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Dolmen di Albarosa

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Bisceglie dolmen Albarosa 1
Bisceglie dolmen Albarosa 1

Il dolmen di Albarosa è un monumento megalitico preistorico, risalente all'età del bronzo, ubicato nel territorio di Bisceglie in Puglia, a 109 m sul livello del mare. Si raggiunge percorrendo per circa 4.7 km in direzione Ruvo di Puglia la S.P. 86 Bisceglie - Ruvo di Puglia e imboccando sulla destra una strada rurale che conduce, in direzione di Lama Santa Croce, al megalite. Rispetto agli altri dolmen presenti nell'agro biscegliese, sorge a poco più di 1 km dal Dolmen della Chianca e a circa 1.2 km dal Dolmen Frisari. Il nome Albarosa deriva dal casale di Albarosa e dall'omonimo altipiano, prossimo al crepaccio della Lama di Santa Croce, di proprietà della famiglia Berarducci, in cui sorgeva un enorme specchione entro cui fu rinvenuto il dolmen. Il megalite fu scoperto nel 1909 dall'archeologo Francesco Samarelli, nello stesso periodo in cui si svolsero le indagini archeologiche degli altri due dolmen ad esso vicini: il Dolmen della Chianca ed il Dolmen Frisari. Al momento della scopertà era visibile un enorme cumulo di pietre, denominato specchione di Albarosa, all'interno del quale fu trovato il sepolcro. Lo specchione originariamente aveva una pianta ellittica che subì nel tempo trasformazioni a causa dell'impiego del materiale litico disposto su di esso per la costruzione di trulli contigui. Lo specchione, che in pianta possedeva una lunghezza di circa 19 m ed una larghezza di 16 m, era alto circa 5 m. Durante gli scavi del Gervasio furono rinvenuti frammenti di vasellame, un boccale ad impasto, intonaco di capanne, strumenti litici pertinenti ad un insediamento neolitico di epoca precedente. Tra il 1961 ed il 1965 si svolsero ulteriori indagini archeologiche curate da Francesco Biancofiore, il quale poté affermare che la galleria, dopo aver accolto le deposizioni umane ed i relativi corredi, venne integralmente ricoperta dal tumulo. In tale circostanza furono ritrovati, all'interno del dromos e della cella sepolcrale, frammenti di ceramiche e di ossa umane. Dai ritrovamenti e dalle indagini svolte, il Biancofiore ritenne che la tomba fosse stata depredata col tempo ed in base ai reperti individuò la datazione del tumulo tra la fine del bronzo medio e l'inizio del bronzo recente (XIV – XIII secolo a.C.). Nel 1987 furono effettuati interventi di sistemazione della galleria, che versava in condizioni precarie, seguiti da Francesca Radina della soprintendenza Archeologica della Puglia. Il dolmen rientra nella tipologia a corridoio entro tumulo ellittico lungo 19 m e largo 16 m, con orientamento del dromos sull'asse est – ovest. Esso risulta composto da una serie di lastre litiche che costituiscono le pareti laterali del corridoio. Quest'ultimo, presenta un'altezza media di 1,80 m, è lungo circa 7 m ed è suddiviso in scomparti da lastre trasversali di pietra calcarea locale. La copertura del dromos è mancante. L'impianto sepolcrale è impiantato su una piattaforma artificiale di terra e pietre alta circa 0,50 m. AA.VV, Atlante di archeologia, Utet, Torino, 1996. isbn 880205021 X Edward Allen, Pietre di Puglia. Dolmen, trulli e insediamenti rupestri, Mario Adda Editore, Bari, 1969 Mario Cosmai, Storia di Bisceglie, Bisceglie, 1960 Antonia Di Silvio, Dorita Piccarreda, La vita, la morte e l'aldilà, Città di Bisceglie, Pro Loco Bisceglie, Bisceglie, 1997 Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Dolmen di Albarosa

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Dolmen di Albarosa
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Bisceglie dolmen Albarosa 1
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Luoghi vicini

Dolmen Frisari
Dolmen Frisari

Il dolmen Frisari è un monumento megalitico preistorico, risalente all'età del bronzo, ubicato nel territorio di Bisceglie in Puglia, a 100 m sul livello del mare. Si raggiunge percorrendo per circa 4.5 km in direzione Ruvo di Puglia la S.P. 86 Bisceglie - Ruvo di Puglia e imboccando sulla sinistra una strada rurale che conduce, in direzione di Lama d'Aglio, al megalite. Rispetto agli altri dolmen presenti nell'agro biscegliese, sorge a poco più di 3 km dal Dolmen della Chianca e a circa 2.5 km dal Dolmen di Albarosa. Il nome Frisari deriva dalla proprietà del fondo in cui il dolmen è stato scoperto. Fino ai primi del Novecento il terreno era di proprietà del senatore Giulio Frisari. Il megalite fu scoperto nel 1909 dall'archeologo Michele Gervasio, nello stesso periodo in cui si svolsero le indagini archeologiche degli altri due dolmen ad esso vicini: il Dolmen della Chianca ed il Dolmen di Albarosa. Al momento della scopertà era semidistrutto a causa degli interventi umani e del tempo. Sin dall'inizio si presentò senza lastrone di copertura e delimitato da tre lastroni appena affioranti dal terreno, con l'apertura rivolta ad est. Inoltre all'interno della cella furono rinvenuti frammenti di un femore umano ed un dente molare. Dalle dimensioni dei lastroni il Gervasio poté affermare che si trattava del più imponente tra tutti i dolmen pugliesi. Nel 1990 la Soprintendenza Archeologica della Puglia avviò una nuova campagna di scavo ed un progetto di recupero dell'area su cui si trovava il monumento. Durante lo scavo venne alla luce una struttura di pietrame sciolto che appariva intenzionalmente inserito nella composizione di un basolato a lastroni sbozzati, che, disposti secondo uno schema più o meno regolare, poggiavano sulla piattaforma calcarea di base. Sui lati della struttura vennero rintracciati alcuni frammenti di lastroni calcarei dispersi e probabilmente appartenenti al corridoio. All'interno di quest'ultimo venne alla luce il battuto pavimentale argilloso di colore bruno – rossastro, su cui dovevano poggiare le deposizioni umane e gli oggetti funerari di corredo. Ciò è testimoniato dai resti ossei e dagli oggetti che si trovarono, tra cui la parte posteriore di un cranio di persona adulta, una piccola tazza ed una ciotola carenata, questi ultimi databili tra il XVI e il XV secolo a. C. Il dolmen, del tipo a galleria con orientamento est – ovest, risultava composto da una cella, larga circa 2 m, che si sviluppava su una lunghezza di circa 3,65 m. Il tumulo era a pianta ellittica con uno sviluppo massimo di circa 8 m sull'asse nord – sud. A fronte di comparazioni effettuate con altri megaliti presenti nel nord barese, il dolmen Frisari è da considerarsi analogo al Dolmen della Chianca, nonostante la cella sia leggermente più stretta. AA. VV, Atlante di archeologia, Utet, Torino, 1996. isbn 880205021 X Edward Allen, Pietre di Puglia. Dolmen, trulli e insediamenti rupestri, Mario Adda Editore, Bari, 1969 Mario Cosmai, Storia di Bisceglie, Bisceglie, 1960 Antonia Di Silvio, Dorita Piccarreda, La vita, la morte e l'aldilà, Città di Bisceglie, Pro Loco Bisceglie, Bisceglie, 1997

Stazione di Bisceglie

La stazione di Bisceglie è una stazione ferroviaria, posta lungo la ferrovia Adriatica, a servizio del comune di Bisceglie. La gestione degli impianti è affidata a Rete Ferroviaria Italiana (RFI). Il fabbricato viaggiatori si compone di tre corpi: il corpo centrale si sviluppa su due livelli ed è composto da tre ampie porte a centina, per quanto riguarda il piano terra, e tre finestre a centina al piano superiore; dal corpo centrale si diramano simmetricamente due corpi minori laterali ad un solo piano composti da tre porte a centina di minori dimensioni rispetto al corpo centrale. Il corpo laterale di sinistra ospita i locali tecnici di RFI, quello di destra il bar della stazione ed il corpo centrale la sala d'attesa e la biglietteria. L'edificio è in muratura e mattoni ed è tinteggiato di beige. La stazione disponeva di uno scalo merci con annesso magazzino: nel 2010 lo scalo è stato smantellato, mentre il magazzino è stato convertito a deposito. L'area dell'ex scalo merci ospita una Base Transceiver Station del servizio Global System for Mobile Communications-Railway di RFI. La stazione dispone inoltre di un deposito locomotive. Il piazzale ferroviario è dotato di due binari, entrambi di corsa, e di un tronchino, situato a lato del piano caricatore del magazzino merci, ora non più utilizzato. I binari di corsa sono dotati entrambi di banchina, riparati da una pensilina e collegati fra loro mediante un sottopassaggio pedonale. Il servizio passeggeri è svolto in esclusiva da parte di Trenitalia (controllata del gruppo Ferrovie dello Stato) per conto della Regione Puglia. I treni che fermano sono regionali, regionali veloci, InterCity, InterCity Notte ed Italo. In totale sono circa centocinque i treni che effettuano servizio in questa stazione e le loro principali destinazioni sono: Bari Centrale, Foggia, Barletta e Fasano. Biglietteria self-service Sala d'attesa Servizi igienici Bar Fermata autolinee Rete Ferroviaria Italiana, Fascicolo Linea 132, RFI - Dipartimento di Bari, prima pubblicazione 2003, ISBN non esistente. URL consultato il 31 agosto 2018 (archiviato dall'url originale l'8 agosto 2014). Bisceglie Ferrovia Adriatica

Teatro comunale Garibaldi
Teatro comunale Garibaldi

Il teatro comunale Garibaldi noto come “Il Garibaldi” è il principale teatro della città di Bisceglie. Il teatro “Garibaldi” fu edificato sul suolo ove già agli inizi del Settecento esisteva uno dei teatri più grandi del regno di Napoli. Qui, nel bastione principale della città detto di porta Zappino o “la polveriera”, fu ricavata una sala ad anfiteatro con due gradinate in muratura, adibita a teatro pubblico dove si davano spettacoli molto seguiti. Nel 1768 il notaio Giuseppe Pasquale, nelle sue memorie sulla città di Bisceglie, riportava l'esistenza di un teatro comodo ed ampio nel quale si tenevano frequenti spettacoli di vario genere. Dopo qualche anno, nel 1774, il teatro di Bisceglie venne definito dallo storico De Luca “...il migliore che sia in Puglia per la grandezza e per la bellezza, essendo comodo per un migliaio di spettatori che intorno tengono i sedili, quando si rappresentano commedie, al che i cittadini sono moltissimo inclinati e adattati”. Nonostante le alterne vicende legate alla trasformazione dei locali, il teatro “della polveriera” funzionò fino al 1861, anno in cui fu distrutto per far posto alla costruzione di un nuovo teatro. Nel 1861 l'Amministrazione comunale decise di ricostruire il teatro sullo stesso suolo della “polveriera”. Il progetto venne affidato all'architetto Giuseppe Albrizio che ne elaborò una prima soluzione con tre ordini di palchi e con un porticato antistante su tutto il lato dell'attuale piazza Margherita per l'ingresso delle carrozze. Per la costruzione del nuovo teatro si rese necessario avviare l'esproprio di alcuni suoli circostanti all'area occupata dalla demolita “polveriera”. I lavori furono avviati nel 1861 e nel luglio dello stesso anno vennero sospesi poiché il nuovo teatro occupava il giardino antistante l'abitazione di un notabile biscegliese. Il 16 ottobre del 1862 Vittorio Emanuele II, con regio decreto, dichiarò di pubblica utilità il completamento del teatro e autorizzò il Comune all'esproprio coatto dei suoli necessari per tale scopo. L'inizio travagliato del cantiere indusse l'Amministrazione a modificarne il progetto iniziale rinunciando alla costruzione del porticato laterale. I lavori ripresero rapidamente e vennero affidati per le opere murarie all'impresa dei fratelli Bruni e per le macchine di scena, il palcoscenico ed una tettoia all'esperto macchinista Eusebio Radicchi. Nel 1863 venne demolito il bastione di porta Zappino per creare uno spazio prospettico antistante al teatro. Nel 1865 il Comune di Bisceglie bandì un concorso per il progetto dell'ornato, della scena e del telo per il nuovo teatro, a cui parteciparono diversi artisti, e nel maggio dell'anno successivo l'Amministrazione scelse i disegni del napoletano Giuseppe Castagna. Nel 1870, finiti i lavori di muratura, vennero appaltate al tranese Anselmo Dionisio le opere di decorazione del soffitto, gli arredi interni, la scenografia ed il sistema dell'illuminazione. Al termine dei lavori il teatro presentava una elegante facciata esterna secondo un linguaggio architettonico neoclassico, mentre lo spazio interno era organizzato con una platea disposta a ferro di cavallo rispetto alla scena contenente 200 posti e tre ordini di palchi, per un totale di 600 posti. Il teatro venne inaugurato il 9 novembre 1872 con la rappresentazione del Rigoletto di Giuseppe Verdi e fu dedicato all'eroe dei due mondi. Giuseppe Garibaldi, invitato dal Comune a presenziare all'inaugurazione, non potendo partecipare, inviò dalla sua dimora presso l'isola di Caprera una lettera di ringraziamento e di scuse. Nel 1875 venne approvato il Regolamento teatrale, secondo cui le prime due file di palchi erano riservate alle famiglie più in vista e destinate alle autorità, mentre la terza fila era destinata agli artigiani. Dopo venti anni di attività dalla inaugurazione la struttura teatrale manifestò alcuni problemi strutturali, che lo resero inagibile per poco più di un decennio. Nel 1892 le capriate lignee del tetto vennero sostituite da incavallature in acciaio progettate dall'ingegnere barese Guglielmo Lindemann. Nel 1910 furono intrapresi una serie di lavori di decorazione della facciata, e nei due anni successivi si procedette alla sostituzione dell'impianto di illuminazione a gas con quello elettrico. Durante il periodo di chiusura forzata del teatro Garibaldi le attività teatrali si svolsero nei seguenti luoghi: nel teatrino ricavato nel 1892 nel trappeto Ventura che riusciva ad ospitare 100 spettatori; nel teatro in legno “Politeama Arena del Popolo” eretto nel 1893 in via San Matteo e che poteva ospitare 370 spettatori, ed infine in un teatro provvisorio in legno costruito in piazza Mercato (nota attuale piazza San Francesco in prossimità del luogo dove attualmente sorge il cinema – teatro Politeama Italia) con una capacità di 400 posti. Durante la prima guerra mondiale il teatro Garibaldi fu utilizzato come deposito di alimenti e come cinematografo. Negli anni successivi riprese regolarmente la sua attività artistica. Nel 1954 il teatro fu trasformato in cinema e vennero abbattute le strutture dei palchi. Nel 1981 la Soprintendenza dei Monumenti dichiarava il teatro un bene storico – artistico tutelandolo con la Legge n. 1089/39. Nel 1984, dopo il tragico rogo del Cinema Statuto di Torino, un'ordinanza comunale stabilì la chiusura del cinema-teatro Garibaldi per il mancato adeguamento della struttura alle vigenti norme sulla sicurezza. Nei primi anni Novanta l'Amministrazione affidò il progetto per il recupero del teatro e per la progettazione degli impianti tecnologici agli architetti Boeri - Mirizzi. Il 7 luglio del 2003 il teatro Garibaldi è stato restituito alla sua Città nella sua antica destinazione d'uso. Nella sua lunga storia il teatro annovera elenchi artistici e repertori molto ricchi Il teatro Garibaldi è stato riaperto il 7 luglio 2003 dopo un lungo periodo di ristrutturazione statica, degli spazi interni e di restauro dei corpi di fabbrica esterni. Attualmente il teatro conserva la cortina muraria esterna originaria, secondo un linguaggio architettonico neoclassico, mentre gli spazi interni, pur conservando in pianta l'impostazione tipologica a ferro di cavallo e la disposizione originaria del foyer, presentano un aspetto contemporaneo caratterizzato da ampi balconi che si affacciano sul palco e si sviluppano su due livelli. L'attuale capacità è di 230 posti in platea e 170 tra le due gallerie per un totale di 400 spettatori. La gestione artistica del teatro è affidata al consorzio Teatro Pubblico Pugliese. G. Di Benedetto e G. La Notte (a cura di), Bisceglie nella documentazione grafica dal '500 al '900, Molfetta, Mezzina editore, 1988 Erminia Cardamone e Matteo de Filippis (a cura di), Strutture teatrali dell'800 in Puglia, Bari, assessorato alla Pubblica Istruzione Regione Puglia - Accademia delle Belle Arti di Bari, 1988 Mario Cosmai, Storia di Bisceglie, Bisceglie, edizioni il Palazzuolo, 1960 Pompeo Sarnelli, Memoria de' vescovi di Bisceglia e della stessa città, Napoli, 1693 Teatro all'italiana Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Teatro Garibaldi

Museo civico archeologico (Bisceglie)

Il Museo Civico Archeologico "F. Saverio Majellaro" di Bisceglie si trova nell’ex monastero di Santa Croce, nel centro della città. Fondato l'11 ottobre 1973, il museo raccoglie reperti di scavi effettuati nei territori attigui, in particolare nella grotta di Santa Croce e nelle Cave Mastrodonato. L’esposizione si divide in tre parti, coinvolgendo il periodo che va dalla preistoria all'età romanica. Nella raccolta assumono grande rilievo punte, raschiatoi, selci, grattatoi e bulini, risalenti al paleolitico; ceramiche incise e dipinte durante il periodo del neolitico, reperti litici in selce del musteriano e diversi esempi di fauna e malacofauna, frammenti di anfore e colli di anfore di epoca romana, ritrovati nei fondali del Salsello ecc. Non vi sono dati precisi circa il tempo, le condizioni e i modi di rinvenimento dei reperti, ma la storia del museo è strettamente legata ai luoghi in cui essi sono stati ritrovati. In particolare, trentatré frammenti di ceramica neolitica provengono dalla Grotta Santa Croce, mentre la maggior parte di essi proviene dalla località Cave Mastrodonato e alcuni reperti litici, ossa, conchiglie ecc. dal dolmen della Chianca. Le numerose scoperte fatte sono il frutto delle ricerche di Francesco Saverio Majellaro, al quale è stata dedicata la struttura, e della compartecipazione del professore e studioso dell'epoca Luigi Cardini e del direttore del museo Luigi Carbonara.Nel 1938, per la prima volta, furono messi in esposizione i reperti preistorici nei locali della scuola Araldo di Crollalanza, ma nel 1957, alla morte di Majellaro, la raccolta venne completamente disfatta.Negli anni ’70 Luigi Carbonara riprese l’iniziativa con l’apertura del museo nei locali della biblioteca comunale, di cui era il direttore, risvegliando l'interesse verso il patrimonio culturale di Bisceglie, a cui fece seguito la ripresa degli studi sulle Grotte S. Croce. Qualche anno dopo il museo fu portato in una sede del Centro Storico della città con un nuovo e attento allestimento a cura del professor Luigi Todisco.A detta del comune di Bisceglie, “un ampio programma di interventi per la promozione culturale, messo in atto dal Comune di Bisceglie d’intesa con la Soprintendenza Archeologica della Puglia, ha consentito la catalogazione della raccolta museale, curata dal consorzio IDRIA, ex progetto Musei civici e raccolte private in Puglia”. Anche l’Università degli Studi di Siena ha contribuito agli studi presso le grotte, rinvenendo nuovi e importanti reperti.L’organizzazione definitiva dei reperti deve permettere la ricostruzione nel tempo e nello spazio della storia territoriale della città di Bisceglie, attraverso un continuo riferimento alla storia della ricerca paletnologica italiana e a nomi di archeologi e studiosi di grande importanza come Michele Gervasio e Luigi Cardini, i quali sin dal 1900, grazie alla forte sensibilità per la storia delle origini del popolamento del territorio, si interessarono della preistoria. L’esposizione museale è divisa in 6 sezioni allestite con pannelli didattici che ripercorrono nel tempo gli eventi che hanno segnato la storia archeologica locale. Una sezione è dedicata alla conformazione geologica del territorio con supporti adeguati all’elencazione e illustrazione degli elementi che testimoniano la presenza umana nella preistoria. Un’altra sezione segue il periodo dell’età dei metalli con l’esposizione delle tecniche di costruzione dei dolmen di Bisceglie e alcune peculiarità legate alla vita religiosa. La sezione dedicata all’età romana spicca per la presenza di un’urna cineraria, della stessa epoca, in ottimo stato di conservazione. Il Neolitico è il periodo con maggiori testimonianze nel museo con riferimenti anche ai riti religiosi nelle grotte che facevano le comunità neolitiche, probabilmente legate al culto dell'acqua per la presenza di una stuoia in fibre vegetali vicino al luogo in cui si raccoglieva l’acqua di stillicidio dalla volta della grotta. Frammenti di ceramica neolitica impressa, incisa, graffita, dipinta e decorata in tecniche diverse, erano esposti fino all’allestimento del nuovo museo nel 1975, nella sede della biblioteca comunale “Pompeo Sarnelli”. Tali frammenti, scoperti presso le grotte di Santa Croce e nel sito archeologico di Albarosa e portati alla luce da Luigi Cardini e Luigi Carbonara, risalgono al V millennio a.C. Per la ceramica graffita sono 43 i frammenti in argilla esposti. Le argille sono omogenee o eterogenee con scarso utilizzo di degradanti e variano nel colore dal nero-grigiastro al giallastro, al bruno-rossastro. Le forme, più pesanti nella ceramica impressa, presentano spessori soltanto sottili e medi. Le superfici, levigate o lisciate, ospitano, tra i motivi più comuni, serie di zigzag a linea singola o disposta in serie parallele, serie di rombi affiancati, triangoli con tratteggio interno e fasce a doppia linea con tratteggio interno. Piuttosto comune, per quanto riguarda le tecniche di lavorazione, quella del graffito a scalfittura. Per la ceramica dipinta i frammenti sono 31, realizzati con argille depurate ed omogenee tendenti al giallastro e rossastro. Gli spessori sono sottili e medi e le superfici esterne levigate o lisciate. La prevalenza di strette fasce brune e rossastre è utile per la composizione di motivi triangolari a tratteggio interno e triangoli inscritti con base sull’orlo che a volte, affiancandosi, creano un unico schema compositivo. Oltre ai frammenti vi sono resti vascolari in ceramica come fondi, anse, orli e bugne. Il reperto di maggior rilievo trovato nella grotta Santa Croce è un femore umano scoperto nel 1955, che per la sua posizione stratigrafica e una forte curvatura è attribuibile all’Homo neanderthalensis. Il fossile, interpretato come una parte del cibo di un animale predatore, è mutilo di due parti: l’estremità distale e la regione troncaterica. Esso costituisce la prima testimonianza di osso lungo di paleantropo effettuato in Italia. Nel museo vi è un calco dell’originale che si trova attualmente all’Istituto di Paleontologia Umana di Roma. La scoperta fu rilevante e il direttore tecnico dello stesso istituto nel quale è conservato oggi il reperto, professor Alberto Carlo Blanc scrisse all’archeologo Francesco Saverio Majellaro : “Caro Majellaro, il collega Cardini è stato invitato, in data 27 agosto 1956, dal Comitato Internazionale per la celebrazione del centenario della scoperta della calotta di Neanderthal a tenere una comunicazione sul rinvenimento del femore di S. Croce. Così il nome della città di Bisceglie avrà una risonanza internazionale nel convegno scientifico che avrà luogo a Düsseldorf”. Dal 1997 il museo ospita un cesto-stuoia del VI millennio a.C. ritrovato durante gli scavi dello stesso anno presso le grotte di Santa Croce. Esso è considerato il più antico manufatto ad intreccio scoperto fino a quell’anno in Italia. Le fibre si intrecciano seguendo una forma ovale. Il reperto è stato prelevato e trasferito al museo di Bisceglie solo dopo alcune operazioni di prelievo e restauro presso il laboratorio di restauro dell’Ufficio Beni Archeologici della Provincia Autonoma di Trento. Un’urna cineraria del I secolo a.C. in marmo bianco, donata dalla famiglia Dell’Olio e proveniente dalla chiesa di Santa Margherita, conteneva le ceneri di una coppia di liberti legati dal sacramento del matrimonio, ma è stata riutilizzata nella chiesa d’origine come acquasantiera. Una testa virile è stata donata al museo dal proprietario Ingegner Michele Dell’Olio. Il reperto, in marmo bianco a grana fine, è alto 28 cm e largo 20,5 cm ed è stato palesemente staccato dal resto di un corpo con un taglio netto. La testa è caratterizzata da alcune macchie e incrostazioni di varie tonalità di colori scuri. Il naso è spezzato e delle orecchie è rimasta solo una piccola parte; le sopracciglia e parte della bocca sono quasi completamente erose. A causa delle pessime condizioni di conservazione della scultura è quasi impossibile individuarne le particolarità stilistiche e tecniche. Il personaggio ritratto ha un viso molto allungato, gli zigomi appena pronunciati, la bocca breve, i capelli corti e la barba che diventa un tutt’uno con i baffi; lo sguardo è proteso verso lo spettatore. Grazie ai tratti stilistici e iconografici, l’opera è facilmente databile al III secolo d.C., ma è difficile stabilirne l’ambiente e il periodo preciso di realizzazione. Tuttavia, sulla base di numerosi confronti con altri ritratti simili, si è ipotizzato che la testa virile sia di origine greca e collocabile tra il 260 e 275. Il museo dirige anche l’attività didattica delle scuole. Dal 2001 si svolgono visite guidate organizzate sulla base dei programmi “curricolari” e, tra le tematiche trattate emergono la lavorazione della ceramica, delle selci e le tecniche utilizzate nella costruzione dei dolmen. Todisco, Luigi. Ceramica neolitica nel Museo di Bisceglie. Bari, Edizioni Dedalo, 1980. Todisco, Luigi. Scultura antica e reimpiego in Italia meridionale. Edipuglia srl, 1994 Caligiuri, Renata (a cura di), Guida del Museo Civico Archeologico F.S.Majellaro, Arti Grafiche Motta, Avola 2002. Radina, Francesca (a cura di), Paesaggi, uomini e tradizioni di 8000 anni fa: la preistoria della Puglia. Bari, Adda Editore, 2002. Sito ufficiale, su comune.bisceglie.bt.it.

Palazzo Tupputi
Palazzo Tupputi

Ubicato in Bisceglie, palazzo Tupputi rappresenta un prestigioso esempio di architettura rinascimentale in Puglia. È stato sede di sala conferenze e mostre. Attualmente è sottoposto a lavori di restauro. Il palazzo, di cui si ignora l'autore, fu fatto edificare nei pressi dell'antica porta di Zappino verso la seconda metà del XVI secolo, con molta probabilità dai conti Frisari originari del salernitano. L'edificio cambiò denominazione verso la metà del XVIII secolo, quando fu venduto ai marchesi Tupputi, originari del piacentino, che lo destinarono a dimora familiare. Con l'insediamento dei nuovi proprietari le grandi finestre del piano nobile vennero trasformate in balconi. Durante il periodo risorgimentale l'edificio fu sede della carboneria. Il 5 luglio del 1820, a seguito dei moti liberali scoppiati nelle guarnigioni militari di Nola e di Avellino e all'insurrezione di Foggia, si svolse nei locali, a pianterreno del palazzo, la Dieta delle Puglie, una storica riunione presieduta dal marchese Domenico Antonio Tupputi. In questa sede i carbonari pugliesi concordarono un'azione congiunta a sostegno della Repubblica Partenopea. Nel dopoguerra, l'edificio venne acquisito dal Comune di Bisceglie che, dopo lunghi anni di abbandono, lo destinò a sede di mostre d'arte ed a sala per conferenze. Attualmente l'intero edificio è sottoposto a restauro, al termine del quale dovrebbero insediarvisi alcuni uffici istituzionali fra i quali l'ufficio di rappresentanza del sindaco. Palazzo Tupputi si sviluppa ad angolo fra via Cardinale dell'Olio e via Ottavio Tupputi (Centro storico). L'ingresso principale a portale rettangolare è disposto nel mezzo della facciata di via Cardinale Dell'Olio n. 34. Le facciate dell'edificio, simmetriche e prive di ordini architettonici, sono caratterizzate solo dalla trattazione differente delle superfici che ne delineano orizzontalmente il piano terra con i due piani successivi. La superficie inferiore, afferente al piano terra, è caratterizzata da un bugnato disposto a filari e realizzato con blocchi di pietra sbozzati grossolanamente. In essa si aprono l'ingresso e le botteghe, anche queste ultime a portale rettangolare. Il piano nobile viene sottolineato da una cornice orizzontale marcapiano interrotta dalle mensole dei piccoli balconi, mentre la caratteristica principale è data dalle circa 2000 bugne di pietra locale tagliate a punta di diamante, che si sviluppano, sui livelli successivi delle due facciate, e si concludono con una trabeazione suggellata da un cornicione aggettante. Gli eleganti balconcini in ferro battuto, disposti al piano nobile, furono aggiunti nel XVIII secolo per ingrandire le finestre rinascimentali. Sia i balconi che le finestre del secondo piano sono inquadrate da raffinate cornici. Tra i rimaneggiamenti attuati sotto la proprietà dei marchesi Tupputi è da ricordare la ristrutturazione del cortile interno, a cui si accede attraverso un androne ed in cui è riconoscibile, sotto una volta a botte lunettata, lo stemma della famiglia proprietaria. Il fronte del cortile si sviluppa su tre piani di arcate, separate da pregiate colonne di granito numidico. Nell'interno vi sono splendide sale finemente decorate. Prima dell'inizio dei lavori di restauro nell'edificio si sono tenute le seguenti attività culturali: Mostre di Architettura Mostre di Pittura Mostre di Fotografia Presentazione di libri nell'ambito della rassegna "I libri nel borgo antico" Mostre di antichi strumenti musicali nell'ambito del festival dedicato a Mauro Giuliani Gianfranco Borraccetti, Guida ai luoghi del centro storico di Bisceglie, Terlizzi, cooperativa culturale RTS, 2003 Mario Cosmai, Storia di Bisceglie, Bisceglie, edizioni il Palazzuolo, 1960 Mario Cosmai, Bisceglie nella storia e nell'arte, Bari, Levante editore, 1968 Bisceglie Palazzo dei Diamanti (Ferrara) Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Palazzo Tupputi Sito ufficiale Comune di Bisceglie , su comune.bisceglie.bt.it. Associazione Turistica Pro Loco Bisceglie, su prolocobisceglie.it. URL consultato il 14 luglio 2020 (archiviato dall'url originale il 29 settembre 2019).

Chiesa di Sant'Adoeno
Chiesa di Sant'Adoeno

La chiesa di Sant'Adoeno, detta anche Abbazia di Sant'Adoeno, è una chiesa romanica di Bisceglie edificata nell'XI secolo all'interno del nucleo urbano più antico e murato, in strada Sant'Adoeno. Nel gennaio 1074 il vescovo di Bisceglie Dumnello concesse la chiesa a numerosi cittadini, già abitanti dei casali di Cirignano, Primignano (Pacciano) e Zappino. L'edificio, consacrato nell'anno di concessione, fu dedicato alla Vergine Maria, a Sant'Adoeno (Sant'Audoeno) ed a San Giovanni Evangelista. Secondo la tradizione, la chiesa venne eretta materialmente dai soldati normanni, che vollero dedicarla a Sant'Adoeno o Sant'Audoeno (Saint Ouen), vescovo di Rouen nel VII secolo e loro protettore. Del santo è custodita una piccola reliquia, proveniente dalla Normandia, all'interno della chiesa. Le vicende storiche ed architettoniche di questo tempio sono rimaste nel tempo poco esplorate. Tuttavia, negli ultimi anni, anche grazie al riordino degli archivi capitolari, è stato possibile ricostruire con rigore storico - filologico la storia della chiesa. Nel 1306 sono attestati i primi provvedimenti relativi alla composizione del Capitolo da parte del vescovo Leone, che ratifica la decisione dei capitolari di fissare a quattordici il numero dei canonicati.Tra il 1316 e il 1317 si verificò una controversia tra il capitolo di Sant'Adoeno, in persona di Simeone abate e rettore, e i diaconi della medesima chiesa, circa il conferimento di due canonicati vacanti. L'arbitrato della controversia spettò al vescovo Nicola. Nel 1367 il vescovo Simone de Rayano riconsacrò la chiesa, con la partecipazione di altri sei vescovi. In questo periodo, come premio per la fedeltà mostrata agli angioini, l'abate di Sant'Adoeno ricevette in dono tre preziosi antifonari miniati, attualmente custoditi presso l'archivio diocesano.Nel 1387 Nicolò Petracino, eletto vescovo scismatico di Bisceglie dall'Antipapa Clemente VII, collocò la sua cattedra vescovile in Sant'Adoeno. Tra il 1408 e il 1413, fu nominato vescovo di Bisceglie l'abate di Sant'Adoeno, Nicolò Falconi. Nel corso del XVII secolo l'edificio subì notevoli trasformazioni, venne ampliato e, successivamente, nel 1769, con decreto della Sacra Congregazione dei Riti, la chiesa fu dichiarata ad instar Ecclesiae Rothmagensis. Nell'agosto 1843 la Santa Sede accolse il ricorso inoltrato dal Capitolo collegiale per ottenere lo status di vera collegiata della chiesa di Sant'Adoeno. Ciò fu sancito dal Real rescritto del gennaio 1844. Tre anni dopo, nel 1847, furono emanati i nuovi statuti del capitolo di Sant'Adoeno, che tuttavia non furono muniti di regio exequatur.Tra il 1861 e il 1867, a seguito all'emanazione delle leggi di esproprio delle proprietà ecclesiastiche da parte dello Stato italiano, tutti i beni dell'abbazia curata di Sant'Adoeno furono acquisiti dallo Stato, e a nulla valse l'opposizione da parte del Capitolo collegiale. Il Fondo per il Culto sosteneva che la natura laicale, patrimoniale e conventuale della chiesa, ricettizia per definizione, autorizzasse lo Stato ad acquisirne i beni. In Italia i Normanni dedicarono altre chiese al loro santo: una venne eretta ad Aversa (Caserta) e l'altra fu costruita a Montaperto nel comune di Montemiletto (Avellino).Il fonte battesimale della chiesa è stato assoggettato a lavori di restauro terminati nel 2010. La chiesa rappresenta uno dei più arcaici e puri esempi di Romanico pugliese. L'edificio, interamente costruito in pietra calcare locale, si eleva su una pianta a tre navate priva di transetto. La navata centrale, organizzata su quattro campate, è segnata da robusti pilastri.Nel corso dei secoli, i lavori di ampliamento e di decorazione, hanno alterato l'organizzazione spaziale della chiesa. Nel XVII secolo l'interno dell'edificio fu trasformato con l'aggiunta di ornati e paramenti decorativi e vennero addossate tre cappelle sul fianco della navata laterale destra.Il pavimento interno, a basole in pietra locale, reca alcune lapidi sepolcrali che ricordano vescovi e famiglie illustri come Soldani, Tafuri, Tupputi e Veneziani.Nell'Ottocento, l'antica copertura a capriate in legno, che correva su tutta la navata centrale, venne sostituita da una volta a botte lunettata.La facciata , a cuspide mozzata, presenta un apparato murario in conci di pietra calcare scura molto curati e disposti a filari di diversa altezza. Essa, coronata da un'aquila sovrastante una fiera, reca nel timpano un piccolo occhio decorato con quattro losanghe intervallate da sette denti di sega, rappresentante il calendario lunare.In mezzeria, sotto la cornice del timpano, vi è un rosone ornato da rilievi e motivi vegetali, circondato ai lati da due coppie di mensole che reggono leoni romanici e, in basso, da una mensola reggente una piccola statua raffigurante presumibilmente il Santo a cui è dedicata la chiesa (mensola centrale).Nella parte inferiore della facciata si aprono il portale principale, centinato e racchiuso da una cornice ornata, e due ingressi laterali. Sul lato destro del portale centrale vi è un'edicola sepolcrale caratterizzata da un timpano e da un'epigrafe in latino che ricorda il defunto Bartolomeo.Nella chiesa è disposto su un piedistallo a base quadrangolare con spigoli smussati, sulla destra del portale principale, un interessante fonte battesimale in pietra, risalente all'XI secolo, decorato con sei altorilievi raffiguranti il battesimo di Cristo ed i simboli degli Evangelisti. Mario Cosmai, Storia di Bisceglie, Molfetta, ed. Il Palazzuolo, 1960 Mario Cosmai, Bisceglie – guida turistica, Bari, Levante, editore, 1980 Pompeo Sarnelli, Memorie de' Vescovi di Biseglia, Napoli, 1693 Alberto Simone, RACCOLTA RASSEGNA STORICA DEI COMUNI VOL. 3 periodico di studi e di ricerche storiche locali, Napoli, ed. Istituto di studi Atellani, 1971 Romanico pugliese Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su chiesa di Sant'Adoeno

Castello di Bisceglie
Castello di Bisceglie

Il castello di Bisceglie fu costruito, su iniziativa del conte Pietro I, a Bisceglie a partire dall'XI secolo, durante il periodo normanno. La costruzione rappresenta un complesso edilizio risultato dall'aggregazione di edifici e spazi di epoche diverse. Pertanto, le indagini storico-filologiche svolte fino ad ora portano a considerare le origini della costruzione incerte e controverse. Secondo alcuni studiosi il nucleo più antico risalirebbe all'XI secolo, sotto il dominio normanno, e per volontà del conte Pietro I, che avviò intorno al 1060 i lavori per la costruzione dell'imponente torre detta “maestra”, alta circa 24 m e posta all'estrema destra del complesso militare. Secondo altri studiosi, invece, l'impianto castellare prese corpo e forma nella prima metà del XIII secolo, durante il periodo svevo, in prossimità della già esistente torre normanna. In ogni caso, sicuramente angioini risultano i lavori straordinari di ampliamento del castello che trovano testimonianza nello stemma di Carlo I d'Angiò a coronamento della porta di accesso della torre ad ovest, e un'iscrizione incisa sulla ghiera del portale ad arco acuto del palatium. In età aragonese seguì un ampio restauro o piuttosto un rifacimento del castello che venne sottoposto a modifiche per una nuova fortificazione. Ma, nel corso del tempo, a seguito dell'inadeguatezza a sostenere l'assalto delle moderne armi da fuoco, la struttura perse la sua principale funzione militare e venne destinata ad uso civile. L'Università utilizzò una parte di esso per svolgervi l'attività molitoria del grano. A partire dalla fine del Settecento il castello subì una serie di trasformazioni ed alterazioni, da parte di privati che demolirono i corpi di fabbrica compresi fra la torre maestra e la torre angolare disposta in prossimità del bastione aragonese, per costruire gli attuali edifici posti ad angolo fra corso Umberto I e via porto. Sin dagli inizi del Novecento all'interno della struttura vi allocarono alcune botteghe di artigiani del legno. La torre centrale dei gabellieri ospitò l'ufficio locale del dazio, mentre la torre angolare settentrionale fu adibita a forno per la panificazione a piano terra, mentre il piano superiore venne trasformato in abitazioni. Anche sul fianco settentrionale, fra chiesa del Purgatorio ed il contiguo cimitero, si insediò la bottega di un ebanista, che aggiunse alcune superfetazioni ma senza alterarne la struttura muraria. Quel che resta del castello è stato sottoposto a lavori di restauro a partire dal 1982, interrotti a più riprese, attualmente in corso. Con l'avvio dei lavori di restauro, progettati dalla soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici della Puglia, alcuni studiosi locali hanno posto l'attenzione sul ruolo che il castello e la torre maestra hanno svolto nell'ambito della città e del suo territorio, e sulle potenzialità culturali che tale complesso può offrire in futuro. Il castello era stato edificato su un banco roccioso situato in prossimità di un'antica lama che, scendendo verso l'ansa portuale, lambiva il più antico nucleo urbano della città di Bisceglie. La testimonianza più antica della struttura militare è data dalla torre normanna, detta torre “maestra”, edificata nel predetto sito nell'XI secolo. A partire dal XVIII la struttura difensiva, realizzata in pietra calcare locale, si sviluppava su pianta quadrangolare, a cortile interno, fortificata da quattro torri quadre disposte agli angoli , fra cui vi era la imponente torre maestra, e una torre disposta sulla cortina difensiva di ponente in corrispondenza dell'ingresso, detta torre delle gabelle. Il lato esterno di levante e quello meridionale si affacciavano sulla cinta muraria della città, e nel periodo aragonese furono ulteriormente protetti da un puntone difensivo angolare. Il lato esterno di ponente e quello settentrionale erano circondati da un fossato, che isolava il fortilizio dalla città intra moenia. L'ingresso nel castello era consentito attraverso un ponte levatoio disposto fra la torre delle gabelle e la torre maestra. Le torri ed il muro di cinta esterno in origine erano percorsi da camminamenti, rintracciabili nella presenza di alcune mensole in pietra sopravvissute nel tempo. Nel cortile si sviluppava su due livelli il palatium, l'antica dimora del castellano, di cui sono ancora visibili la porta di accesso ed i resti di una finestra bifora con arco a sesto acuto posta al piano nobile. Il castello ingloba nell'angolo nord-est la piccola chiesa di San Giovanni, caratterizzata da una semplice facciata a capanna, a paramento liscio con un portale lunato, sovrastato da una finestra monofora. Le falde del tetto, incorniciate da archetti rampanti, terminano in un campanile a vela. L'unica navata a botte, terminante con una piccola abside incassata nella cinta muraria, è coperta dalle falde disposte a gradini. G. Di Benedetto e G. La Notte (a cura di), Bisceglie nella documentazione grafica dal '500 al '900, Molfetta, Mezzina editore, 1988 Mario Cosmai, Storia di Bisceglie, Bisceglie, edizioni il Palazzuolo, 1960 Pompeo Sarnelli, Memoria de' vescovi di Bisceglia e della stessa città, Napoli, 1693 Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Castello di Bisceglie Sezione dedicata al castello ed alla torre maestra sul sito della ProLoco Bisceglie; Il Castello di Bisceglie Il Castello Normanno Svevo di Bisceglie, dal sito dell'Istituto per le Tecnologie della Costruzione CNR; Scheda pubblicata sul portale del dipartimento di disegno e rilievo fotogrammetrico del Politecnico di Bari; Articolo pubblicato su Bisceglie15giorni (PDF), su bisceglie15giorni.com.