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Chiesa di San Zenone (Passirano)

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Passirano parrocchiale
Passirano parrocchiale

La chiesa di San Zenone è la parrocchiale di Passirano, in provincia e diocesi di Brescia; fa parte della zona pastorale del Sebino. La primitiva chiesa della zona di Passirano dedicata a San Zenone, oggi non più esistente, sorse come filiale della pieve di Bornato nel Basso Medioevo in borgata Piazze; coeva a questa era la chiesa di San Pietro in borgata Novagli. Nel 1479, in seguito ad una tremenda epidemia di peste che aveva colpito la zona, gli abitanti di Passirano fecero edificare dove oggi sorge la parrocchiale un santuario dedicato a San Rocco. Nel XVII secolo le chiese di San Pietro e di San Zenone vennero demolite e le loro parrocchie furono riunite in una con patrono San Zenone e, dal 1670, con chiesa parrocchiale il santuario di San Rocco, che, ricostruito proprio in quel secolo, venne dunque ridedicato al santo veronese. La chiesa fu rifatta nel 1763, restaurata nel 1874 e rifatta di nuovo nel 1879. Nel 1882 terminarono i lavori di decorazione dell'edificio e, l'anno successivo, fu realizzato l'organo. Verso la fine del XIX secolo la chiesa venne aggregata al vicariato di Rovato, per poi passare, successivamente, a quello di Iseo. Venti anni dopo venne ricostruita la facciata e, nel 1907, fu sopraelevato il campanile. Nel 1989, con la riforma territoriale diocesana, la chiesa entrò a far parte della neo-costituita zona pastorale del Sebino. Infine, nel 2004 la parrocchiale venne ristrutturata. Nel 1479 la “comunità” di Passirano concorda di donare ai frati Servi della SS. Annunziata di Rovato il terreno per costruirvi una nuova chiesa dedicandola a San Rocco, come ex voto per la cessazione di una epidemia esiziale dilagata nel 1478. Il 16 maggio 1479 le autorità comunali, consegnarono una “capeletta” (intitolata presumibilmente ai santi Firmo e Rustico), e un terreno adiacente all'ordine dei Servi di Maria che ne presero subito possesso con sette frati serviti. Dal 1479 con l'arrivo dei frati, la struttura venne ampliata e inglobata in un piccolo monastero fino all'ottobre del 1656 quando in una nota del Nunzio Apostolico di Venezia si prescrive l’abbandono del conventino entro due giorni, con rientro dei frati nel convento di Venezia. Qualche anno dopo, il 19 maggio 1670, il Vescovo Marino Giovanni Zorzi (o Giorgi) fece nascere in San Rocco la nuova parrocchiale dedicata a San Zenone. Fu decretato inoltre che le vecchie chiese di S. Zeno e S. Pietro fossero dismesse e divenissero semplici oratori. Negli anni che seguirono, il vecchio conventino fu rimaneggiato per adattarlo a casa canonica, e la chiesa a 5 altari, senza l'attuale presbiterio, con il tetto a capanna (come si può presupporre dall'ex-voto del 1755), fu man mano sistemata e ampliata fin verso la fine del settecento. Una visione si può avere dalla pala dell'altare maggiore dedicata a San Zenone dipinta da Sante Cattaneo nell'ultimo decennio del '700, dove l'artista ha inserito anche la veduta con la chiesa dell'epoca. Nell'Ottocento con i parroci don G.B. Felini e don Ezechiele Davini, si avviò l'abbellimento della chiesa. Si rifece la pavimentazione, il presbiterio fu ampliato e l'abside arrotondata. L'architetto Antonio Tagliaferri progettò e segui i lavori di muratura dell'impresario Delbono che realizzò lesene e cornicioni e preparò l'intonaco al pittore Antonio Guadagnini e ai decoratori Ovidio Franchini e Carlo Chimeri.Nei primi anni del novecento il parroco don Luigi Falsina fece restaurare le pale d'altare da Paolo Bertelli. Inserì nuovi elementi: la statua di San Zeno eseguita da Umberto Bartoli; le pancate del clero eseguite dalla ditta Beneducci di Orzinuovi; dal Poisa fece restaurare la Madonna del Rosario di Stefano Lamberti; Fece decorare la canonica e restaurare al pittore Mario Pescatori l'affresco dell'altare di San Giuseppe. Nel 2019 il parroco don Luigi Guerini ha avviato e completato i lavori di restauro della chiesa, riportandola all'antico splendore. Di linee settecentesche fu rifatta nel 1903 sulla struttura esistente, con l’aggiunta sulla facciata a sud di un rivestimento in pietra alla base. Sulla facciata la vetrata che riproduce la Madonna dell'Abito di Antonio Paglia, eseguita dai fratelli Marengoni di Brescia nel 1931. Sul lato est la loggetta di inizio settecento con sei arcate e con la Cappella della Maternità che conserva: 52 ex-voto dedicati alla Madonna dell'Abito; la pala con i Santi Carlo Borromeo, Antonio da Padova e Gaetano da Thiene eseguita da Domenico Carretti (originariamente collocata all'altare di San Carlo nella chiesa); La lastra in rame eseguita da Francesco Zucchi su disegno di Antonio Paglia; la statua della Madonna di Claudio Botta. Sul lato ovest, dall'arco del portone si entra nel cortile dell'attuale canonica con il portichetto cinquecentesco dell'antico conventino. Dal lato nord le antiche strutture della sacrestia e l'Aula Capitolare seicentesca. Opere di pregio conservate all'interno della chiesa sono la pala dell'altare maggiore raffigurante la Madonna col Bambino assieme a San Zeno, dipinta sul finire del Seicento da Sante Cattaneo, l'altare ligneo del XVII secolo, impreziosito da una pala raffigurante l'Ultima Cena, eseguita da Antonio Guadagnini ed una statua lignea posta sull'altare della Madonna del Rosario con la Madonna ed il Bambino scolpita da Stefano Lamberti. Gli altari Sin dalla visita di Carlo Borromeo il 21 aprile 1580 tramite il delegato Ottaviano Abbiati de Foreriis, la chiesa aveva cinque altari: Altare maggiore in marmo policromo, su gradini e base in marmo rosso di Verona. Scaletta a due rampe in marmo Botticino sul retro. Anno: 1772. Sull'arco dell'abside la pala di Sante Cattaneo (a lui attribuita dal prof. Luciano Anelli) raffigurante la Vergine col Bambino e San Zenone. L'artista ha raffigurato alla sinistra della Vergine la parrocchiale e al lato destro il castello di Passirano. Altare della Madonna con statua lignea di Stefano Lamberti (1482-1538) (proveniente da S. Rocchino di BS?). L'altare fu realizzato su disegno di Domenco Vantini, architetto bresciano. Altare di S. Giuseppe, con il più antico affresco della chiesa, di autore sconosciuto, ma risalente forse alla fine del 1500 poiché già allora esisteva in S. Rocco una cappella dedicata al Santo Altare di S. Carlo, con dipinto a fresco di Antonio Guadagnini realizzato nel 1878-1879 a sostituzione del dipinto di Domenico Carretti ora nella chiesetta della Maternità. Altare del SS. Sacramento, opera lignea, di particolare pregio, con tela del Guadagnini rappresentante l’Ultima Cena, (a sostituzione di un dipinto di Stefano Viviani datato 1616) .Statue lignee di S. Pietro e di S. Zeno, scolpite con l’altare presumibilmente alla fine del ‘600. In apposito alloggio, sotto la pala, statua lignea del Cristo Morto del bresciano Poisa. Gli affreschi e le decorazioni Dal 1877 al 1883 la chiesa ha subito una trasformazione a livello decorativo. Il parroco dell'epoca don Gian Battista Felini aveva incaricato l'architetto Antonio Tagliaferri di progettare il restauro e l'abbellimento della chiesa. Incaricato delle pitture fu Antonio Guadagnini, pittore di Esine che aveva frequentato l'Accademia Carrara sotto la guida di Giuseppe Diotti, che affiancato da Ovidio Franchini, nel periodo dal 1877 al 1880 aveva realizzato nella navata numerose medaglie con relative decorazioni: L'adorazione dei Magi sulla controfacciata, dove si ritrae come un pastore. L'opera di grandi dimensioni ritrae nelle 13 figure anche i personaggi dell'epoca: G.B. Guarneri nel re col mantello bianco; l'architetto Presti nel re prostrato e le sorelle Presti nelle donne a fianco di Maria. I profeti Melchisedech ed Elia sempre nella controfacciata a fianco della finestra. L'incoronazione di Maria sulla volta La Trasfigurazione sempre sulla volta I 4 chiaro scuri raffiguranti con l'aiuto di Ovidio Franchini sulle pareti laterali: la consegna delle chiavi a Pietro; la conversione di Paolo; la Samaritana al pozzo e il battesimo di Cristo I Dottori della Chiesa sulle pareti a dividere gli altari: San Girolamo; Sant'Agostino; San Gregorio Magno; Sant'Ambrogio; Sant'Anastasio e San Giovanni Crisostomo. San Carlo che comunica l'ammalata sull'altare di San Carlo. In questa scena, più volte ripetuta dal Guadagnini in lavori nel bresciano, raffigura altri personaggi d'epoca: la maestra Faustini nell'ammalata; il curato don G.B. Ceni nel parroco con in braccio un fanciullo e il notaio G.B. Guarneri nel personaggio che seminascosto si tura il naso. In origine sopra l'altare di San Carlo c'era il dipinto di Domenico Carretti, ora nella cappella della Maternità. Ovidio Franchini realizzò i medaglioni in chiaroscuro, sempre su disegni del Guadagnini, sulla volta con angeli festanti. Dal 1880 al 1883 dopo che il mastro Delbono aveva finito la sistemazione dell'architrave che sorregge l'ingresso al presbiterio, il Guadagnini con Carlo Chimeri, che aveva sostituito il Franchini deceduto nel 1880, realizza i lavori del presbiterio e abside: La Resurrezione sulla cupola, dove Cristo col braccio sinistro teso indica la morte e il demone e col destro sorregge il vessillo mentre in basso i soldati impauriti si proteggono il volto dal bagliore dell'evento. I quattro evangelisti nei pennacchi della cupola. La Deposizione dalla Croce nel catino dell'abside. Sono diciotto le figure che riempiono la scena divise in 5 gruppi: Cristo calato dagli uomini; le pie donne; Maddalena che prepara il sudario; gli uomini che aprono il sepolcro e i soldati che da lato osservano. I Santi Faustino e Giovita ai lati dell'altare. Due angeli di fianco alla pala centrale. I Profeti Mosè e Aronne alle pareti del presbiterio. La chiesa è ricca di decorazioni: angeli attorno alle finestre; lesene e capitelli corinzi; cornici e festoni dorati opera dei fratelli Mora di Bergamo e finti marmi eseguiti da Carlo Chimeri che ha lasciato come firma numerosi animali mimetizzati nelle venature del marmo con la data '1883'. L'organo Nel 1882 Egidio Sgritta di Iseo presentava il progetto per la costruzione di un nuovo organo che andava a sostituire il vecchio che lui stesso aveva ritirato per lire 1000. Il nuovo organo fu collocato nella nicchia appositamente ampliata, di fronte alla cantoria, ed inaugurato nel 1883. Il progetto prevedeva 21 registri 23 'Istrumenti di concerto'. Il campanile e l'orologio Il campanile fu rinforzato alla base alla fine dell'Ottocento, e nel 1907 su progetto di Antonio Tagliaferri fu innalzato da 32 metri a 45. Contemporaneamente l'orologio voluto da don Felini e realizzato da Stefano Boldini di Rovato nel 1850, fu alzato affinché si potessero vedere il passare delle ore anche in lontananza. Le campane fuse nel 1839 da Giacomo Crespi di Cremona, nel 1942 furono requisite per scopi bellici e successivamente nel 1947 vennero ricollocate nuove 5 fusione istoriate con dediche delle famiglie committenti. Parrocchie della diocesi di Brescia Diocesi di Brescia Passirano Wikibooks contiene testi o manuali sulla disposizione fonica dell'organo a canne Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla chiesa di San Zenone Parrocchia di Passirano, su parrocchiadisanzenone.it. URL consultato il 10 agosto 2019.

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Passirano parrocchiale
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Passirano
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Passirano (Pasirà in dialetto bresciano) è un comune italiano di 6 914 abitanti della provincia di Brescia in Lombardia. Fa parte della rinomata regione vitivinicola della Franciacorta. Il paese è nato nel Medioevo quando si svilupparono i villaggi di Passirano Mattina e Passirano Sera intorno ai rispettivi castelli, feudi intestati alla famiglia dei Passirani che hanno preso il nome dall'abitato. Nel 1479 gli abitanti dei due centri sfuggiti ad un'epidemia di peste cedettero un terreno in località Dosso dei Budrioli ai Servi di Maria che da qualche anno avevano eretto il convento dell'Annunciata a Rovato, e qui costruirono il Santuario di San Rocco, a metà strada fra i due villaggi. Nel XVII secolo i frati abbandonarono il convento e con decreto del 19 maggio 1670 il vescovo Marino Giorgi fece nascere la nuova parrocchia di San Zenone. Col tempo intorno al santuario si andarono sviluppando nuove case tanto che nel XIX secolo i due centri si erano ormai fusi. Il santuario fu ampliato e diventò l'attuale chiesa parrocchiale di San Zenone. Alla fine dell'Ottocento il suo territorio comunale fu ampliato comprendendo la frazione di Monterotondo e negli anni trenta si aggiunse anche la frazione di Camignone. Lo stemma è stato riconosciuto con decreto del capo del Governo dell'11 agosto 1933. Il gonfalone, concesso con decreto del presidente della Repubblica del 29 dicembre 1995, è un drappo di giallo. Il castello di Passirano Sera è stato eretto a cavallo ta il X secolo e il XIV secolo per garantire un rifugio agli abitanti della zona in caso di attacco. È costituito da mura alte e massicce che formano una pianta quadrata realizzate in pietra di Sarnico a blocchi irregolari. All'esterno delle mura, un'alta torre a pianta quadrata. Due torri a pianta semicircolare contraddistinguono il recinto fortificato: una più alta verso Levante e l'altra più bassa a Ponente, detta anche "Torre della Specola" che nel XVIII secolo ospitava un osservatorio astronomico. Le merlature ghibelline risalgono al periodo seicentesco. Il castello era interamente circondato da un fossato che isolava la cinta muraria dal territorio circostante. Oggi la fossa non è quasi più visibile per essere stata quasi totalmente coperta e colmata. Il portale di accesso al castello è successivo e risale al XVIII secolo, periodo in cui il castello fu oggetto di alcune modifiche. Nei dintorni del castello sorgono due ville signorili: villa Fassati edificata nel XVIII secolo e villa la Tesea del XVI secolo. Al suo interno sono conservate alcune stanze più antiche a nord-ovest ed altre, più recenti, che fungono da deposito e da scuderie, ricavate sul finire del '700 come succursali della adiacente Villa Fassati. La chiesa di San Zenone fu costruita sul preesistente santuario di San Rocco nel Seicento. Conserva pitture interne realizzate nel XIX secolo da Antonio Guadagnini pittore di Esine (1817-1900), e la pala dell'altare maggiore raffigurante la Madonna col Bambino e San Zeno dipinta da Sante Cattaneo alla fine del XVIII secolo. Nell'altare della Madonna del Rosario è conservata una statua lignea con la Madonna ed il Bambino di Stefano Lamberti. Nella chiesa adiacente della Maternità sono conservati 60 ex voto dedicati alla Madonna dell'Abito e una incisione di Antonio Paglia. L'attuale facciata fu completata nel 1903. Abitanti censiti Nel territorio, oltre all'abitato principale, sono presenti due frazioni, riconosciute come tali dal comma 1 dell'articolo 4 dello statuto comunale: Monterotondo e Camignone. Sono inoltre presenti le seguenti località: Al Ponte; Baldossa; Bettole di Camignone, situate a nord della frazione, a ridosso del territorio di Monticelli Brusati; Bettolino di Monterotondo, a sud-ovest dell'omonima frazione, sul confine col comune di Corte Franca; Breda, cascina non lungi da Monterotondo, adibita a maneggio e scuola d'equitazione; Brognolo, cascina isolata a est, presso la zona industriale di Rodengo-Saiano; Cadei, parte di Vallosa; Cadenone, borgo costruito attorno all'omonima e antica cascina, sull'antica via romana che collegava Passirano a Polaveno (qui sono stati infatti rinvenuti alcuni reperti di epoca pre romana); Camignone di Sopra; Camignone di Mezzo; Camignone di Sotto, gruppo di abitazioni isolate, frapposte tra Passirano e Camignone propriamente detto; Campagna; Cantone di Sopra, antichissima contrada a nord-est del paese, costruita attorno ad antiche mura romane, e un castello più recente (alto medioevale), del quale oggi rimangono solo un quadrato di mura; Cantone di Sotto, vecchia contrada a sud-est, in direzione di Paderno Franciacorta, attorno alla tenuta Guarneri e alla antica chiesetta di San Pietro (oggi ormai perduta); Castello; Confaloniera, ossia la zona industriale nei pressi di Ospitaletto, a sud; Dosso; Egitto, nome di una piccola località di Camignone di Sotto; Europa, la zona del comune immediatamente circostante la piazza omonima, che comprende la corte della stessa e i cortili del comune e degli uffici attorno; Piazze, borgo a ridosso di via Roma, che congiunge il centro del paese alla stazione e alla località Vallosa, a sud. L'antico centro di questa contrada anticamente adibita a mercato è la chiesiola di Sant'Anna, nella quale si celebrano le festività che cadono il giorno di sant'Anna; Rondinella, zona di villeggiatura costituita da case nuove e posizionata tra la stazione e le Piazze; San Faustino, contrada rettilinea posizionata ai piedi della collina "Monte Delma di Camignone", che congiunge Camignone alla località, più ad est, di Valenzano; San Rocco, la località immediatamente dietro la parrocchiale, che prende il nome dall'omonimo convento costruito nel XIV secolo in epoca della Peste; Valenzano, antichissima località tradizionalmente legata alla coltura e alla vendita dei prodotti vinicoli. Si trova a nord-est di Camignone; Vallosa, gruppo disomogeneo di cascine a sud della stazione e dell'abitato principale, in direzione di Barco (frazione di Cazzago San Martino). L'abitato principale, Passirano, fino a qualche decennio fa si distingueva in due villaggi: Passirano di sera e di mattina. Il primo si suddivideva in due contrade: di sopra e di sotto. A sua volta, Passirano di mattina si suddivideva in due cantoni: superiore e inferiore. Carlo Perogalli, Enzo Pifferi e Angelo Contino, Castelli in Lombardia, Como, Editrice E.P.I., 1982. Stazione di Passirano Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Passirano Wikivoyage contiene informazioni turistiche su Passirano Sito ufficiale, su comune.passirano.bs.it. Passirano, su sapere.it, De Agostini.

Stazione di Passirano
Stazione di Passirano

La stazione di Passirano è una stazione ferroviaria della linea Brescia-Iseo-Edolo a servizio dell'omonimo comune. È posta a meridione del centro abitato in prossimità della località Vallosa. È gestita da Ferrovienord. La stazione fu aperta nel 1911 con la denominazione di Passirano-Paderno. Essa era l'unico scalo dell'originario raccordo Bornato-Paderno il quale congiungeva la Iseo-Rovato con la vecchia Brescia-Iseo. Nel progetto originario, la stazione non era prevista, ma fu richiesta dal comune di Passirano nel 1910 allo scopo di dotare l'abitato meridionale di una seconda stazione oltre a quella già esistente, denominata Passirano o Passirano Superiore, che si trovava dietro la chiesa parrocchiale. Secondo quanto riportato dal Donni (1995), la motivazione della richiesta dipendeva dalla volontà dell'amministrazione municipale di non escludere il comune dal probabile instradamento dei traffici dalla vecchia alla nuova linea. Le paure dell'amministrazione ebbero conferma nel 1931, quando si chiuse l'esercizio sulla linea vecchia tra la stazione di Paderno e quella di Iseo. Tra il 1941 e il 1945, con la dismissione e il disarmo di questa ferrovia e la conseguente chiusura della Passirano Superiore, la stazione assunse l'attuale denominazione. Il fabbricato viaggiatori ha l'impostazione da stazione secondaria SNFT, impresenziata. Il piazzale è composto da due binari di corsa, serviti da due banchine collegate mediante attraversamento a raso del primo binario. L'impianto presenta inoltre un binario tronco, a servizio di un magazzino in disuso. Un terzo binario passante, privo di banchina, è stato soppresso. La stazione, oltre alla sala d'attesa, era dotata di bagni che in seguito ad atti di vandalismo sono stati chiusi al pubblico. La struttura dei servizi è ancora presente, ma inaccessibile. La stazione è servita dai treni regionali (R) in servizio sulla relazione Brescia-Iseo e Brescia-Breno, eserciti da Trenord nell'ambito del contratto di servizio stipulato con la Regione Lombardia. La stazione dispone di: Sala d'attesa (attualmente chiusa) Gianni Donni, Monterotondo di Passirano - Un borgo antico in Franciacorta, Brescia, Edizioni Brixia, 1995. ISBN non esistente Mauro Pennacchio, La meccanica viabilità - La ferrovia nella storia del lago d'Iseo e della Vallecamonica, Marone, Fdp Editore, 2006.. ISBN 889027140X. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su stazione di Passirano Ferrovienord.it - Stazione di Passirano, su ferrovienord.it (archiviato dall'url originale il 21 ottobre 2013).

Camignone
Camignone

Camignone (Camignù in dialetto bresciano) è una frazione del comune bresciano di Passirano. La località è un piccolo villaggio agricolo di antica origine. Camignone divenne frazione di Rodengo su ordine di Napoleone, ma gli austriaci annullarono la decisione al loro arrivo nel 1815 con il Regno Lombardo-Veneto. Dopo l'unità d'Italia il paese crebbe da meno di seicento a più di settecento abitanti. Fu il fascismo a decidere la soppressione del comune unendolo a Passirano. Camignone si trova a nord di Passirano ed è posto a 226 m sul livello del mare. Il nome, per alcuni deriverebbe da Cà minor (casa minore) o da Caminus (camino di fornace) oppure, per altri, da un nome di persona Caminio. L’ipotesi più accreditata è la derivazione da Cà minor (del Guerrini), in quanto collegata, come casa monastica minore, al monastero cluniacense di Rodengo. Fin dall’epoca romana Camignone doveva far parte di un pago romano in quanto Valenzano, un gruppo di abitazioni con edifici di rilievo e una chiesa situato ad est verso Brescia, era probabilmente la villa suburbana di qualche ricco patrizio della "gens Valentia". Valenzano è forse l’insediamento più antico di tutto il territorio comunale. Attorno a questo primo insediamento perciò, si sviluppa il comune medioevale di Camignone e, verso il 1000, vi sorge una casa colonica dei monaci cluniacensi, che, trovandosi presso le vie di comunicazione, ospitava viandanti e pellegrini. Lungo la strada provinciale sorgeva un gruppo di case con una casa d’albergo (bettola – posta nella zona dell’attuale Via Bettole) che indicavano la presenza di una antica diaconia, che si trasformerà poi nella Parrocchia di Camignone. Una vera comunità sorse nel X secolo quando si formò una vicinia e sorse un castello o una rocca in località San Lorenzo dove si possono vedere ancora alcune forme architettoniche. È di questa epoca la presenza di una famiglia importante e potente, quella dei Camignoni che, trasferitasi a Brescia nel 1113 diede il nome a una via della città. La vita ecclesiastica di Camignone gravitò attorno alla pieve di Bornato fino al XV secolo, periodo in cui si sviluppò autonomamente attorno alla chiesa di San Lorenzo in castro. Oltre alla chiesa parrocchiale dedicata a San Lorenzo, ampliata e completata con la grande scalinata a fine ottocento, è presente la quattrocentesca chiesa di San Faustino in monte, posta sul monte di Valenzano, ma già nel 1567 in decadimento. Da segnalare la costituzione del "Monte frumentario" verso la metà del 1500, eretto per aiutare la popolazione di Camignone e Valenzano, trasformato nel 1882 nella "Cassa dei prestiti Agrari". Lombardia Beni Culturali, su lombardiabeniculturali.it.

Paderno Franciacorta
Paderno Franciacorta

Paderno Franciacorta (Padérem in dialetto bresciano) è un comune italiano di 3 652 abitanti della provincia di Brescia in Lombardia. Paderno Franciacorta sorge nell'alta Pianura Padana, e appartiene al territorio della Franciacorta. Il territorio è delimitato a nord dalle Prealpi Bresciane, è pianeggiante a sud ed in collina nella zona centro storico. Con la D.G.R. 11 luglio 2014, n. X/2129, è stato pubblicato l’aggiornamento della classificazione sismica dei Comuni della regione Lombardia. La delibera, che avrebbe dovuto entrare in vigore il 14 ottobre 2014, contiene la nuova classificazione sismica e la nuova cartografia. È funzionale anche al riordino delle disposizioni regionali relative alla vigilanza delle costruzioni in zona sismica e dispone che i Comuni riclassificati aggiornino la componente sismica degli studi geologici di supporto agli strumenti urbanistici. Paderno Franciacorta è in zona 3, ovvero di bassa sismicità. Il castello di paderno è stato costruito probabilmente nell'anno 1009 per difendere persone e bestiame dagli attacchi degli ungari. Dopo l'invasione francese delle truppe di Enrico VII nel XV secolo si stima che a Paderno la popolazione rimasta fosse di soli 52 abitanti contro i quasi 500 di prima dell'occupazione. Il castello ha subito pesanti modifiche nel XX secolo. Lo stemma e il gonfalone sono stati concessi con D.P.R. del 24 maggio 1964. Il gonfalone è un drappo partito di bianco e di rosso. Abitanti censiti Stazione di Paderno Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Paderno Franciacorta Sito ufficiale, su padernofranciacorta.net. Sito ufficiale, su comune.padernofranciacorta.bs.it. Padèrno Franciacórta, su sapere.it, De Agostini.

Stazione di Paderno

La stazione di Paderno è una fermata ferroviaria della linea Brescia-Iseo-Edolo a servizio dell'abitato di Paderno Franciacorta. Fu aperta il 21 giugno 1885 assieme alla ferrovia Brescia-Monterotondo-Iseo. Dal 1911 fino al 1945, la fermata si trovò al centro di due linee ferroviarie: la vecchia Brescia-Iseo e il raccordo Bornato-Paderno, quest'ultimo corrispondente all'attuale Brescia-Iseo. Tra il 1911 e il 1920, presso questa stazione terminavano le corse provenienti da Bornato-Calino che garantivano la coincidenza con i convogli che da Edolo erano diretti a Rovato. Paderno era anche capolinea delle corse destinate alla stazione cazzaghese, le quali erano in coincidenza in partenza, con i convogli provenienti da Brescia e destinati a Monterotondo e a Iseo, e in arrivo, con quelli provenienti da Rovato e destinati ad Edolo. Dopo il 1920, con l'istituzione della relazione Brescia–Bornato–Iseo– Edolo, e fino al 1931 l'impianto fu capolinea delle corsette dirette ad Iseo via Monterotondo. Nel secondo dopoguerra, il binario di quest'ultima relazione fu definitivamente disarmato. Lo stile del fabbricato viaggiatori è il medesimo delle fermate della vecchia linea Brescia-Iseo. Il lato campagna dell'edificio è orientato verso l'attuale linea ferroviaria, poiché al momento della costruzione la linea originale passava dal lato opposto. Il piazzale è composto dal solo binario di corsa, servito da una banchina. Fra l'edificio e la banchina è presente un binario tronco, utilizzato da Ferrovienord per la sosta dei mezzi di manutenzione. La stazione è servita dai treni regionali (R) in servizio sulle relazioni Brescia-Iseo e Brescia-Breno, eserciti da Trenord nell'ambito del contratto di servizio stipulato con la Regione Lombardia. La stazione dispone di: Sala d'attesa Biglietteria a sportello Mario Bicchierai, Quel treno in Valcamonica - La Brescia-Iseo-Edolo e le sue diramazioni, in Mondo ferroviario, vol. 67, gennaio 1992, pp. 6-73. Gianni Donni, Monterotondo di Passirano - Un borgo antico in Franciacorta, Brescia, Edizioni Brixia, 1995. ISBN non esistente Mauro Pennacchio, La meccanica viabilità - La ferrovia nella storia del lago d'Iseo e della Vallecamonica, Marone, Fdp Editore, 2006.. ISBN 889027140X. Ferrovienord.it - Stazione di Paderno, su ferrovienord.it (archiviato dall'url originale il 21 ottobre 2013).

Chiesa di San Bernardo (Provaglio d'Iseo)
Chiesa di San Bernardo (Provaglio d'Iseo)

La chiesa di San Bernardo è un luogo di culto cattolico di Provaglio d’Iseo, in provincia di Brescia, sito nella contrada Zurane. La consacrazione è a San Bernardo, fondatore nel XII secolo dell’Ordine Cistercense. La costruzione della chiesa di San Bernardo cominciò verso la metà del XV secolo e terminò agli inizi del XVI secolo. Nonostante ciò, nel 1496 risultano già officiate delle S. Messe. La chiesa fu eretta dove si ipotizza fosse ubicato un elemento fortificato, probabilmente una torre con funzione di difesa e avvistamento del XIV secolo. I resti dei muri di tale struttura tardo medievale tracciano una base quadrangolare di discreto spessore murario in corrispondenza della parete antistante l’attuale abside, risultando ancora oggi visibili esternamente lungo la parete del lato meridionale dell’edificio. Si presume che la torre facesse parte di un sistema fortificato e di controllo dell’antica arteria Brescia-Iseo, comprendente il castello del Pian delle Viti, ubicato sul vicino monte Cognolo, e le due contrade “Guarda” e la località “Castelletto”, sempre nelle vicinanze, i cui nomi derivano da strutture di difesa e avvistamento. La torre, come il castello, fu smantellata verso la fine del XV secolo a causa delle nuove condizioni politiche imposte dal dominio della Repubblica di Venezia. I resti murari furono dunque sfruttati per costruire la chiesa affinché essa svolgesse un ruolo ausiliario per la celebrazione delle S. Messe per gli abitanti dell’antico nucleo abitativo di Zurane, poiché la chiesa parrocchiale dell’epoca, il monastero di San Pietro in Lamosa, era ubicata in un’area distante del paese. La chiesa era ufficiata da due Cappellani del clero secolare salariati dal Comune, con offerte dei contradaioli (nel 1599 si annota che essi pagarono con un salario di 40 scudi il sacerdote per celebrare ogni giorno le funzioni religiose) e con il reddito dei legati Scolari Gio Battista, Reccagni Maria di Civerna, Stefano Scolari, Scolari Gio Battista q. Girolamo, Scolari don Bortolo. L’edificio presenta la struttura tipica delle chiese rurali del XV secolo. Ha una navata unica scandita da archi trasversali a sesto acuto, posanti su piedritti sporgenti verso l’interno a sostegno delle travature lignee primarie e secondarie della copertura. La facciata ha un profilo a campana e una finestra centrale, la cui forma tonda originaria fu modificata nel XVII secolo in una rettangolare arcuata. L’abside ha una pianta quadrangolare dal XVII secolo, quando venne variata la forma circolare d'origine. Il soffitto è costituito da travi lignee e tavelle in cotto. Nel corso del XVI secolo la chiesa fu soggetta a operazioni di conservazione, rassetto, decorazione e arredamento. Nel 1567, durante una visita pastorale, il vescovo Bollani impose che l’edificio venisse ripulito, le pareti imbiancate, il tetto completato con le tavelle, le finestre dotate di una ferrata, la porta adattata e mantenuta chiusa. Prescrisse inoltre per l’altare maggiore gli arredi e i paramenti, per gli altari di San Gottardo e di Santa Caterina un’inferriata per cingerli e degli ornamenti, per l’altare di San Firmo un’inferriata come recinzione e per tutti i restanti altari lo smantellamento. L’altare di San Firmo era ubicato esternamente all’edificio. Questo nel corso del XVI secolo rischiò più volte di essere demolito. Nel 1573 per disposizione del vescovo Pilati ma gli abitanti del luogo si opposero e decisero di conservarlo ponendo un recinto di legno attorno ad esso. Nel 1580 a seguito della visita pastorale del cardinale Carlo Borromeo (San Carlo), che ne impose la demolizione perché voleva impedire l’usanza di condurre gli animali intorno alla chiesa durante la festa di San Firmo, e indicò inoltre di trasferirne il titolo all’altare maggiore. Il cardinale prescrisse al Vicario Foraneo e al Curato di adottare le condanne e sanzioni previste affinché la festa fosse epurata da tradizioni pagane e celebrata con devozione, secondo le norme dettate dal Concilio di Trento. Inoltre, il cardinale appuntò la presenza di sei altari sconsacrati e ne ordinò la soppressione, salvo per quello posto in prossimità della porta in una cappella, a condizione che venisse recintato e ridotto alla forma stabilita. Nel 1599 si ordinò di nuovo di rimuovere tutti gli altari tranne quello di San Firmo purché ridotto alla forma stabilita e dotato di icona e degli arredi necessari. Sul lato settentrionale, tra la controfacciata e i primi due arconi, si trovano due grandi affreschi, datati XVI secolo, ritraenti uno la Madonna che allatta e l’altro un cavaliere in mezzo a due cavalli fronteggianti a cui sorregge una zampa anteriore. Avanzando sul lato settentrionale vi è la prima campata che ospita un affresco a struttura di polittico. Questo presenta nella lunetta superiore l’Annunciazione, al centro in una loggetta sostenuta da pesanti pilastri con archi a tutto sesto, San Benesio, San Fermo e San Rocco, e nei riquadri inferiori tre episodi della vita del Beato Simonino da Trento (Simonino dormiente, la scena del martirio e Simonino con in mano il vessillo del Cristo Risorto e la palma del martirio). La fascia centrale è datata 1597, mentre la lunetta superiore e il registro inferiore risultano precedenti, tra la fine del XV secolo e l’inizio del XVI secolo. A questo periodo risalgono anche gli altri affreschi raffiguranti il Beato Simonino da Trento a figura intera retta, impugnante la palma del martirio o un coltello affilato. Questi affreschi, ubicati sui piedritti lungo il lato settentrionale e meridionale della chiesa, furono riscoperti durante i lavori di restauro fra la fine del XX secolo e l’inizio del XXI. Secondo gli storici Alessandro Barbero e Chiara Frugoni se la chiesa di un territorio presenta un’immagine del Beato Simonino da Trento, si può presumere che questo sia stato centro di un’accesa predicazione antiebraica o perfino di persecuzioni contro gli ebrei. Nel XVII secolo, per disposizione dei vescovi locali, la chiesa di San Bernardo fu ordinata seguendo i precetti sanciti dal Concilio di Trento. Nel 1616 fu comunicato che la chiesa avrebbe ricevuto l’interdetto se non si fosse smantellato l’altare esterno di San Firmo, sistemato il confessionale, l’edificio e il tetto con tegole. La finestra della facciata da una forma circolare venne mutata in forma rettangolare arcuata, mentre le altre finestre vennero otturate. Il portale venne sostituito con uno in pietra di Sarnico, datato 1611. Venne ampliata la pianta dell’abside, la cui forma da circolare divenne quadrata, per garantire spazi più adeguati per le funzioni religiose. Tra le due finestre dell’abside fu posto un nuovo altare maggiore in stile barocco dedicato a San Bernardo. Questo è in muratura con il paliotto in scagliola con decorazioni geometriche e floreali e recante, al centro, l’immagine della Madonna del Rosario. La pala d’altare ritrae, dipinti su tela, la Beata Vergine Maria con Bimbo fra gli angeli, San Firmo impugnante lo stendardo raffigurante un bovino, San Bernardo con abiti monastici cistercensi e due Sante. La pala d’altare è racchiusa da una soasa dorata e policroma data da una struttura lignea ricoperta da un sottile strato di stucco. I sei altari registrati dal cardinale Carlo Borromeo vennero eliminati. Infine, in corrispondenza della parete della controfacciata e del lato settentrionale venne costruito il campanile. Tra la seconda metà del XVII secolo e i primi anni del XVIII secolo vennero realizzate le due tele con cornice poste in controfacciata. La tela a destra ritrae la Madonna con San Giovanni Nepomuceno e San Antonio da Padova, mentre la tela a sinistra riproduce un’apparizione della Vergine. A questo periodo risalgono anche il pulpito, la cantoria, le cassepanche, il mobilio e il piccolo altare situato presso il lato meridionale. Nel 1771 fu costruito l’altare di San Gottardo sul lato settentrionale tra il secondo e il terzo arcone. L’altare è in muratura ricoperto da stucco, con il paliotto sempre in stucco variegato. La soasa, in legno, racchiude la pala d’altare recante un dipinto su tela della Madonna con San Gottardo e San Francesco di Paola. La tela copre un affresco del XVI secolo raffigurante San Gottardo con abiti vescovili e il pastorale. Risalente al XVIII secolo è anche una statua dorata della Madonna posta in una nicchia nella seconda campata sulla parete meridionale. La chiesa subì una ristrutturazione tra il 1810 e il 1850. Venne edificata la sacrestia, assestato il tetto e realizzata una pavimentazione in cotto lombardo. Nel XX secolo il manto stradale antistante la chiesa venne abbassato, questo comportò la messa in posa di gradini in cemento dinanzi al portone d’entrata. Nel 1994 l’Amministrazione Comunale finanziò una serie di interventi di consolidamento statico della struttura, la sostituzione dell’impianto di illuminazione e il rifacimento del tetto. Dal 1998 al 2012 il Comitato Pro San Bernardo avviò, con la collaborazione della Scuola di Restauro ENAIP di Botticino, gli interventi di restauro e conservativi degli apparati d’altare, delle tele, delle decorazioni murali e di alcuni manufatti lignei. In quest’occasione vennero riportati alla luce affreschi del XVI secolo, tra cui altre rappresentazioni del Beato Simonino da Trento (datati tra la fine del XV secolo e l’inizio del XVI secolo), San Antonio col fuoco su una mano e Sant’Agata coi seni tagliati. Barbero A. e Frugoni C., Medioevo. Storia di voci, racconto di immagini, 4ª ed., Roma-Bari, Editori Laterza, 2015, ISBN 978-88-581-1929-7. Donni G., Provaglio e i Provagliesi, Provaglio d’Iseo (BS), Litografia La Cartotecnica, 1998. Fappani A., ad vocem Provaglio d’Iseo, in Enciclopedia Bresciana, Vol. XIV, Brescia, La Voce del Popolo, 1997. Fondazione Culturale San Pietro in Lamosa Onlus, Chiesa di San Bernardo. Provaglio, in La Mappa Del Tesoro. Materiali Per Un Museo Nel Territorio, Scheda 1, Provaglio d’Iseo (BS), Litografia La Cartotecnica, 2004. Fondazione Culturale San Pietro in Lamosa Onlus, Gli affreschi del Beato Simonino. Provaglio, in La Mappa Del Tesoro. Materiali Per Un Museo Nel Territorio, Scheda 23, Provaglio d’Iseo (BS), Litografia La Cartotecnica, 2006. Monastero di San Pietro in Lamosa Provaglio d'Iseo Simonino di Trento Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su chiesa di San Bernardo Chiesa di San Bernardo, su BeWeB, Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici della Conferenza Episcopale Italiana. Chiesa di San Bernardo (Provaglio d’Iseo BS), su lombardiabeniculturali.it, Sistema Informativo Regionale dei Beni Culturali (SIRBeC) – Regione Lombardia

Abbazia di San Nicola (Rodengo-Saiano)
Abbazia di San Nicola (Rodengo-Saiano)

L'abbazia olivetana di San Nicola a Rodengo-Saiano, in Franciacorta, è un complesso religioso di grande rilevanza spirituale e di notevole interesse storico-artistico. L'abbazia fu fondata dai monaci cluniacensi - congregazione dell'Ordine di San Benedetto - verso la metà dell'XI secolo. Le più antiche attestazioni documentate dell'esistenza del monastero risalgono agli anni 1085-1090; un altro documento del 1109 fa menzione della dedicazione a san Nicola, che rimarrà inalterata nel tempo. La ubicazione del monastero fu posta su un quadrivio romano, che portava alla città e serviva da ostello per i pellegrini in viaggio per Roma. Il sito era già stato occupato in età romana ed altomedievale, come documentato da scavi archeologici hanno portato alla luce i resti di un muro romano e di una capanna longobarda. Lo sviluppo del monastero - come quello di altri cenobi cluniacensi presenti in Franciacorta- avvenne inizialmente per impulso della importante badia di Pontida e di quella di San Paolo d'Argon. Il monastero di Rodengo affermò presto una propria autonomia, in connessione anche con lo sviluppo economico dovuto alle molteplici donazioni ed acquisti di proprietà terriere. Come per tutti gli altri monasteri benedettini la gestione di tali proprietà fece subito riferimento all'ausilio di fratelli conversi. Già nella seconda metà del XIII secolo, tuttavia, lo sviluppo spirituale ed economico del monastero si era arrestato. Documenti relativi alle adunanze capitolari riferiscono di un numero di monaci e di conversi che non arrivava a dieci persone. Alla fine del XIV secolo si arrivò alla installazione di un abate commendatario al posto di quello nominato dall'ordine cluniacense; ma tale evenienza non arrestò - anzi accelerò – la decadenza del monastero. Le autorità che avevano voce in capitolo (dal papato, alla diocesi di Brescia, alla Repubblica di Venezia che aveva inglobato i territori bresciani, alla municipalità di Rodengo) si trovarono spesso in disaccordo sulle scelte relative alla gestione del monastero. Nel 1446, per volere di papa Eugenio IV, la primitiva abbazia fu affidata agli olivetani. Aspri contrasti segnarono la rinuncia ai propri privilegi da parte dell'ultimo abate commendatario, e solo nel 1450 il passaggio del monastero agli olivetani divenne definitivo. Iniziò subito una forte ripresa delle fortune spirituali ed economiche del monastero. Fu consolidato l'impiego delle proprietà terriere ed altre vennero acquisite anche attraverso i lavori di bonifica dei terreni paludosi circostanti. Fin dal 1450 si assunse la decisione di riedificare il complesso abbaziale, a cominciare dalla chiesa di San Nicola, interamente ricostruita nel luogo ove sorgeva la vecchia chiesa cluniacensa. Il progetto di ampliamento delle strutture architettoniche riguardò presto anche la costruzione del chiostro occidentale e del chiostro grande, (rifatto poi nel 1560-70, con l'ampliamento dei piani superiori), e progressivamente interessò tutto il monastero. I priori olivetani si mostrarono subito consapevoli della importanza della azione intrapresa e furono attenti a valersi della collaborazione dei più importanti artisti bresciani. Il fervore di opere costruttive si protrasse per circa tre secoli dando luogo ad uno dei complessi abbaziali artisticamente più significativi dell'Italia settentrionale. Nel Cinquecento furono coinvolti pittori come il Romanino, il Moretto, Lattanzio Gambara e Grazio Cossali; in epoche successive troviamo impegnati i pittori Gian Giacomo Barbelli, Giovan Battista Sassi ed altri. Di grande pregio sono anche alcune opere lignee (come il coro a tarsie realizzato da Cristoforo Rocchi nel 1480), opere marmoree ed in ceramica (come le decorazioni del chiostro maggiore). Nel 1797 il Governo Provvisorio di Brescia, in virtù delle leggi napoleoniche, decretò la soppressione del monastero e la sua assegnazione all'Ospedale femminile di Brescia. Dopo un lungo periodo di decadenza, nel 1969 l'abbazia è tornata, per interessamento di papa Paolo VI ai monaci olivetani. Si è da allora avviata – con il sostegno della Sovrintendenza di Brescia e di numerose associazioni – un'ininterrotta opera tesa a riportare il complesso architettonico al suo antico splendore. Costruita a partire dalla metà del XV secolo, la chiesa dell'abbazia, intitolata a San Nicola, venne a più riprese ampliata e modificata nelle sue strutture e negli apparati decorativi. Dell'aspetto che presentava l'edificio quattrocentesco si è conservata soprattutto la facciata, con la sua semplice forma a capanna, racchiusa ai lati da due robusti piloni. Quattrocentesca è anche la decorazione in maiolica gialla e verde che corre lungo la linea del tetto Al di sotto di tale decorazione in maiolica ancora si intravedono le tracce di un affresco raffiguranti due angeli in volo, al centro dei quali si apriva una monofora ad arco a sesto acuto. Quattrocentesco è il portale realizzato in pietra simona, decorato con motivi vegetali e con tondi a bassorilievo posti sull'architrave. Esso è sormontato da una lunetta nella quale era posto un affresco della Madonna col Bambino, già attribuito al Foppa. Il protiro con volta a crociera che protegge l'ingresso è opera posteriore. Anche il finestrone mistilineo posto al centro della facciata è posteriore, databile ai primi decenni del settecento, secolo nel quale la chiesa fu oggetto di una risistemazione in stile barocco. La struttura architettonica interna lascia ancora intuire la originale soluzione quattrocentesca che, con le campate suddivise da archi traversi e con l'ampio presbiterio quadrato, rimanda ad analoghe soluzioni visibili in alcune chiese coeve presenti nel territorio bresciano. Le pareti della chiesa sono impreziosite da un'ininterrotta decorazione a fresco - realizzata nel terzo decennio del Settecento da artisti prevalentemente di area milanese, Giovan Battista Sassi, Giacomo Lecchi e Giuseppe Castellini – composta da finte architetture, da medaglioni, e da motivi vegetali che inquadrano narrazioni agiografiche. Notevole è l'apparato decorativo delle sei cappelle che si aprono sulla sinistra della chiesa. Nella prima cappella, detta del Santissimo Sacramento, troviamo una pregevole pala d'altare di G.B. Sassi raffigurante la SS. Trinità con il trionfo della Croce. Nella cappella seguente, detta di San Pietro, è possibile ammirare una pala del Moretto raffigurante Gesù in gloria consegna le chiavi a san Pietro e il libro della dottrina a san Paolo. La pala, di dimensioni non molto ampie, è databile dopo il 1540: essa è stata qui impiegata dopo un lavoro di risagomatura ed il suo inserimento in una cornice settecentesca. Il dipinto celebra con grande attenzione didascalica la solidità della Chiesa e della sua missione pastorale, affidata direttamente da Gesù ai due santi che ne costituiscono le colonne portanti. Le figure dei santi che si ergono maestosamente verso il Cristo occupano la maggior parte della scena; sullo sfondo, per dare profondità al dipinto, si profila un paesaggio pieno di luce e di poesia.Nella stessa cappella, sulle pareti laterali, sono collocate due opere del Sassi (1730) riferite rispettivamente ai due santi raffigurati nella pala d'altare: Quo vadis Domine? e S. Paolo di fronte al Dio Ignoto. Nella cappella del Rosario troviamo ancora tele del Sassi: una Madonna del Rosario sull'altare e, ai lati, una Annunciazione ed una Visitazione. Nella cappella di san Bernardo Tolomei, fondatore della congregazione di Monte Oliveto Maggiore, troviamo, al centro, una pala d'altare di incerta attribuzione con la figura del Santo; ai lati tele del Sassi con episodi della sua vita. Alquanto suggestiva è la scena di san Bernardo Tolomei che dà sepoltura ai morti della peste che colpì Siena nel 1348. Nella cappella di Santa Francesca Romana, fondatrice delle Oblate di Tor di Specchi, sono poste tele del Sassi, tra cui un notevole San Benedetto in gloria con Santa Francesca Romana e un Angelo La sesta cappella, priva di altare e decorata con finte architetture, è dedicata a Maria Bambina. Custodisce un'urna ottagonale con il Simulacro di Maria Bambina, oggetto di speciale devozione da parte degli olivetani. L'altare maggiore della chiesa è stato realizzato nel 1668 ad opera di Paolo Sambinelli detto il Puegnago. Ai lati del presbiterio, in posizione simmetrica, a metà delle pareti, sono poste due cantorie: quella di destra ospita un organo, mentre quella di sinistra è decorata con un seicentesco affresco raffigurante Santa Cecilia all'organo, attribuito al pittore cremasco Gian Giacomo Barbelli. Al centro dell'abside è posta una pala seicentesca raffigurante la Madonna col Bambino ed i santi Nicola e Benedetto. Notevolissimo è il coro a tarsie addossato all'abside, opera di Cristoforo Rocchi, datata 1480. Riprendendo un impianto decorativo molto stimato in quell'epoca (come testimoniano tra l'altro le superbe tarsie di Fra Giovanni di Verona a Monte Oliveto Maggiore) il coro monastico è formato da sedici sedili con schienali che ripetono, quasi identiche, le raffigurazioni ad intarsio della prospettiva di una corte con pavimentazione a scacchiera. Al centro del coro trovava posto un magnifico leggio in legno (con intarsi ricavati probabilmente da disegni del Romanino), opera di Raffaele da Brescia (datato circa 1530), ora conservato presso la Pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia. Nella chiesa è oggi collocata anche la grande tela di Grazio Cossali, firmata e datata 1608, raffigurante le Nozze di Cana. Essa era posta in precedenza sulla parete di fondo del refettorio, a coprire l'affresco di inizio Cinquecento della Crocifissione. Il dipinto, di grande qualità artistica, denuncia il debito artistico dell'autore verso Antonio Campi Altre opere di notevole interesse artistico sono conservate nella sacrestia, a cominciare dalla porta decorata da trentun formelle intarsiate, opera realizzata (alla pari degli stalli del coro) da Cristoforo Rocchi. Occorre tuttavia osservare come, secondo alcuni, l'autore degli intagli della porta sarebbe Raffaello da Brescia. L'interno alquanto spazioso e luminoso della sacrestia ospita un cospicuo arredo ligneo ed un elegante apparato decorativo a fresco. Tra le due finestre troviamo un affresco cinquecentesco raffigurante la Madonna col Bambino affiancata dai Santi Nicola e Benedetto, opera appartenente al manierismo bresciano vicina ai modi stilistici di Lattanzio Gambara. Il contributo più importante all'apparato decorativo della sacrestia viene dalla mano di Gian Giacomo Barbelli: suoi sono gli affreschi posti nelle undici lunette sulle pareti, con episodi della Vita di San Benedetto (tratti dai Dialoghi di San Gregorio Magno), sue sono le decorazioni del soffitto al centro del quale campeggia il grande affresco con la SS Trinità adorata da San Benedetto, dal Beato Bernardo Tolomei, da Santa Scolastica e da Santa Francesca Romana Maestro orafo lombardo, Pace di Rodengo, inizio XVI secolo, oggi al Museo di Santa Giulia, Brescia Uno degli elementi che maggiormente caratterizzano l'Abbazia di Rodengo è dato dalla presenza di tre chiostri rinascimentali, realizzati con continuità, a partire dagli ultimi decenni del XV secolo, in un arco di tempo di un centinaio di anni. Il chiostro piccolo, posto in prossimità della chiesa, è verosimilmente quello avviato per primo, utilizzando anche materiale proveniente dal preesistente chiostro cluniacense. Le dimensioni ridotte, le linee di grande semplicità dei suoi corridoi e delle sue arcate con cordonature in cotto, l'aspetto ancora goticizzante dato dalle diverse forme dei capitelli a fogliami, conferiscono all'ambiente un'atmosfera di notevole raccoglimento. Il chiostro grande (o chiostro del Cinquecento) si connota per la elegante maestosità, dei due loggiati sovrapposti: quello inferiore, con dieci archi per lato, e quello superiore che corre, con archi raddoppiati, lungo tre lati della pianta quadrata. La qualità estetica del chiostro, di gusto pienamente rinascimentale, è impreziosita da una decorazione in maiolica che compone il cornicione che occupa ininterrottamente il lato meridionale. Al centro del prato è posta una pergola in ferro battuto. Si affacciano sul chiostro quelli che earano i locali di servizio dell'abbazia (la cucina, il pozzo e l'acquaio, il forno, la foresteria, ecc.). Vi si affaccia inoltre la cosiddetta "sala Sansone" che prende il nome dagli affreschi, opera di un artista bresciano del XVI secolo, che ne adornano la parete centrale e le lunette, aventi come tema le imprese dell'eroe biblico. Il chiostro della cisterna (o chiostro delle meridiane) fu realizzato all'incirca nel decennio 1580 -90. La struttura architettonica, con archi sorretti da colonne binate poggianti direttamente sulla pavimentazione, è improntata ad un gusto tardorinascimentale poco diffuso in territorio bresciano. Al centro del cortile acciottolato, su un basamento di tre scalini, poggia un pozzo di ferro battuto (costruito in un periodo più tardo). Caratteristica è la presenza di tre meridiane su tre lati diversi del chiostro; la più elegante, datata 1648, mostra lo stemma degli olivetani (monte di tre cime sormontato da croce con rami d'ulivo) Sul chiostro si affaccia quella che era la Sala del Capitolo (oggi utilizzata come cappella), la cui parete centrale è adornata da un affresco raffigurante Cristo risorgente (1599). Il dipinto, già attribuito a Lattanzio Gambara, è ora assegnato al pittore bresciano Pietro da Morone. Sul soffitto della sala che immette al refettorio è posto uno straordinario ciclo di affreschi realizzato nel 1570 da Lattanzio Gambara. Il pittore, affermatosi a Brescia come collaboratore del Romanino e poi come erede della sua bottega, dimostra qui una piena assimilazione dei modi pittorici del manierismo settentrionale. Il programma decorativo che si dispiega sul soffitto dell'antirefettorio e che dovette esser stato dettagliatamente concordato con i committenti olivetani, ha come tema generale la Salvezza dell'uomo. Al centro della volta, in una grande cornice a stucco è raffigurata una scena di difficile lettura iconografica: Si tratta della traduzione pittorica del settimo libro dell'Apocalisse, attenta a cogliere il maggior numero di dettagli di quanto viene riportato nel visionario e profetico racconto. Attorno al grande riquadro centrale, nelle zone incassate tra grandi mensole in stucco, sono affrescate altre dieci scene tratte dall'Apocalisse (un tema che il Gambara aveva già affrontato negli affreschi, andati distrutti, della Loggia di Brescia). Tra le raffigurazioni più efficaci (e più facilmente riconoscibili) si nota quella dei Quattro cavalieri dell'Apocalisse. Negli spazi tra i piedritti dei mensoloni sono affrescate tredici scene dell'Antico Testamento, scelte secondo un criterio dottrinale che le collega al tema della Salvezza. Lo straordinario impegno profuso nella decorazione della volta si completa attraverso figure di putti con ornati vegetali e mascherone, festoni floreali e scenette monocrome affrescate sui fianchi delle venti grandi mensole in stucco. Il grande refettorio dell'abbazia fu sopraelevato nel 1600, risparmiando uno solo degli affreschi preesistenti: il grande Cristo crocifisso tra la Madonna e san Giovanni e la Maddalena abbracciata alla croce sulla parete di fondo. Si tratta di un'opera di notevole qualità artistica che alcuni studiosi hanno assegnato a Vincenzo Foppa; ma che ora viene per lo più attribuita ad un ignoto pittore bresciano attivo nel primo Cinquecento (vicino ai modi stilistici di Floriano Ferramola). Dopo la sopraelevazione furono chiamati a decorare le alte pareti e l'ampio soffitto i pittori bresciani Tommaso Sandrini e Grazio Cossali, specialisti nel genere – allora molto stimato- delle finte architetture. Colpisce, in particolare, la profonda conoscenza delle leggi della prospettiva impiegata nel dipingere, come trompe-l'œil di tipico gusto barocco, le finte colonne della volta: esiste un punto preciso, in mezzo alla sala, dal quale esse appaiono allo spettatore tutte quante diritte. La visita al refettorio della foresteria – dov'era la mensa riservata ad accogliere gli ospiti forestieri – presenta un notevolissimo interesse per la presenza di affreschi che il Romanino eseguì verso il 1530. Essa viene anche indicata come "Sala Romanino". Due notevoli scene di soggetto evangelico, oggi non più visibili, furono affrescate dal pittore bresciano sulla parete occidentale della sala: la Cena in Emmaus e la Cena in casa di Simone Fariseo; due raffigurazioni scelte con evidenza per celebrare il tema della Ospitalità. Esse furono staccate nel 1864 e trasferite nel 1882 alla Pinacoteca Tosio Martinengo. A seguito dei lavori di restauro del 1979 sono riemersi sulla parete consistenti strati di pittura che erano rimasti aderenti all'intonaco: essi consentono ancora di intravedere il disegno delle due scene e di intuire così quale poteva essere l'aspetto originale del refettorio. Una copia (in dimensioni ridotte) delle due scene è stata riproposta nella sala a vantaggio dei visitatori: essi possono in tal modo apprezzare nel dipinto la forza del colorito, la solidità delle figure, lo stile rapido e sciolto, l'ambientazione popolana delle scene, narrate con un linguaggio connotato da grande umanità e da un marcato anticlassicismo. Sulla parete di fronte si possono ancora ammirare, intatti, gli affreschi eseguiti dal Romanino: una lunetta con la Madonna col Bambino e San Giovannino e, più in basso, due riquadri incassati nel muro, raffiguranti Gesù e la Samaritana al pozzo e (esempio insolito di "natura morta") una Dispensa con stoviglie. L'affresco nella lunetta costituisce uno struggente brano di poesia. La Madonna è raffigurata mentre guarda con animo dolente verso san Giovannino, che ha al suo fianco un agnello annunciante il necessario sacrificio del Redentore, mentre il Bambino sembra, con un gesto assai familiare, voler scendere dalle ginocchia della madre. Le figure sono illuminate da una luce che viene dal basso sulla loro sinistra; esattamente dov'è posta una finestra che dà luce alla stanza: si tratta di un'altra invenzione dettata dal realismo del Romanino. Enzo Fabiani, Enzo Pifferi e Maria Teresa Balboni, Abbazie di Lombardia, Como, Editrice E.P.I., 1980. L. Anelli, San Nicola di Rodengo. La Chiesa dell'Abbazia, Monte Oliveto, 1987 P. V. Begni Redona, Gli affreschi di Lattanzio Gambara nell'abbazia olivetana di Rodengo, Edizioni "l'Ulivo", abbazia di Monte Oliveto Maggiore (Siena), 1996 Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su abbazia di San Nicola Sito ufficiale dell'Abbazia, su benedettiniabbaziaolivetana.org. URL consultato il 16 novembre 2008 (archiviato dall'url originale il 10 maggio 2009).