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Castello normanno (Terlizzi)

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Palazzo de Gemmis2
Palazzo de Gemmis2

Il castello normanno di Terlizzi è un castello normanno costruito nell'XI secolo.

Estratto dall'articolo di Wikipedia Castello normanno (Terlizzi) (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

Castello normanno (Terlizzi)
Corso Vittorio Emanuele II,

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Palazzo De Gemmis

Corso Vittorio Emanuele II 49
70038
Puglia, Italia
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Palazzo de Gemmis2
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Luoghi vicini

Dolmen Frisari
Dolmen Frisari

Il dolmen Frisari è un monumento megalitico preistorico, risalente all'età del bronzo, ubicato nel territorio di Bisceglie in Puglia, a 100 m sul livello del mare. Si raggiunge percorrendo per circa 4.5 km in direzione Ruvo di Puglia la S.P. 86 Bisceglie - Ruvo di Puglia e imboccando sulla sinistra una strada rurale che conduce, in direzione di Lama d'Aglio, al megalite. Rispetto agli altri dolmen presenti nell'agro biscegliese, sorge a poco più di 3 km dal Dolmen della Chianca e a circa 2.5 km dal Dolmen di Albarosa. Il nome Frisari deriva dalla proprietà del fondo in cui il dolmen è stato scoperto. Fino ai primi del Novecento il terreno era di proprietà del senatore Giulio Frisari. Il megalite fu scoperto nel 1909 dall'archeologo Michele Gervasio, nello stesso periodo in cui si svolsero le indagini archeologiche degli altri due dolmen ad esso vicini: il Dolmen della Chianca ed il Dolmen di Albarosa. Al momento della scopertà era semidistrutto a causa degli interventi umani e del tempo. Sin dall'inizio si presentò senza lastrone di copertura e delimitato da tre lastroni appena affioranti dal terreno, con l'apertura rivolta ad est. Inoltre all'interno della cella furono rinvenuti frammenti di un femore umano ed un dente molare. Dalle dimensioni dei lastroni il Gervasio poté affermare che si trattava del più imponente tra tutti i dolmen pugliesi. Nel 1990 la Soprintendenza Archeologica della Puglia avviò una nuova campagna di scavo ed un progetto di recupero dell'area su cui si trovava il monumento. Durante lo scavo venne alla luce una struttura di pietrame sciolto che appariva intenzionalmente inserito nella composizione di un basolato a lastroni sbozzati, che, disposti secondo uno schema più o meno regolare, poggiavano sulla piattaforma calcarea di base. Sui lati della struttura vennero rintracciati alcuni frammenti di lastroni calcarei dispersi e probabilmente appartenenti al corridoio. All'interno di quest'ultimo venne alla luce il battuto pavimentale argilloso di colore bruno – rossastro, su cui dovevano poggiare le deposizioni umane e gli oggetti funerari di corredo. Ciò è testimoniato dai resti ossei e dagli oggetti che si trovarono, tra cui la parte posteriore di un cranio di persona adulta, una piccola tazza ed una ciotola carenata, questi ultimi databili tra il XVI e il XV secolo a. C. Il dolmen, del tipo a galleria con orientamento est – ovest, risultava composto da una cella, larga circa 2 m, che si sviluppava su una lunghezza di circa 3,65 m. Il tumulo era a pianta ellittica con uno sviluppo massimo di circa 8 m sull'asse nord – sud. A fronte di comparazioni effettuate con altri megaliti presenti nel nord barese, il dolmen Frisari è da considerarsi analogo al Dolmen della Chianca, nonostante la cella sia leggermente più stretta. AA. VV, Atlante di archeologia, Utet, Torino, 1996. isbn 880205021 X Edward Allen, Pietre di Puglia. Dolmen, trulli e insediamenti rupestri, Mario Adda Editore, Bari, 1969 Mario Cosmai, Storia di Bisceglie, Bisceglie, 1960 Antonia Di Silvio, Dorita Piccarreda, La vita, la morte e l'aldilà, Città di Bisceglie, Pro Loco Bisceglie, Bisceglie, 1997

Pulo di Molfetta
Pulo di Molfetta

Il Pulo di Molfetta è una caratteristica dolina da crollo di origine carsica che si trova a circa 1,5 km dal centro della città di Molfetta, in direzione sud-ovest, creatasi per il cedimento della volta e dei setti divisori di una o più grotte e cunicoli formatisi a partire da tempi geologici lontani e facenti parte di un sistema carsico complesso costituito dalla confluenza e intersezione di più pozzi carsici originatisi proprio in quel luogo da una serie di coincidenze di tipo geologico. Tale processo è in divenire; per questo, dalla fine di novembre 2008, cioè da quando il sito è stato riaperto al pubblico, è espressamente vietato non solo entrare nelle grotte, ma anche accostarsi alle pareti. Il rischio di caduta di massi di dimensioni ragguardevoli o di piccole pietre - che a causa del salto di circa 30 metri possono essere comunque estremamente pericolose - è sempre presente. Il distacco di materiale puo' essere causato dalla la sola azione meccanica dei rami mossi dal vento o dal passaggio di piccoli animali. Anche solo una lucertola puo' smuovere materiale e causare un potenziale pericolo. Solo la grotta n. 1 (delle 14 accatastate nel vecchio catasto delle grotte) è stata messa in sicurezza ed è visitabile. Contiene una tomba arricchita nell'Ottobre del 2009 del calco dei ritrovamenti ossei reperiti durante gli scavi archeologici guidati dalla dott.ssa Francesca Radina, della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Puglia, condotti tra il 1995 e il 2003. Dal punto di vista amministrativo la dolina è di proprietà della Provincia di Bari. L'origine del toponimo Pulo è ignota. Il termine è attestato già dal Seicento, in quanto Domenico Santoro, pur riferendosi al Pulo di Altamura, nel 1688 scrisse "luogo detto dalli cittadini lo Pulo". Il noto naturalista molfettese Giuseppe Maria Giovene comprese che la dolina era dovuto all'azione erosiva dell'acqua. Inoltre, come mostrato da documenti antichissimi (già antichi ai tempi di Giovene), il nome originario del Pulo di Molfetta era gurgio S. Leonardi. L'aver utilizzato la parola "gurgio" o "gurio", analogamente ad altri guri della Murgia, come ad esempio gurio Lamanna, ha portato a ritenere che gli antichi forse avevano intuito la vera origine della dolina. Come ha fatto notare Carmelo Colamonico, la parola "gurio" nelle Murge indica "le voragini a fondo pianeggiante" dove si raccolgono le acque di un grande bacino idrografico. Questa grande voragine si apre, improvvisamente, tra i campi coltivati, nel suolo calcareo con le pareti (praticamente verticali sulla quasi totalità del perimetro) che mostrano con grande evidenza le ordinate giaciture delle stratificazioni geologiche sovrappostesi durante il processo di deposizione e successiva diagenizzazione dei sedimenti che originarono la formazione del basamento calcareo, risalente al Cretaceo inferiore, che costituisce in massima parte l'ossatura strutturale della Puglia. Tale processo di formazione viene concordemente datato dai geologi tra i 250 milioni e i 60 milioni di anni fa.Nelle pareti a strapiombo si aprono gli spechi di innumerevoli grotte, molte delle quali disposte su diversi livelli e intercomunicanti anche in senso verticale. Sono state tutte censite e catalogate nel corso degli studi che, a varie riprese, hanno interessato questo sito sin dal XVIII secolo.Una di queste è la cosiddetta "grotta del Pilastro", che si sviluppa su tre livelli e presenta in quello superiore un pilastro calcareo, ultimo residuo di un setto che in passato divideva in due la cavità e che presenta un restringimento di sezione in basso, lì dove le acque che si incanalano al di sotto del piano campagna in occasione degli eventi meteorici più importanti operano la loro azione di erosione e di scalzamento al piede delle sponde dell'alveo ipogeo. Quando la sezione minore del pilastro non sarà più in grado di sostenere il peso delle rocce sovrastanti, esso collasserà e si verificherà un crollo che coinvolgerà gran parte - soprattutto quella superiore - di quella parete e avrà come risultato un ampliamento del perimetro superiore del ciglio della dolina. Tanti crolli di questo tipo, successivi nel tempo, hanno portato alla conformazione attuale del sito. Nel Neolitico medio e inferiore (V - IV millennio a.C.) il Pulo di Molfetta era frequentato dalle comunità che vivevano nei pressi della dolina (allora molto più piccola della cavità attuale e decisamente in formazione), essendosi organizzati in villaggi all'aperto e in piano (non in grotta, come erroneamente taluni credono), come si evince dai numerosi resti rinvenuti nei dintorni, soprattutto nel fondo Azzollini e nel non lontano fondo Spadavecchia (dai cognomi dei proprietari all'epoca dei primi scavi) dove nel 1900 avvennero, a cura del Mayer, soprintendente in carica ai Beni Archeologici di Bari, le prime interessanti scoperte archeologiche. Poiché la si è trovata qui per la prima volta, tale tipologia di reperti ceramici fu denominata ceramica "Tipo Molfetta", mentre poi ne sono stati rinvenuti simili in siti diversi, ma omologhi, lungo le fasce costiere e nell'immediato entroterra pugliesi.Degna di nota è la presenza, sul ciglio a W-SW della dolina, dell'ex convento dei Cappuccini, oggi di proprietà privata, lì edificato nel 1536 da Giacomo Paniscotti e che fu attivo fino al 1574, circa, quando i monaci si trasferirono nel nuovo convento, di dimensioni maggiori, più prossimo al centro cittadino (che allora era ancora circoscritto all'interno della cinta muraria della "città vecchia", nell'Isola di S. Andrea). Tale circostanza fece sì che l'edificio sorto nei pressi della voragine carsica, ormai abbandonato dai religiosi, a causa della sufficiente distanza che lo separava dal centro abitato, venisse adibito alla funzione di Lazzaretto, per l'accoglienza, cioè, dei malati di morbi infettivi e contagiosi quali peste, colera, lebbra, che nelle epoche passate periodicamente infestavano le aree urbane.Infine, verso il termine del XVIII secolo, nel 1784 sul fondo del Pulo fu autorizzata dal governo borbonico una nitriera, cioè una vera e propria fabbrica - i cui resti sono stati oggetto di una campagna di scavi e relativo restauro terminato nel 2003 - in cui veniva prodotta polvere da sparo a partire dal salnitro, sale (nitrato di Potassio) contenente azoto (N) e potassio (K), riconosciuto tra i sedimenti del sito dall'abate Fortis, studioso padovano che trovavasi in Puglia perché diretto a Brindisi e che fu chiamato a dare il suo parere dal fratello del noto canonico Giuseppe Maria Giovene, grande studioso naturalista, molto attivo in quei tempi di grande influenza del Positivismo e che ha lasciato alla città di Molfetta i primi reperti di natura archeologica rinvenuti in dolina e nei suoi dintorni e ora esposti nel rinnovato Museo Diocesano cittadino. In seguito al disastroso terremoto del 23 novembre 1980, noto come il terremoto dell'Irpinia, i cui effetti si fecero sentire in maniera pesante anche a tanti chilometri di distanza, in alcune grotte i cui accessi si protendono dalle pareti del Pulo si verificarono numerosi crolli e cedimenti strutturali che ne minarono l'assetto statico tanto da determinarne la chiusura al pubblico. Inoltre una frana ostruì l'ingresso di alcune cavità che in precedenza erano accessibili. In seguito a tali fatti si ebbe l'intervento da parte degli Enti competenti al fine della messa in sicurezza del sito e del suo recupero funzionale alla fruizione da parte del pubblico, finalmente ripartita in data 30 novembre 2008. La sua forma è subcircolare, con diametro variabile da un massimo di circa 180 m a un minimo intorno ai 140 m. La profondità massima del pianoro che si apre sul fondo è di circa 30 m dal ciglio superiore. La relativa vicinanza alla costa (poco meno di un chilometro, in linea d'aria) fa sì che il livello della falda acquifera sottostante si attesti a non oltre 10 m al di sotto del piano di sedime attuale, come verificato da recenti studi effettuati nel corso del restauro e recupero funzionale da parte dell'Amministrazione Provinciale e raccolti nel testo pubblicato nel 2007 a cura della dott.ssa Francesca Radina, a documentazione del lavoro svolto, riportato nelle note a seguire. Esso è il più piccolo dei tre "puli" più noti della provincia di Bari, ma non per questo meno interessante. Inoltre è la dolina di questo tipo più prossima alla costa, per cui la si può considerare la più giovane, riferendosi ai tempi geologici. Le pareti sono costituite da calcari organogeni del cretaceo inferiore della serie del cosiddetto Calcare di Bari, mentre sul fondo della dolina i blocchi rocciosi residuali dei crolli sono ricoperti da più o meno spessi strati di materiale detritico di pezzatura minore, di natura sia alluvionale sia colluviale (che ne occultano la naturale via di allontanamento delle acque meteoriche, generalmente costituita da un inghiottitoio) accumulatosi non solo nel corso delle ere geologiche, ma anche da parte della intensa opera estrattiva della "nitriera" soprattutto negli ultimi anni del XVIII secolo e il primo decennio del XIX, anche se si può dire che dopo soli sette anni, dal 1784 (gennaio) al 1791, l'attività estrattiva non sia risultata più economicamente remunerativa. Non si può escludere che l'attività di cava sia stata estesa anche al versante della dolina che si presenta più degradato rispetto alle pareti contigue. Tale ipotesi deriva da una immagine dei luoghi giuntaci attraverso uno degli "schizzi" dell'illustratore inglese Hawkins durante la visita svolta nel 1788 insieme con un suo connazionale e lo studioso naturalista tedesco Zimmermann, sotto la guida dell'instancabile canonico Giovene. Il Pulo di Molfetta non è interessante solo dal punto di vista storico-archeologico e della sua natura geologica, ma anche, e non di minore importanza, per le sue valenze naturalistiche che rendono questo sito, dimensionalmente non molto esteso, importantissimo dal punto di vista della biodiversità sia faunistica sia botanica. Tommaso Berloco, Storie inedite della città di Altamura, ATA - Associazione Turistica Altamurana Pro Loco, 1985. Andrea Tripaldi, Elogio storico del canonico arciprete Giuseppe Maria Giovene, in Memorie di matematica e di fisica della Società italiana delle scienze residente in Modena, vol. 22, Modena, Tipi della R. D. Camera, 1841. Carmelo Colamonico, Il bacino carsico di Gurio Lamanna nelle Murge alte, in Mondo sotterraneo, XIII, Udine, Tipografia Domenico Del Bianco, 1917. URL consultato il 14 febbraio 2018. Angela Rosa Piergiovanni, La nitriera borbonica del Pulo di Molfetta. Una storia poco conosciuta. Il blog della SCI (posted 31 agosto 2016) https://ilblogdellasci.wordpress.com/2016/08/31/la-nitriera-borbonica-del-pulo-di-molfetta-una-storia-poco-conosciuta/ http://wp.me/p2TDDv-2Cy Michele Maggiore, Un geologo a spasso nella preistoria, dalla Murgia di Altamura al Pulo di Molfetta Archiviato il 19 aprile 2013 in Internet Archive., in Geologi e Territorio, n. 1/2/3, 2006. http://www.instoria.it/home/nitriere_salnitro.htm Museo del Pulo Molfetta Gravina in Puglia Altamura Pulicchio di Gravina Pulo di Altamura Pulicchio di Toritto Gurio Lamanna Grave Tre Paduli Carsismo Dolina carsica Murgia Grave (carsismo) Speleologia Nitriera Uomo di Altamura Necropoli Preistoria Borbone di Napoli Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su pulo di Molfetta Catasto dell'Agenzia del Territorio di Bari. http://luirig.altervista.org/cpm/albums/fenaroli1/001-micromeria-nervosa.jpg ; https://web.archive.org/web/20100416011809/http://luirig.altervista.org/flora/micromeria.htm

Dolmen di Albarosa
Dolmen di Albarosa

Il dolmen di Albarosa è un monumento megalitico preistorico, risalente all'età del bronzo, ubicato nel territorio di Bisceglie in Puglia, a 109 m sul livello del mare. Si raggiunge percorrendo per circa 4.7 km in direzione Ruvo di Puglia la S.P. 86 Bisceglie - Ruvo di Puglia e imboccando sulla destra una strada rurale che conduce, in direzione di Lama Santa Croce, al megalite. Rispetto agli altri dolmen presenti nell'agro biscegliese, sorge a poco più di 1 km dal Dolmen della Chianca e a circa 1.2 km dal Dolmen Frisari. Il nome Albarosa deriva dal casale di Albarosa e dall'omonimo altipiano, prossimo al crepaccio della Lama di Santa Croce, di proprietà della famiglia Berarducci, in cui sorgeva un enorme specchione entro cui fu rinvenuto il dolmen. Il megalite fu scoperto nel 1909 dall'archeologo Francesco Samarelli, nello stesso periodo in cui si svolsero le indagini archeologiche degli altri due dolmen ad esso vicini: il Dolmen della Chianca ed il Dolmen Frisari. Al momento della scopertà era visibile un enorme cumulo di pietre, denominato specchione di Albarosa, all'interno del quale fu trovato il sepolcro. Lo specchione originariamente aveva una pianta ellittica che subì nel tempo trasformazioni a causa dell'impiego del materiale litico disposto su di esso per la costruzione di trulli contigui. Lo specchione, che in pianta possedeva una lunghezza di circa 19 m ed una larghezza di 16 m, era alto circa 5 m. Durante gli scavi del Gervasio furono rinvenuti frammenti di vasellame, un boccale ad impasto, intonaco di capanne, strumenti litici pertinenti ad un insediamento neolitico di epoca precedente. Tra il 1961 ed il 1965 si svolsero ulteriori indagini archeologiche curate da Francesco Biancofiore, il quale poté affermare che la galleria, dopo aver accolto le deposizioni umane ed i relativi corredi, venne integralmente ricoperta dal tumulo. In tale circostanza furono ritrovati, all'interno del dromos e della cella sepolcrale, frammenti di ceramiche e di ossa umane. Dai ritrovamenti e dalle indagini svolte, il Biancofiore ritenne che la tomba fosse stata depredata col tempo ed in base ai reperti individuò la datazione del tumulo tra la fine del bronzo medio e l'inizio del bronzo recente (XIV – XIII secolo a.C.). Nel 1987 furono effettuati interventi di sistemazione della galleria, che versava in condizioni precarie, seguiti da Francesca Radina della soprintendenza Archeologica della Puglia. Il dolmen rientra nella tipologia a corridoio entro tumulo ellittico lungo 19 m e largo 16 m, con orientamento del dromos sull'asse est – ovest. Esso risulta composto da una serie di lastre litiche che costituiscono le pareti laterali del corridoio. Quest'ultimo, presenta un'altezza media di 1,80 m, è lungo circa 7 m ed è suddiviso in scomparti da lastre trasversali di pietra calcarea locale. La copertura del dromos è mancante. L'impianto sepolcrale è impiantato su una piattaforma artificiale di terra e pietre alta circa 0,50 m. AA.VV, Atlante di archeologia, Utet, Torino, 1996. isbn 880205021 X Edward Allen, Pietre di Puglia. Dolmen, trulli e insediamenti rupestri, Mario Adda Editore, Bari, 1969 Mario Cosmai, Storia di Bisceglie, Bisceglie, 1960 Antonia Di Silvio, Dorita Piccarreda, La vita, la morte e l'aldilà, Città di Bisceglie, Pro Loco Bisceglie, Bisceglie, 1997 Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Dolmen di Albarosa

Stazione di Molfetta

La stazione di Molfetta è una stazione ferroviaria posta sulla linea Adriatica a servizio del centro abitato di Molfetta. I binari 1 e 3 sono passanti e vi si fermano rispettivamente i treni diretti a Bari/Lecce e Foggia/Bologna. Il binario 2 non è dotato di banchina ed è utilizzato per precedenze per treni merci; è inoltre presente un ulteriore binario tronco, denominato appunto 1 tronco, dotato di banchina, ma al momento non viene più utilizzato. Le banchine dei binari 1 e 3 sono collegati tra loro da un sottopassaggio, con ingresso pure dal retro della stazione. L'edificio di stazione si affaccia su piazza Aldo Moro. Il corpo centrale è dotato di primo piano sulla cui sommità è posto il tipico orologio. Il piano terra del corpo centrale che ospita la biglietteria si apre sulla piazza con porte ad archi e presenta delle volte a crociera. I due corpi laterali ospitano l'edicola, il bar, la sala d'attesa e il circolo dopolavoro. La stazione è servita dai treni regionali operati da Trenitalia, anche nel contesto del servizio ferroviario metropolitano di Bari, svolto nell'ambito del contratto di servizio stipulato con la Regione Puglia. Fermano inoltre alcuni collegamenti a lunga percorrenza svolti sia dalla stessa Trenitalia sia da NTV. La stazione dispone di: Biglietteria a sportello Biglietteria automatica Sala d'attesa Servizi igienici Bar Edicola Nel piazzale antistante la stazione vi sono le fermate delle autolinee urbane. Fermata autobus Rete Ferroviaria Italiana, Fascicolo Linea 132.