica dell'organo a canne Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla chiesa di San Massimo Chiesa di San Massimo, su BeWeB, Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici della Conferenza Episcopale Italiana.