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Quartucciu

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Sant'Efisio Quartucciu
Sant'Efisio Quartucciu

Quartucciu (Quartùcciu o Cuattùcciu in sardo) è un comune italiano di 12 788 abitanti della città metropolitana di Cagliari in Sardegna. È stato frazione di Cagliari dal 1928 al 1983.

Estratto dall'articolo di Wikipedia Quartucciu (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

Quartucciu
Via Cesare Serra,

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Sardegna, Italia
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Sant'Efisio Quartucciu
Sant'Efisio Quartucciu
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Luoghi vicini

Fornaci di laterizi Maxia

Le Fornaci di laterizi Maxia sono un complesso di edifici di interesse archeologico - industriale, siti nella città di Quartu Sant'Elena, in via Brigata Sassari. Quartu fin dalla seconda metà del 1800 ospitava già diversi servizi tra cui il municipio, la caserma dei carabinieri con annesse le carceri di Sant'Angelo e la stazione dei tram. La vita economica della città avveniva nel mercato, dove attualmente sorge la piazza Dessi, che ospita il nuovo mercato civico. La zona dove sorgeva il mercato veniva chiamata Sa Perda Mulla (la pietra miliare da cui Quartu prende il nome) poiché in quel luogo si trovava la pietra miliare di epoca romana, che segnava la distanza di quattro miglia da Cagliari, successivamente sparita durante dei lavori. La struttura più importante era la stazione dei tram che sorgeva dove attualmente sorgono i giardinetti pubblici di piazza Matteotti. La città ospitava anche industrie come la distilleria Capra, il pastificio Rosas, il macello e alcune zone ricreative come il Cinema Impero e il Cinema Nuovo. Nel 1908 il fondatore della fabbrica, cavalier Felicino Maxia, sulla scia della rivoluzione industriale, capì che in una città in così grande fermento, come era Quartu in quel periodo, una fabbrica di laterizi avrebbe avuto sviluppo. La fabbrica venne costruita nella periferia di Quartu su un terreno di forma quadrangolare di circa 10.000 m². Felicino Maxia che tanto aveva viaggiato, soprattutto nel lombardo-veneto, affidò il progetto della fabbrica alla Meccanica Lombarda, una ditta che si occupava dei progetti architettonici, di produrre le macchine e di fornire ingegneri. La fabbrica venne costruita con manodopera quartese utilizzando mattoni di argilla cotta fatti a mano e ladiri (tipici mattoni di fango, molto utilizzati nei paesi del Campidano anche per la realizzazione di abitazioni). La fabbrica era composta da due capannoni principali che ospitavano uno la sala macchine, per la trasformazione dell'argilla in mattoni crudi, l'altro il forno, per la cottura dei mattoni.Il fumaiolo è realizzato con mattoni pieni fatti a mano, aventi forma trapezoidale per poter realizzare la sezione circolare dello stesso. La dimensione dei lati del trapezio varia con il variare del diametro del fumaiolo, più largo alla base e più stretto alla sommità. Sui vertici dell'area insistevano altri quattro capannoni più piccoli, utilizzati per le svariate necessità. Infine trovavano posto il grande forno per la produzione della calce, un piccolo fabbricato vicino al forno della calce (demolito e mai ricostruito), una cabina elettrica, diverse cisterne sotterranee per l'acqua a uso industriale, un pozzo e la palazzina di residenza dei proprietari. Gli aggiornamenti tecnologici dell'epoca portarono negli anni a sviluppare essiccatoi all'aperto o al chiuso ad aria calda forzata. Il complesso così costituito era rappresentativo della pregevole architettura industriale nazionale ed europea, dalla quale attingeva gli stili che abbinando alla funzione il gusto, enfatizzavano architettonicamente l'importanza economica della fabbrica. Sino alla prima metà degli anni '60, alle due estremità del prospetto maggiore del capannone del forno, si potevano vedere due piccoli locali, uno per il ricovero di un trattore, l'altro per i servizi igienici degli operai. Tali corpi di fabbrica furono demoliti, il primo per costruire la struttura in cemento armato contenente un serbatoio del petrolio grezzo, l'altro per realizzare al piano primo di un locale posto fra la sala macchine e il forno, con accesso dallo stesso forno, un più adeguato e moderno locale adibito a mensa, bagni con docce dotate di acqua calda, spogliatoi. L'argilla utilizzata per la produzione dei mattoni proveniva dalle cave di argilla bianca di Su Paris, ubicata nelle vicinanze dello stagno di Simbirizzi, e dalle cave di argilla rossa di Ussana. La miscela di argille ottenuta dava al mattone ottime caratteristiche di resistenza e duttilità per un migliore utilizzo e facilità di posa in opera. La fabbrica utilizzava all'inizio il forno Lanuzzi, un forno a legna e carbone in cui i mattoni venivano inseriti dall'alto, mentre da un'apposita apertura alla base veniva introdotta la legna. Questo forno venne poi sostituito con il forno Hoffman intorno al 1950; questo funzionava a petrolio grezzo con innesco da iniettori. I mattoni venivano cotti in cataste realizzate a mano all'interno del forno, accessibile tramite cunicoli a livello terra. Al forno era annessa un'alta ciminiera, di cui oggi rimango circa i 4/5, a cui i fumi di cottura (circa 900 °C) arrivavano attraverso dei condotti sotterranei grazie a un estrattore elettrico dotato di ventola. Le fornaci ospitavano alcuni essiccatoi esterni (tettoie) e altri interni. Quelli interni, divisi in molteplici magazzini, erano dotati di ventole elettriche che agitavano l'aria calda, proveniente da un apposito bruciatore alimentato dai fumi del forno Hoffman. La fabbrica non mancava di un forno per la produzione della calce, costituente per dimensioni l'esempio più grande in Sardegna. Nei primi anni di attività l'argilla, trasportata dalle cave su carri, veniva utilizzata per la produzione dei mattoni pieni, fatti a mano, tre per volta, in formelle di legno. Successivamente l'avanzare del progresso tecnologico portò all'utilizzo dei camion, con un rilevante aumento della quantità del materiale trasportato, tale da costituire la cosiddetta "montagna dell'argilla" nel piazzale a destra dell'ingresso, dove l'argilla stagionava per essere poi inviata alla sala macchine mediante l'uso di una draga e di diversi vagoni su binario. Davanti al capannone che ospitava la sala macchine, sorgevano le cisterne interrate che servivano per tenere umida l'argilla, che a volte rimaneva nei piazzali giorni e giorni, sempre fresca. In epoche successive il metodo di trasporto avvenne su nastri trasportatori e negli ultimi anni su pala meccanica gommata. All'interno della sala macchine il prodotto allo stato naturale, passando tra tramogge, frantumatori, vagli e mattoniera, veniva trasformato nei vari tipi di mattoni forati, tavelle e pignatte, ancora crudi. Da qui il trasporto agli essiccatoi, sia all'aperto (nel periodo estivo) sia al chiuso ad aerazione forzata, avveniva su convogli di carrelli trainati da piccoli trattori. Dopo circa venti giorni, variabili in base al tipo di mattone e alle condizioni climatiche, il prodotto veniva caricato su altri convogli e inviato al forno per il ciclo di cottura (riscaldamento, cottura, raffreddamento). In ultimo i laterizi venivano trasportati, su carrelli spinti a mano, e accatastati nel piazzale per la vendita. I due capannoni posti alle estremità confinanti con via Barletta e via Ancona, erano i depositi dei mattoni pieni fatti a mano la cui catasta era così alta da raggiungere le travi del tetto. I due capannoni erano perfettamente uguali. Attualmente quello confinante con la via Siena è stato parzialmente demolito (era la rimessa del calesse dei proprietari e sui muri si potevano leggere i nomi dei cavalli in corrispondenza dei punti in cui venivano stallati) in seguito alla realizzazione della stessa via Siena. Prima dell'esproprio per la realizzazione della via Siena l'area originaria delle fornaci arrivava sino all'argine del Rio Is Cungiaus. Per tutto il ciclo di produzione erano necessarie circa trentacinque persone, così distinte: una segretaria (per tutte le funzioni amministrative e contabili), un capofabbrica (capace di gestire il personale e risolvere tutti i problemi, con disponibilità 24 ore su 24 per le emergenze), due autisti (ai camion per il trasporto dell'argilla), un escavatorista (in cava), un meccanico (per riparare i ricorrenti guasti agli impianti), tre fuochisti (a turni di otto ore sino a coprire le ventiquattro ore e per 365 giorni, perché il forno non poteva essere mai spento), tre squadre di circa sei operai (una alla sala macchine, una agli essiccatoi, una al forno), due trattoristi (per i convogli). Le fornaci chiusero i battenti nel 1975 quando era gestita da Mariuccina Maxia, prima donna sarda imprenditrice nel settore, poiché necessitava di una profonda ristrutturazione e ammodernamento troppo costoso per i proprietari, e per il sopraggiungere dei prodotti concorrenti toscani. Alle Fornaci Maxia bisogna riconoscere il merito di aver contribuito alla ricostruzione di gran parte dell'hinterland e di Cagliari nel secondo dopoguerra. I suoi mattoni inoltre vennero utilizzati, insieme con quelli delle Fornaci Picci, per la costruzione della città di Carbonia. La fabbrica è stata visitabile durante la manifestazione Monumenti Aperti fino all'edizione del 2007. Un incendio aveva distrutto il tetto della sala macchine, infatti adesso si può notare, che, a differenza dell'altro capannone, la copertura del tetto è realizzata con materiali differenti dalle originarie travi in legno, canne e tegole sarde. Felicino Maxia: primo proprietario e fondatore della fabbrica di laterizi. Era cavaliere e segretario comunale. Vitale Maxia: nipote di Felicino Maxia ereditò la fabbrica alla morte dello Zio Giuseppe Maxia: comproprietario della fabbrica assieme a Mariuccina Maxia, costituenti la "Società laterizi Quartu". Ereditò la fabbrica dal padre Vitale. Mariuccina Maxia: comproprietaria della fabbrica assieme al fratello Giuseppe. Alla morte di questi gestì le fornaci fino alla chiusura. Fu comproprietaria con Antonia Giulia, Maria Rosaria e Marco Maxia, figli di Giuseppe, scomparso prematuramente nel 1958 in un incidente stradale. Antonia Giulia, Maria Rosaria e Marco Maxia: ultimi proprietari della fabbrica. Quartu Sant'Elena Archeologia industriale

Chiesa di Sant'Agata (Quartu Sant'Elena)
Chiesa di Sant'Agata (Quartu Sant'Elena)

La chiesa di Sant'Agata è una delle chiese di Quartu Sant'Elena. È ubicata in piazza Azuni, a fianco all'ex convento dei cappuccini. Venne costruita per la prima volta, per volere del arcivescovo di Cagliari, nel XII secolo in stile romanico. Andata distrutta per motivi ancora incerti venne riscostruita tra il 1280 e il 1300 sulle fondamenta e su parte dei muri perimetrali della vecchia chiesa, utilizzando anche pietrame. Le prime notizie certe sulla chiesa di Sant'Agata risalgono al 1291, quando il papa concesse l'indulgenza di un anno e 40 giorni a chi avesse visitato la chiesa in occasione delle ricorrenze di Santa Maria Vergine e di Sant'Agata. Col tempo cadde in abbandono come risulta anche dai documenti della visita pastorale del 1599 dell'arcivescovo di Cagliari. Nel 1631 la chiesa e tutta la proprietà annessa furono cedute ai Padri Cappuccini, che costruirono il convento adiacente e intitolarono la chiesa a San Francesco. Alla fine del 1800 grazie alla legge Siccardi i beni dei Cappuccini furono espropriati dallo stato e ceduti al comune che, nel 1888, concesse l'area dell'orto (dove oggi sorge piazza Matteotti) alla società tramvie del Campidano. Nel 1925 il sacerdote mons. Virgilio Angioni ottenne l'autorizzazione per fondare nel vecchio convento un istituto per i bisognosi, assistiti dalle suore del Buon Pastore che adibirono la chiesa a cappella. Quando nel 1985 l'istituto religioso lasciò il convento, la chiesa riprese la vecchia denominazione. Attualmente la chiesa di Sant'Agata è sotto amministrazione della Parrocchia di Sant'Elena. L'edificio venne realizzato da maestranze locali. La chiesa ha una facciata a capanna. Il portale si trova al centro di questa ed è rettangolare. Sopra il portale si trova una lunetta a tutto sesto. La sua costruzione insieme a quella delle cappelle ed altre modifiche fu effettuata dai padri cappuccini che diedero alla chiesa il classico aspetto di una chiesa cappuccina. Nella parte posteriore della chiesa è presente un piccolo campanile a vela. All'interno è presente una sola navata voltata a botte; segue il presbiterio dietro il quale sorgono il coro ligneo e l'abside voltato a crociera. Sulla destra sorgono le tre cappelle e la sacrestia. Dal lato sinistro della chiesa si può accedere al convento. Pochi sono gli arredi rimasti nella chiesa. I più importanti sono la notevole Crocifissione e santi del pittore genovese Orazio De Ferrari e un dipinto raffigurante san Felice da Cantalice risalente al XVII secolo. Guida alle antiche chiese di Quartu.Cagliari, Ettore Gasperini Editore, 1999. Quartu Sant'Elena

Chiesa di San Benedetto (Quartu Sant'Elena)
Chiesa di San Benedetto (Quartu Sant'Elena)

La chiesa di San Benedetto è una delle chiese di Quartu Sant'Elena. È ubicata in via Marconi. La chiesa venne eretta alla fine del Trecento da maestranze locali. Le prime documentazioni sulla chiesa risalgono però al 1599 anno in cui vennero fatte diverse donazioni da parte dei quartesi. Nel 1761 si trovava già all'interno città e nel 1872 in occasione della visita pastorale dell'arcivescovo di Cagliari venne arredata e venivano celebrate messe ogni giorno da parte dei frati del convento di San Francesco. Agli inizi del Novecento fu sconsacrata e venne utilizzata per fini militari prima di tornare sotto l'amministrazione della parrocchia di Sant'Elena. La chiesa, in stile gotico-catalano, è costruita con pietrame e malta mentre gli angoli sono fati di pietre squadrate. Presenta una sola navata terminante con un'abside semicircolare sormontata da un arco a tutto sesto. Gli arredamenti più importanti della chiesa sono le statue di san Benedetto e di santa Scolastica, il pulpito e la balaustra, risalenti tutti alla fine dell'ottocento. La facciata è a capanna sormontata da un campanile a vela. La campana, dedicata a san Benedetto, risale al 1717. Nella facciata e nel lato destro si aprono due porte a sesto acuto. La luce entra all'interno della chiesa attraverso due rosoni, uno nella facciata e uno nella parete opposta. Attualmente la chiesa viene aperta al culto l'11 luglio, giorno in cui si celebra san Benedetto, e nei mese di maggio e di ottobre, per la recita del rosario in onore di Maria Vergine. Guida alle antiche chiese di Quartu. Cagliari, Ettore Gasperini Editore, 1999. Quartu Sant'Elena

Chiesa di Sant'Efisio (Quartu Sant'Elena)
Chiesa di Sant'Efisio (Quartu Sant'Elena)

La chiesa di Sant'Efisio è una delle chiese di Quartu Sant'Elena. Sorge nell'omonima piazza tra via Garibaldi e via XX Settembre. La chiesa, inizialmente dedicata ai santi Efisio e Sebastiano, venne costruita tra il 1728 e il 1729, grazie al lascito testamentario della nobile benefattrice quartese Maria Piras. La chiesa dopo essere stata per tanti anni in stato di semi-abbandono è stata restaurata grazie ai fondi messi a disposizione dal comune e alle donazioni della nuova Confraternita di Sant'Efisio. Attualmente viene aperta l'ultima domenica di agosto giorno in cui viene festeggiato il santo. La chiesa è in stile barocco. La facciata, conclusa da un campanile a vela a due archi, è molto semplice come la maggior parte delle chiese costruite in quel periodo. Il portone è quadrato ed è sovrastato da un rosone attraverso il quale la luce entra all'interno della chiesa. Il tempio ha una sola sola navata con volta a botte scandita da tre sottarchi a tutto sesto. L'ultimo sottarco separa la navata dal presbiterio coperto da una cupola ottagonale. La cupola poggia su un tamburo quadrato che poggia ai quattro angoli su delle mensole a forma di teste umane. Si pensa che queste teste raffigurino la benefattrice quartese e suo marito. Successivamente tra i contrafforti venne ricavata una cappella per lato. Nella cappella di destra nella volta è presente un affresco che raffigura la Madonna del fulmine. Sulla destra della chiesa sorge la sacrestia. Questa è voltata a botte ed è abbellita da un medaglione con i simboli dei santi e una spiga, che rappresenta la famiglia di Maria Piras. Spiga era infatti il cognome del marito. All'interno della sacrestia inoltre si trova un ritratto della benefatrice con un ricco abito tradizionale. Sulla sinistra invece sorge la stanza della confraternita di Sant'Efisio. Molte sono le statue che abbelliscono l'ambiente. Alcune furono realizzate da maestranza locali, altre invece sono di scuola napoletana. Nel presbiterio dentro due nicchie si trovano le statue dei santi titolari della chiesa. Guida alle antiche chiese di Quartu.Cagliari, Ettore Gasperini Editore, 1999. Quartu Sant'Elena Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su chiesa di Sant'Efisio

Chiesa di Santo Stefano (Quartu Sant'Elena)

La chiesa di Santo Stefano protomartire, moderno edificio di concezione innovativa e "significativa opera di Francesco Berarducci", si trova nell'omonimo quartiere alla periferia occidentale di Quartu Sant'Elena, in via Pierluigi da Palestrina. L'intitolazione a santo Stefano, primo martire della cristianità, riprende quella di un'antica chiesetta rurale che ancora alla fine dell'Ottocento sopravviveva nel rione, seppur cadente e abbandonata da oltre un secolo; oggi non ne rimane traccia se non per un simulacro ligneo secentesco del santo conservato nella chiesa di Santa Maria di Cepola. La parrocchia di Santo Stefano venne invece istituita il 31 ottobre 1967 dall'arcivescovo di Cagliari Paolo Botto per venire incontro alle esigenze spirituali di un quartiere in rapida crescita demografica che, come chiesa "provvisoria", utilizzò dapprima un rustico adattato di via Giuseppe Parini e poi, dal 1969, un apposito capannone nella stessa via. Solo nel 1987 venne inaugurata, benché non ancora ultimata, la chiesa vera e propria, realizzata su progetto dell'architetto romano Francesco Berarducci. Conclusi i lavori di presbiterio, ambone e altare, nonché quelli interminabili per la sistemazione della piazza circostante, monsignor Antonio Tagliaferri, da 33 anni parroco e fondatore della comunità, il 31 ottobre 2000 poté finalmente vedere la "sua" chiesa ufficialmente dedicata a santo Stefano dall'arcivescovo di Cagliari Ottorino Pietro Alberti, con la consegna delle reliquie del patrono e dei compatroni (san Leopoldo Mandić, beata Antonia Mesina e beato Nicola da Gesturi). L'edificio, realizzato in cemento armato con linee compositive singolari e pareti senza intonaco di reminiscenza brutalista, da un lato si inserisce nell'ambiente con una "carica ascensionale di conquista" e con "l'intrigante metafora della gibbosità collinare", mentre dall'altro riprende i concetti di severa semplicità, praticità e facilità d'accesso della precedente chiesa-capannone. Già il sagrato risponde a questa esigenza di avvicinamento del pubblico e di accoglienza dei fedeli, anche se le attuali recinzioni e cancellate sono in netto contrasto con l'istanza partecipativa progettuale. La chiesa, a pianta circolare, è caratterizzata da due torri cilindriche che, all'esterno, dominano l'ampio terrazzo a belvedere del tetto, da cui si gode la vista panoramica del vicino stagno di Molentargius e da cui si può individuare il caratteristico profilo del quartiere storico del Castello di Cagliari. La configurazione architettonica dell'interno poggia sul concetto liturgico della centralità dell'eucaristia con suggestioni e rimandi alla Chiesa dei primi secoli (architettura paleocristiana). La penombra che avvolge l'aula non solo induce al raccoglimento ma dà ancor maggior risalto al presbiterio illuminato, circolare e su una pedana rialzata, centro spaziale di tutta la struttura ad anfiteatro e perfettamente visibile da tutti i gradoni della cavea che discendono verso di esso. Da lì si innalzano le due colonne-torri che caratterizzano anche l'esterno: in quella di destra è collocato il tabernacolo dall'inusuale forma sferica (un richiamo al profilo dell'ostia eucaristica), evidenziato da un ampio oculo scavato nel cemento della colonna-torre; in quella di sinistra, invece, è collocato l'ambone. Al centro del presbiterio, e quindi dell'intero edificio, si trova l'altare quadrangolare in granito rosa di Villasalto. Degno di nota è anche il Crocifisso, accanto all'altare, opera in argento di Franco D'Aspro. Caratteristica è l'assenza di statue e del tradizionale arredo di banchi con inginocchiatoio, schienale e seduta, sostituiti da file concentriche di semplici (ma scomode) panche di sapore indubbiamente moderno, ma anche un po' troppo "laico" e "spettacolare" secondo le aspre critiche piovute sui principi estetici e liturgici della costruzione, definita negativamente come "chiesa-anfiteatro" o "chiesa postconciliare". Tuttavia, nelle intenzioni di progettista e committenza, questo allestimento è stato studiato per favorire sia la partecipazione alle celebrazioni sia il contatto dei fedeli tra loro e per simboleggiare lo stretto rapporto di comunione e di carità che scaturisce dal sacramento eucaristico. Lucio Barbera (a cura di), Francesco Berarducci architetto, Roma, Gangemi, 1994. ISBN 978-88-7448-598-7. Abstract sul sito dell'editore. Quartu Sant'Elena Storia della chiesa sul sito della parrocchia. Alcune immagini della chiesa: dell'esterno sul portale Sardinia, dell'interno sul sito acale.it Archiviato il 4 marzo 2016 in Internet Archive..

Chiesa di Santa Maria di Cepola

La chiesa di Santa Maria di Cepola o Santa Maria bambina è una delle chiese di Quartu Sant'Elena. È ubicata in via Santa Maria, nel quartiere di Cepola. La chiesa è documentata fin dall'XI secolo. Probabilmente venne costruita sui ruderi di una chiesa paleocristiana. Nel 1089 venne donata dal giudice di Cagliari Costantino I Salusio II a Riccardo, abate di San Vittore. Nel corso dei vari secoli subì numerosi restauri resi necessari dell'incuria e dell'abbandono che rispettarono poco lo stile originario. Probabilmente la chiesa fu in parte ricostruita nel XII secolo. In questo periodo la chiesa era già dedicata alla Madonna ed era denominata "la iglesia de la Conception". Già dal 1341 la chiesa non era più di proprietà dei Vittorini. La chiesa ha una pianta rettangolare costituita da una sola navata terminante con un'abside semicircolare. La navata ha una copertura in legno realizzata in due periodi diversi. La facciata è sovrastata da un campanile a vela di realizzazione relativamente recente e da alcuni merletti che vennero aggiunti successivamente secondo un'usanza dello stile gotico-catalano molto diffuso a Quartu all'epoca. Gli arredi della chiesa sono pochi e semplici: sono presenti un quadro della Vergine posto sull'altare e delle statue di Maria Vergine, di santo Stefano e di sant'Anastasia. È inoltre presente un'acquasantiera del '600 a forma di testa umana Guida alle antiche chiese di Quartu.Cagliari, Ettore Gasperini Editore, 1999. Quartu Sant'Elena