place

Santuario della Madonna della Misericordia in Santa Chiara

Chiese dedicate a santa Maria della MisericordiaChiese della diocesi di RiminiChiese di RiminiPagine con mappeSantuari cattolici della provincia di Rimini
Madonna della Misericordia in Santa Chiara (right)
Madonna della Misericordia in Santa Chiara (right)

Il santuario della Madonna della Misericordia in Santa Chiara è una chiesa di Rimini, che sorge nei pressi dell'arco d'Augusto. Fu eretta nel XIV secolo dalle monache clarisse, che vivevano nell'attiguo monastero di Santa Maria degli Angeli. La chiesa custodisce l'immagine della Madonna della Misericordia, dipinto di Giuseppe Soleri (1750- 1806), il quale ne aveva fatto dono alla sorella suor Chiara, la quale a sua volta ne fece dono alla chiesa. Venne esposto il 17 luglio 1810 sull'altare maggiore, nella chiesa di Santa Chiara, la cui cura venne affidata nel 1824 ai Missionari del Preziosissimo Sangue. L'immagine venne considerata miracolosa dopo che la Madonna avrebbe mosso gli occhi nel 1850 e la chiesa di Santa Chiara divenne la sede del santuario dedicato alla sacra immagine. A seguito di un processo promosso dal vescovo Salvatore Leziroli, Papa Pio IX decretò la miracolosità dell'evento e il 15 agosto 1850 l'effige fu "incoronata" con l'apposizione sul quadro di una corona d'oro. Tale corona è stata trafugata nel 1975. La copia della corona è stata rubata nel 2016. Wikibooks contiene testi o manuali sulla disposizione fonica dell'organo a canne Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla santuario Madonna della Misericordia in Santa Chiara Sito ufficiale, su madonnamisericordiarimini.it.

Estratto dall'articolo di Wikipedia Santuario della Madonna della Misericordia in Santa Chiara (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

Santuario della Madonna della Misericordia in Santa Chiara
Via Santa Chiara, Rimini

Coordinate geografiche (GPS) Indirizzo Collegamenti esterni Luoghi vicini
placeMostra sulla mappa

Wikipedia: Santuario della Madonna della Misericordia in Santa ChiaraContinua a leggere su Wikipedia

Coordinate geografiche (GPS)

Latitudine Longitudine
N 44.056694 ° E 12.569361 °
placeMostra sulla mappa

Indirizzo

Santuario della Madonna della Misericordia in Santa Chiara

Via Santa Chiara
47921 Rimini
Emilia-Romagna, Italia
mapAprire su Google Maps

linkWikiData (Q3949581)
linkOpenStreetMap (926208385)

Madonna della Misericordia in Santa Chiara (right)
Madonna della Misericordia in Santa Chiara (right)
Condividere l'esperienza

Luoghi vicini

Arco di Augusto (Rimini)
Arco di Augusto (Rimini)

L'Arco di Augusto di Rimini è il più antico arco romano tra quelli conservati ed è stato costruito nel 27 a.C. con decreto del Senato romano al fine di onorare l'imperatore Augusto per aver restaurato la via Flaminia e le più importanti strade italiane come la via Emilia e la via Popilia; esso, infatti, segnava la fine della via Flaminia che collegava Rimini a Roma, capitale dell'Impero, confluendo poi nel decumano massimo, l'odierno corso d'Augusto, e che portava all'imbocco dell'antica via Emilia (cardo massimo). Insieme al ponte di Tiberio, è uno dei simboli della città di Rimini, tanto da comparire nello stemma della città. L'Arco d'Augusto risulta essere uno dei monumenti romani più celebri dell'Italia settentrionale, in quanto è il più antico e solenne arco onorario tra quelli conservati, ed è posizionato su una delle strade più percorse dell'Italia antica. L'arco è stato costruito in travertino di Nabresina e allo stato odierno si presenta isolato, come un grande arco trionfale, senza più la funzione originale di porta urbica monumentale; esso, infatti, era inserito nelle mura della città in opera poligonale, di cui si conserva ancora traccia ai fianchi in basso, che facevano parte della prima cinta muraria in pietra della città, risalente al III secolo a.C.. Inoltre, era affiancato da due torri lapidee preesistenti, sempre in opera poligonale, poste ai lati della precedente porta a due o tre fornici. Al fornice centrale, largo 9 m circa, si affiancano due semicolonne con fusti scanalati e capitelli corinzi, che reggono la trabeazione, il timpano e l'attico posto al di sopra di essi con un coronamento in laterizi a merli ghibellini. I quattro clipei, posti tra i capitelli e la ghiera dell'arco, rappresentano gli Dei protettori dela città, per il lato verso Roma: le divinità di Giove con il fulmine (in sinistra) e Apollo con la cetra e il corvo (in destra); mentre, per il lato verso il centro di Rimini: le divinità di Nettuno con il tridente e il delfino (in sinistra) e Minerva con il gladio e la corazza-trofeo (in destra). Al di sopra dell'apertura dell'arco, su ambo le facciate, si trova il muso di un toro, che rappresenta la forza e la potenza di Roma. Clipei presenti sull'Arco d'Augusto L'attico nella sua forma originale è andato distrutto, probabilmente a causa di terremoti, e fu ricostruito nella sua forma attuale in epoca medievale (circa X secolo d.C.), periodo in cui la città venne tenuta dai ghibellini; il documento grafico più antico del monumento in epoca medievale è il sigillo del duca Orso (X secolo), rinvenuto da Luigi Tonini, oltre che un altro sigillo della città del XIII secolo. La funzione principale dell'opera, oltre a quella di porta urbica, era quella commemorativa e propagandistica svolta dall'iscrizione presente nell'attico, andata parzialmente persa, e probabilmente da un gruppo plastico, come poteva essere la statua bronzea dell'imperatore Augusto ritratto nell'atto di condurre una quadriga. L'iscrizione, ora mutila delle parti ricostruite tra parentesi quadre, era la seguente: L'elevata larghezza del fornice, all'epoca, non avrebbe consentito di ospitare una porta e ciò è dovuto al fatto che il regime di pace al centro della propaganda politica dell'Imperatore Augusto, la cosiddetta Pax Augustea, rendeva remota la necessità di una porta civica che si potesse chiudere, non essendoci il pericolo di essere attaccati. L'Arco di Augusto rimase la porta principale della città, affiancato da edifici di modesta qualità, fino al periodo fascista, quando tra il 1936 e il 1938, per volere di Mussolini, venne isolato demolendo le costruzioni adiacenti, e anche le torri che erano tornate a fiancheggiare l'arco dopo le demolizioni. Pier Giorgio Pasini, Guida per Rimini, Neri Pozza, 1972, OCLC 2010224. URL consultato il 5 ottobre 2021. Ponte di Tiberio Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Arco di Augusto L'arco d'Augusto dal sito del comune, su comune.rimini.it. URL consultato il 25 dicembre 2013 (archiviato dall'url originale il 25 dicembre 2013).

Chiesa di Santa Croce nuova
Chiesa di Santa Croce nuova

La chiesa di Santa Croce nuova è una chiesa cattolica di Rimini, risalente al XVII secolo. L'edificio ha subito ingenti danni nel terremoto del 1916 e nei successivi bombardamenti del 1943-44. Viene chiamata nuova per differenziarla dalla chiesa di Santa Croce vecchia. La chiesa di Santa Croce nuova fu costruita nel 1625 dalla Confraternita della Santissima Croce. Nel XVIII secolo la chiesa fu ampliata, su disegno di Giovan Francesco Buonamici, con la costruzione di tre cappelle e ornata con stucchi e pitture. Dal 1796 al 1809 la chiesa fu intitolata ai Santi Simone e Giuda. La maggior parte dell'apparato decorativo settecentesco fu distrutto nel terremoto del 1916. La chiesa subì ulteriori danni dai bombardamenti che colpirono la città di Rimini nel 1943 e 1944. Nell'abside vi è un crocifisso ligneo di anonimo quattrocentesco, inserito in una pala d'altare scultorea del XVIII secolo. La pala d'altare presenta un Dio Padre e angeli in gesso opera di Carlo Sarti e datati circa 1755. Opera del Sarti sono anche le statue in gesso della navata, rappresentanti Sansone, Giosuè, Mosè e Davide. Nelle due cappelle laterali, dedicate a San Pietro Martire e a Sant'Antantonio abate, vi sono due pale d'altare, un San Vincenzo Ferrari e un San'Antonio abate, entrambe opera di Giovan Battista Costa e datate circa 1757, risentono degli influssi di Corrado Giaquinto. Le decorazioni di queste due cappelle, comprendenti le lunette con le storie dei santi e i pennacchi, sono opera di Giuseppe Milani e datate circa 1754. In una terza cappella, situata a destra vicino all'altare e costruita nel 1863, è conservato un Cristo morto in gesso e stucco, sicuramente posteriore all'edificazione della cappella. La Madonna col Bambino, datata 1840 e opera di don Stefano Montanari, era in precedenza conservata nella chiesa di San Tommaso Apostolo, demolita a inizio Novecento. Marco Sassi e Ilaria Balena, Rimini - Arte, storia e monumenti, Bookstones, 2013, ISBN 9788898275021. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su chiesa di Santa Croce nuova

Tempio malatestiano
Tempio malatestiano

Il Tempio malatestiano, usualmente indicato dai cittadini come il Duomo e dal 1809 divenuta cattedrale col titolo di Santa Colomba, è il principale luogo di culto cattolico di Rimini. Rinnovato completamente sotto la signoria di Sigismondo Pandolfo Malatesta, con il contributo di artisti come Leon Battista Alberti, Matteo de' Pasti, Agostino di Duccio e Piero della Francesca, è sebbene incompleto, l'opera chiave del Rinascimento riminese e una delle architetture più significative del Quattrocento italiano in generale. Nell'area è documentata già nel IX secolo una cappella chiamata Santa Maria in Trivio, demolita nel 1257 per consentire l'erezione di una chiesa più grande, in stile gotico a navata unica e triabsidata, che sarà poi consacrata a San Francesco e retta dall'Ordine francescano. Tra il Duecento e Trecento furono aggiunte due cappelle sul lato sud. Parte dei marmi per i lavori furono presi da rovine romane in Sant'Apollinare in Classe e da Fano. La chiesa, nonostante le dimensioni relativamente modeste, era già utilizzata nel 1312 come luogo di sepoltura della famiglia Malatesta, arricchita da altari e opere d'arte, alle quali fu chiamato a contribuire anche Giotto. Sotto la signoria di Sigismondo Pandolfo Malatesta, fu deciso di sistemarvi una cappella dedicata a San Sigismondo, patrono del committente, affidando il progetto al veronese Matteo de' Pasti. Il 31 ottobre del 1447 fu benedetta la posa della prima pietra. Negli anni successivi, in seguito a una fortunata serie di vittorie e riconoscimenti, il Malatesta decise di estendere il progetto a tutto l'edificio. Probabilmente ebbe un ruolo, nella decisione di mutare il progetto, Leon Battista Alberti al quale fu poi affidato il progetto di una nuova sistemazione architettonica esterna, che comprendeva, secondo la testimonianza di una serie di note medaglie, di Matteo de' Pasti del 1450, l'aggiunta di una rotonda nella parte posteriore della chiesa, coperta da una cupola a imitazione di quella del Pantheon. I lavori relativi al progetto di Alberti iniziarono presumibilmente nel 1453. Se il progetto fosse stato completato, la navata avrebbe allora assunto un ruolo di semplice accesso al maestoso edificio circolare, e sarebbe stata molto più evidente la funzione celebrativa dell'edificio. Il tema iconografico della struttura è inconsueto per una chiesa cristiana. Nell'apparato decorativo originale i riferimenti religiosi tradizionali sono talmente ridotti e defilati da sembrare a prima vista del tutto assenti. Il Malatesta volle tale edificio unicamente come sepolcro suo, per la sua stirpe e per i dignitari a lui vicini, quale enorme monumento celebrativo di sé stesso e della sua casata, prevedendo una iconografia articolata in un complesso linguaggio proprio del paganesimo: da qui la denominazione Tempio. Ciò contribuì al peggioramento dei rapporti con papa Pio II Piccolomini, già critici prima della sua elezione nel 1458 (a causa anche delle precedenti campagne militari ostili alla sua città natale, Siena), rapporti che degenerarono fino alla scomunica nel 1460. La quantità di riferimenti pagani è tale per cui Pio II riportò nei suoi Commentari: Tuttavia sarebbe riduttivo leggere il tempio malatestiano solo come sfida personale, ma piuttosto come massima manifestazione di una raffinata cultura di tipo neoplatonico, intellettuale e idealistica, intenzionalmente lontana dalla realtà, non timorosa di esprimersi attraverso un linguaggio, tra ethos apollineo e pathos dionisiaco, estraneo alla cristianità proprio in quello che doveva essere un tempio cristiano. La lettura dell'apparato del Tempio non si presenta affatto agevole. Tra le fonti letterarie ispiratrici si possono rinvenire Macrobio, Platone, Porfirio, Giamblico e Gemisto Pletone. Roberto Valturio, membro della corte illuminata che circondava il Malatesta e che tanta parte ha avuto nella definizione del gusto e dei temi, ribadì nel De re militari che il Tempio era colmo di “simboli tratti dai più occulti penetrali della filosofia" che solo gli iniziati potevano penetrarne il significato. L'insieme decorativo si presenta, per quanto raffinato, abbastanza dispersivo, con alcuni contrasti in particolar modo tra l'interno e l'esterno dell'edificio; qualora si debba ricercare una chiave unica di lettura, questa è sicuramente da individuare nell'intento celebrativo della figura del signore e della sua corte. La struttura progettata dall'Alberti non fu completata, in seguito all'avversa fortuna in campo militare del Malatesta (e alle conseguenti difficoltà economiche) che resero impossibile la fine dei lavori. Nel 1460 erano state del tutto ultimate solo tre cappelle ed i rivestimenti esterni, realizzati incapsulando la struttura medievale. Sigismondo fu definitivamente sconfitto dalle truppe papali alleate con Federico da Montefeltro due anni dopo sul Cesano. Ne conseguì l'interruzione di tutte le fabbriche da lui avviate (a parte l'aggiunta del sarcofago del filosofo neoplatonico Giorgio Gemisto Pletone nel 1464). Su spinta dell'ordine francescano che reggeva la chiesa, i lavori ripresero negli anni successivi ma, perso l'originale committente, proseguirono in difformità dal progetto dell'Alberti, per essere completati nel 1503. Nel 1809 le soppressioni napoleoniche sciolsero il convento francescano e in seguito alla sconsacrazione e distruzione dell'antica Santa Colomba, il tempio fu consacrato a cattedrale cittadina, assumendo la dedica della santa. Durante la seconda guerra mondiale, l'edificio subì molti danni (in particolare, nel 1944), tanto da far esclamare, commosso, ad Ezra Pound, nel suo Canto LXXII (a parlare è lo spirito di Ezzelino III da Romano): La zona absidale, insieme a buona parte della copertura, fu distrutta e ricostruita in forme semplificate con l'esterno in mattoni a vista e l'interno in semplice e disadorno intonaco bianco. Solo recentemente l'altare maggiore è stato arricchito da un celebre crocifisso di Giotto, dipinto durante il suo soggiorno a Rimini tra il 1308 e il 1312. La facciata e i fianchi furono danneggiati, con dislivelli, fuoripiombo e distacchi, tanto da dover procedere con un difficile intervento, smontando e rimontando sostanzialmente l'intero paramento murario, numerando i vari conci e blocchi lapidei. L'esterno del tempio malatestiano fu progettato da Leon Battista Alberti alcuni anni dopo l'avvio dei lavori all'interno. Egli ideò un involucro marmoreo che lasciasse intatto l'edificio preesistente. L'opera, incompiuta, prevedeva nella parte bassa della facciata una tripartizione con archi inquadrati da semicolonne con capitello composito, mentre nella parte superiore era previsto una specie di frontone con arco al centro affiancato da paraste. Punto focale era il portale centrale, con timpano triangolare al centro di un fornice riccamente ornato da lastre marmoree policrome di spoglio, provenienti probabilmente da Ravenna, che richiamano, nella stessa accurata scelta cromatica delle pietre, l'opus sectile della Roma imperiale. La mancanza dell'arco superiore permette di vedere, ancora oggi, un pezzo della semplice facciata medievale a capanna di San Francesco. Sopra di essa è poi collocata una piccola croce, simbolo del cristianesimo cattolico praticato nel Duomo. Le fiancate sono composte da una sequenza di archi su pilastri il cui modello è stato rintracciato nei pilastri interni del Colosseo. Gli arconi delle fiancate si presentano con un'imposta rialzata trasformando l'arco a tutto sesto in arco 'semistaffato', dove nella maggior parte dei casi non presentano il concio in chiave Le arcate cieche erano destinate ad accogliere i sarcofagi dei più alti dignitari di corte. Vi si trovano sepolti Giusto de' Conti, Roberto Valturio, Basinio Basini, i medici Gentile e Giuliano Arnolfi. Tuttavia, il sepolcro più significativo è quello del filosofo neoplatonico Giorgio Gemisto Pletone, ritenuto all'epoca uno dei più grandi pensatori di tutti i tempi, che aveva fatto rinascere le scuole filosofiche dell'antica Grecia e i cui resti furono portati da Sigismondo dalla campagna militare nel Peloponneso. Fianchi e facciata sono unificati da un alto zoccolo che isola la costruzione dallo spazio circostante. Anche all'esterno ricorre la ghirlanda circolare, qui usata come oculo. Alberti trasse spunto dall'architettura classica, ma affidandosi a spunti locali, come l'arco di Augusto, il cui modulo è triplicato nella parte bassa della facciata. Una particolarità di questo intervento è che il rivestimento non tiene conto delle precedenti aperture gotiche: infatti, il passo delle arcate laterali non è lo stesso delle finestre ogivali, che risultano posizionate in maniera sempre diversa. Del resto Alberti scrisse a Matteo de' Pasti che «queste larghezze et altezze delle Chappelle mi perturbano». La medaglia di Matteo de' Pasti del 1450 mostra l'aspetto originario che il tempio avrebbe dovuto avere, con una grande rotonda coperta da cupola semisferica simile a quella del Pantheon. Se completato, la navata avrebbe allora assunto un ruolo di semplice accesso al maestoso edificio circolare, e sarebbe stata molto più evidente la funzione celebrativa dell'edificio, anche in rapporto allo skyline cittadino. La parte posteriore è nuda: qui si eleva il campanile eretto tra XV e XVI secolo. La distruzione su questo lato del convento francescano, operata nel 1921 per allargare via IV Novembre, ha alterato i rapporti del monumento col contesto urbanistico. L'interno, durante i lavori rinascimentali, venne mantenuto ad aula unica aggiungendo alcune profonde cappelle laterali, incorniciate da arcate a sesto acuto, rialzate di un gradino e chiuse da balaustre marmoree dalla ricca ornamentazione. Vennero usati elementi classicheggianti, ma svincolati da rapporti di proporzione, con una preminenza della decorazione plastica, la quale arriva a mettere in secondo piano la struttura architettonica. Sulle prime tre cappelle di ciascun lato, risalenti all'epoca di Sigismondo, viene ripetuta l'iscrizione latina della facciata. Generalmente gli storici escludono un intervento diretto di Alberti nel disegno complessivo dell'interno, assegnato a Matteo de' Pasti e Agostino di Duccio, tuttavia alcuni non escludono che Alberti possa aver dato indicazioni generali sull'intervento. La copertura è a semplici capriate lignee, con travi e tavelle visibili, realizzata dai francescani a loro spese in seguito all'interruzione delle fabbriche di Malatesta. In particolare vennero riccamente decorati i due pilastri di accesso di ciascuna cappella, divisi in settori con rilievi allegorici o narrativi. Protagonista di questa decorazione fu Agostino di Duccio, che sviluppò un proprio stile fluido a partire dallo stiacciato donatelliano, di una grazia un po' fredda, "neoattica". I temi sono soprattutto profani e intrecciano complesse allegorie decise probabilmente dallo stesso Sigismondo. Oltre ad Agostino di Duccio, contribuirono all'opera anche Roberto Valturio, Basinio da Parma. A guisa di tempio pagano le sei cappelle laterali sono intitolate alle Arti Liberali, allo Zodiaco, ai Giochi dei Bambini, alle Sibille e Profeti e decorate in tema. Due ulteriori cappelle sono dedicate ai sepolcri di Sigismondo (cappella delle Virtù) e Isotta (cappella degli Angeli). Complessi rimandi, tematici ed estetici, si incrociano tra le cappelle opposte. Ovunque, quasi ossessivamente, sono ripetute in bassorilievo la S e la I incrociate, in passato ritenuta conferma che l'intero edificio fosse stato concepito da Sigismondo per celebrare il suo amore con Isotta degli Atti; più realisticamente si può interpretare come prosaica abbreviazione di Sigismondo; si segnala infatti il quasi contemporaneo monogramma di Federico da Montefeltro, visibile nel vicino Palazzo Ducale di Urbino, che appunto riporta due lettere, F e E. Altri simboli sovente ripetuti sono la rosa canina (più 500 volte), le tre teste e l'elefante, legati al casato dei Malatesta, nonché ghirlande di foglie e frutta. Una grande quantità di statuette di putti adornava l'interno, una parte dei quali sono oggi asportati e dispersi in collezioni private. Sulla controfacciata, a sinistra dell'entrata, si trova la pietra tombale del cardinale Ludovico Bonito (m. 1413), già nella vecchia chiesa. A destra invece il sepolcro di Sigismondo Malatesta, attribuito ai fiorentini Bernardo Ciuffagni e Francesco di Simone Ferrucci, con in alto due formelle col profilo del condottiero. La prima cappella a destra è quella delle Virtù, o di San Sigismondo, avviata nel 1447 nell'architettura e il 14 ottobre 1450 per le decorazioni scultoree: in tale data venne collocata la prima coppia di elefanti reggipilastro, in marmo bardiglio. I pilastri, nelle facciate verso la navata, hanno teste e figure intere di Virtù ad altorilievo con giovanetti portascudo, riferibili al primo periodo di Agostino di Duccio. Allo stesso artista è riferita la statua di San Sigismondo e la sua ricchissima edicola sull'altare. Il bassorilievo sottostante (San Sigismondo in viaggio con la famiglia verso il monastero di Agauno) è una copia in stucco dell'originale oggi al Museo d'arte antica di Milano. Sulle pareti laterali, dello stesso scultore, due straordinari bassorilievi di grandi dimensioni in stiacciato, con Angeli reggicortina, dalle sinuose linee. Segue sullo stesso lato la cella delle Reliquie, già sagrestia della cappella delle Virtù, a cui si accede da un portale scolpito con bassorilievi di apostoli, evangelisti e simboli malatestiani. Sia le ante lignee che i chiavistelli sono originari del Quattrocento. Qui sono conservati alcuni reliquiari settecenteschi, una pala di Camillo Sagrestani, un piccolo sarcofago del VII secolo, e alcuni oggetti rinvenuti nel sopralluogo del 1920 dentro la tomba di Sigismondo (frammenti di vesti in broccato d'oro, spada, stocco, speroni e sei medaglie, oggi in parte trasferiti al Museo della città di Rimini). Anche l'affresco staccato di Piero della Francesca si trovava un tempo qui, mentre oggi è nell'ultima cappella a destra. Sulla parete si trovano tracce delle decorazione in cotto della fabbrica trecentesca. La seconda cappella di destra è quella degli Angeli, o di Isotta o di San Michele. La statua dell'arcangelo, sull'edicola sull'altare, è di Agostino di Duccio, autore anche degli angeli alati che giocano e suonano nei riquadri dei pilastri dell'arcone di ingresso. Sulla parete sinistra il sarcofago di Isotta degli Atti, sorretto da due elefanti portastemma e scolpito probabilmente da Matteo de' Pasti. Sopra il sarcofago si trova un padiglione marmoreo sormontato dal cimiero malatestiano tra teste d'elefante alate recanti cartigli. Un tempo era conservato qui il Crocifisso di Rimini di Giotto, oggi dietro l'altare maggiore. Si prosegue con la cappella dello Zodiaco, o dei Pianeti, o di San Girolamo, la più sorprendente del complesso. È ricca di rappresentazioni non convenzionali attribuite ad Agostino di Duccio, come nel Saturno e nei carri trionfali di Marte, di Venere e della Luna. Qui si può notare come nei bassorilievi dei segni con quadrupedi (Ariete, Toro, Leone, Capricorno e Sagittario) sono stati eliminati gli arti posteriori, dei quali resta solo il contorno. Sempre nella cappella dello zodiaco vi sono due bassorilievi che si riallacciano alla figura di Sigismondo. Il primo è quello del segno del Cancro (danneggiato da una granata nell'ultima guerra), lo stesso di Sigismondo, che domina come un sole la rappresentazione della città, la più antica conosciuta. Il secondo è il bassorilievo del Naufragio di Sigismondo in vista dell'isola Fortunata, su ispirazione di un poemetto laudatorio di Basinio Basini: un uomo nudo rema in una barca, in un mare disseminato da piccole isole, abitate da diversi animali (leone, un elefante uccello rapace) e nel mare vi sono delfini e mostri marini. Ogni pilastro poggia su un canestro marmoreo (attribuzione incerta), colmo di fiori, frutta e animali, e ornato da festoni retti da quattro putti. La balaustra è in marmo rosso di Verona tra lesene in marmo bianco, con ricche decorazioni in stiacciato. Sul lato opposto, dopo un'altra uscita laterale, in senso antiorario, si incontra la cappella delle Arti Liberali, dedicata alle Scienze del Trivio e del Quadrivio ed altre figure. Secondo un programma celebrativo assai singolare per una chiesa, qui si trovano liberamente mischiate la Filosofia e la Botanica, la Concordia e la Musica, la Retorica e la Grammatica. Si tratta delle opere più tarde di Agostino di Duccio (1456). Segue la cappella dei Giochi infantili, o dell'Angelo custode, dove trovano posto i sepolcri delle prime due mogli di Sigismondo, Ginevra d'Este e Polissena Sforza, circondate da sessantuno figure di angioletti, in diciotto riquadri, danzanti o in gioco fra loro, che cavalcano bastoni e delfini, improvvisano un concerto o fingono di navigare, si tirano per i capelli e giocano a girotondo attorno ad una fontana, tutti scolpiti da Agostino di Duccio (1455). All'altare si trova un crocifisso ligneo cinquecentesco. La sagrestia adiacente, oggi cappella dei Caduti, ha un portale quattrocentesco con figurazioni di eroi biblici. L'ultima cappella (prima sinistra) è detta degli Antenati, o della Pietà o della Madonna dell'Acqua da un piccolo gruppo marmoreo di scuola franco-tedesca del XV secolo sull'altare, che il popolo era solito invocare per chiedere la pioggia. Iniziata nel 1454 seguendo un programma iconografico descritto da Roberto Valturio e di Poggio Bracciolini, fu decorata da dodici figure di Profeti e Sibille (due dei primi, dieci delle seconde), di Agostino di Duccio e aiuti. Alla base dei pilastri, sopra gli elefanti malatestiani, dadi con grandi medaglioni del profilo di Sigismondo Malatesta entro ghirlande d'alloro. Alla parete sinistra, sotto un padiglione in marmo, spicca l'arca degli Antenati e dei Discendenti, importante lavoro di Agostino di Duccio destinato ad accogliere, appunto, i personaggi della dinastia malatestiana prima e dopo Sigismondo. Sul fronte la dedica è incisa tra due bassorilievi (Minerva tra una schiera di eroi e il Trionfo di Scipione l'Africano) che simboleggiano i due attributi fondamentali dell'immortalità: la Saggezza e la Gloria. Essendo originariamente destinata alla facciata del tempio, ha sia i fianchi che il coperchio scolpiti, anche nei lati non visibili. All'interno del coperchio ad esempio si trova un bel profilo di Sigismondo incorniciato da un festone e da un distico attribuito a Basinio da Parma: "Haec Sigismundi vera est victoris imago qui dedit heac Patribus digna sepulcra suis" (questa è la vera effigie di Sigismondo vittorioso che diede ai suoi antenati questo degno sepolcro). Un calco è visibile nel Museo della città di Rimini. La cappella si differenzia dalle altre per il suo stile gotico e veneto. L'aspetto attuale della cappella è stato alterato da un pesante intervento Luigi Poletti nel 1862-1868, rimaneggiando il rivestimento marmoreo del fondo e aggiungendo la nicchia sull'altare, le decorazioni in oro e azzurro, come ricorda un'iscrizione sulla parete destra (1868). L'ultima cappella di destra e di sinistra sono successive all'epoca malatestiana: dopo il vano dell'accesso laterale, la cappella della Concezione presenta il monumento neoclassico al conte Paolo Garattoni (m. 1827). Qui è stato collocato l'affresco di Piero della Francesca di Sigismondo Pandolfo Malatesta in preghiera davanti a san Sigismondo (datato 1451), dove la glorificazione del committente ha il culmine. Il tema religioso si intreccia con aspetti politici e dinastici, come nelle fattezze di san Sigismondo che celano quelle dell'imperatore Sigismondo del Lussemburgo, che nel 1433 investì il Malatesta come cavaliere e ne legittimò la successione dinastica, ratificandone la presa di potere. Il presbiterio fu ricostruito dopo le distruzioni belliche. L'attuale altare principale, in metallo e travertino, opera di Giuliano Vangi, sostituisce il precedente dono di Napoleone attribuito a Luigi Poletti. La sua collocazione nel 2001 fu oggetto di aspre polemiche da parte del critico Vittorio Sgarbi. Dietro l'altare si trova il notevole Crocifisso di Rimini attribuito a Giotto, la cui presenza a Rimini è documentata alla fine del Trecento. Il crocifisso sarebbe l'unica opere superstite della sua attività per la chiesa francescana che forse aveva compreso anche la realizzazione di affreschi. Il Poletti è autore anche dell'altare nell'attigua, ultima cappella di sinistra, dove si trovano anche i dipinti dei Santi Antonio e Francesco di Simone Cantarini e il San Francesco che riceve le stigmate di Giorgio Vasari (1548). Domenico Paulucci, Il tempio malatestiano di Rimini, Mirabilia urbis, Rimini, Luise, 1993, ISBN 88-85050-71-9. Pierluigi De Vecchi e Elda Cerchiari, I tempi dell'arte, vol. 2, Milano, Bompiani, 1999, ISBN 88-451-7212-0. Stefano Zuffi, Il Quattrocento, Milano, Electa, 2004, ISBN 88-370-2315-4. Ethos apollineo e pathos dionisiaco nel cosmo Malatestiano, in Engramma, da appunti di Aby Warburg e collaboratori del 1929, n. 35, agosto–settembre 2004 (archiviato dall'url originale l'11 novembre 2013). Marco Musmeci (a cura di), Templum Mirabile", Atti del Convegno 2001, Rimini, Fondazione Cassa di risparmio di Rimini, 2003, SBN IT\ICCU\RAV\1204248. F. Canali, C. Muscolino, Il Tempio della Meraviglia, Firenze, 2007. Architettura rinascimentale Rinascimento riminese Giotto, Crocifisso di Rimini Piero della Francesca, Sigismondo Pandolfo Malatesta in preghiera davanti a san Sigismondo Wikiquote contiene citazioni sul Tempio Malatestiano Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sul Tempio Malatestiano Engramma n. 61, gennaio 2008, su engramma.it. Info sul sito della diocesi di Rimini, su diocesi.rimini.it (archiviato dall'url originale il 13 marzo 2007). Descrizione dettagliata del Tempio e delle sue cappelle, su hotel-rimini.com. URL consultato il 12 agosto 2014 (archiviato dall'url originale il 12 agosto 2014). (EN) Orsini Luigi, The Malatesta temple (1915), su archive.org. Disponibile per il download su Internet Archive Fossati, Carlo Giuseppe, Le temple de Malateste de Rimini architecture de Leon Baptiste Alberti de Florence, A Fuligno: chez Jean Tomassini, 1794. Chiesa di Santa Colomba (Rimini) su BeWeB - Beni ecclesiastici in web

Porta Montanara (Rimini)
Porta Montanara (Rimini)

Porta Montanara, storicamente conosciuta come Porta Sant'Andrea, è un'antica porta romana della città di Rimini, nella regione dell'Emilia-Romagna, Italia settentrionale. Costruita dopo la guerra civile di Silla nel primo secolo a.C., la costruzione originale comprendeva due archi. L'arco rivolto a nord fu murato già nel primo o secondo secolo d.C. e incorporato in una cantina medievale. Fu scoperto a seguito del bombardamento aereo alleato durante la Seconda guerra mondiale. Dopo la liberazione di Rimini, l'arco rivolto a sud fu distrutto dalle forze alleate occupanti per facilitare il passaggio dei carri armati attraverso la città. Nel 1949, l'arco rimanente fu smontato e riassemblato nel cortile del Tempio malatestiano. Dopo essersi spostato di alcuni metri nel 1979, fu restaurata vicino alla sua posizione originale nel 2004, all'estremità meridionale del cardo maximus di Rimini, sulla strada per la Valmarecchia. Porta Montanara fu costruita nel primo secolo a.C. La sua costruzione è attribuita alla fortificazione della città dopo la guerra civile di Silla. La colonia romana di Ariminum (l'odierna Rimini) fu inizialmente controllata dagli oppositori di Silla, e ospitò brevemente Gneo Papirio Carbone nel 82 a.C. La città fu saccheggiata dall'esercito di Silla, richiedendo la ricostruzione delle sue fortificazioni difensive. Porta Montanara era situata all'estremità meridionale del cardo maximus di Ariminum, la strada principale nord-sud (l'odierna Via Giuseppe Garibaldi). Forniva l'accesso alla strada per Arretium (l'odierna Arezzo) attraverso la valle del Marecchia, e ai insediamenti dell'entroterra collinare riminese. La porta originariamente comprendeva due archi. Era preceduta da un cortile di guardia con una porta interna. Già nel primo o secondo secolo d.C., l'arco rivolto a nord fu murato, mentre quello rivolto a sud fu rialzato, a causa dell'innalzamento del livello stradale. Nel 1085, la porta è registrata come Porta Sant'Andrea, dopo la vicina chiesa e il quartiere, Borgo Sant'Andrea. Nel XV secolo, la porta fu incorporata in una serie di case, soprannominate le Case Rosse, che appartenevano alla famiglia Malatesta. Fu costruito un passaggio sopra la porta, chiuso fu incorporato nelle cantine del Palazzo Turchi. Fu attraverso le porte di Porta Sant'Andrea che, il 17 giugno 1528, le truppe dello Stato Pontificio entrarono a Rimini, ponendo definitivamente fine al dominio dei Malatesta. Con l'arrivo della Repubblica Cisalpina nel 1797, la porta fu rinominata Porta Montanara per rimuoverne le sue connotazioni religiose. Come avvenne anche per le altre porte della città, i piani superiori della porta furono distrutti dalle truppe francesi occupanti per ospitare una batteria d'artiglieria. Nel XIX secolo, la strettezza della porta causò notevoli ingorghi per i carri in entrata o in uscita dalla città, soggetti a controlli doganali durante il passaggio. Il 6 maggio 1876, il consiglio comunale discusse una mozione per demolire la porta, portando alcuni sostenitori a danneggiarla prematuramente a colpi di piccone. Nel 1891, approvò lavori per allargare l'area circostante, riconoscendo l'arco come "di tanto imbarazzo al libero transito, e di qualche pericolo per i passanti". I lavori fecero poco per alleviare la congestione e l'arco rimase impopolare tra i residenti locali. Dal 1916 l'arco diede il nome a una stazione sulla Ferrovia Rimini-Novafeltria. La ferrovia, che chiuse nel 1960, costeggiava le antiche mura cittadine prima di seguire il Marecchia fino a Verucchio e Mercatino Marecchia. L'edificio della stazione è ancora esistente, ma abbandonato. Durante la Seconda guerra mondiale, la porta Montanara sopravvisse al bombardamento aereo alleato su Rimini. Il 26 marzo 1944, un bombardamento colpì il Palazzo Turchi e scoprì l'arco murato, che aveva mantenuto il suo aspetto romano. A seguito della liberazione di Rimini, l'arco non murato fu distrutto per facilitare il movimento dei carri armati sudafricani attraverso la città. Gli ingegneri quasi distrussero per errore l'Arco d'Augusto. Le pietre dell'arco demolito furono utilizzate per ripavimentare le strade distrutte. Il 4 novembre 1946, iniziarono una serie di lavori per consolidare l'arco rimasto, non murato: un rapporto dell'ispettore comunale notò che i conci dell'arco erano frequentemente rubati, mettendo l'arco a rischio di crollo. Nonostante questi lavori, l'arco fu minacciato da piani per allargare Via Giuseppe Garibaldi. Nel 1949 il governo italiano dichiarò che non aveva valore monumentale. Così, tra novembre 1949 e giugno 1950, l'arco fu smontato e riassemblato nel cortile del Tempio malatestiano, tra i ruderi dell'ex convento di San Francesco. Il riassemblaggio dell'arco utilizzò cemento moderno, e i suoi 280 conci non furono correttamente riposizionati nelle loro posizioni originali, mentre furono aggiunti nuovi conci. Un tetto protettivo pianificato non fu mai installato sopra l'arco, lasciandolo esposto all'erosione. Negli anni '60, a seguito di una disputa tra il Comune e la Diocesi di Rimini, il muro del nuovo mercato coperto di Rimini fu costruito attraverso l'arco. Nel 1979, per ospitare i nuovi uffici diocesani, fu smontato e riassemblato per la seconda volta in un parcheggio a pochi metri di distanza, dietro l'abside del Tempio malatestiano. Nel 2003 iniziarono i lavori per ricollocare l'arco vicino alla sua posizione originale in Via Garibaldi, dove potesse riprendere la sua funzione di porta della città. I lavori furono finanziati dal Rotary Club Rimini, dalla Cassa di Risparmio di Rimini e da Assindustria, associazione industriale. L'arco fu inaugurato nella sua nuova posizione da Alberto Ravaioli, sindaco di Rimini, il 9 ottobre 2004. Per l'occasione fu emessa una medaglia commemorativa che raffigura su un lato i due archi originali e sul lato opposto la pianta reticolare dell'antica Rimini. L'arco è fatto di blocchi di arenaria provenienti dalla vicina collina di Covignano o da Pietracuta, frazione di San Leo, vicino al confine sammarinese. Il complesso originale della porta misurava 12,5 metri (41 piedi) di larghezza e 2,2 metri (7,2 piedi) di profondità, con ciascun arco ad un'altezza di 5,9 metri (19 piedi). L'arco rimanente è largo 3,45 metri (11,3 piedi). L'arco è fatto da file doppie di voussoirs. La posizione originale della porta demolita, 40 metri (130 piedi) lungo Via Garibaldi verso Piazza Tre Martiri, può essere osservata dai cubi di selce nel pavimento della strada. Il sito originario dell'arco esistente, essendo stato murato come una cantina fino alla Seconda guerra mondiale, è ora occupato da un edificio. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Porta Montanara

Chiesa di Sant'Agostino (Rimini)
Chiesa di Sant'Agostino (Rimini)

La chiesa di Sant'Agostino è una chiesa di Rimini. Fu cattedrale della diocesi di Rimini dal 1798 al 1809. La chiesa, dedicata a san Giovanni evangelista, è nota come "di Sant'Agostino" in quanto gestita dai padri agostiniani dal XIII secolo fino alle soppressioni napoleoniche. Originariamente si ergeva, in parte dove è sita la sagrestia, una chiesa intitolata a san Giovanni Evangelista, che compare citata per la prima volta in un atto del 1069. Nel 1256 fu concessa ai padri agostiniani (aggiungendo all'intitolazione "e di Sant'Agostino"), originari di un piccolo monastero di eremiti brettinesi a nord di Fano, già presenti in città almeno dal 1247, come testimoniato da una bolla di papa Innocenzo IV. L'atto di concessione nel 1256, del vescovo Giacomo, menziona che la allora parrocchia di San Giovanni Evangelista possedeva pascoli, terreni, vigne, a cui il vescovo aggiunse una casa e una torre attigue, oltre ad esentare i padri agostiniani e gli abitanti della parrocchia "ad omni lege diocesiana, et iurisdictione, et istitutione". Grazie anche ad alcuni lasciti, i padri agostiniani acquistarono ulteriori proprietà contigue in aggiunta a quelle concesse, con l'intenzione di "edificare un monistero" in breve tempo, proposizione supportata anche da papa Alessandro IV con una bolla del 1257, concedendo a loro "di poter ricevere delle usure, rapine & altre cose male acquistate [..] fino al numero di 300 lire a Ravenna", a cui seguì l'anno successivo la bolla papale di conferma della concessione della parrocchia. La benevolenza vescovile e papale verso gli ordini mendicanti era a quel tempo favorita dall'intenzione di combattere i movimenti eretici dei Catari, Patarini e Manichei, nonché come contrapposizione al dilagante malcostume del clero secolare. Il nuovo impianto architettonico, conglobante in parte il precedente, era già in stadio avanzato di costruzione nel 1278 e in via di completamento attorno al 1287. Tra queste due date si possono notare due ripensamenti: il primo fu quello di rendere la struttura simmetrica, per cui sul fianco est si può notare un allungamento grazie ad una lesena angolare simmetrica alla cappella del campanile; il secondo fu l'innalzamento della facciata. Infatti la presenza di tre grossi occhi cechi, mai aperti e privi di ghiere, fanno pensare ad una ipotesi originaria diversa, un edificio di stile romanico, sottolineato dal colore rosso dei mattoni e dall'assenza di intonacatura. La struttura realizzata divenne la più importante del periodo gotico riminese, nonché l'edificio più grande mai costruito da un ordine mendicante nella città. Seguirono diversi interventi a causa del terremoto del 1308, la cui intensità viene calcolata attorno all'ottavo grado della scala Mercalli. A tali interventi contribuì il favore della famiglia Malatesta, intenzionata a intrattenere una politica di buoni rapporti con gli ordini mendicanti per inserirsi gradualmente nelle istituzioni cittadine. Ad esempio, nel suo testamento del 1311, Malatesta il Mastin Vecchio stabilì che le spese necessarie per la celebrazione del capitolo generale dei frati eremitani a Rimini fossero sostenuti dai suoi eredi. Nel 1346 il governo cittadino, obbligato da Malatesta il Guastafamiglia, concesse agli agostiniani la via Nova per poter ingrandire il loro monastero, nel quale già operava a un collegio per novizi, una grande biblioteca e uno studio che diverranno, dopo quello bolognese, i più importanti della regione. Si formarono proprio qui due illustri esponenti dell'ordine agostiniano: il beato Tommaso e il teologo Gregorio da Rimini. L'impianto gotico subì diversi lavori di rifacimento tra il 1580 e il 1585, soprattutto per quanto riguarda il tetto e gli affreschi, su spinta di un decreto vescovile che intimava al rettore della parrocchia di imbiancare "l'immagini de sancti depinti nelle mura e guasti nel tempo". Nel Settecento seguirono numerosi ritocchi che ne hanno alterato in parte le originarie fattezze e decorazioni, imprimendole, soprattutto all'interno, uno stile barocco. Frati agostiniani gestirono la chiesa e il monastero fino alle soppressioni napoleoniche. Le spoglie mortali del beato Alberto Marvelli vennero traslate nella chiesa di Sant'Agostino, dal cimitero cittadino, nel 1974. Sita in via Cairoli, attigua a piazza Cavour, è nel pieno centro storico di Rimini. La chiesa di Sant'Agostino è fra le più imponenti della città (soprattutto per il suo svettante campanile) e tuttora conserva parte del pregiatissimo ciclo pittorico della scuola riminese che la adornava prima dei lavori di rinnovo del XVII secolo e che ne testimoniava l'importanza religiosa e culturale. Sulla spinta del menzionato lascito di Malatesta il Mastin Vecchio, il capitolo generale tra il 1315 e il 1318 commissionò alla bottega di Giovanni da Rimini la decorazione del coro e del timpano sopra l'arco trionfale, nella quale parteciparono anche i fratelli di Giovanni, ossia Giuliano e Zangolo. Da un lascito del 1303 che si proponeva di dotare l'altare maggiore di una maestà di Cristo e di una Madonna, si potrebbe dedurre che già tale bottega operava in sito e fosse la realizzatrice delle due commissioni. L'abside e la cappella del campanile, le parti maggiormente conservate, presentano una serie di affreschi dedicati alla Vergine Maria, alla vita di san Giovanni evangelista e a Sant'Agostino. Alla loro base vi sono alcuni affreschi tardo-trecenteschi, in stato di conservazione precario, tra cui una Madonna e angeli di gusto tardogotico, ed ulteriori frammenti primo-quattrocenteschi. Ricche di interesse sono inoltre le numerose cappelle laterali, nelle quali sono conservate pale settecentesche e statue in stucco di Carlo Sarti. Pregiati anche gli stucchi di Ferdinando Bibiena, che ornano il soffitto, e i vari affreschi di Vittorio Maria Bigari. Angelo Turchini, Claudio Lugato e Alessandro Marchi, Il Trecento Riminiese a Stant'Agostino a Rimini, Cesena, Il Ponte Vecchio, 1995. Vittorio Bassetti, Regesto agostiniano riminese sino all'anno 1300, in Analecta Augustiniana, LXII, Roma, Institutum historicum ordinis S. Augustini Romae, 1998, pp. 245-271. Vittorio Bassetti, Un ritrovato "Libro di entrate/uscite della Provincia Agostiniana di Romagna (1437-1538), in Analecta Augustiniana, LXIII, Roma, Institutum historicum ordinis S. Augustini Romae, 2000, pp. 60-96. Rimini Diocesi di Rimini Parrocchie della diocesi di Rimini Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su chiesa di Sant'Agostino Home page della parrocchia di Sant'Agostino, su santagostinorimini.it.