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Rutigliano

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Castello
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Rutigliano è un comune italiano di 18 280 abitanti della città metropolitana di Bari in Puglia. La cittadina del sud-est barese, insieme ad altri sei comuni pugliesi, nel 2010 si fregia del titolo di "Città d'arte" in rapporto al suo patrimonio storico-artistico-architettonico. La cittadina è famosa per la produzione di uva da tavola e per la tradizionale attività figulina, praticata sin dal neolitico, ed oggi legata ai tegami di creta per la cottura di vivande e la produzione dei tipici "fischietti" in terracotta (finissime opere d'arte artigiana). Ad essi è dedicata la tradizionale "Fiera del Fischietto in terracotta Città di Rutigliano" che si tiene il 17 gennaio di ogni anno in occasione della festa liturgica di Santo Antonio abate. L'abitato di Rutigliano è situato a circa 20 km dal capoluogo pugliese, sui primi rilievi delle Murge a circa 100–200 m s.l.m. Il territorio rutiglianese è geologicamente caratterizzato dalla presenza di affioramenti rocciosi che risalgono al Cretacico, ricchi di testimonianze fossili, come i resti di pesce vissuti 90 milioni di anni fa rinvenuti nella contrada Annunziata. In superficie il terreno è caratterizzato dalla presenza di argille, particolarmente utili all'agricoltura. Rutigliano, come molti centri meridionali, nasce, in epoca altomedievale, da quel fenomeno chiamato sinecismo, per il quale la popolazione dispersa nelle campagne, o in villaggi insediatisi principalmente lungo le lame, si coagula intorno a siti caratterizzati da una qualche forma di autorità, laica o religiosa. Molti villaggi come Bigetti, Timine, Casilia, Cabiano, Minerva, furono abbandonati per dar vita al "loco Rutiliano". Successivamente i Normanni, con i loro feudatari, daranno vita alla svolta che trasformerà la città da locus a castellum Rutiliani. Significativa è l'ubicazione degli insediamenti preesistenti: quello peuceta di Azetium (in contrada Castiello) e quello di Bigetti (in contrada Purgatorio) su Lama Giotta e quello di Minerva (contrada Annunziata) su Lama San Giorgio. I due solchi torrentizi Lama San Giorgio e Lama Giotta attraversano parallelamente il territorio in direzione nord-sud e in passato assolvevano al ruolo di vie di comunicazione tra l'entroterra e la costa. Anche il borgo medievale si colloca, non casualmente, su un sito di altura, lambito da un canale di deflusso secondario denominato "Lama della Corte". Esso si presentava, alla metà dell'XI secolo, avvolto attorno a una primitiva fortificazione di epoca probabilmente bizantina, poi ristrutturata e ampliata dai Normanni. Il 24 agosto 1059 papa Niccolò II emanò una bolla che riconosceva a Rutigliano il particolare status di nullius dioecesis, cioè territorio non soggetto a nessun vescovo e dipendente direttamente da Roma. Era infatti l'arciprete della chiesa di Santa Maria della Colonna, nominato direttamente dal papa, ad esercitare funzioni quasi-vescovili. Tale privilegio fu abrogato solo nel 1662, quando Rutigliano fu sottoposta all'autorità del vescovo di Conversano. Primo conte di Rutigliano fu il Normanno Ugo Bassavilla (intorno al 1108) che probabilmente fece costruire la torre normanna e ampliò la chiesa di Santa Maria della Colonna, dove è conservata una lapide con lo stemma del casato e l'iscrizione UGO FIL.US ASGOT DINASTA FUNDATUR (Ugo figlio di Asgot fondatore della dinastia) Nel 1194 subentrarono gli Svevi e in seguito gli Angioini nel 1266. Carlo II d'Angiò nel 1304 donò metà feudo al Real Capitolo di San Nicola di Bari e l'altra metà a Giovanna di Anselmo de Chanbros. Vari feudatari si susseguiranno nei secoli seguenti. Gli Orsini del Balzo, i Filomarino, i d'Azzia, gli Acquaviva, la regina Bona Sforza di Polonia, i Brancaccio, i Pappacoda, i Carafa di Noja e i Lamberti-de Bellis di Bari, fino all'abolizione della feudalità del 1806. In riguardo al toponimo sono state avanzate due ipotesi: dal nomen della gens Rutilia, una famiglia di Roma antica. dall'aggettivo latino rutilus che significa "fulvo, rossiccio". Nel secondo caso, "rutilus", con l'aggiunta del suffisso " -anus ", donde "Rutilianum" (come dai documenti antichi) riporterebbe al plausibile significato di Città della terra rossa come spesso è definita la cittadina per via della singolare composizione pedologica. Il contado è ricco di terre rosse, suoli residuali, con presenza accentuata di frazione calcarea ed argillosa. I cospicui affioramenti e l'estrazione della stessa hanno consentito, fin dalle epoche più antiche, lo sviluppo dell'artigianato e di una raffinata arte fittile, come dimostrano i reperti archeologici e l'ancora praticata attività figulina (sofisticata lavorazione di contenitori in terra cotta e fischietti). Lo stemma comunale riprende lo stemma araldico di Ugo Bassavilla primo feudatario normanno di Rutigliano: di rosso ai due grifoni con le ali spiegate d'oro confrontati e controrampanti una colonna dello stesso, sormontata da globo imperiale cimato di una croce, il tutto poggiato su una terrazza d'oro. Il castello di Rutigliano ebbe origine da successivi ampliamenti e riarticolazioni di una più antica torre di guardia che dapprincipio si ergeva solitaria sul punto più alto della collinetta di Rutigliano. Il baluardo di epoca presumibilmente bizantina (X secolo) fu eretto a difesa del primitivo insediamento rutiglianese che è citato per la prima volta (in qualità di loco Rutiliano) in un documento del 1044, compreso nelle pergamene del Codice Diplomatico Barese. Alla metà dell'XI secolo, con l'avvento dei Normanni, l'antica rocca, situata sulla sommità della collinetta su cui si stabilì l'insediamento, venne riedificata secondo gli stilemi architettonici dei dominatori nordici e assunse le fattezze che ha conservato sino ai giorni nostri. Il maschio così riedificato andò a costituire la torre maestra del maniero normanno, indicata ancora oggi per antonomasia come Torre Normanna. Attorno ad essa si avvitò il primitivo nucleo del borgo medievale, con andamento a schema focalizzato. Al principio del XII secolo, contemporaneamente all'ampliamento planimetrico del borgo (a schema radiale), all'epoca in cui era feudatario di Rutigliano Ugo di Asgot (menzionato nel 1108 e in altre pergamene coeve), alla torre maestra fu aggiunta una seconda torre di guardia, che si ipotizza fosse inizialmente della medesima altezza della maggiore, e un terzo baluardo angolare posto a nord. Quest'ultimo, attualmente non distinguibile in quanto stretto fra diversi corpi di fabbrica di età moderna, dovette fungere da elemento di raccordo fra la cintura del castello e le mura urbane che vennero contestualmente innalzate nel corso del XII secolo. Dal 1108 in avanti, l'insediamento rutiglianese risulta citato non più come locum, bensì elevato al rango di castellum Rutiliani, indice dell'avvenuto completamento del processo di incastellamento e del compimento della prima fortificazione materiale del borgo. All'iniziativa dei primi feudatari normanni documentati (Maureliano nel 1089, Ugo di Asgot nel 1108, Ruggiero Arenga prima del 1123) è possibile associare le evidenze monumentali del castellum Rutiliani: il castello, munito di tre torri (Torre Maestra, Torre di Cinta, Baluardo) con muraglia di raccordo le mura di cinta di perimetrazione del borgo (di altezza compresa fra 7 e 10 m) le tre porte urbiche (Porta Castello ad est, Porta di Bari a nord e Porta Siconis a sud). Al di là del circuito murario, ad ulteriore difesa dell'abitato fortificato, pochi anni dopo il 1123, sarebbe stato scavato un fossato (tuttora conservato in alcune porzioni di giardini urbani, posti a quota altimetrica inferiore fra le ultime abitazioni del borgo antico e i primi fabbricati dell'extramurale). Per la realizzazione del fossato che correva tutt'intorno alle mura della città, si rese necessario l'abbattimento di parte delle pertinenze del monastero benedettino di San Tommaso. Il cenobio benedettino rutiglianese di S. Thomae era stato fondato soltanto qualche tempo prima dal feudatario Ruggiero Arenga (ante 1123) e collocato presso le mura di mezzogiorno del borgo. Fra XIII e XIV secolo (per altri sul finire del XV secolo) di fronte alla torre di cinta, a maggiore difesa della prima porta del borgo (Porta Castello), venne eretto un torrione semicircolare successivamente inglobato in un palazzo rinascimentale, appartenuto ai nobili de Franceschis (oggi di proprietà Moccia). L'assetto del castello normanno fu pesantemente manomesso tra basso medioevo ed età moderna, allorché il feudo rutiglianese fu amministrato dai priori del Capitolo della Basilica di San Nicola di Bari i quali, in qualità di baroni, detennero la giurisdizione sull'intero territorio rutiglianese dal 1306 sino all'abolizione della feudalità (1806). Dell'originario complesso castellare sopravvivono oggi due delle maestose torri quadrangolari (di cui una quasi del tutto intatta) ed un terzo baluardo. Rimane ancora integro il portale di accesso alla corte interna, del resto parecchio rimaneggiata nel corso dei secoli. La Torre Maestra si compone di più piani sovrapposti e termina con un terrazzo con cornicione aggettante a beccatelli munito di bertesca per la difesa piombante. Le due torri superstiti e il baluardo settentrionale sono tutte di proprietà privata. La torre maestra (o Torre Normanna) appartiene alla famiglia Antonelli, per eredità ricevuta dalle estinte famiglie Torres e Ribera che la incamerarono all'epoca dell'abolizione della feudalità. La Torre di Cinta e il terzo baluardo sono comprese nelle proprietà immobiliari, rispettivamente, delle famiglie Colamussi e Poli. La Torre Normanna, monumento rappresentativo della città, restaurata e resa agibile di recente, a seguito della sottoscrizione di una temporanea convenzione fra proprietario dell'immobile e il Comune di Rutigliano, è talvolta aperta alle visite guidate gestite dalle associazioni culturali del posto particolarmente attive sul territorio (Archeoclub d'Italia e Pro Loco). Palazzo Arcipretale edificato nel XVIII secolo Palazzo Settanni edificato nel XIX secolo Palazzo Messeni-Localzo edificato nel XIX secolo Palazzo de Cannetis-Pappalepore-Moccia edificato nei secoli XVII-XVIII Palazzo Moccia dell'Erba edificato nel XVII secolo Palazzo del Catapano- de Franceschis- Moccia edificato nei secoli XV-XVIII Palazzo Colamussi I edificato nel XVIII secolo Palazzo Colamussi II edificato nel XVIII secolo Palazzo Trojano I edificato nel XVIII secolo Palazzo Chiaia edificato nel XIX secolo Palazzo Suglia edificato nel XIX secolo Palazzo Trojano II edificato nel XIX secolo Palazzo Losito-Trojano edificato nel XIX secolo Palazzo Antonelli edificato nei secoli XVI-XVIII Palazzo Guarnieri edificato edificato nel XVII secolo Palazzo Poli edificato nel XIX secolo Palazzo Suglia Passeri nel XIX secolo Palazzo de Bellis edificato nel XIX secolo Palazzo Severini edificato nel XVI secolo Palazzo D'Onofrio Scarpa edificato nel XVIII secolo Palazzo Antonelli Campanella nel XIX secolo Palazzo Renna edificato nel XIX secolo Palazzo Pappalepore edificato nel XIX secolo Palazzo Dalena edificato nel XVIII secolo Palazzo Dellairo edificato nel XVIII secolo Palazzo Nakerlilla edificato nei secoli XVII-XVIII Palazzo de Gonnella edificato nel XVI secolo Palazzo Da Ponte edificato nel XVII secolo Le campagne rutiglianesi sono disseminate di masserie, alcune delle quali di origine antica. Si segnalano, fra le altre, la singolare masseria fortificata Panicelli del XV secolo, la quale appare in forma di castello per i suoi quattro bastioni perimetrali a scarpa, l'accesso ai vani signorili con scala che ha sostituito il ponte levatoio. Notevoli e storiche pure: la Masseria San Martino sull'omonima contrada; la Masseria della Madonna, raggiungibile da via Adelfia; Masseria Purgatorio in contrada Bigetti; Masseria Ciacci sull'omonima contrada; Masseria le Monache sull'omonima contrada e le altre Masseria San Nicola, Masseria Pagnotta, l'antica Masseria De Bellis (Don Ciccio), Masseria Favale. Istituita nel 1059 con una bolla di papa Niccolò II come nullius dioecesis e consacrata nel 1108 dal vescovo di Conversano, monsignor Sasso, sino al 1662 fu dipendente direttamente dalla Santa Sede, che ne nominava gli arcipreti. Più volte ristrutturata, conserva all'esterno il primigenio campanile romanico (tra i pochi esempi nell'area barese), munito di trifore e un portale la cui architrave riporta un bassorilievo dell'XI secolo raffigurante il Cristo tra gli apostoli. Nell'interno a tre navate, che si caratterizza per la successiva cupola barocca, si conservano il leggio marmoreo recante l'iscrizione UGO FIL.US ASGOT DINASTA FUNDATUR e il simbolo della famiglia Bassavilla (diventato poi stemma cittadino), l'icona trecentesca della Madonna delle Grazie, alcuni affreschi perimetrali e un polittico di Antonio Vivarini del tardo XV secolo. Al Settecento risalgono il coro ligneo, l'organo a 24 canne e alcune tele di Domenico Carella e Samuele Tatulli. L'attiguo archivio capitolare custodisce atti e documenti della chiesa a partire dal Seicento. Nel 2010, in occasione dell'innalzamento di Rutigliano a "Città d'arte", la Società Italiana per la Protezione dei Beni Culturali (Sipbc) ha assegnato lo scudo blu alla collegiata di Santa Maria della Colonna e San Nicola, la storica millenaria chiesa romanica che domina il borgo antico di Rutigliano, ricca di pregevoli testimonianze artistiche come, tra gli altri, il celebre polittico del Vivarini e l'icona trecentesca bizantina dell'Odegitria. Chiesa di Sant'Andrea (o di Santa Chiara) ed annesso ex Convento delle Monache Clarisse (XVI secolo), ricostruita in forme neoclassiche nel XIX secolo in luogo della preesistente chiesa cinquecentesca di Sant'Andrea (o di Santa Maria del Soccorso). Dal 1519 sino agli inizi del 1800 il convento fu sede di una comunità di suore clarisse. Dal 1910 ospita una comunità di Suore crocifisse adoratrici dell'Eucaristia. Chiesa di San Vincenzo (nota come Sant'Anna), menzionata dalle fonti a partire dal XIV secolo. È sede del culto dedicato a Santa Rita da Cascia e ai Santi Medici. Chiesa di San Gregorio Magno (o del Purgatorio Vecchio), edificata nel XVII secolo, entro il nucleo più antico del borgo fortificato. Ospita l'archivio-biblioteca capitolare della collegiata di Santa Maria della Colonna. Chiesa dell'Immacolata (o del Purgatorio Nuovo), edificata nel XVIII secolo, annessa al castello medievale, all'epoca della costruzioni facente funzioni di palazzo baronale. La presenza di una finestra interna consentiva l'affaccio diretto del castellano dalle sale baronali del complesso castellare. Chiesa di San Giovanni Battista (nota come San Domenico) e annesso ex convento dei domenicani, edificati nel XVII secolo, sulla via per Bari e Noicattaro. È sede della parrocchia di San Domenico. Chiesa di Maria Santissima Addolorata, edificata nel 1843 inglobando la preesistente cappella di San Rocco (fondata nel 1509), al crocevia fra le due antiche strade per Conversano e Turi. È sede dell'omonima parrocchia. Chiesa del Cuore Immacolato di Maria, edificata negli anni '70 del Novecento, a monte del rione Fragasso. È sede dell'omonima parrocchia. Chiesa di Maria Santissima del Carmine, riedificata fra XIX e XX secolo in luogo della chiesa settecentesca, sorta a sua volta su una più antica cappella intitolata a San Rocco di Montpellier (fondata nel 1533), posta poco fuori dalle mura del borgo medievale, fra le due vecchie strade che conducevano a Mola e Noicattaro. È dedicata alla compatrona della città, la Vergine del Carmelo, solennemente festeggiata il 16 luglio di ogni anno; dalla metà del Novecento è anche sede del culto del Gesù Bambino di Praga, un tempo venerato nella cripta sottostante. Chiesa e convento dei padri cappuccini, sorti nel XVII secolo in luogo della più antica chiesa di San Michele, sulla via per Montrone. Ospita un'esigua fraternità francescana preposta alla reggenza del culto sorto intorno al Santissimo Crocifisso, scultura lignea del XVII secolo ivi conservata. Nel 1989 la chiesa conventuale fu eretta canonicamente a Santuario del Ss. Crocifisso, manufatto ligneo raffigurante il Cristo in croce, attribuito all'artista gallipolino Vespasiano Genuino e datato al 1630. Al pregevole crocifisso secentesco è associata un'antica leggenda (riportata dal cronista ottocentesco Lorenzo Cardassi) che narra del suo approdo miracoloso a Rutigliano, oltre a svariati miracoli legati alla cessazione di periodi di terribile siccità occorsi fra XVIII e XIX secolo. Al miracoloso Crocifisso venerato presso il convento dei Cappuccini, la cittadinanza rutiglianese dedica solenni festeggiamenti nei giorni 13, 14 e 15 settembre. A partire dalla prima metà del secolo scorso la festa del Crocifisso ha assunto sempre più lo spessore di "maggiore festa", superando per importanza e fervore devozionale il culto e i festeggiamenti tributati al principale patrono San Nicola (II domenica di maggio) ed alla compatrona Santissima Maria del Carmine (16 luglio). Chiesa di San Nicola de Criptis, ricostruita nel 1903 in luogo di un più antico edificio di culto dedicato al santo di Myra e menzionato a partire dal XIV secolo, posto poco fuori dal borgo medievale, sull'antica via per Gioia e Casamassima. Le strutture della chiesa subdiale insistono tuttora su un complesso di grotte di epoca medievale (donde deriva il toponimo de criptis), in origine direttamente affacciate sull'alveo della depressione carsica che attraversa l'abitato, nota come Lama della Corte (canale di deflusso tributario della Lama San Giorgio). Attualmente è di proprietà privata e vi si officia il culto soltanto il 6 dicembre di ogni anno, giorno della memoria liturgica di San Nicola di Bari. Chiesa di Maria Ss. Annunziata, riedificata nel 1727, in luogo di un preesistente edificio di culto intitolato a Santa Maria del Castello, che le fonti attestano come esistente almeno dal XVI secolo. È posta su un alto promontorio alla biforcazione di due lame, in prossimità di un'antica arteria viaria che collegava Rutigliano a Gioia del Colle. Chiesa della Madonna delle Grazie, edificata nel XVI secolo, sulla vecchia via per Mola. Chiesa di San Michele Arcangelo (o di Sant'Angelo), già menzionata in documenti risalenti al XIV secolo, sulla vecchia via per Noicattaro. Chiesa di Sant'Antonio Abate, edificata nel XV secolo, sulla via per Bari e Noicattaro. Chiesa della Madonna della Stella, edificata nel XVIII secolo, lungo l'antica via che conduce all'Abbazia di San Vito presso Polignano a Mare. Chiesa di Maria Santissima Materdomini, edificata nel XVII secolo, lungo l'antica via per Casamassima. Chiesa di San Lorenzo, riedificata fra 1736-1737 al posto di una chiesa più antica della metà del XV secolo (la prima attestazione documentaria è del 1466), in contrada Pozzo Cannella, strada secondaria per Noicattaro. Chiesa della Madonna del Palazzo ed annesso ex convento dei frati minori conventuali edificata nel XVII secolo e successivamente ampliata fra XVIII e XIX secolo, sull'antica via per Turi. La chiesa conventuale ingloba una preesistente cappella degli inizi del XV secolo dedicata a Santa Maria del Palazzo (in seguito epitetata Vergine dell'Abbondanza), le cui fondazioni sono venute alla luce durante i restauri dei primi anni Duemila. Ruderi della chiesa di Sant'Apollinare, fino a qualche anno fa si riteneva fosse stata edificata intorno al X - XI secolo. Recenti studi hanno fornito nuove ipotesi interpretative sulla datazione della chiesa più recente a doppia cupola in asse (quella attuale), che andrebbe messa in relazione di contemporaneità col sepolcreto altomedievale (assegnato al VI - VII secolo) emerso nel corso dei lavori di restauro del tempietto (1983-1984). La chiesetta attuale mononavata si sarebbe innestata sui resti di un più antico tempietto paleocristiano, di cui sono emerse le evidenze materiali durante gli scavi archeologici intrapresi dalla Soprintendenza Archeologica della Puglia fra anni '70 ed '80 del Novecento presso contrada Purgatorio. Tale chiesa più antica, posta a una quota inferiore rispetto all'attuale, è stata datata al V - VI secolo sulla scorta del rinvenimento di un'antefissa con croce e colomba. Il sito in questione, che ha funzionato come insediamento cristiano tra V e VIII secolo (a carattere necropolare, nella sua seconda fase), insiste su un apprestamento di età imperiale (le fondazioni di una villa rustica romana), a sua volta impostatasi su una precedente necropoli di età arcaico-classica (VI - IV secolo a.C.). Abitanti censiti Rutigliano vanta una rilevante comunità albanese, insediatasi gradualmente in loco, a partire dagli anni novanta del secolo scorso. Questa minoranza è notevolmente integrata nel tessuto socio-economico della città, grazie all'impiego prevalente nei settori dell'industria ortofrutticola. A questa si aggiungono anche le comunità rumene, polacche, slave e georgiane notevolmente attive nei campi dell'assistenza agli anziani. Oggi l'integrazione è molto migliorata soprattutto grazie al lavoro della scuola dell'obbligo e della libera università della terza età (attiva dal 1999), sempre più multietniche e rispettose delle differenze culturali, e anche grazie all'impegno delle associazioni no profit, quali Pro Loco Rutigliano, Archeoclub d'Italia e Prato Fiorito, che stimolano la cooperazione sociale. Scuola elementare - Giuseppe Settanni Scuola elementare - Aldo Moro Scuola secondaria di primo grado - Alessandro Manzoni Scuola secondaria di primo grado - Don Tonino Bello Liceo Scientifico, Scienze Applicate, Linguistico e delle Scienze Umane opzione economico-sociale- Ilaria Alpi Istituto tecnico commerciale - Eugenio Montale Libera Università della Terza Età - Lia Damato Biblioteca comunale - Palazzo San Domenico 17 gennaio: Festa di Sant'Antonio Abate e Fiera dei fischietti in terracotta con vendita di castagne, frutta secca, focacce e dei caratteristici "fischietti" di argilla, caricature di personaggi classici della vita di paese (il carabiniere, il monaco, la signora formosa, il bandista, ecc.). Febbraio: Carnevale in piazza, sfilata di carri allegorici organizzata da Il Prato Fiorito e dalle associazioni di volontariato. 25 marzo si festeggia l'Annunziata presso l'omonima chiesa rurale, aperta al culto anche la terza domenica di maggio e il Lunedì di Pasqua. La pasquetta è occasione per il rito del "pas-a-pas", una specie di comparizio tra amici di scampagnata. Domenica delle Palme: Via Crucis Vivente per le vie della città. Il Venerdì Santo ha luogo la processione del Sacro Legno, reliquia conservata nella Chiesa Matrice di Rutigliano, a cui partecipano tutte le congreghe, le associazioni ecclesiali, le autorità ed una gran massa di popolo. 25 aprile festa di San Marco, presso la Chiesa della Madonna delle Grazie. 3 maggio si festeggia la Croce presso il Santuario del Crocifisso. 17 maggio i Rutiglianesi si recano presso il convento della Madonna del Palazzo (restaurato recentemente), per festeggiare S. Pasquale. secondo fine settimana di maggio: Festa di Nicola di Bari, patrono. 31 maggio festa della Mater Domini, presso l'omonima chiesa rurale. Prima domenica di luglio: Festa del Grano. 16 luglio si festeggia, con luminarie e processione, la Madonna del Carmine. 9-10 agosto: Fiera di san Lorenzo. 14-16 agosto: Altarini di Ferragosto 13-14-15 settembre: Festa del SS. Crocifisso. 23 dicembre: è d'uso che gruppi di musici e cantori vaghino per le vie del borgo antico e non solo intonando le tradizionali "Pastorelle", dolci nenie a Gesù bambino che nasce, fino alle prime luci dell'alba. 6 gennaio: Cavalcata dei Magi. Ogni prima domenica del mese: borgo antico, Mercato dell'antiquariato e del collezionismo Museo del Fischietto in Terracotta "Domenico Divella" - ex Convento dei Domenicani Museo Civico Archeologico "Grazia e Pietro Didonna" - Piazza XX Settembre Museo Capitolare Ecclesiastico "Santa Maria della Colonna" (Museo Didattico di Storia ed Arte Sacra - MuDiAS) - Palazzo Settanni Museo a Cielo Aperto del Fischietto in Terracotta "Galloforie" - diffuso nel Centro Storico Museo della Scuola - I Circolo didattico "G. Settanni" Museo del Gioco - II Circolo didattico "A. Moro" Archivio Capitolare Ecclesiastico "Santa Maria della Colonna" - ex Chiesa del Purgatorio Vecchio o di San Gregorio Archivio Storico Comunale - seminterrato del Municipio Usanza molto arcaica in voga fino a qualche decennio fa nelle campagne di Rutigliano. Ogni anno nel giorno del Lunedì dell'Angelo (Pasquetta), presso la chiesa rurale della Santissima Annunziata si svolgeva per l'appunto il "passa passe", una forma di comparatico fra amici. Alcuni nastri variopinti venivano prima benedetti nella cappella e poi allacciati al braccio sinistro dei due "compari", che divenivano da allora in poi amici inseparabili. Più anticamente, sempre intorno alla chiesa dell'Annunziata, un rito omonimo, ma più ancestrale e profano, contemplava la cura delle ernie attraverso il "passaggio" (passa pass) dell'infermo denudato fra cespi di lentisco fesso. Dopo la pratica, il ramo di lentisco veniva legato. La ripresa della vegetazione del fuscello era di buon auspicio ed era presa quale segno di grazia ricevuta e premonizione di presta guarigione dell'ammalato. Il rito fu oltretutto qualificato dalle autorità ecclesiastiche dell'epoca (come testimoniano i documenti antichi) "abominevole superstizione" per gli evidenti caratteri pagani e superstiziosi che lo contraddistinguevano. Negli ultimi anni la più recente pratica di comparatico è stata riportata alla ribalta e ancora oggi si svolge, spesso in occasione del Lunedì di Pasqua, presso l'attrezzata Oasi Materdomini, sorta sul sagrato e tutt'intorno alla chiesa rurale di Maria Santissima Materdomini, sita sulla via vecchia per Casamassima. A Rutigliano è famoso il pastificio Divella, fondato nel 1890, ed è rilevante la storica vocazione viticola, infatti abbondano le aziende ortofrutticole adibite all'imballaggio e all'esportazione dell'uva da tavola con denominazioni di origine controllata; tra queste sono da menzionare le uve Vittoria, Italia, Red Globe, Paglieri e Crimson. Questo settore produttivo assorbe la maggior parte della manodopera locale, creando molta occupazione autoctona e straniera. Il centro è noto come "Città dell'Uva" per la produzione su larga scala di pregiate varietà da tavola (Uva Italia, Vittoria e Red Globe). È inoltre, nel mezzogiorno, conosciuta quale capitale dei "Fischietti in Terracotta". I collegamenti stradali principali sono rappresentati dalla strada provinciale 240 (già strada statale 634 delle Grotte Orientali) che la connette a nord-ovest a Capurso e alla strada statale 100, in direzione di Bari, e a sud-est a Conversano. Il tratto rutiglianese della strada è interamente in variante. Inoltre, Rutigliano è collegata a Mola di Bari e alla strada statale 16 Adriatica mediante la strada provinciale 111 e mediante le strade provinciali 84, 122 e 179 ai comuni di Adelfia, Turi e Casamassima. Rutigliano dispone di una stazione delle ferrovie del Sud Est lungo la linea Bari-Putignano-Martina Franca, che la collega al centro del capoluogo provinciale con treni a carattere metropolitano. Di seguito è presentata una tabella relativa alle amministrazioni che si sono succedute in questo comune. La principale squadra di calcio della città è l'A.S.D. Rinascita Rutiglianese, militante nel girone A pugliese di Promozione. La Polisportiva Olympia Rutigliano ha una squadra di basket, iscritta al campionato regionale di Serie D, e gioca le sue gare casalinghe alla Tensostruttura Comunale. La Mens Sana Rutigliano, ASD di basket maschile e femminile, è nata nel 2014. Attualmente la squadra Senior maschile partecipa al Campionato di Prima Divisione. Azetium Wikiquote contiene citazioni di o su Rutigliano Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Rutigliano Wikivoyage contiene informazioni turistiche su Rutigliano Sito ufficiale, su comune.rutigliano.ba.it. Rutigliano, su sapere.it, De Agostini. Gli antichi insediamenti preesistenti nel territorio di Rutigliano, su lixos.interfree.it. URL consultato il 30 agosto 2007 (archiviato dall'url originale il 31 maggio 2007).

Estratto dall'articolo di Wikipedia Rutigliano (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

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N 40.996877 ° E 17.006853 °
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70018
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Chiesa di Santa Maria della Colonna e San Nicola
Chiesa di Santa Maria della Colonna e San Nicola

La chiesa di Santa Maria della Colonna e San Nicola è la parrocchiale di Rutigliano, in città metropolitana di Bari e diocesi di Conversano-Monopoli; fa parte della zona pastorale di Rutigliano. La collegiata di Rutigliano sorse nel X-XI secolo con la conformazione a un'unica navata; nel XII secolo l'edificio fu interessato da un ampliamento che lo portò a tre navate. La chiesa venne dichiarata nel 1059 da papa Niccolò II nullius dioecesis, divenendo dunque indipendente da qualsiasi diocesi. Il luogo di culto fu rimaneggiato nel XV secolo; nel 1662 lo status di nullius dioecesis fu abolito e la chiesa entrò a far parte della diocesi di Conversano. Nel Settecento si provvide a realizzare il coronamento barocco del campanile e a restaurare la collegiata. La facciata a salienti della chiesa, rivolta a oriente, presenta centralmente il portale maggiore: esso è protetto dal protiro, che si sorregge su due colonne poggianti su leoni stilofori, ed è sormontato da una lunetta ospitante un affresco con soggetto la Madonna col Bambino con due Angeli turiboli e quindici bassorilievi raffiguranti l'Annunciazione e gli apostoli. Sempre nella parte mediana del prospetto si apre, più in alto, il rosone murato, mentre nell'ala laterale sinistra vi sono l'ingresso secondario e una monofora; l'ala destra, invece, è nascosta dalla torre campanaria. Annesso alla parrocchiale è il campanile a base quadrata, la cui cella presenta su ogni lato una trifora ed è sormontata dalla cupola a bulbo. L'interno dell'edificio si compone di tre navate, separate da pilastri abbelliti da lesene e semicolonne e sorreggenti degli archi a tutto sesto e la trabeazione modanata e aggettante sopra la quale si impostano le volte; al termine dell'aula si sviluppa il presbiterio, rialzato complessivamente di quattro gradini, delimitato da balaustre e chiuso dall'abside di forma semicircolare. Qui sono conservate diverse opere di pregio, tra le quali il polittico raffigurante la Madonna col Bambino insieme a Gesù risorto e a otto Santi, eseguito intorno al 1470 dal veneto Antonio Vivarini, gli stalli del coro, intagliati nel XVIII secolo, lacerti di affreschi del XV secolo, la pala ritraente l'Ultima Cena, dipinta da Domenico Antonio Carella, un'icona bizantina risalente al Trecento, e il settecentesco organo, costruito forse dalla bottega dei De Simone. Diocesi di Conversano-Monopoli Regione ecclesiastica Puglia Rutigliano Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla chiesa di Santa Maria della Colonna S. Maria della Colonna e S. Nicola – Rutigliano, su diocesiconversanomonopoli.it. URL consultato il 26 maggio 2024.

Celia peuceta
Celia peuceta

Celia peuceta (o semplicemente Cælia) fu un antico insediamento di età arcaico-classica che sorgeva sul sito dell'odierno quartiere di Ceglie del Campo, nel comune di Bari, in Puglia. Non va confusa con l'omonima città, situata nella Provincia di Brindisi. L'antico centro peuceta di Καιλία, identificato con la romana Caelia, sorgeva a 70 m s.l.m., su un pianoro delimitato a est e a ovest dai torrenti Fitta e Picone, 5 km a sud di Bari, dove oggi insistono gli abitati moderni di Ceglie del Campo e Carbonara di Bari. Le fonti letterarie non dicono nulla sulla sua origine, sebbene la si trovi citata da numerosi scrittori e storici latini e greci, tra cui Strabone, Tolomeo e da fonti geografiche e itinerarie (Tabula Peutingeriana, Anonimo Ravennate e Guidone). Le recenti indagini archeologiche hanno dimostrato che il pianoro su cui sorse la città e il territorio circostante erano già frequentati in età protostorica, con modalità al momento non ancora ben definite. L'età del Ferro è attestata da alcuni frammenti di ceramica di impasto rinvenuti sia lungo il percorso della lama Fitta, sia in alcune grotticelle artificiali in località Reddito, Buterrito, Tufaia, localizzabili a est dell'abitato moderno. I secoli VII-VI a.C. sono documentati da aree di necropoli, individuate all'interno del circuito murario: la principale sembra essere quella in località Sant'Angelo a nord-ovest del centro moderno di Ceglie. La tipologia delle tombe è varia: a fossa, scavate nel banco roccioso con il defunto deposto in posizione rannicchiata e con il corredo disposto intorno (per lo più formato da ceramica geometrica apula e ceramica acroma); a sarcofago, chiuse da lastroni di pietra talvolta con tracce di decorazione pittorica, e tombe più monumentali del tipo a semicamera, dotate di ricco corredo. Tra il V e il IV sec. a.C. si assiste allo sviluppo di un vero e proprio abitato urbano, difeso da una cinta muraria lunga 5 km, ora conservata in pochi tratti a causa di un sistematico smantellamento effettuato durante i primi anni del secolo scorso (i blocchi furono infatti reimpiegati per la realizzazione del lungomare di Bari). La struttura, dotata di quattro porte, era a doppia cortina, realizzata con blocchi sbozzati di varie dimensioni alloggiati senza malta con l'impiego di zeppe, e riempimento interno costituito da pietrame. Il percorso è ben ricostruibile in base ai resti rinvenuti ed alle tracce da fotografia aerea sia a oriente che a occidente, anche perché condizionato dalla presenza dei due torrenti. Risulta ancora visibile per alcuni tratti sul lato meridionale, in località Porta Mura, mentre il tratto settentrionale è più problematico: alcuni studiosi infatti propendono per includere buona parte del moderno centro di Carbonara di Bari, mentre altri tendono a farle girare prima, a nord-ovest dell'attuale Ceglie del Campo. In età ellenistica la città raggiunge il suo pieno sviluppo dimostrato dal rinvenimento di numerose tombe, con corredi ricchi di ceramiche dipinte a vernice nera o a figure rosse, appartenenti al ceto dirigente fortemente ellenizzato. Nei corredi tombali di V sec. a.C. si ritrovano infatti vasi di notevole pregio di provenienza attica, come quelli attribuiti al Pittore delle Niobidi, al Pittore di Eretria, al Pittore di Calliope e di Crodo, e anche ambre figurate prodotte in Lucania e in Daunia, e statue di metallo, come quella dell'Apollo saettante, di produzione metapontina. Verso la metà del secolo diventa sempre più preferenziale il rapporto della città con il mercato delle colonie magnogreche, testimoniato dalla presenza delle prime produzioni della scuola “protolucana” (Pittore di Amycos), ma anche dei prodotti di grandi ceramisti attivi nella colonia di Thurii (Pittore delle Carnee e il Pittore della Nascita di Dioniso). La città conserva una posizione di rilievo anche in età romana quando divenne civitas sociorum, come attestano le emissioni monetali in argento e in bronzo di III sec. a.C. con legenda in greco ΚΑΙΛΙΝΩΝ. Relative a questo periodo sono anche alcune strutture abitative che testimoniano l'espansione della città su buona parte del pianoro. Sul finire del III sec. a.C. si è constatato un progressivo impoverimento dei corredi, segno di una crisi del centro forse anche per la progressiva ascesa della città di Barium, le cui strutture portuali vengono sempre più potenziate. Le uniche testimonianze relative all'occupazione dell'area in età tardorepubblicana provengono dagli scavi condotti in località Sant'Angelo, dove sono state portate alla luce numerose cisterne e fosse di scarico databili tra il III e il I secolo a.C. Inoltre in località San Nicola lo scavo ha permesso di documentare una frequentazione arcaica e classica, alla quale si sovrappongono tombe del III secolo a.C. coperte poi da uno strato di tufina pressata che dimostra una nuova destinazione abitativa dell'area in età tardorepubblicana, confermata ulteriormente dal rinvenimento di resti di un'altra abitazione articolata in più ambienti e datata alla stessa fase. Nella riorganizzazione del territorio effettuata a partire dalla guerra sociale (89 a.C.), la città strutturata a municipio viene ascritta alla tribù Claudia, insieme a Barium e Rubi. Probabilmente in questo periodo venne posta sotto la guida di quattorviri, così come è attestato da un'iscrizione di I secolo d.C. In età imperiale con la costruzione della via Traiana, si assiste allo sviluppo dello scalo portuale di Barium, che contribuisce alla decadenza di diversi centri della Peucezia interna tra cui Caelia stessa. Delle vestigia dell'antica Caelia sono visibili alcune necropoli e sparuti lacerti della cinta muraria. R. del Monte, S. Landriscina, Ceglie del Campo - Caelia, in Archeologia delle Regioni d'Italia: Puglia, Bologna, 2014. Ceglie del Campo Azetium Peucezia

Azetium
Azetium

Azetium fu un antico insediamento attestato archeologicamente a partire dall'età del ferro nell'antica Apulia (già Iapigia, odierna Puglia centrale), nei pressi dell'attuale Rutigliano. Sorse su di un'area già frequentata durante l'età neolitica e sistematicamente occupata a partire dal Bronzo finale. L'area archeologica, tuttora caratterizzata dalla presenza delle mura di difesa di epoca classica (IV secolo a.C.), si trova a Nord-Est dell'odierno abitato di Rutigliano, in contrada Torre Castiello. Il sito archeologico di Torre Castiello, ubicato sul poggio omonimo a Nord-Est della cittadina barese di Rutigliano, conserva le rovine della città peuceta di Azetium, che precorse la nascita dell'attuale borgo medievale. L'insediamento, che ha restituito tracce di frequentazione umana che risalgono all'età neolitica, fu occupato sporadicamente a partire dal Bronzo Finale (XI - VIII secolo a.C.) e durante la successiva età del Ferro. La bassa collina, che racchiude un'area oggi intensamente coltivata a vigneti a tendone, è lambita sul suo margine meridionale e sud-occidentale da un solco erosivo di origine carsica, anticamente percorso dalle acque, e noto come Lama di Mosca - Giotta. Oltre ad aver fornito le risorse idriche necessarie al fabbisogno delle genti che si stanziarono sui pianori prospicienti, l'ampia e scoscesa vallata del torrente carsico costituì per l'insediamento una difesa naturale. Il promontorio assunse fisionomia urbana probabilmente soltanto a partire dall'età classica, allorché venne eretto un poderoso circuito murario in buona parte tuttora conservato in situ. Infatti, attorno alla seconda metà del IV secolo a.C., le ostilità che contrapposero la città magno-greca di Taranto alle popolazioni dei villaggi messapi e peuceti della Puglia centro-meridionale contribuirono a fare in modo che la maggior parte dei centri indigeni si dotasse di ben più sicure opere di fortificazione e di difesa. Il pianoro di Castiello risulta infatti tutt'oggi circondato da un'imponente muraglia della lunghezza complessiva di 3450 metri, costituita da un doppio paramento con émplekton centrale di riempimento. La fortificazione è composta da enormi blocchi isodomici di base (in opera poligonale) assemblati a secco, sovrastati da conci di misura via via inferiore. A seconda dello stato di conservazione, la sua altezza varia fra i 4 ed i 6 metri, mentre la profondità, in alcuni punti, raggiunge picchi di 5 metri. Lungo il perimetro, la cintura muraria presenta alcuni avancorpi a pianta quadrata e doveva essere intervallata da torri di vedetta: se ne conservano alcune sul versante esposto a Nord, fra cui l'erta "Torre Belvedere". Sul margine settentrionale, le mura raggiungono infatti dimensioni considerevoli e sono affiancate da una cortina esterna che corre parallela ad essa nella direzione in cui l'abitato si protende verso l'Adriatico e pertanto doveva risultare maggiormente aggredibile. Sul versante meridionale, invece, la muraglia si mostra meno robusta, essendo direttamente affacciata sulla forra della lama di Mosca da cui è naturalmente difesa. L'ingresso alla città da Sud era assicurato da un viadotto conosciuto localmente come "Ponte Romano", il quale consentiva di scavalcare agevolmente il profondo solco torrentizio. Lo sconvolgimento dell'assetto idrogeologico del territorio, in gran parte dovuto alle trasformazioni agrarie dell'ultimo secolo (impianto di viti da tavola a tendone), ne determinò l'inesorabile crollo durante una poderosa piena alluvionale, occorsa nel gennaio del 1984. L'insediamento dovette assumere fisionomia propriamente urbana durante l'età classica, periodo al quale si attribuiscono diverse sepolture a fossa, a semicamera e a cassa litica, la maggior parte delle quali già depredate al momento del rinvenimento. La continuità di vita del centro indigeno è ben documentata in epoca ellenistica, quando probabilmente in cima al pianoro era collocata l'acropoli che ospitava un edificio di carattere pubblico, ipotizzato sulla scorta dei numerosi rocchi di colonne con scanalature rinvenute in passato in posizione di crollo (oggi irreperibili). In epoca repubblicana il centro continuò a svilupparsi, avvantaggiandosi della sua collocazione lungo un percorso viario noto come "mulattiera di Strabone", identificato con la via Minucia, variante interna della via Traiana subcostiera. Tale arteria collegava Bitonto ad Egnazia passando per i centri intermedi di Caelia (Ceglie del Campo), Azetium (Rutigliano) e Norba (Conversano). Inoltre era adeguatamente dotata di percorsi secondari che la collegavano alla costa adriatica, tuttora ravvisabili nelle diverse strade vicinali che dalla contrada di Castiello conducono sino al litorale (località "Cala Paduano", probabile sbocco portuale azetino, oggi fra Torre a Mare e Mola di Bari). Il toponimo della città archeologica, di probabile origine paleo-italica (da Ausetium), si desume da diverse fonti di età imperiale (Plinio il Vecchio, l'Anonimo Ravennate, Guidone) e dalla fondamentale Tabula Peutingeriana o Todosiana (III-IV secolo d.C.), che riporta "Ehetium" (donde "Azetium", italianizzata in Azezio) come dislocata sulla direttrice interna di origine indigena prima menzionata, a metà strada fra "Celia" (Ceglie) e "Norve" (Conversano). La sopravvivenza della città è documentata, ma solo sporadicamente, sino alla tarda età imperiale (V-VI secolo d.C.) attraverso rinvenimenti ceramici di superficie. L'antico abitato di Azetium sorge su una modesta altura, in località Torre Castiello, circa 2,5 km a nord-est di Rutigliano. Il primo studioso moderno che ne riporta la localizzazione è il Romanelli nel 1818. Infatti, le prime notizie relative a questo insediamento, noto per la sopravvivenza del circuito murario, risalgono agli inizi del XIX secolo e sono per lo più segnalazioni di rinvenimenti fortuiti, non localizzati con precisione, o acquisti di materiali archeologici da parte di musei regionali o, ancora, sequestri in relazione a scavi clandestini. I primi interventi di scavo, effettuati dal paletnologo Franco Biancofiore, risalgono al 1955 e vengono effettuati lungo il settore nord della fortificazione. La ceramica rinvenuta indica fasi di vita dell'abitato comprese fra l'età del Bronzo Finale e l'età tardoellenistica e repubblicana. Le prime tracce di frequentazione ad Azetium sono rappresentate da alcuni frammenti di ceramica neolitica, raccolti in superficie nella parte meridionale della collina, probabilmente da porre in relazione con il vicino insediamento di Torre delle Monache, situato sulla sponda opposta della Lama Giotta. Più cospicua è la presenza di ceramica della prima età del Ferro, particolarmente concentrata nella zona settentrionale del promontorio. Si tratta di frammenti di vasi d'impasto bruno e nero lucido, e di resti di intonaco, che testimoniano l'esistenza di un insediamento stabilem costituito con ogni probabilità da un piccolo nucleo di capanne d'argilla e paglia, del tipo già attestato in numerosi villaggi iapigi disseminati nel territorio. Con l'inizio dell'età storica le testimonianze di vita sul pianoro si diradano notevolmente, concentrandosi invece nelle zone adiacenti, a sud-est, dove si riscontra la presenza di abbondante ceramica di età arcaico-classica e di coppi dipinti in rosso di tipo laconico (contrada Petruso, Pappalepore, Le Rene). Ciò rende credibile l'ipotesi secondo la quale, in questa fase storica, la zona pianeggiante a sud-est della collina di Azetium doveva corrispondere alla sede di uno o più nuclei insediativi, dotati di edifici con fondazioni in pietra e coperture fittili policrome. Una nuova fase di occupazione del promontorio si apre nel IV secolo a.C., protraendosi per tutta l'età ellenistica, e corrisponde al periodo di massima espansione edilizia ed economica dell'abitato, che assume ora una fisionomia propriamente urbana. I rinvenimenti fortuiti proseguono spesso in occasione di lavori agricoli o dovuti a studiosi locali. Fra di essi si segnala il rinvenimento di una tomba databile al IV sec. a.C. e di un tesoretto di 80 denarii di età repubblicana. Alla fine degli anni '70 si individua una cisterna a fiasca genericamente databile, in base alla ceramica e a tre monete presenti nel suo interno, all'età imperiale. Negli anni '80 riprendono gli scavi nel settore nord delle mura e vengono individuate e scavate otto tombe a fossa databili fra la fine del IV e gli inizi del III sec. a.C., periodo al quale di ascrive la costruzione della fortificazione e il maggior sviluppo dell'abitato. Alla fine degli anni '80, durante indagini sistematiche nella parte sud-est della collina, vengono evidenziati due edifici. Il primo doveva essere costituito da una pars dominica e una pars rustica (settore di residenza e settore produttivo di una villa rustica). Le strutture della prima erano in blocchi calcarei e tufo, rivestite da intonaci con decorazioni a fresco e cornici in stucco; i pavimenti di terra pressata con pietrisco e frammenti ceramici costituiti da tegole infisse di taglio nel terreno e coperte da malta. Il settore produttivo, invece, doveva essere costruito in modo meno accurato, caratterizzato da una cisterna e grossi contenitori interrati. Grazie al rinvenimento, al di sotto delle predette strutture, di una tomba a semicamera, di ceramica e di una moneta d'argento, rinvenuti all'interno di quest'ultima, è stato possibile datare il complesso fra III e I sec. a.C. Il secondo edificio, individuato più a sud, è realizzato anch'esso in blocchi di calcare e tufo rivestiti da intonaci decorati e cornici in stucco e si impianta su precedenti strutture di cui è stata evidenziata una grande vasca. La datazione dell'impianto, dovuta anche al rinvenimento di tre assi in bronzo, è compresa fra la fine del III e la metà del II sec.a.C. Alla fine degli anni '90 sono state condotte indagini sistematiche di superficie all'interno dell'abitato, al fine di ubicare con precisione i rinvenimenti editi e di appurare lo stato di conservazione delle evidenze archeologiche. Il rinvenimento di ceramica ad impasto bruno ha potuto accertare la presenza dell'abitato, o comunque di un'occupazione dell'area, già durante l'età del Ferro. Alla scarsità di materiali relativi all'età arcaica e classica fa riscontro l'abbondante presenza di ceramiche di età ellenistica, già da IV sec.a.C. A questa fase si riferisce la costruzione del circuito murario difensivo, lungo circa 3,5 km, che doveva delimitare un'area di 6 ettari. La sua sopravvivenza è oggi nei muretti a secco che ne ricalcano il circuito e nella presenza di blocchi delle mura riutilizzati nella costruzione di trulli e capanni presenti nell'area. La costruzione delle mura di questo insediamento si inserisce in un fenomeno di urbanizzazione già conosciuto nel territorio grazie ad abitati come Bari, Monte Sannace, Ceglie e Turi. Fra il IV e il III sec.a.C. le testimonianze restituite da Azetium sono soprattutto di carattere funerario. L'esistenza di una fase edilizia risalente a questo periodo, che le indagini sistematiche degli anni '90 hanno lasciato intravedere, attendono una verifica dall'ulteriore approfondimento delle ricerche. Sembra evidente, tuttavia, che già in questa fase, e in particolare nel III secolo a.C., la comunità di Azetium si trovasse in una situazione di stabile equilibrio sociale ed economico, dovuta alle ampie possibilità di sfruttamento agricolo del territorio ed ai fiorenti commerci. Tali attività erano rese possibili dalle presenza di una fitta rete di tratturi, che consentiva i collegamenti con l'entroterra e con i vicini insediamenti costieri (Paduano), ma certamente anche da fattori di carattere politico-istituzionale, potendo usufruire, insieme a poche altre comunità della Peucezia, della condizione di civitas sociorum. Risalgono a questo secolo, del resto, le emissioni monetali in bronzo recanti l'etnico AIETINΘN, come pure un elemento architettonico con iscrizione in alfabeto "apulo" riferibile ad un edificio pubblico, che costituisce uno dei rarissimi documenti epigrafici della località. Nei decenni successivi alla seconda guerra punica, caratterizzati in Peucezia dalla totale disgregazione del precedente sistema produttivo e dall'estinguersi di molti insediamenti, la situazione riscontrata ad Azetium rappresenta senza dubbio una eccezione. Le testimonianze relative all'abitato consentono di attribuire alla comunità di II secolo a.C. condizione di particolare benessere economico, che perdurano almeno fino alla metà del I secolo a.C. Oltre questo periodo si avverte una netta cesura nella documentazione archeologica, certamente legata al momento di profonda crisi dovuto agli esiti della guerra sociale (91-88 a.C.) al quale va ricondotto, fra l'altro, il seppellimento del tesoretto tardorepubblicano. Si ritiene che, a seguito del riassetto amministrativo che seguì alla fine della guerra sociale con la concessione della cittadinanza romana (90 - 88 a.C.), anche gli abitanti di Azetium dovettero essere inseriti fra le tribù rustiche cui era concesso il diritto di voto. Si suppone che le comunità dell'area peuceta fossero state attribuite nel loro insieme alla tribù Claudia (come attestato epigraficamente per Barium, Celia e Rubi). La città sarebbe stata quindi promossa al rango di municipium. Infatti gli elenchi di città italiche e di comunità locali redatte da Plinio il Vecchio (fra cui figurano gli "Aezetini") dipendono direttamente da documenti amministrativi (liste censitarie dei cives) di età pre-augustea, ragion per cui le entità urbane menzionate sono da considerare come dotate di autonomia municipale acquisita a seguito del riordinamento dell'assetto territoriale preesistente (fatto di civitatis sociorum) già definito al momento della conquista romana. La precedente condizione di civitas sociorum è invece indiziata dall'attestazione della coniazione monetale cittadina (AIETINΩΝ) in un'epoca precedente alla guerra sociale, attestata, nel III secolo a.C., anche per Barium, Butuntum, Celia, Rubi, Grumum, Neapolis, Sidis-Silvium, Graxa. L'altura di Castiello fu frequentata, in un primo momento, in età neolitica nel suo tratto meridionale in prossimità di Lama Giotta. Durante il Bronzo Finale e la prima età del Ferro fu occupato il margine settentrionale della collinetta. Al villaggio protostorico iapigio ed alla successiva occupazione della piana a sud-est in età arcaico-classica, segue, dal IV secolo a.C., un insediamento stabile che si estende su tutta la collina. Alla seconda metà del IV secolo a.C., in coincidenza con gli eventi bellici che opposero Taranto alle popolazioni indigene, culminati nella spedizione di Alessandro il Molosso (fra 334-332 a.C.), si ascrive la costruzione delle mura di cinta. Allo stesso periodo risalgono, infatti, le cerchie murarie che racchiudono altri importanti insediamenti della Peucezia, come Thuriae - Monte Sannace, Celia - Ceglie, Sidion, Altamura, nei quali si assiste contemporaneamente ad una decisiva evoluzione dell'articolazione degli spazi interni, dell'organizzazione sociale ed economica. Una contrazione dell'abitato nella parte meridionale dell'altura è ben rappresentato, per le epoche successive (II-I sec.a.C.), dalla presenza di ceramica a pasta grigia. Ancor più esigue le ceramiche relative alla fase imperiale. Fra gli ultimi anni della repubblica e la prima età imperiale, i profondi mutamenti imposti dalla penetrazione romana nel sistema insediativo e nelle strutture produttive del territorio dovettero influire notevolmente sulla vita dell'abitato. Nelle fasi successive al I sec.a.C. si ha dunque una graduale crisi e contrazione dell'abitato. La sua sopravvivenza, seppure in tono minore, è tuttavia documentata da alcuni resti e dai riferimenti delle fonti, che ne indicano la presenza lungo il percorso di importanti arterie viarie, sino al suo definitivo abbandono allorché l'altura diviene, come ancora oggi, area agricola densamente coltivata. Il sito di inestimabile valore storico-archeologico (oltre che ambientale e paesaggistico, per via dell'adiacente habitat naturale della lama) versa in colpevole stato di abbandono, in preda alle deturpazioni operate periodicamente dai coltivatori diretti che, in barba alle norme di tutela del sito archeologico istituite dagli anni ottanta del secolo scorso, seguitano a incrementare le piantagioni di vigneti a tendone, eseguendo finanche i proibiti e dannosi derocciamenti ("scassi") con frangipietre e arature profonde. Le stesse spesso riportano alla luce frammenti di ceramiche di pregio con tracce di decorazioni, insieme ad anse e altre porzioni di recipienti di ceramica d'uso. Delle vestigia dell'antica Azetium è attualmente visibile l'intero circuito murario di fortificazione in opera poligonale che circondava l'acropoli della città antica. A. Riccardi, L'insediamento di Azetium, in Bollettino di numismatica, n. 34-35, gennaio-dicembre 2000. S. Tagarelli, Azetium, Molfetta, 1960. F. De Luca, Rutigliano - Azetium, in Archeologia delle Regioni d'Italia: Puglia, Bologna, 2014. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Azetium Documentario su Azetium Documentario "Le mura e i frammenti archeologici" Documentario "La distruzione del patrimonio archeologico" Documentario "Salviamo la muraglia di Azezio" Due scassi ad Azetium, l'archeologia in frantumi

Cellamare
Cellamare

Cellamare è un comune italiano di 5 756 abitanti della città metropolitana di Bari in Puglia. Vi si conserva il vecchio castello baronale di origine medievale (XIII secolo), ma ricostruito e riadattato da fortezza militare a residenza signorile nel XVI secolo. Nelle campagne, sulla via per Rutigliano, si conserva un menhir di imprecisata datazione. Il centro abitato è 12 km a sud-est della città di Bari. Il territorio comunale è posto ai margini meridionali della conca di Bari; confina con Capurso, Casamassima e Noicattaro, risultando il comune meno esteso dell'intera città metropolitana. Nel territorio di Cellamare non vi sono tracce di insediamenti risalenti all'età della pietra. Solo verso il XV secolo a.C., nell'età del bronzo, la vita si affaccia nella zona detta Cocevole, ad un paio di chilometri dal paese, sulla via vecchia per Casamassima. È qui che si sviluppò il primo insediamento nell'area dell'odierna Cellamare. Dai numerosi reperti ritrovati nella zona è facile dedurre che si trattò di un insediamento di eccezionale importanza e che occupò una grande area di territorio. La posizione favorevole derivava dal fatto che l'avvallamento che oggi si osserva era un importante via canale (solco torrentizio) che partiva da Monte Sannace, presso Gioia del Colle, proseguendo in direzione della vicina Cellamare e di Azetium, che si trovava tra Noicattaro e Rutigliano, e passando dinanzi alla chiesetta rurale dell'Annunziata, nel territorio di Rutigliano, sfociava nell'Adriatico dove oggi è la baia di San Giorgio a sud di Bari. Le attività praticate erano la pastorizia e l'agricoltura. La maggior parte dei reperti, riportati in superficie durante i lavori di trasformazione delle colture, è andata persa. Non sono pochi i contadini, i più anziani, che possono testimoniare che gli aratri meccanici hanno fatto riaffiorare decine di lastroni calcarei, cocci, anse ed oggetti di pietra. Nella stessa zona si trovano, come dicono i contadini, i "paretoni". Si tratta delle "muragge", ossia muri formati di pietre, poste le une sulle altre con bravura e perizia, senza malta, a secco. Diversi storici ritengono si tratti di monumenti sepolcrali, i "dolmen". Esistono tre principali tipi di dolmen: il primo è costituito da una galleria con lastroni di pietra laterali, sormontati da altri lastroni, poi coperti da un cumulo di pietrame a forma ellittica; il secondo consiste in un sarcofago in pietra, ricoperto come il precedente da pietrame a forma ellittica; il terzo, più modesto, consta di un piccolo sarcofago monolitico coperto da un minuscolo cumulo di pietre. Quest'ultimo tipo è quello presente nel territorio di Cellamare, in agro Cocevole. Le origini di Cellamare si fanno risalire al secolo XI; l'unico documento attendibile in tal senso può essere considerato uno statuto delle città e delle terre appartenenti all'Arcidiocesi di Bari, compilato nel 1171 dall'arcivescovo Rainaldo nel quale per la prima volta si cita una località di nome Cellamare o Cellamarii. Alcuni storici sono invece concordi nel segnalare l'esistenza di questo sito o villaggio di pastori e contadini in concomitanza con le escursioni saracene. Si racconta infatti che nel 988 i Saraceni attuarono una delle più feroci incursioni nel territorio intorno a Bari, depredando le popolazioni ed incendiando le loro abitazioni. Dopo aver distrutto Ceglie e Valenzano si trasferirono nel territorio di Capurso, ma qui furono respinti ed uccisi dai capursesi e cellamaresi. La zona ancora oggi viene chiamata Massaracina per ricordare il massacro dei saraceni. In quanto al toponimo "Cellamare" gli storici rimandano all'episodio riguardante l'arcivescovo di Bari Giovanni V, che a seguito della distruzione di Bari perpetrata dal sovrano normanno Guglielmo il Malo si rifugiò col suo seguito nel territorio che da allora mutò il nome da Cella Amoris in Cella Amaris per sottolineare il dolore degli esuli. Si ignora come e quando Cellamare si tramutò in feudo. Il primo signore di cui si hanno notizie è Roberto Venato. Gli successe il fratello Galeotto Venato, morto nel 1294. Con la sua scomparsa il feudo di Cellamare passò al Regio Fisco, cioè allo Stato per mancanza di eredi. Trasformatosi nuovamente in feudo nel 1407, Cellamare fu appannaggio di diverse famiglie (Sandionigi, Di Sangro, Marra, Giudice Caracciolo), fino a quando con l'avvento di Murat passò al regno di Napoli. Amatore nacque a Tucci, identificabile oggi con Martos in Andalusia. Apprese dai genitori ad amare Dio e il prossimo, specie i sofferenti. Perduta la madre, il padre prese Amatore e gli altri figli e si trasferì a Cordova per mandarli a scuola. Il suo maestro fu il dotto e santo vescovo Eulogio, anch'egli futuro martire. Infuriando la persecuzione musulmana, si unì ad un monaco di nome Pietro, a Ludovico (fratello di Paolo, diacono e martire), entrambi cordovesi, e si lanciò con loro alla conquista delle anime. Furono catturati e trucidati, e i loro corpi furono gettati nel fiume Guadalquivir il 30 aprile 855. Dopo alcuni giorni i tre cadaveri, trovati sulla spiaggia di Beta, furono raccolti da mani pietose. Il papa Clemente X dava la reliquia insigne di sant'Amatore al Duca di Giovinazzo, Domenico De Iudice, mossosi a Roma in missione di ubbidienza con Pietro di Aragona, luogotenente del Re di Napoli. Il Duca di Giovinazzo la donava a Cellamare verso l'anno 1670. L'attuale chiesa della Santissima Annunziata è costruita sulle fondamenta di un'altra antica chiesa, edificata dall'arcivescovo Rainaldo (1171-1188). La nuova chiesa fu costruita nel 1854 sotto l'arcivescovo di Bari Michele Basilio Clary, come si rileva dall'epigrafe posta sotto l'architrave della porta maggiore. La pianta è ad una navata con tre cappelle per lato. All'interno è possibile ammirare un pregevole dipinto su tavola raffigurante lo "sposalizio di Santa Caterina". Il dipinto è attribuito alla scuola fiorentina del XII secolo. Sullo stesso piano della facciata si eleva la torre campanaria, costituita da grossi conci in pietra e divisa in due ordini. Quello inferiore ha una luce quadrilobata in cornice circolare; l'ordine superiore, che si sopraeleva dall'altezza della chiesa, è la cella campanaria con lesene angolari e bifore. Il castello baronale di Cellamare venne edificato nel XV secolo e intitolato ai Del Giudice - Caracciolo. La Torre Civica, comunemente chiamata Torre dell'Orologio, si erge in largo Don Bosco di fronte alla chiesa matrice. Realizzata nel 1923, è composta da un basamento trapezoidale. Una piccola scaletta interna conduce al piano del loggiato dotato di quattro bifore, una su ogni lato, costituite da tre colonnine in pietra locale. Il secondo piano è decorato da una scultura a bassorilievo che raffigura lo stemma comunale. In territorio di Cellamare, e precisamente al confine con il territorio di Noicattaro, strada della Cappella, sulla via per Rutigliano, è ubicato un menhir. Quel blocco di pietra, su cui è incisa la parola "NOJA", ha un grande valore archeologico e ha millenni di vita. Il significato di questi monoliti è tuttora oggetto di studi. Diversi sostengono che la loro funzione fosse quella di segnalare il confine tra territori. Non manca chi sostiene che fossero punti di riferimento per la viabilità dell'epoca. Il menhir di Cellamare è un segno dimostrativo (forse unico) del sistema antico divisionale dei territori amministrativi. Abitanti censiti Gli stranieri residenti nel comune al 31 dicembre 2016 erano 26. Cellamare dispone di una scuola materna, una scuola elementare e una scuola media. Nell'aprile del 2015 si sono svolte delle riprese nel centro storico di Cellamare per la sitcomedy I Comisastri 3 di Piero Bagnardi, in onda sulla rete locale Antenna Sud. Il principale asse viario che serve Cellamare è la Strada statale 100 di Gioia del Colle che corre a ovest del centro urbano. La stazione ferroviaria più vicina è a 4 km, nel comune di Capurso, sulla linea ferroviaria delle Ferrovie del Sud-Est. Gli autobus delle Ferrovie del Sud-Est collegano, comunque, Cellamare con i comuni di Bari, Capurso, Triggiano, Noicattaro e Rutigliano. Di seguito è presentata una tabella relativa alle amministrazioni che si sono succedute in questo comune. Martos Le due squadre di calcio di Cellamare sono: l'A.S.D. Cellamare 2005, che milita nel girone A pugliese di promozione, e A.S.D. New Team Cellamare, fondata nel 2008, che ha disputato il campionato regionale di Seconda Categoria. Per la pallavolo, la Polisportiva Libertas ASD 1979 milita in prima e seconda divisione maschile. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Cellamare Sito comunale, su comune.cellamare.ba.it.

Torre a Mare
Torre a Mare

Torre a Mare, fino al 1938 Torre Pelosa, è un quartiere di Bari appartenente dal 2014 al I municipio (ex V circoscrizione). Il quartiere è situato all'estrema periferia sud-est della città di Bari, a circa 13 km dal centro, e confina: a nord-ovest con il quartiere San Giorgio, appartenente alla medesima circoscrizione; a ovest con il comune di Mola di Bari; a sud con il comune di Noicattaro Il centro storico, di modeste dimensioni, è raccolto attorno ad una torre cinquecentesca che si erge isolata in mezzo ad una spaziosa piazza, di recente ristrutturata, affacciata sul porto. Questo è attrezzato sia per le imbarcazioni da pesca, sia per quelle da diporto. Le recenti zone residenziali sono costituite principalmente da complessi di ville. Soprattutto nei fine settimana la piazzetta e il molo sono fra le mete più frequentate per lo svago. In piazzetta Mar del Plata è presente Il monumento al pescatore di Mario Piergiovanni, una statua raffigurante Nettuno che con il suo tridente infilza un grosso polpo. Il monumento è stato posizionato nel 2002 e riprende una precedente statua raffigurante lo stesso tema intitolata La Fendàne du Pescatòre realizzata da Tommaso Piscitelli nel 1925, rimossa nella seconda guerra mondiale per esigenze belliche. Inoltre, si dice che toccare un tentacolo del polpo di questa statua sia di buon auspicio per le donne che desiderano una gravidanza. Nel territorio dell'attuale Torre a Mare sono state rinvenute tracce della presenza umana risalenti al IV millennio a.C. nelle grotte di Cala Colombo sulla costa sud e nella grotta della Tartaruga in prossimità dello sbocco a mare di lama Giotta. In epoca romana, la località era posta lungo la via Appia-Traiana che congiungeva Barium (l'antica Bari) ed Egnatia. Alcuni storici ritengono che la Turris Juliana, una stazione di posta per il cambio di cavalli che l'Itinerarium Burdigalense (333-334 d.C.) collocava 11 miglia a sud di Barium, fosse in contrada Scamuso poco a sud di Torre a Mare. Intorno al 1500, allo scopo di difendere la costa dalle incursioni dei pirati e dei predoni che infestavano il mare Adriatico, fu edificata una torre di avvistamento, tuttora esistente al centro della piazza principale, facente parte di una catena di torri costiere. Da allora la località prese il nome di "Torre Apellosa" o "Torre Lapillosa", trasformato successivamente in "Torre Pelosa", e divenne un piccolo borgo di pescatori che vivevano per lo più in trulli e grotte naturali e riparavano le proprie imbarcazioni nel porticciolo alla foce di lama Giotta. Per molti secoli Torre Pelosa fu la marina del vicino centro di Noja. Dopo l'Unità d'Italia (1861), questo comune mutò nome in Noicattaro, recuperando dalla leggenda il toponimo Cattaro, dal nome di una città preromana (peraltro probabilmente mai esistita) sita dove sorge oggi Torre a Mare. Secondo molti studiosi, invece, il nome significa "Nuova Cattaro", dal nome della omonima città sita sulla costa del Montenegro, molto legata alla Puglia; per molti secoli - infatti - la diocesi di Cattaro dipendeva direttamente dall'Arcivescovo di Bari. Nel 1865 la località fu dotata di una stazione lungo la ferrovia Bari-Lecce, stazione realizzata soprattutto a beneficio di Noicattaro e dei paesi dell'interno. A quell'epoca Torre Pelosa era un villaggio di pescatori, il borgo si trovava intorno alla torre cinquecentesca, i terreni lungo la costa appartenevano prevalentemente alle famiglie Positano, ad eccezione dell'appezzamento di terra lungo la lama fino alla torre, che risultava proprietà del comune di Noja, e che fu oggetto di una diatriba legale prima della lottizzazione. Le uniche costruzioni al tempo, oltre le case dei pescatori, erano poche maestose ville situate lungo la vecchia via litoranea Bari-Brindisi; tra queste si ricordano le ville Trojani, Suglia-Passeri, Scarpelli, De Mattia, e quelle dei vari rami della famiglia Positano. Pochi anni dopo ebbe luogo un primo sviluppo urbanistico, promosso dall'avv. Vittorio Positano De Vincentiis, quando il comune di Noicattaro pianificò la costruzione di alcuni lotti di case unifamiliari sul suolo di proprietà comunale attorno alla torre cinquecentesca. Intanto, nel 1893 fu costruita ex novo una chiesa intitolata a San Nicola (patrono dei marinai), in luogo della piccola e malmessa cappella precedente. Rapidamente, Torre Pelosa divenne luogo prediletto di villeggiatura da parte non solo dei cittadini di Noicattaro, ma anche di quelli di Bari, Rutigliano e Triggiano. Essi si aggiungevano ai residenti che, secondo il censimento del 1921, erano 864. Appena fu terminata la costruzione del molo e deliberato un ulteriore ampliamento della chiesa, affidato all'architetto Saverio Dioguardi, nel 1934 Torre Pelosa venne annessa, insieme alla frazione di San Giorgio del Comune di Triggiano, al Comune di Bari nell'ambito di un ampliamento della città voluto dal regime fascista, diventandone una frazione al pari di Palese e Santo Spirito (staccate da Modugno e Bitonto) e gli ex Comuni autonomi Loseto, Carbonara di Bari e Ceglie del Campo, che furono soppressi. Pochi anni dopo ne venne modificata la denominazione in "Torre a Mare". Nel 1943 fu costituita una sede del SOE (Special Operations Executive) ed in questa base si incontrarono segretamente il primo ministro inglese, Winston Churchill ed il capo di stato jugoslavo, Josip Tito. Tra 1940 e 1950 vi risiede il compositore Nino Rota. È possibile raggiungere il quartiere Torre a Mare con i seguenti mezzi pubblici: Linee di autobus dell'AMTAB: 12, 12/; Linee di autobus Miccolis; Treni regionali Trenitalia, stazione Bari Torre a Mare; Tangenziale di Bari SS 16, uscite Torre a Mare (Via Bari, Via Dogali, Via Coppa di Bari). Stazione di Bari Torre a Mare Wikiquote contiene citazioni di o su Torre a Mare Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Torre a Mare

Basilica di Santa Maria del Pozzo
Basilica di Santa Maria del Pozzo

La basilica di Santa Maria del Pozzo di Capurso con l'annesso convento alcantarino, progettata dall'architetto barese G. Sforza, fu ultimata nel 1770. Per volontà di papa Pio IX, venne elevata al rango di basilica minore e in seguito, per interessamento della famiglia reale di Napoli, i Borbone delle Due Sicilie, a reale basilica. Al suo interno si conserva ed è venerata l'icona bizantina della Madonna, ritrovata il 30 agosto 1705 da don Domenico Tanzella all'interno del pozzo sito nella contrada Piscino, nella periferia campestre di Capurso. Il culto a Capurso della Madonna del Pozzo è tra le più importanti realtà di turismo religioso mariano dell'Italia meridionale. Don Domenico Tanzella decise di affidare il culto della Madonna del Pozzo all'ordine religioso dei frati francescani alcantarini. Don Lorenzo Pappacoda, marchese di Capurso, sollecitato dal Tanzella, nel 1713 si rivolse alla Santa Sede per il nulla osta, primo atto necessario, per la fondazione di un convento alcantarino accanto alla cappella patronale del sacerdote Tanzella in Capurso. Dopo una lunga serie di cavilli e ricorsi burocratici, che si protrassero dal 1714 al 1728, solo con papa Benedetto XIII, domenicano e ammiratore degli alcantarini, il 31 gennaio 1729, nella pienezza dell'autorità apostolica, il papa emanò finalmente il breve di fondazione che fu reso esecutivo dal diretto intervento dell'imperatore Carlo VI il 30 maggio 1733. Gli alcantarini, il 5 novembre 1737, con il beneplacito dell'arcivescovo di Bari, Maurizio Gaeta II, furono immessi nel pieno, pacifico e definitivo possesso della cappella di San Lorenzo e dei beni a essa connessi. Subito dopo, si solennizzò la posa della prima pietra del convento, su progetto dell'architetto barese Giuseppe Sforza. Gli alcantarini volevano costruire la chiesa e il convento sul pozzo del miracoloso rinvenimento ma, non avendo ottenuto il terreno appartenente al Capitolo, ripiegarono sul fondo offerto da Lorenzo Tanzella, fratello di don Domenico, sempre sulla via di Noicattaro, ma più vicino al paese. Agli inizi del 1738 la fabbrica presentava un'altezza media di 3 metri. Il breve definitivo della fabbrica lo emanò, il 26 settembre 1746, papa Benedetto XIV. I frati alcantarini recuperarono molti donativi, libri, documenti e somme di denaro che negli anni si erano ritenuti ormai dispersi. Si poté completare la costruzione del convento, la cui facciata volgeva verso Capurso e misurava un fronte di 43 metri. Di forma quadrata, al piano terra si apriva un imponente porticato con due pozzi centrali; al piano superiore, sistemate su 4 corridoi, si snodavano 38 celle monastiche. In un ampio vano del piano terra fu allestita, in attesa della costruzione della basilica, una provvisoria chiesetta, chiamata cappella interna al convento, che ospitò l'icona della Madonna del Pozzo dal 24 agosto 1748 al 27 agosto 1778. Non ancora ultimato il convento, nell'estate del 1750 i frati alcantarini iniziarono a costruire una grande chiesa per la definitiva collocazione dell'icona della Madonna del Pozzo. La benedizione della prima pietra avvenne il 5 luglio 1750. La fabbrica della chiesa in un primo momento ebbe alcuni problemi durante l'edificazione, tanto che l'architetto Sforza, nel 1751, decise di demolirla e ricominciare ex novo i lavori di costruzione. Completata nel 1770 la possente mole della facciata, i lavori continuarono all'interno. La traslazione definitiva dell'icona della Madonna del Pozzo avvenne il 27 agosto 1778: fu collocata sull'altare maggiore in una nicchia ricavata nella parete e mai più rimossa. Anche ai visitatori e pellegrini del nostro tempo, la basilica si presenta maestosa. Alla imponenza della facciata, in tufo locale come il convento, corrisponde la maestosità dell'interno, a una sola navata con pianta basilicale del seicento classico. Entrando nella chiesa, con un sol colpo d'occhio si osservano i poderosi pilastri con gli arconi delle cappelle laterali, l'altare maggiore con la parete di fondo, al cui centro risalta la nicchia della Madonna del Pozzo. Il pavimento è di marmo bianco con fascioni di bardiglio, gli altari risplendono di marmi policromi e pregiati. La parete di fondo, autentica opera d'arte per la preziosità dei marmi e la tecnica compositiva, fu rivestita nel 1830 dal maestra Raffaele Trinchese, su disegno dell'architetto Antonio Barletta, ambedue napoletani. L'altare maggiore è consacrato a Santa Maria del Pozzo - Madre e Regina di Misericordia, e Papa Gregorio XVI lo dichiarò "Privilegiato Quotidiano Perpetuo" con breve del 28 maggio 1839. All'ingresso sulla destra la cappella che conserva la venerata statua processionale della Madonna del Pozzo, scultura in legno, di arte napoletana di pregiata fattura dell'inizio ottocento. Michele Mariella, Il Santuario di Capurso, nella storia e nella tradizione, Edizioni LMP, Capurso Rino Cammilleri, Tutti i giorni con Maria, calendario delle apparizioni, Milano, Edizioni Ares, 2020, ISBN 978-88-815-59-367. Madonna del Pozzo Domenico Tanzella Capurso Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su basilica di Santa Maria del Pozzo Sito della basilica della Madonna del Pozzo, su madonnadelpozzo.org.