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Cellatica

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Piazza Martiri della Libertà Cellatica
Piazza Martiri della Libertà Cellatica

Cellatica (Selàdega o Saladega in dialetto bresciano) è un comune italiano di 4 847 abitanti della provincia di Brescia in Lombardia. Rientra nel territorio della Franciacorta ed è situato ai piedi delle Prealpi Bresciane, si trova a circa 7 chilometri a ovest del capoluogo Brescia, confina inoltre a nordovest con Gussago e ad est con Collebeato. È sede di distretto scolastico e zona di produzione dell'omonimo vino e del Cellatica superiore.

Estratto dall'articolo di Wikipedia Cellatica (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

Coordinate geografiche (GPS)

Latitudine Longitudine
N 45.583333 ° E 10.183333 °
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Indirizzo


25060 , Fantasina
Lombardia, Italia
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Piazza Martiri della Libertà Cellatica
Piazza Martiri della Libertà Cellatica
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Omicidio dei coniugi Donegani

L'omicidio dei coniugi Donegani è un caso di duplice omicidio in cui furono vittime i coniugi Aldo Donegani, 77 anni, e Luisa De Leo, 61 anni. I due scomparvero dalla città natale, Brescia, il 1º agosto 2005 e se ne persero le tracce per oltre due settimane, fino a quando i loro cadaveri vennero rinvenuti fatti a pezzi e chiusi in sacchi della spazzatura in una zona boschiva impervia in Val Paisco, al confine tra le province di Bergamo e Brescia, il 17 agosto 2005. Dalle salme mancavano le teste, che furono ritrovate circa un anno dopo, quella del marito il 4 febbraio 2006 e quella della moglie il successivo 16 novembre, in entrambi i casi nei boschi attorno al comune di Provaglio d'Iseo. Le indagini si appuntarono su uno dei nipoti della coppia, Guglielmo Gatti, che viveva nella stessa casa degli zii; arrestato il giorno stesso del ritrovamento dei corpi, si professò innocente. Rinviato a giudizio sulla base di vari indizi e testimonianze, fu condannato all'ergastolo; l'iter processuale si concluse nel 2009. Non è mai stato effettivamente chiarito il movente. Il 1º agosto 2005 l'appuntato Luciano De Leo, 35enne carabiniere in servizio presso la stazione di Castelfidardo, in provincia di Ancona, si recò a casa degli zii, Aldo Donegani e Luisa De Leo, che l'avevano invitato a trascorrere qualche giorno di ferie in loro compagnia. A mezzogiorno il carabiniere suonò al campanello della casa di famiglia, una villetta a due piani degli anni '60 ubicata al civico 15 di via Ugolino Ugolini a Brescia, nell’Oltremella, senza ottenere risposta. Preoccupato, De Leo suonò al piano superiore, ove viveva per conto proprio un altro nipote della coppia, Guglielmo Gatti, 41enne disoccupato, personaggio schivo, solitario e riservato, da tempo studente fuori corso di ingegneria al Politecnico di Milano; Gatti era però fuori casa e aveva lasciato sul citofono un biglietto con scritto "torno dopo le 17". Raggiunto telefonicamente, disse di non sapere cosa potesse essere successo e di non vedere gli zii da qualche giorno. Di lì a poco tornò alla villa e, insieme a De Leo, provò ad aprire la porta di casa Donegani, che era però chiusa a chiave. Dopo aver tentato vanamente un contatto tramite il cellulare, che risultò staccato, i due allertarono i vigili del fuoco, i quali fecero irruzione nell'appartamento del pianterreno: al suo interno non c'era nessuno e tutto sembrava perfettamente in ordine, senza alcun oggetto mancante. Ugualmente nel garage si trovavano l'autovettura Renault Clio e le biciclette usate dai due coniugi. Gatti e De Leo si recarono quindi alla stazione dei Carabinieri di Brescia-San Faustino, dove sporsero denuncia di scomparsa, dando inizio alle indagini. Gli inquirenti, sotto la guida del sostituto procuratore Claudia Moregola, determinarono che la scomparsa dei coniugi dovesse risalire almeno a domenica 31 luglio, data alla quale risalivano le ultime testimonianze oculari (già discordanti) della loro presenza in città, segnatamente per seguire la messa presso la parrocchia di Sant'Antonio in via degli Antegnati; i vicini di casa e i negozianti presso i quali erano soliti far compere li avevano invece visti l'ultima volta il giorno prima, sabato 30 luglio, e lo stesso valeva per il nipote Luciano, che li aveva sentiti al telefono alle 11:39. A chi aveva parlato con loro, i coniugi avevano detto di attendere visite e di avere alcuni appuntamenti programmati per la settimana entrante. La pista di un allontanamento volontario, pur avvalorata da alcuni dettagli (l'assenza in casa del mazzo di chiavi principale - era rimasto quello di scorta - e la testimonianza di un amico di famiglia che asseriva di aver raccolto una loro confidenza di tale tenore), era in contrasto con la presenza nella dimora sia dell'auto e delle bici, sia di alimenti deperibili (avanzi di sugo e pasta nel forno, vari vasetti di yogurt in frigorifero), sia anche alla luce del fatto che i coniugi fossero da poco rientrati dalla loro consueta villeggiatura a San Benedetto del Tronto, dove si recavano ogni anno. Inoltre, nessun messaggio era stato lasciato dentro l'appartamento e, a differenza delle altre volte in cui mancavano da casa, i Donegani non avevano dato alcuna disposizione ai vicini riguardo la cura del giardino di casa e il ritiro della posta. Luisa De Leo, nondimeno, era impegnata quasi tutti i giorni come volontaria alla già citata parrocchia di Sant'Antonio, per la quale si occupava, a turno con altri, di gestire il bar; non aveva dato nessuna indicazione ai "colleghi" riguardo eventuali salti di turno. Infine il cellulare che i due utilizzavano risultava del tutto irrintracciabile, come se fosse spento. Si ipotizzò pertanto che i due potessero essere incorsi in un qualche incidente mentre compivano una breve escursione: via Ugolini non è infatti distante da vari percorsi ciclopedonali che portano verso le campagne e le colline dell'hinterland bresciano, e i Donegani ne erano assidui frequentatori. Al nipote Guglielmo Gatti era inoltre intestata una seconda casa all'Aprica, nella quale ugualmente si recavano e dove probabilmente sarebbero andati ai primi di agosto insieme all'altro nipote carabiniere, che però definì impossibile l'ipotesi che potessero essere partiti prima del suo arrivo a Brescia senza dirgli nulla. Le ricerche in tal senso (anche nei fiumi e dragando lo stagno della Fantasina) non diedero esito. L'altra pista conduceva allo scenario di un'azione delittuosa, ipotesi per la quale era però difficile individuare un movente plausibile, a cominciare da quello venale, poiché da casa non mancava alcun articolo di valore e i coniugi non erano particolarmente benestanti: Donegani era un ex operaio metalmeccanico e De Leo una casalinga; dall'esame del loro conto corrente non emerse alcun movimento sospetto. I due inoltre avevano molte amicizie ed erano generalmente molto benvoluti nella loro zona. Un particolare interessante in tale ottica era che Donegani, all'insaputa dei più, collezionasse armi da fuoco: i "pezzi" rinvenuti nella villa erano tutti regolarmente dichiarati e le analisi non evidenziarono un loro utilizzo da parte del padrone di casa. Dalle indagini emerse però che dalla collezione mancavano tre pistole, denunciate alle autorità nel 1975, ma probabilmente esse erano solo state cedute a terzi, omettendo di darne comunicazione a chi di dovere. Fin da subito gli inquirenti ascoltarono ripetutamente e lungamente Guglielmo Gatti, che ostentava un atteggiamento calmo e misurato, ribadendo sia a loro che ai cronisti che seguivano la vicenda di non sapersi spiegare la sparizione degli zii. Iniziarono anche i rilievi nella villetta di via Ugolini, durante i quali fu da un lato riscontrata l'assenza di alcuni vestiti, delle carte d'identità e della macchina fotografica utilizzata dai coniugi, ma d'altronde fu rinvenuto (spento e scarico) il cellulare che era stato vanamente cercato con i sistemi di tracciamento; apparentemente però non si manifestò alcun elemento dirimente per la risoluzione della vicenda. Attorno a Ferragosto 2005 un residente a Corteno Golgi, comune della Val Camonica, informò i Carabinieri che il 1º agosto, attorno alle 15:30, mentre era in macchina col figlio 14enne sulla strada del passo del Vivione, una vettura Fiat Punto blu (modello di macchina detenuto da Guglielmo Gatti) proveniente in direzione opposta alla loro li aveva sfiorati ad alta velocità, rischiando di causare un incidente. Il ragazzino, in particolare, riconobbe nell'autista il nipote dei Donegani, affermando di averlo visto pallido, sudato e trafelato. Le ricerche vennero quindi potenziate nella zona e il 17 agosto, durante un giro di perlustrazione, alcuni uomini del Corpo Forestale dello Stato e del Soccorso Alpino rinvennero lungo la scarpata di un vallone profondo circa 400 metri in Val Paisco (laterale della Val Camonica, tra la bergamasca e il bresciano), poco lontano dal Vivione, una decina di sacchetti della spazzatura, dentro cui erano chiusi i resti smembrati di due cadaveri in avanzato stato di decomposizione. Poco discoste, furono trovate delle cesoie imbrattate di sangue e alcune buste della spesa compatibili con gli acquisti fatti dai due coniugi prima di sparire. Appena le salme, da cui mancavano le teste (trovate poi altrove diversi mesi dopo da dei cercatori di funghi), furono identificate come appartenenti a Aldo e Luisa Donegani, la Procura della Repubblica di Brescia mise sotto indagine Guglielmo Gatti per duplice omicidio premeditato, vilipendio e occultamento di cadavere, disponendone l'immediata custodia cautelare in carcere. Ad incastrare il nipote intervennero alcuni elementi: oltre alla testimonianza dell'automobilista e del figlio lungo il passo del Vivione, una vicina di casa dei Donegani disse di aver sentito dei rumori sospetti la notte del 30-31 luglio, di essersi affacciata e di aver visto Guglielmo Gatti in giardino, che l'aveva tranquillizzata. Un'albergatrice di Breno, sempre in Val Camonica, affermò di avergli dato una camera la notte seguente, ma di non averlo registrato dal momento che era arrivato molto tardi per poi ripartire molto presto. Nondimeno, nell'appartamento di Gatti, al piano superiore di via Ugolini, fu altresì ritrovato lo scontrino della spesa fatta dagli zii al sabato e una nuova ispezione alla villa, eseguita con l'ausilio del luminol, evidenziò nel garage in uso al nipote la presenza di amplissime tracce di sangue ripulite, fino a un'altezza di un metro da terra, tali da far ritenere che quella stanza fosse stata l'effettiva scena del crimine; residui ematici furono anche repertati nell’autovettura e su una scarpa di Gatti. I cugini del ramo materno dissero altresì che da quel vano, il giorno della denuncia della scomparsa, proveniva un forte odore di candeggina. Gli inquirenti ricostruirono così la dinamica dei fatti: attorno a mezzogiorno di sabato 30 luglio Gatti avrebbe avvelenato gli zii, o quantomeno somministrato loro un narcotico, per poi trasportarli nel box e lì dissezionarli (forse prima ancora che fossero clinicamente morti) con le cesoie. Completata l’operazione e ripulito l’ambiente dal sangue, l’indomani avrebbe caricato i resti in macchina e si sarebbe diretto verso il passo del Vivione per sbarazzarsene, fermandosi poi a dormire a Breno. Il 1º agosto avrebbe quindi fatto rientro a Brescia, venendo frattanto raggiunto dalla telefonata di Luciano De Leo, non prima però di essersi fermato in un autolavaggio a pulire la macchina. Dal canto proprio, Gatti si dichiarò innocente e vittima di un tentativo di "incastrarlo", negando di essere mai stato in Val Camonica in quei giorni, sostenuto in ciò da parte della sua stessa famiglia e da alcuni giornali che misero in evidenza la presenza di incongruenze e lacune nel sistema accusatorio. La difesa, nella persona dell'avvocato Luca Broli, chiese il rito immediato: il processo si aprì a metà 2006 dinnanzi alla Corte d'assise di Brescia e il 16 maggio 2007 Guglielmo Gatti fu riconosciuto colpevole e condannato all'ergastolo con tre anni d'isolamento diurno. La sentenza fu confermata in Appello il 20 giugno 2008 e infine dalla Cassazione il 12 febbraio 2009. Nelle motivazioni, pur non essendo possibile individuare un sicuro movente, i giudici ipotizzano che Gatti potesse aver sfogato nel crimine il rancore e l'invidia accumulati nei confronti dell'esistenza varia e attiva degli zii e coinquilini, specie a riscontro della sua vita monotona e solitaria. Pur non avendo mai smesso di professare la propria innocenza, Guglielmo Gatti (che sconta l'ergastolo presso il carcere di Opera, dedicandosi perlopiù allo studio e alla gestione della biblioteca interna al penitenziario) ha rifiutato negli anni le proposte dei suoi legali di chiedere una revisione del processo; nel 2019 bensì chiese di poter accedere all'indulto, ma l'istanza fu respinta. Nel 2021 ha usufruito per la prima volta di alcuni benefici al regime detentivo. Dal momento che la condanna escluse Gatti dalla possibilità di ereditare dagli zii, la villetta di via Ugolini a Brescia entrò in un "limbo", poiché per diversi anni non fu chiaro se fosse passata alla famiglia De Leo o al Demanio. Essa rimase così sostanzialmente disabitata per oltre 11 anni, nonostante alcuni tentativi di venderla, anche solo parzialmente, all'asta per racimolare almeno parte del risarcimento che il nipote era stato condannato a corrispondere al resto della famiglia; l'incuria fece crescere una rigogliosa vegetazione infestante in giardino. Nel 2016 lo stabile fu altresì soggetto a un'occupazione abusiva perpetrata da alcune associazioni e centri sociali, che fecero sistemare al piano rialzato una famiglia sfrattata dalle case popolari; l'intrusione si concluse dopo pochi giorni allorché vennero staccate le utenze di metano, elettricità e acqua alla casa. Otto persone furono rinviate a giudizio con le accuse di occupazione abusiva aggravata, danneggiamento e riunione senza preavviso al Questore; il processo si concluse nel 2023 con l'assoluzione di 6 imputati per non aver commesso il fatto, mentre per gli altri 2 intervenne la prescrizione. La completa cessione dell'immobile a terzi è stata infine perfezionata nel 2017 e nel 2023 la dimora è stata sottoposta a una consistente ristrutturazione. Rita Di Giovacchino, Delitti privati. Trent'anni di omicidi in famiglia: da Maso a Erika e Omar, dai Carretta a Tullio Brigida, dal piccolo Tommy alla strage di Erba, Roma, Fazi Editore, 2007, ISBN 978-88-8112-762-7. Enzo Biagi, Quello che non si doveva dire, Milano, Rizzoli, 2006, ISBN 88-486-0364-5. Giorgio Dell'Arti, Aldo Donegani, 77 anni e la moglie Luisa De Leo, 61, mancano da casa da sabato, su Cinquantamila.it, Bcd Srl, 11 nov 2016. URL consultato il 21 nov 2023.

Chiesa di Santa Maria Assunta (Gussago)
Chiesa di Santa Maria Assunta (Gussago)

La chiesa prepositurale di Santa Maria Assunta è la parrocchiale di Gussago, in provincia e diocesi di Brescia; fa parte della zona pastorale di Gussago. La prima pietra della chiesa fu posta nel 1743; la struttura, edificata in stile neoclassico su progetto di Giorgio Massari, venne terminata nel 1760.Nel secolo successivo l'interno della chiesa fu decorato e venne decorata la facciata, disegnata da Rodolfo Vantini e Luigi Donegani.Nel 1857 fu costruita la scalinata d'accesso alla parrocchiale, mentre nel 1879 quest'ultima venne dotata dell'organo, opera della ditta Tonoli. Nel 1931 fu iniziato il campanile.La chiesa venne consacrata nel 1950. Opere di pregio conservate all'interno della chiesa sono il cinquecentesco fonte battesimale, la tela raffigurante l'Angelo della Purità, realizzata nel 1855 da Angelo Inganni, il settecentesco altare del Rosario, la pala con soggetto la Madonna del Rosario assieme ai Santo Domenico, Fermo, Apollonia e Lucia, opera di Sante Cattaneo, dello stesso autore la tela della Predicazione del Battista, la statua dell'Angelo della Rivelazione, scolpita da Domenico Ghidoni, e l'affresco che ha come soggetto San Giovanni Battista, dipinto da Tita Mozzoni nel 1945. Parrocchie della diocesi di Brescia Regione ecclesiastica Lombardia Diocesi di Brescia Gussago Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla Santa Maria Assunta Parrocchia di SANTA MARIA ASSUNTA, su parrocchiemap.it. URL consultato il 6 febbraio 2020. La parrocchiale di Gussago, su bresciainfoto.it. URL consultato il 6 febbraio 2020.

Centro sportivo San Filippo
Centro sportivo San Filippo

Il centro sportivo San Filippo è un impianto sportivo polifunzionale sito a Brescia, che comprende un palazzetto dello sport, tre campi da calcio a 11, due campi da calcio a 7, un campo da calcio a 6, un campo da calcio a 5, tre campi da tennis in sintetico, un campo da tennis in terra rossa, una piscina coperta, una piscina estiva all'aperto e altre strutture minori Il centro ospita le sedi del Brescia Basket Leonessa, del C.O.N.I., e di 17 Federazioni Sportive. Ha inoltre ospitato la sede del Brescia Calcio fino all'estate del 2018. Il palazzetto è la struttura predominante per dimensione, e costituisce il corpo centrale del centro sportivo. È sovrastato da una struttura in volta di legno lamellare, con pavimentazione in parquet. Ha una superficie di 2.400 m2. La planimetria è composta da 4 tribune, due fisse e due estendibili, ed è omologata per una capienza di 2.400 unità. È prevista una futura realizzazione dell'aumento della capienza fino a 3.500 posti. Ospita le gare interne della Pallamano Brescia, società che partecipa alla Serie A2 di Pallamano e della Icaro Basket Brescia, società che partecipa alla Serie B di Pallacanestro in carrozzina. In passato ha ospitato le gare del Basket Brescia, e della Pallavolo Brescia, e più recentemente del Basket Brescia Leonessa. Quest'ultima vi ha giocato fino ai Gara 2 dei quarti di finale play-off di Serie A2 2015/2016, mentre ha disputato Gara 5 dei quarti di finale al PalaRadi di Cremona, e le semifinali e le finali al PalaGeorge di Montichiari. Questa struttura è sede anche di concerti nazionali ed internazionali. In passato, tra quelli nazionali si possono ricordare quelli di Laura Pausini, Max Pezzali, Pino Daniele; tra quelli internazionali si ricorda quello del gruppo metal dei Manowar. Il centro sportivo permette lo svolgimento di molte attività tra cui calcio, tennis e nuoto. Nei campi da calcio a 11 hanno luogo le partite casalinghe della squadra primavera del Brescia Calcio, oltre alle partite casalinghe dell'Urago Mella, Società dell'omonimo quartiere cittadino che partecipa alla L.N.D. di Calcio a 11. Sito ufficiale, su sanfilippo.it.

Collebeato
Collebeato

Collebeato (Cobiàt in dialetto bresciano) è un comune italiano di 4 457 abitanti della provincia di Brescia, nella bassa Val Trompia, in Lombardia. Collebeato, nell'hinterland nord di Brescia è racchiuso all'interno della conca dei monti Picastello, Campiani, Peso, Dosso Boscone e Sasso nella parte in cui la bassa Val Trompia si incontra con la pianura padana, sul confine più orientale della Franciacorta, bagnato dal fiume Mella. In epoca romana il territorio di Collebeato era una zona collinare poco abitata a ridosso delle paludi create dal fiume Mella. Vi sono stati rinvenuti pochissimi reperti: quattro cippi sepolcrari di età imperiale e i resti dell'antico tracciato romano che da Brixia attraverso il Ponte Crotte portava alla Valle Trompia salendo sulle colline. Nel 958 nel diploma di Berengario II e Adalberto una chiesa dedicata a San Paolo risulta come proprietà dell'Abbazia di Leno, si tratta probabilmente del primo riferimento alla comunità di Collebeato. Nel 1014 il nome Cubiadum (Cubiado) compare in modo esplicito per la prima volta fra le proprietà dell'Abbazia di Leno nel diploma imperiale di Enrico II. L'etimologia del nome deriva dal latino "copulatum" e sta a significare "accoppiato". Il nome ricorre anche nel diploma di Enrico II del 1019 e poi in quelli di Corrado II del 1026 e 1036 e risulta presente in bolle papali e diplomi imperiali fino al 1434. I monaci benedettini di Leno provvedono ad ampie bonifiche delle paludi del Mella. A fianco dei territori gestiti dagli abati sorge una vicinia comunale nelle terre da cui trae le decime il vescovo di Brescia. Dal 1186 al 1194 risulta attivo il notaio Gerardus de Cubiado, nominato dall'imperatore Federico Barbarossa. Ci sono pervenuti otto documenti da lui firmati. Nel 1194 (15 novembre) si tiene un processo per determinare se le proprietà terriere di Cubiado fossero sotto l'Abate di Leno o sotto il Vescovo di Brescia. Testimoniano i due capofamiglia anziani di Cubiado Villano di Fra Le Corti e Alberto da Pozzo. Nel 1274 Padre Giovanni da Cobiado è direttore del complesso ospitaliero della Chiesa di San Giacomo al Mella, sulla via che da Brescia porta a Milano. Nel 1280 Cobiato è annoverato tra i comuni che debbono mantenere il Ponte delle Crotte sulla strada verso Brescia. Il 1º dicembre 1336 Jacopo da Cobiado, medico in Brescia, è annoverato come teste in una investitura feudale in città presso il vescovo Giacomo de Actis. Nel 1483 il nobile veneziano Marco Sanuto descrive nel suo itinerario nella terraferma veneziana il "giardino bellissimo" del nobile conte Antonio Martinengo. Nel secolo XV Collebeato diviene luogo di villeggiatura per nobili e religiosi della città di Brescia per la stagione estiva, sono edificate importanti ville e due monasteri (Santa Croce e Santo Stefano). Nel 1512 Collebeato subì assedio militare da parte di soldatesche francesi che attaccavano la veneziana Brescia. Mariotto Martinengo, ispirato dalla distruzione delle battaglie, scrive il poemetto in volgare italiano "Il Pianto del dio Pan per la rovina del Colle beato", utilizzando per la prima volta il nome poetico "Colle-beato" invece del più medievale "Cobiato". Nel clima rinascimentale e di umanesimo portato dai nobili che villeggiavano a Collebeato, oltre allo sviluppo di ville e palazzi, nascono anche maestranze artistiche locali, tra queste risulta attivo nel XVI secolo un pittore e decoratore nativo del paese Jacobino da Cobiato, di cui però non si conoscono opere. Nel 1554 Galeazzo dagli Orzi, segretario di Mariotto Martinengo, pubblica a Brescia una prima edizione del poema in volgare bresciano "La massera da bé" (la brava massaia) primo libro che nobilita la lingua bresciana come lingua letteraria. La protagonista del libro è la massaia Flor da Coblat. Nel 1565 esce la versione veneziana del libro. Nel 1609 il veneziano Giovanni Da Lezze descrive nel Catastico Bresciano il territorio di Cobiato, le ville e gli edifici religiosi. Nel 1640 il Comune di Cobiato si dota di precisi statuti per l'amministrazione delle acque e per regolare la vita comune. Nel 1701 inizia l'uso ufficiale del nome Collebeato sulle cartine francesi e dal 1779 sulle carte lombardo-venete il nome resterà ufficialmente questo. Dal 1770 al 1794 risulta attivo a Collebeato il notaio Bartolomeo Mattanza. Dal 1737 al 1800 risulta attivo il notaio Gaetano Bonera. Nel 1833 il patrimonio dei Conti Martinengo, alla morte di Girolamo Silvio Martinengo, nobile veneziano (traduttore nel 1801 del Paradiso perduto di Milton), passò al cugino Alessandro Molin e attraverso la figlia di questi, Maria ai conti friulani Panciera di Zoppola tuttora possessori dei giardini e della splendida villa. Nel 1850 il Conte Giuseppe Torre presso i giardini della sua villa (l'attuale Parco 1º Maggio) seleziona un nuovo tipo di fiore, la Camelia Japonica "Vergine di Collebeato", un particolarissimo tipo di camelia bianca a spirali concentriche, descritto e ammirato nel 1857 dallo statista Giuseppe Zanardelli in una sua lettera. Dal 1851 al 1856 Collebeato fu centro dei moti risorgimentali bresciani, vi si rifugiavano i mazziniani ospitati e nascosti presso le ville e le corti del paese; vi era installata una stamperia clandestina. Il patriota Tito Speri radunava e allenava le truppe rivoluzionarie antiaustriache presso i campi del paese. Nel 1889 nasce a Collebeato il sacerdote, scrittore e intellettuale Pietro Rigosa. Ebbe come allievo e amico Giovan Battista Montini (futuro papa Paolo VI), scrisse molti racconti, tra questi Il leone di Brescia (Gatti, Brescia 1932) romanzo ambientato a Collebeato e dedicato alla vita di Tito Speri. Nel 1910 l'industriale e benefattore Filippo Rovetta importa dalla Louisiana piantine di pesco americano e nel 1919 avvia una produzione di pesche su larga scala, dissodando ampi appezzamenti di terreno nella zona nord del paese, frutteti ancora oggi esistenti. L'esempio fu seguito ben presto da tutti i proprietari terrieri del paese trasformando l'agricoltura locale in modo radicale. Collebeato fu il principale produttore di pesche nel bresciano fino agli anni Quaranta e tra i principali a livello nazionale producendo oltre novanta specie diverse di pesche. Nel 1936 il "Dopolavoro" organizza la prima Sagra delle Pesche, festa per cui ancora oggi il paese è rinomato nella provincia di Brescia. Dal 1956 al 1965 fu attiva la cava e la fabbrica del cementificio CEMBRE, attività che portò al declino della peschicoltura per l'incompatibilità ambientale tra le due attività produttive che insistevano sullo stesso territorio. Nel dopoguerra iniziò l'espansione edilizia del paese, prima con i villaggi delle cooperative bianche di padre Ottorino Marcolini negli anni Cinquanta e Sessanta e negli anni successivi con cooperative rosse. Oggi il territorio pianeggiante è quasi completamente costruito di ville e condomini con ampio giardino. L'abitato residenziale di pregio è inserito nel locale "Parco delle Colline". Nel settembre 2012 è stato completato il nuovo centro sportivo, un'opera che ha riqualificato completamente la zona dell'ex cementificio Cembre. Nel 2018 Collebeato vince il premio "La Città per il Verde 2018”. Il premio è stato assegnato all'unanimità dalla giuria della XIX edizione quale riconoscimento della validità ambientale del “Corridoio ecologico del Fiume Mella”. Lo stemma e il gonfalone sono stati concessi con DPR del 6 ottobre 1975. L'albero da frutto nello stemma allude alla tradizionale e rinomata coltura delle pesche di Collebeato; nel capo, la ruota dentata rappresenta le attività industriali e l'uva, quelle agricole. Il gonfalone è un drappo partito di rosso e di azzurro. Unico palazzo a Collebeato ancora oggi abitato dai diretti discendenti della nobile famiglia Martinengo è quello dei conti Panciera di Zoppola, una grande proprietà in zona pedecollinare con boschi, giardini e un bellissimo vigneto storico prospiciente l'ingresso principale. Palazzo Conti Martinengo, già Maggi Via (XV e XVI secolo, sede della Biblioteca); Villa Nobili Quaglieni (XV - XIX secolo); Palazzo ex-Congrega Apostolica, già Villa Conti Durandi (XV - XVII secolo); Municipio, già Villa Nobili Ferrari (XV - XX secolo); Villa Peschiera (XVIII secolo); Villa Del Bono, già Conti Torre (XIX secolo); Villa Rota, già Rovetta (XVII secolo); Villa Trebeschi, già Uberti (XIX secolo); Palazzo Galesi (XIX secolo). Seppur le prime notizie di una comunità a Collebeato siano attestate all'XI secolo, la parrocchia di Collebeato fu costituita, staccandosi dalla Pieve di Concesio, solo nel XV secolo ed intitolata a San Paolo. L'attuale chiesa parrocchiale fu costruita ingrandendo la precedente a fine XIX secolo e inaugurata nel 1901. Essa contiene opere d'arte del XVI/XX secolo tra le quali i cicli di affresco del Rubagotti sulla Conversione di San Paolo e un Sant'Antonio Adorante opera di Piero Agnetti (1982). Più antiche le fondamenta del Santuario della Madonna della Calvarola con resti pavimentali del XII secolo. L'attuale edificio è una costruzione settecentesca al cui interno sono presenti affreschi di Pietro Scalvini. Edifici ecclesiali presenti nel territorio: chiesa parrocchiale Conversione di San Paolo (XIX secolo); santuario Madonna della Calvarola (XVIII secolo); cappella di Sant'Antonio ai Campiani (XVIII secolo); cappella cimiteriale dei sacerdoti defunti (XIX secolo); cappella del Ricovero Comini (XX secolo); monastero di Santo Stefano (XV secolo). Parte del territorio comunale è incluso nel Parco delle colline, che comprende le alture di Dosso Boscone, Monte Zuccolo, Monte Calvarola, Monte Picastello, Monte Ratto e il Monte Peso; quest'ultimo raggiunge un'altitudine massima di 487 m che rappresenta anche il punto più elevato del territorio comunale. Nel territorio di Collebeato, accanto all'italiano, è parlata la lingua lombarda prevalentemente nella sua variante di dialetto bresciano. Abitanti censiti L'economia agricola di Collebeato, principalmente basata nel Novecento sulla coltivazione delle pesche, oggi si trova ad essere quasi completamente soppiantata dall'edilizia privata. Sono presenti agriturismi e trattorie tipiche bresciane, nonché ristoranti noti per la qualità dei prodotti. La parte produttiva più consistente è però data dal tessuto artigianale e dalla piccola industria, collocata nella zona sud del paese. Molto attivi anche alcuni noti marchi di pasticceria e abbigliamento che hanno la loro sede nel paese. Di seguito l'elenco dei sindaci eletti direttamente dai cittadini (dal 1993): Collebeato è stata gemellata, nel biennio 2004-2005, al fine di favorire la produzione di pesche, con: Bivona La principale squadra di calcio del paese è la Polisportiva Collebeato 1984 che milita nel girone E bresciano di Seconda Categoria. D. Andreoli, Il Sacro a Collebeato, Fondazione Civiltà Bresciana, Collebeato 2011. S. Agnetti, F. Maffezzoni, Breve storia di Collebeato, Centro Culturale 999, Collebeato 2002. S. Agnetti, F. Maffezzoni, Nel giardino all'ombra dei cachi, Fondazione Civiltà Bresciana, Collebeato 2004. S. Agnetti, F. Maffezzoni, Report. Conosco il mio territorio?, Centro Culturale 999, Collebeato 2004. C. Aggrotti, La civiltà contadina nel Bresciano, Edizioni del Moretto, Brescia 1984. Amministrazione Comunale (a cura di), L'Asilo di Collebeato. Breve storia, Collebeato 1980. Amministrazione di Collebeato (a cura di), [1] Continuità di una esperienza. Relazione amministrativa, Tipolitografia Fiorucci, Collebeato 1982. Amministrazione di Collebeato (a cura di), Comune di Collebeato 1982-1988. L'amministrazione ricorda, con i suoi cittadini, sei anni di lavoro comune, Tipolitografia Fiorucci, Collebeato 1988. Amministrazione di Collebeato (a cura di), Collebeato 1988-1993. Il Comune di Collebeato in cinque anni di impegno amministrativo al servizio dei suoi cittadini, Tipografia Opera Pavoniana, Collebeato 1993. D. Andreoli, R. Prestini, La Casa di Riposo “Augusto Mario Comini” di Collebeato. Un lungo cammino di dedizione alla Terza Età, Tipografia Camuna, Brescia-Breno 2001. D. Andreoli, Segni e Simboli, lettura di una villa cinquecentesca, Assessorato alla Cultura del Comune di Collebeato, 1976. P. Antonelli, La civiltà contadina di Collebeato nei detti dello zio "Momolo", Tipolitografia Fiorucci/Centro Culturale 999, Collebeato 2003. Assessorato alla Cultura della Regione Lombardia (a cura di), 2. Brescia e il suo territorio. Quaderni di documentazione regionale della rivista «Cronache della Regione Lombardia», Cultura tradizionale in Lombardia, Milano 1975. F. Bolpagni, P. Guerrini, Collebeato cenni storici, Consiglio Pastorale Parrocchiale, Tipografia Pavoniana, Brescia 1980. A. Capponi, Collebeato: cenni sull'azienda agricola dello Spedale maggiore, tip. Restelli, Lovere-Brescia 1938. Cattedra Ambulante di Agricoltura di Brescia, Il territorio Comunale di Collebeato sotto il punto di vista geologico-vitivinicolo, tip. Longhi, Brescia 1910. E. Cassetti Pasini, Ordini e Provisioni del Comun di Cobiato 1640, Fondazione Civiltà Bresciana, Brescia 2004. 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Chiusure (Brescia)
Chiusure (Brescia)

Chiusure è un quartiere di Brescia. Il quartiere è delimitato a ovest, dal confine con il comune di Cellatica; a sud, da via Santellone, via Badia, via Vallecamonica e dalla ferrovia Brescia-Iseo-Edolo; a est, dal fiume Mella; a nord, da via Crotte e via Torricella di Sopra. Il territorio è caratterizzato dal rilievo collinare di Sant'Anna, appartenente al Parco delle colline. Il toponimo deriva dalla via principale del quartiere via Chiusure. La denominazione ricorda i territori esterni alle mura della città che, a partire dall’epoca medievale furono entità amministrative a sé stanti, con propri statuti e apposite magistrature dette "giudici dei chiosi". Fino al 1936, la stessa strada si intitolava "Sei Ore" probabilmente per un'errata interpretazione del dialettale "Sesüre". L'area occupata dal quartiere rimase profondamente rurale fino agli anni Trenta del Novecento, quando l'amministrazione comunale fascista procedette alla costruzione del primo quartiere di case popolari detto "dei francesi" perché pensato ad ospitare gli italiani provenienti dalla Francia. Negli anni Cinquanta nacquero altre aree residenziali, presso la località Ponte Crotte, lungo le nuove strade, come via Colombo e via Caduti del Lavoro, e il quartiere Sant'Anna, ai piedi dell'omonima collina. Nel 1955 arrivò il filobus. Alla fine degli anni Sessanta, sulla falsariga di quanto avvenuto a San Polo e Mompiano, in diversi rioni delle Chiusure sorsero dei comitati di quartiere. Rispetto a quanto avvenuto nelle altre assemblee, le elezioni dei comitati delle Chiusure furono a suffragio universale e si tennero tra febbraio e maggio del 1971. In seguito, i comitati sorti in buona parte della città chiesero un riconoscimento ufficiale e l'impiego di mezzi e strumenti per poter partecipare alla discussione dei bilanci, per cui il consiglio comunale votò l'istituzione dei consigli di quartiere, a carattere sperimentale, nel luglio 1972. Le elezioni del consiglio delle Chiusure, che sostituì i precedenti comitati rionali, si tennero il 24 giugno 1973. Nel 1977, con l'intenzione di recepire quanto disposto dalla legge 278/1976, la Giunta Trebeschi istituì nove circoscrizioni che accorparono i trenta quartieri. Le Chiusure formarono la Terza circoscrizione, assieme a Urago Mella, Villaggio Badia e Villaggio Violino, che fu subito ribattezzata "dell'Oltremella" perché raggruppava i quattro quartieri che erano separati dal resto della città dal fiume. Nel 2007, la giunta Corsini ridusse il numero delle circoscrizioni portandole da nove a cinque: Chiusure, come tutto il resto della Terza Circoscrizione, fu assegnata alla nuova Circoscrizione Ovest. Sette anni dopo, a seguito dell'abolizione delle circoscrizioni per i nuovi limiti imposti dalla legge 191/2009, la Giunta Del Bono decise di ricostituire gli organi consultivi di rappresentanza dei quartieri. Le prime elezioni del consiglio di quartiere si tennero in tutta la città il 14 ottobre. chiesa di sant'Antonio alla Badia, pur dominando il villaggio Badia dall'alto del rilievo collinare, si trova nel territorio del quartiere Chiusure. chiesa di sant'Antonio da Padova, edificata negli anni Quaranta del Novecento. centro sportivo "San Filippo" Presso il quartiere operano tre parrocchie della diocesi cattolica di Brescia: sant'Anna, sant'Antonio da Padova, e san Giacomo. Nel quartiere è presente l'istituto clinico Sant'Anna del Gruppo ospedaliero San Donato. Alle Chiusure hanno sede il liceo delle scienze umane Fabrizio De André, e le scuole primarie Gianni Rodari e Cristoforo Colombo. Il quartiere è servito da diverse linee di trasporto urbano: la 2 (Pendolina-Chiesanuova), la 3 (Mandolossa-Virle), la 9 (Violino-Buffalora), la 13 (Gussago-Poliambulanza) e la 16 (Castelmella-Poliambulanza). Lisa Cesco, Diego Serino, 30 anni di partecipazione: l'esperienza delle circoscrizioni a Brescia. Circoscrizione Ovest, Brescia, Comune di Brescia, 2010. Maurillio Lovatti, Marco Fenaroli, Governare la città. Movimento dei quartieri e forze politiche a Brescia 1967-77, Brescia, Nuova ricerca editrice, 1978. Le elezioni dei Consigli di Quartiere a Brescia nel 2014 (PDF), su comune.brescia.it. URL consultato il 17 aprile 2022 (archiviato dall'url originale il 13 giugno 2022). Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Chiusure

Chiesa di San Giacomo al Mella
Chiesa di San Giacomo al Mella

La chiesa di San Giacomo al Mella è una chiesa di Brescia, situata lungo l'antico decumano massimo della città in direzione di Milano, oggi appunto via Milano. Di origine molto antica, era la chiesa di un ospizio gestito da una comunità di frati, a noi non pervenuto poiché demolito dopo la sua soppressione, nel corso dell'Ottocento. La chiesa è di solito nota ai più grazie alla sua bella abside romanica, ben visibile lungo la trafficata via Milano, in corrispondenza del collegamento fra questa e la tangenziale ovest. La presenza di un ospizio nella zona è documentata a partire dall'XI secolo, per l'esattezza dal 1080, anno a cui risale il documento più antico in assoluto che nomini il complesso: si tratta di una trascrizione di una bolla di papa Gregorio VII, nella quale il pontefice accoglie la domanda della mensa canonicale di unire ad essa il priorato del convento di San Giacomo della Mella, allo scopo di sostentare trentasei persone officianti quotidianamente nella basilica di San Pietro de Dom. È comunque probabile che l'edificio, così come la chiesa, siano stati costruiti precedentemente, forse sui resti di una stazione romana, vista anche la posizione strategica lungo la via per Milano, vicino al ponte sul fiume Mella, dal quale trae l'appellativo "al Mella". Seguono altre testimonianze, dalle quali si legge che, all'inizio del Duecento, il vescovo o i canonici della basilica di San Pietro de Dom affidano la struttura di assistenza agli umiliati, un ordine religioso che, nel medioevo, si occupava del ricovero e della cura di malati e infermi, i quali la gestiscono per circa un secolo. In quegli anni, l'ospizio è definito nei documenti con il nome "dei Romei" o "di San Giacomo di Galizia". Nel 1274, secondo le testimonianze, il complesso è gestito da cinque converse e cinque confratelli, diretti da Padre Giovanni da Cobiado. Inoltre, possiede numerosi fondi nella zona, sui quali lavorano numerose persone di sua diretta dipendenza. Nel Trecento l'ordine degli Umiliati declina rapidamente e nel 1334 il vescovo Bernardo Tricarico assegna l'ospedale ai canonici regolari di Sant'Antonio di Vienne i quali, fra l'altro, avrebbero fondato pochi anni dopo, nel 1367, l'ospedale di Sant'Antonio in contrada San Nazaro a Brescia, oggi corso Matteotti. La nuova gestione dell'ospedale di San Giacomo dei Romei è quindi composta da un precettore aiutato dai canonici dell'ordine: siccome questi, però, raramente erano numerosi, venivano spesso affiancati anche da famiglie che offrivano il loro aiuto e i loro beni per servire l'opera dei frati. Nel corso del Quattrocento viene aggiunta una cappella alla chiesa sul lato nord, oggi sacrestia. Più tardi, nei pressi della chiesa, nasce anche una delle più antiche fiere locali, la festa di san Giacomo, tenuta tradizionalmente il 25 luglio, che verrà poi progressivamente spostata verso la città. Da qui, inoltre, aveva inizio il 15 agosto la corsa dei cavalli che si concludeva in piazza della Loggia. Dal Cinquecento in poi l'ospizio vede una sempre maggiore decadenza: nel 1577 viene assorbito dalle proprietà fondiarie del seminario vescovile di Brescia, mentre nel 1810 la struttura viene definitivamente soppressa. La chiesa, però, resta aperta al pubblico grazie all'impegno di pochi religiosi e sacerdoti, che si preoccupano di amministrarla. Alla fine dell'Ottocento, la famiglia Rovetta, imparentata con l'ultimo religioso che aveva il compito di custodirla, acquisisce la proprietà dell'edificio, che viene completamente rinnovato all'interno dal pittore Francesco Rovetta con l'applicazione di affreschi e decorazioni neogotiche. Oggi, dell'antico ospizio rimane solamente la chiesa di San Giacomo, mentre le strutture adiacenti, persa ogni funzione di ricovero, sono state nel tempo riadattate e oggi convertite in edifici residenziali. La facciata è a capanna, con oculo al centro e portale d'ingresso originale. Quest'ultimo è decorato da una lunetta, affrescata durante la reggenza dei Canonici di Sant'Antonio, contenente riferimenti ai Templari. L'abside è l'elemento di spicco della chiesa, semicircolare e costruita con blocchi regolari di marmo botticino e medolo. La parete esterna è scandita da piatte e leggere lesene, che la dividono in cinque scomparti nei quali si aprono, nei tre centrali, tre monofore strombate, caratteristiche dell'epoca. La fascia di sottogronda è invece decorata da archetti pensili e da una cordonatura a dente di sega in cotto, altro elemento distintivo dell'architettura romanica. Il muro perimetrale dell'aula, invece, è composto in prevalenza da corsi regolari di sassi di fiume, con pochi inserti di mattoni sul fianco nord. Tale differenza nella composizione delle murature dell'abside e dell'aula permettono di retrodatare quest'ultima rispetto all'abside, fissando l'epoca di costruzione dell'aula all'XI secolo e quella dell'abside a cavallo fra il XII e il XIII secolo. Sul fianco nord sporge invece la cappella di epoca quattrocentesca, precedentemente accennata. L'interno, completamente rifatto nell'Ottocento, è impostato su una pianta a navata unica, spartita in tre campate. La copertura a capriate lignee originale copre solamente la prima campata d'ingresso, mentre le altre due sono coperte da due volte a crociera, quella centrale ottocentesca e la seconda, cioè l'ultima campata prima dell'abside, della fine del Quattrocento. La chiesa, oltre all'affresco del Trecento posto nella lunetta del portale d'ingresso, all'esterno, ospita poche ma notevoli opere d'arte, fra le quali spicca la grande Crocifissione del 1465 di Paolo Caylina il Vecchio. Dello stesso autore è anche l'affresco dell'Annunciazione, strappato all'inizio del Novecento dall'arco santo. Nella zona della copertura a capriate originale, sopra l'ingresso, sono inoltre presenti tracce di affreschi del Quattrocento e ampie aree dove si è mantenuto intatto fino ai giorni nostri l'antico intonaco bianco del Trecento. Della stessa epoca è anche il frammento di affresco raffigurante racemi vegetali nell'abside, dietro l'altare. Francesco de Leonardis, Guida di Brescia, Grafo Edizioni, Brescia 2008 Autori vari, Storia di Brescia, diretta da Giovanni Treccani, Morcelliana Brescia Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla chiesa di San Giacomo al Mella Sito ufficiale, su parrsangiacomo.it. Chiesa di San Giacomo al Mella, su LombardiaBeniCulturali, Regione Lombardia.

Sale (Gussago)
Sale (Gussago)

Sale (Sàle in dialetto bresciano) è una frazione di Gussago che conta circa 6 000 abitanti, dislocata nella zona sud del comune di Gussago. Confina con gli abitati del Villaggio Badia e della Mandolossa di Brescia e con Cellatica. La frazione deve infatti il suo sviluppo alle nobili famiglie dei Sala (che hanno dato il nome alla frazione) e Caprioli, che nel Quattrocento fecero costruire numerosi palazzi e vi stabilirono la propria residenza di campagna.Arroccata sul Monticello si trova la parrocchia dedicata a Santo Stefano, l'oratorio femminile dedicato a Santa Maria Crocifissa di Rosa. Scendendo dal Monticello per via Santo Stefano e via Sorda, si giunge in via Trieste ove si colloca l'oratorio maschile, itrova trono è Lodovico Pavoni.A Sale sono presenti tre chiese: la chiesa parrocchiale di Santo Stefano, la chiesa della Santa Croce e la chiesa privata di Sant'Adriano Martire. Nell'anno in cui la festa dell'Esaltazione della Santa Croce cade in domenica, si svolge una grande festa solenne, così come nell'anno nel quale la Festa di Sant'Adriano cade di domenica, si celebra una grande processione con le reliquie ed una festa nei grandi palazzi nobiliari circostanti. Le arterie principali della frazione sono via Sale, strada antica che dà il nome all'intera frazione e che collega Gussago a Castegnato tramite la località La Stacca (Stàca); via Santa Croce, altra via antica cuore della festa di Sale; via Trieste, via dell'oratorio, del campo sportivo e della scuola materna statale; viale Italia, strada che porta alla zona industriale della Mandolossa; via Togni, strada di campagna che costeggia il torrente e porta alla località Localnuovo (Löcnöf). Sale è la contrada che ha visto crescere maggiormente il proprio numero di abitanti, grazie alla costruzione e successivo allargamento del villaggio Le Frusche (Frösche), il cosiddetto "Villaggio Vaila". Inoltre, sorge la scuola elementare più ampia del paese, intitolata a Teresio Olivelli.

Civine
Civine

Civine (Siìne in dialetto bresciano) è una piccola frazione montana del comune di Gussago in provincia di Brescia. Civine, in latino Civinarum, risalirebbe secondo lo storico locale Vittorio Nichilo al Medioevo. Pur essendo frazione, questa località dai primi anni del Seicento era parrocchia dedicata a San Girolamo. Co patroni della frazione sono i santi persiani Abdon e Sennen, a cui, nel 1796 è stata dedicata una santella in località Riviere. Gli abitanti della frazione sono stati boscaioli, contadini e pastori fino ai primi del Novecento e, dalla prima guerra mondiale, sono scesi a lavorare nelle fabbriche della sottostante Valle Trompia. Il paesino ha ricevuto grande impulso dalla costruzione della strada che lo collega a Gussago, il capoluogo. Tale costruzione fu fortemente voluta dall'allora sacerdote don Pietro Chitò. La località era molto famosa per la produzione di ciliegie che erano molto ricercate per il loro intenso sapore dovuto probabilmente all'acidità del terreno di coltivazione. Esse erano spesso coltivate all'interno delle vigne che sovrastavano, le piante raggiungevano altezze importanti e gli abitanti del paese erano famosi per la capacità di arrampicarsi fino alle estremità durante il periodo di raccolta. Importante era anche la coltivazione del castagno, con varietà a maturazione precoce che venivano facilmente commercializzate in tutta la provincia. Con l'emigrazione che colpì il paese a favore delle industrie della sottostante Valle Trompia le coltivazioni caddero presto in stato di abbandono così come la maggior parte delle vigne.