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Villa Doria De Mari

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Villa Doria De Mari, oggi meglio conosciuta come Istituto Don Daste, è una villa patrizia genovese situata sulle alture del quartiere genovese di Sampierdarena in località Belvedere.

Estratto dall'articolo di Wikipedia Villa Doria De Mari (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori).

Villa Doria De Mari
Corso Luigi Andrea Martinetti, Genova Sampierdarena

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Latitudine Longitudine
N 44.4136 ° E 8.8922 °
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Indirizzo

Corso Luigi Andrea Martinetti 13
16149 Genova, Sampierdarena
Liguria, Italia
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Luoghi vicini

Villa Serra Doria Masnata
Villa Serra Doria Masnata

Villa Serra Doria Masnata è un edificio civile storico di Genova, risalente al XII secolo. Affacciata su via Cantore, il progetto della villa venne commissionato nel 1613 all'architetto Bartolomeo Bianco da parte del nobile Paolo Serra. Federico Alizeri, nella sua Guida del 1875, la indica di proprietà della famiglia Doria. Dalla planimetria di Matteo Vinzoni del 1757 si evince la presenza di un vasto terreno, oggi ridottissimo, che si sviluppava dall'asse fondamentale interno (via Nicolò Daste) sino alla la ripida "crosa" (l'attuale salita Salvator Rosa) che conduceva alla chiesa di San Bartolomeo Apostolo del Promontorio. Diverse le vicissitudini dell'edificio. Nel 1746 la villa divenne sede del quartiere generale austriaco, sotto il comando del Generale Antoniotto Botta Adorno inviato dall'imperatrice Maria Teresa d'Austria. Nel XIX secolo la proprietà passò alla famiglia Masnata, poi al Comune di Sampierdarena, per ospitarvi nel 1874 l'Ospedale Civile. Tra il 1919 e il 1926 l'edificio ospitò un collegio femminile delle suore Cappellone. La villa con il giardino rimangono inalterati sino ai primi decenni del Novecento con l'apertura di via Cantore (1930-1935). Con l'abbassamento della quota del terreno, dovuto alla costruzione della via, l'edificio ha cambiato le proporzioni originarie. Il palazzo fu poi sede della Biblioteca Gallino, spostata e del Liceo Classico Giuseppe Mazzini e dal 1967 ospita la Scuola Media Statale "Nicolò Barabino". La decorazione originaria della facciata si è persa, come pure affreschi che decoravano gli ambienti interni. La tipologia architettonica richiama vagamente la vicina villa Imperiale Scassi, caratterizzata da una struttura rettangolare sviluppata in lunghezza e tripartita nella facciata. Le ali ed il poggiolo sono posteriori al progetto del Bianco. Gli ambienti interni sono caratterizzati al primo piano dalla sala retrostante all'ingresso e da un'apertura verso il giardino, tutto disposto in asse di simmetria. Al secondo piano si accede tramite lo scalone impostato a sinistra in fondo all'ingresso. Al piano superiore viene mantenuta la tripartizione degli ambienti come il piano sottostante, dove al centro sono disposti la loggia e il grande salone e ai lati i salotti e camere realizzando una continuità di visuale nella ripartizione degli ambienti da nord a sud verso il mare. Luciano Grossi Bianchi, Emmina De Negri, Cesare, Fera, Le Ville Genovesi, Genova, Italia Nostra, 1967, pag. 189. Armando Di Raimondo, Luciana Müller Profumo, Bartolomeo Bianco e Genova: la controversa paternità dell'opera architettonica tra '500 e '600, Genova, E.R.G.A., 1982, pp. 18-20. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su villa Serra Doria Masnata

Villa Serra Doria Monticelli
Villa Serra Doria Monticelli

Villa Serra Doria Monticelli è una villa patrizia genovese fatta erigere dalla famiglia Serra tra il XV secolo e il XVII secolo. L'epoca di costruzione dell'edificio è incerta, probabilmente quattrocentesca, mentre potrebbe appartenere ad un'aggiunta successiva la torretta difensiva e il corpo rustico, probabilmente settecentesco. Nel 1757 la planimetria di Matteo Vinzoni l'attesta come proprietà di Giuseppe Serra, appartenente ad un casato molto florido e che vantava proprietà soprattutto nella vicina Cornigliano. Sempre del Settecento e documentata dal Vinzoni è l'edificazione dell'edificio aggiunto, probabilmente un rustico poi riconvertito ad area industriale. La villa passa poi alla famiglia Doria, come testimoniato dall'Alizeri nel 1875, passa poi alla famiglia Monticelli nel XX secolo che la adibisce a mobilificio. Successivamente la parte posteriore venne accorpata con il fabbricato industriale di più tarda edificazione. La villa è oggi utilizzata come abitazione e suddivisa in appartamenti. La pianta trapezoidale e piuttosto irregolare della villa, così come la loggia a quattro arcate del piano nobile e le dimensioni ridotte rispetto ad altre costruzioni vicine (Villa Grimaldi (La Fortezza), Villa Imperiale Scassi) la classificano come un edificio eretto tra la fine del Quattrocento e l'inizio del Cinquecento. L'ingresso è su Via Daste dove la villa appare disadorna e priva di elementi decorativi sulla facciata escluso il marcapiano tra pianterreno e piano nobile e il grande portale rinascimentale di robusto bugnato in pietra di Promontorio, specularmente sul lato opposto si apriva un'altra entrata che immetteva nel giardino, più modesto rispetto a quelli degli altri parchi cinquecenteschi. La costruzione è dominata dalla loggia posteriore al piano nobile formata da quattro fornici decorati da capitelli ionici e dalla quale si accedeva al salone orientato a nord. All'interno i vani sono disposti a pettine e orientati a settentrione e a mezzogiorno. Il raccordo tra i piani avviene tramite lo scalone originale e una scala di più recente fattura posta vicino all'androne tra il muro antico e la nuova costruzione. Le decorazioni a soffitto e gli affreschi, attribuiti ai Calvi, sono oggi molto compromesse, ne sopravvivono alcuni spezzoni nelle volte dell'atrio e in alcune stanze del piano nobile (in particolare alcune scene dell'Orlando furioso al primo piano), mentre sono appena accennate nella loggia. L'Alizeri menziona una decorazione del salone, posta in cinque riquadri, e raffigurante le Fatiche di Ercole, mentre nella sezione centrale è raffigurato Ercole dinnanzi al concilio degli Dei. Il giardino, che in origine si estendeva verso il mare fino al convento e alla chiesa di Santa Maria della Cella, seguì il destino di molti altri nella zona, prima ridotto per la costruzione del viadotto della ferrovia Torino-Genova e l'apertura di Via Buranello (intorno alla metà dell'Ottocento) e infine smembrato e lottizzato. AA.VV., Ville del ponente e della Val Polcevera, Sagep 1986 Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Villa Serra Doria Monticelli Sampierdarena.it - Villa Serra Doria Monticelli, su sampierdarena.ge.it (archiviato dall'url originale il 28 febbraio 2014). Villa Serra Doria , su villaserradoria.it. Ville di Genova Sampierdarena, su stedo.it.

Villa Doria delle Franzoniane
Villa Doria delle Franzoniane

Villa Doria, ora Istituto Madri Pie Franzoniane, è una villa patrizia genovese situata nel quartiere di Sampierdarena. Venne fatta costruire dalla famiglia Doria nel XVI secolo, ma a differenza di altre ville del quartiere, tutte disposte su un asse immaginario ben riconoscibile, questa è disposta in posizione angolata, nella parte inferiore di via Nicolò D'Aste. Del progetto originale sopravvive l'edificio centrale e la torretta di difesa, mentre è aggiunta successiva il ninfeo del giardino, fatto erigere nel 1594 in occasione del matrimonio tra una Doria e Camillo Pavese. Il parco della villa, anche se notevolmente ridotto rispetto all'originale, presenta ancora caratteristiche tipiche del gusto tardo-manierista per le meraviglie artificiali e il richiamo a simboli astronomici e alchemici. Al termine del XVIII secolo la villa venne ceduta alla famiglia Franzoni, successivamente Paolo Gerolamo Franzoni, abate appartenente alla famiglia, la cedette alla congregazione delle Madri Pie che ancora oggi vi risiedono. Intorno agli anni venti del Novecento l'edificio divenne sede dei membri anziani del gruppo scout, i quali, con l'approvazione delle suore, in quel periodo scavarono e asportarono i detriti delle fondamenta della villa, ricavandosi alcuni spazi per l'aggregazione. Nel 1935 alla struttura originale dell'edificio venne aggiunta la parte affacciata su via Cantore. La villa, utilizzata oggi come scuola materna, è stata restaurata, anche se parte del suo splendore è andato perduto con l'aggiunta di altri edifici più recenti addossati alla costruzione.

Belvedere (Genova)
Belvedere (Genova)

Belvedere (Bervei in ligure) è un quartiere del comune di Genova ed una delle unità urbanistiche che compongono la circoscrizione di Sampierdarena. Fa parte del Municipio II Centro Ovest. La collina su cui sorge (altitudine: 129 m slm) si affaccia sul versante sinistro della Val Polcevera e sul sottostante abitato di Sampierdarena. Gli antichi genovesi denominarono questa località Belovidere per la folta vegetazione e per la presenza di numerose ville e giardini patrizi che a partire dal XV secolo molte famiglie nobili di Genova vi avevano costruito come loro residenze di campagna. Il toponimo, di derivazione intuitiva, fa riferimento al panorama che si gode da questa collina, che insieme a quella di Coronata, sul versante opposto della valle, segna la fine della Valpolcevera. Il panorama spazia dal monte di Portofino a Capo Mele, con ampia vista sulla Valpolcevera, facendo della collina un luogo strategico, caratteristica che nell'Ottocento ne ha determinato la militarizzazione, con la costruzione di fortificazioni che hanno stravolto e sacrificato l'abitato. A poca distanza da Belvedere si trova la località detta Crocetta (in ligure Croxetta de Bervei), il cui nome fa riferimento all'incrocio tra due antiche strade, quella che da Sampierdarena, superato Belvedere, proseguiva a mezza costa per l'alta Valpolcevera e quella che da Genova (quartiere di San Teodoro) conduceva a ponente passando per il Campasso (altro rione sampierdarenese nella bassa Valpolcevera). Questo incrocio, anche se non più frequentato dai viaggiatori, è ancor oggi riconoscibile e ben delimitato da antiche case. Per secoli importante luogo di transito, fino all'apertura delle prime strade di fondovalle, anche questo borgo ospitò case di villeggiatura di ricche famiglie genovesi e nell'Ottocento subì anch'esso i disagi causati dalla presenza del vicino Forte Crocetta, costruito poco più a monte del citato quadrivio sulla struttura del soppresso convento agostiniano del S.S. Crocefisso, con annessa chiesa, risalente ai primi anni del Seicento. Sulla piazza principale, in posizione dominante sull'abitato di Sampierdarena, sorge il Santuario di Nostra Signora di Belvedere, la cui prima edificazione risale alla fine del XIII secolo come cappella dell'annesso convento delle monache agostiniane. La chiesa, citata per la prima volta in un documento del 1285, è composta da un'unica navata ed ha subito nel tempo una serie di rifacimenti. Nel 1665 è stata completamente rifatta ed arricchita dei due altari laterali. Le pareti sono ornate da pregevoli tele e dipinti. Nel 1351 alle monache agostiniane subentrarono i frati dello stesso ordine che, salvo un'interruzione dal 1409 al 1472, vi rimasero fino alla soppressione napoleonica del 1800. Nel 1819 la chiesa rischiò di essere demolita per far spazio alle fortificazioni volute dal governo sabaudo, provvedimento poi rientrato. La chiesa fu riaperta nel 1821, sotto la custodia di preti diocesani. Fu eretta in parrocchia dal 1931 (con decreto del 24 dicembre 1930) dal cardinale Carlo Dalmazio Minoretti, arcivescovo di Genova. La festa patronale viene celebrata nella solennità della Natività di Maria, l'8 settembre. Caratterizza il paesaggio di Belvedere anche la presenza di diverse fortificazioni (vedi anche Mura di Genova), costruite tra il 1815 e il 1830. Già durante gli assedi austriaci del 1746-1747 e del 1800 sull'altura di Belvedere erano state approntate delle postazioni difensive. Vista l'importanza strategica della collina, a partire dal 1815, dopo l'annessione della Liguria al Regno di Sardegna, stabilita dal Congresso di Vienna, furono erette dal governo sabaudo due nuove fortificazioni che avevano lo scopo di difendere le mura principali di Genova: Forte Belvedere, la cui struttura costituisce oggi il terrapieno del campo sportivo M. Morgavi; per la sua realizzazione furono demolite diverse case ed anche la chiesa rischiò di essere abbattuta. Alla fine dell'Ottocento, venute meno le motivazioni strategiche che avevano portato alla sua edificazione, fu trasformato in una batteria a difesa del porto di Genova. Nel 1938 vi fu collocata una batteria contraerea. Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 fu occupato dai soldati tedeschi che lo tennero fino al termine del conflitto. Nel dopoguerra, dismesso dal demanio militare, fu ceduto a privati. Come detto, dagli anni settanta sulla sua struttura sorge il campo sportivo Morgavi. Forte Crocetta, sovrastato dall'imponente Forte Tenaglia (che fa parte delle mura secentesche di Genova, anch'esso ampliato tra il 1815 e il 1830), fu costruito poco a monte di Belvedere, presso il borgo della Crocetta, sull'area già occupata dal secentesco convento degli Agostiniani e dall'annessa chiesa del Santissimo Crocefisso. L'edificio religioso fu demolito nel 1818. La costruzione del forte, dopo una modifica di progetto intervenuta nel corso dei lavori, si concluse nel 1830. Dismesso dal demanio militare nel 1914, a varie riprese fu abitato fino al 1961. Oggi è chiuso e in stato di abbandono. Corinna Praga, Genova fuori le mura, Fratelli Frilli Editori, 2006. Goffredo Casalis, Dizionario geografico, storico, statistico e commerciale degli Stati di S.M. il Re di Sardegna, 1849. Stefano Finauri, Forti di Genova, Edizioni Servizi Editoriali, 2007. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Belvedere

Villa Lercari Sauli
Villa Lercari Sauli

Villa Lercari Sauli, detta "la Semplicità" è una storica dimora nobiliare del quartiere genovese di Sampierdarena, costruita nel Cinquecento per la famiglia Lercari. L'appellativo di "Semplicità" con cui è conosciuta è dovuto alla linearità delle sue forme che con semplici arcate e colonnine conferivano alla villa un'armonia perfetta. Il termine si pone anche in contrapposizione con gli appellativi "Bellezza" e "Fortezza" attribuiti rispettivamente alle vicine ville Imperiale e Grimaldi, con le quali forma il gruppo delle ville cinquecentesche noto come "triade alessiana", perché costruite secondo i dettami architettonici introdotti a Genova dal celebre architetto perugino. La villa fu fatta costruire tra il 1558 e il 1563 dalla famiglia Lercari su progetto di Bernardino Cantone in collaborazione con Bernardo Spazio, entrambi di origini ticinesi e seguaci di Galeazzo Alessi, che intorno alla metà del Cinquecento aveva introdotto a Genova il suo personalissimo stile architettonico. Come altre ville sampierdarenesi, per molti anni anche questa fu attribuita allo stesso Alessi e solo recenti ricerche hanno consentito di accertare l'effettiva paternità del progetto. Riguardo al committente le fonti non convergono. Secondo alcuni autori si sarebbe trattato di Giovanni Battista Lercari, doge della Repubblica di Genova nel 1563, secondo altri di Franco Lercari, detto "il ricco", altro autorevole esponente della famiglia, anch'egli attivo in politica e noto come committente di un altro palazzo in Strada Nuova. Nel 1599 nella villa fu ospitata la giovanissima Margherita d'Austria, di passaggio a Genova in viaggio per la Spagna dove andava ad incontrare il marito, il re Filippo III, in precedenza sposato per procura. Intorno alla metà del XVIII secolo la villa risultava sempre di proprietà della famiglia Lercari, ma verso la fine dello stesso secolo fu acquistata dalla famiglia Sauli. Come le ville vicine, anche questa durante l'assedio di Genova del 1800 fu requisita dalle truppe napoleoniche per essere utilizzata come alloggio per gli ufficiali. Alla fine dell'Ottocento, nel pieno dell'industrializzazione del territorio sampierdarenese, per lo storico edificio ebbe inizio un periodo di declino. Acquistato dell'imprenditore Silvestro Nasturzio divenne sede di uno stabilimento per la produzione di latta per imballaggi alimentari, impiantato sui terreni del giardino della villa, dove ora sorge il "Centro Civico" del quartiere; l'azienda tra alterne fortune sopravvisse fino al 1976 ma la villa fu abbandonata in seguito ai gravi danni causati durante la seconda guerra mondiale dal bombardamento aereo del 9 settembre 1944. Acquistata da una cooperativa di privati, negli anni sessanta, benché sottoposta nel 1957 a vincolo dalla soprintendenza per i beni architettonici della Liguria, ne fu autorizzata la ristrutturazione e la suddivisione in appartamenti, conservando solo la struttura esterna originale. Oggi le caratteristiche che ne hanno reso nota e apprezzata nei secoli l'architettura sono difficilmente percepibili sia per gli interventi di restauro molto invasivi che per l'affollamento di palazzi e costruzioni cresciute intorno all'edificio nell'ultimo secolo. La villa fiancheggia quella che era allora la strada principale di Sampierdarena, l'attuale via Nicolò Daste. La villa come si presentava nella prima metà dell'Ottocento è documentata dai disegni e dalla planimetria di Martin Pierre Gauthier. La villa, in stile manierista, ha la tipica forma cubica, caratteristica dell'innovativo modello architettonico introdotto a Genova intorno alla metà del Cinquecento da Galeazzo Alessi. Il modesto portone dell'attuale condominio si apre direttamente sulla via Daste, sotto il grande loggiato del prospetto nord, ma l'ingresso originario era rivolto a ponente, simmetrico ed opposto a quello della vicina "Fortezza" ed aperto sul giardino, che si estendeva nell'area oggi occupata dal "Centro Civico". La facciata principale era invece quella a levante, oggi nascosta dalla soffocante presenza di un moderno edificio. Le due logge sui prospetti laterali, che si aprivano sul salone centrale, sono il principale elemento distintivo del palazzo attuale. L'originale sistemazione dell'interno, documentata dalla planimetria del Gauthier, rispecchiava quella delle due facciate, con l'asse del sistema atrio-scala contrapposto a quello del piano nobile, ma non è più leggibile dopo i radicali interventi realizzati negli anni sessanta per suddividere l'edificio in appartamenti. Il giardino, stretto e allungato, che si trovava sul lato a sud del palazzo ed arrivava sino al mare, è stato totalmente lottizzato ed edificato intorno alla metà dell'Ottocento, dopo che la costruzione della ferrovia lo aveva diviso in due parti; alla fine dell'Ottocento nella parte adiacente al palazzo fu costruito lo stabilimento Nasturzio e dopo la chiusura di questo sulla stessa area negli anni ottanta è sorto il "Centro Civico", separato dalla villa solo da uno stretto passaggio. Guida d'Italia - Liguria, Touring Club Italiano, Milano, 2009 Ville di Genova Palazzo Lercari-Parodi Palazzo Lercari-Spinola Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Villa Lercari Sauli Villa Lercari Sauli e gli altri edifici affacciati su via N. Daste, su www.sanpierdarena.net, su sanpierdarena.net. Le ville di Sampierdarena su www.stedo.it, su stedo.it. Il percorso storico delle ville di Sampierdarena, su opengenova.org. URL consultato il 14 febbraio 2015 (archiviato dall'url originale il 10 febbraio 2015). Immagini del palazzo su www.sampierdarena.ge.it, su sampierdarena.ge.it (archiviato dall'url originale il 14 febbraio 2015).

Chiesa di Santa Maria della Cella
Chiesa di Santa Maria della Cella

La chiesa di Santa Maria della Cella è un luogo di culto cattolico Italiano situato nel comune di Genova, sede della parrocchia di "Santa Maria della Cella e San Martino" e del vicariato di Sampierdarena dell'arcidiocesi di Genova. La chiesa è situata in via Giacomo Giovanetti, al centro del primitivo borgo di "Sancto Petro de Arena", nucleo originario attorno al quale si è sviluppato nei secoli l'abitato di Sampierdarena, oggi quartiere del comune di Genova. La chiesa di Santa Maria della Cella venne eretta all'inizio del XIII secolo dalla famiglia Doria., ma l'esistenza in questo luogo di un edificio di culto cristiano si fa risalire all'Alto Medioevo, quando un questo luogo sarebbe esistita una cappella al centro di un piccolo villaggio di pescatori. Secondo la tradizione, quando nel 725 (o 726) il re longobardo Liutprando fece trasferire i resti di Sant'Agostino dalla Sardegna a Pavia, per collocarli nella chiesa di San Pietro in Ciel d'Oro; la nave che li trasportava avrebbe toccato terra proprio nella spiaggia di Sampierdarena e le reliquie sarebbero state ricoverate nella chiesetta del borgo, in attesa di riprendere il viaggio via terra alla volta della capitale longobarda. Questa cappella, già dedicata a San Pietro, sarebbe stata in seguito intitolata a sant'Agostino da parte dei monaci pavesi di San Pietro in Ciel d'Oro; a partire dal XIII secolo con la costruzione della nuova chiesa di Santa Maria della Cella l'antico tempietto perse di importanza, inglobato e soffocato dalle costruzioni del complesso monastico che vi era stato costruito attorno. Dopo secoli di oblio fu riscoperto solo nel 1880 e definitivamente riportato alla luce in seguito al bombardamento che nel 1944, durante la seconda guerra mondiale, distrusse parzialmente il quattrocentesco chiostro del convento. L'edificio recuperato, adiacente all'attuale chiesa, non sarebbe comunque quello dell'VIII secolo (la cui storicità non è peraltro documentata), ma risalirebbe a un rifacimento dell'XI secolo. L'attuale chiesa fu costruita come chiesa gentilizia della famiglia Doria, accanto all'originaria cappella, tra il 1206 e il 1213, quando la potente famiglia genovese, che già possedeva terreni e ville nella zona, volle erigere una chiesa poco distante dalle sue residenze estive per rafforzare il proprio prestigio ed evitare di doversi recare per le funzioni religiose fino alla più lontana pieve di S. Martino. I Doria vollero dedicare la nuova chiesa alla Madonna, e poiché l'antica chiesetta era detta "cella di sant'Agostino", il nuovo edificio divenne "Santa Maria della Cella". Questo primo edificio, a croce latina, aveva una sola navata e la volta in legno. I Doria affidarono la nuova chiesa ai canonici regolari della congregazione di Santa Maria di Crescenzago, che seguivano la regola agostiniana e che vi sarebbero rimasti fino al 1381. Nel 1386 la chiesa venne data in commenda al cardinale Ludovico Fieschi. Nel XV secolo ad officiare il complesso furono per brevi periodi i domenicani (dal 1422 al 1436) e i benedettini (dal 1436 al 1441). Nel 1442 venne affidata agli agostiniani, che vi sarebbero rimasti ininterrottamente fino al 1797; a partire dal 1453 Bartolomeo Doria la fece ampliare, costruendo il chiostro, il campanile, la sacrestia e prolungando il coro. La chiesa, originariamente in stile gotico, subì diversi interventi nei secoli successivi: nel corso del Cinquecento vennero realizzate le navate laterali, rifatto il coro e la volta lignea fu sostituita con volte a crociera in muratura, nel Seicento venne innalzata la cupola (1639) e trasformato l'interno in stile barocco. Nel 1797 la discesa in Liguria dell'esercito napoleonico decretò la fine della plurisecolare Repubblica di Genova che ribattezzata Repubblica Ligure passò sotto il controllo francese. Le leggi emanate dal nuovo governo decretarono la soppressione degli ordini religiosi e frati e monache furono allontanati dai loro conventi, requisiti dalle autorità pubbliche. Anche gli agostiniani dovettero lasciare Santa Maria della Cella. Un decreto comunale del 5 aprile 1799 stabilì che la chiesa divenisse parrocchiale in luogo della pieve di San Martino, chiusa in quello stesso periodo per il precario stato di manutenzione. Molte opere d'arte provenienti da questa chiesa e da altre comunità religiose soppresse andarono ad arricchire il patrimonio artistico di Santa Maria della Cella. Con il trasferimento della sede parrocchiale, la chiesa aggiunse il titolo di San Martino a quello storico di santa Maria della Cella. Papa Pio VII, rifugiatosi a Genova durante i Cento giorni di Napoleone, visitò la chiesa il 15 maggio 1815 (l'avvenimento è ricordato da una targa marmorea collocata all'interno della chiesa). Nell'Ottocento la chiesa fu allungata ed ebbe una nuova facciata neoclassica ad opera di Angelo Scaniglia. Nel 1896 fu rifatto il campanile, che era stato gravemente danneggiato nel 1828 da una scossa tellurica che ne aveva fatto crollare la cuspide. Il bombardamento aereo del 9 giugno 1944 causò danni al tetto danneggiando alcuni degli affreschi del Fiasella nella volta del presbiterio, e distrusse parzialmente il chiostro, riportando definitivamente alla luce l'antica chiesetta di Sant'Agostino, restaurata nel secondo dopoguerra. La facciata è stata rifatta nel 1850 in stile neoclassico, su disegno dell'architetto sampierdarenese Angelo Scaniglia (1791-1870), al quale si devono numerosi edifici nel quartiere, all'epoca cittadina autonoma in forte espansione. La parte centrale, più avanzata delle laterali, è delimitata da quattro colonne lisce che sorreggono un timpano triangolare; nella lunetta sopra al portale principale, in bassorilievo, le figure dei patroni della chiesa: al centro il SS. Salvatore ed ai lati san Giovanni Battista e san Pietro apostolo. Nelle lunette sopra ai portali laterali, delimitati da paraste prive di decorazioni, le figure in bassorilievo dei santi titolari, S. Maria, raffigurata tra due angeli inginocchiati e San Martino, nell'iconografia classica, nell'atto di donare il mantello ad un povero. I portoni bronzei, realizzati nel 1967, sono opera degli scultori G.B. Airaldi (1914-1998), G.B. Semino e Valdieri Pestelli. Quello principale, dell'Airaldi, raffigura con immagini stilizzate episodi del Vangelo e i due papi protagonisti del Concilio Vaticano II (Giovanni XXIII e Paolo VI), quella di sinistra, di G.B. Semino, episodi del Vangelo legati alla figura della Madonna e quella di destra, di V. Pestelli, scene della vita di san Martino. Dello stesso Pestelli anche la porta laterale (1986), aperta su via Sampierdarena, con scene della storia del quartiere nel Medioevo. La cupola di forma ellittica fu eretta nel 1639 dagli agostiniani in sostituzione del precedente tiburio. Il campanile originario fu eretto nel 1485. Alto 30 m, nel terremoto del 1828 subì danni alla cuspide. Nel 1893 fu giudicato pericolante e fu proposto di ricostruirlo, ma una nuova perizia stabilì che le condizioni strutturali erano ottimali e si procedette quindi alla sua ristrutturazione, innalzandolo a 45 m e dotandolo di un concerto di cinque campane; i lavori vennero completati nel 1896. L'interno, che presenta l'aspetto barocco risalente alla ristrutturazione seicentesca, è diviso in tre navate, separate da due file di massicci pilastri. La navata centrale è decorata con affreschi ottocenteschi tra cui il ciclo degli episodi della vita di san Martino; le scene, racchiuse entro cornici di stucco dorato, sono opera dei pittori Giovanni Fontana, Luigi Morasso, Giuseppe Passano e del più celebre Nicolò Barabino, autore del riquadro raffigurante San Martino che riceve l'ordinazione religiosa da Sant'Ilario di Poitiers. Nelle lunette delle arcate sottostanti la cupola sono due dipinti a olio (Sant'Agostino porge l'elemosina a un gruppo di poveri, attribuito a Giovanni Battista Carlone, e Sant'Agostino lava i piedi a Gesù in veste di pellegrino, di Orazio De Ferrari). Nei peducci della cupola affreschi ottocenteschi raffiguranti le virtù cardinali e all'interno della volta della cupola statue in stucco di fine Ottocento raffiguranti i quattro evangelisti. Presso l'entrata principale si trovano due statue lignee dei santi Cosma e Damiano, di epoca moderna (1960), venerate in particolare dalla comunità pugliese di Sampierdarena. Con il rifacimento del 1453 e le successive ristrutturazioni operate dai Doria, tutta la zona presbiteriale fu trasformata in un sacrario sepolcrale della famiglia. L'altare maggiore, settecentesco, è opera di Pasquale Bocciardo; è sormontato da una grandiosa statua marmorea dell'Assunta, alta 2,80 m, dello stesso scultore. Le pareti intorno all'altare sono occupate da cinque sepolcri di esponenti della famiglia Doria; pur di epoche diverse, hanno la stessa dimensione e struttura, con il sarcofago posto su un grande basamento e ornato con lo stemma di famiglia, il busto del defunto al centro entro una nicchia e figure allegoriche ai lati. I più antichi di questi monumenti funebri sono attribuiti al ticinese Taddeo Carlone, gli altri, realizzati quando l'artista era avanti negli anni, dai suoi figli o da altri esponenti della sua bottega. Il migliore è considerato il più antico, quello di Ceva Doria, realizzato nel 1574 dallo scultore, allora trentunenne, in collaborazione con Bernardino da Novate e Giovanni Giacomo Paracca. Il modello di questo monumento funebre venne poi riprodotto per i successivi, oltre che imitato e riproposto da altre botteghe per analoghe realizzazioni. Nella volta del presbiterio sono dieci medaglioni affrescati di Domenico Fiasella con storie della Vergine, commissionati dagli agostiniani intorno alla metà del XVII secolo. Lungo le navate laterali si trovano undici cappelle, cinque per ciascun lato oltre a quella del battistero, che ospitano gli altari secondari e conservano opere di celebri artisti genovesi del XVI e XVII secolo. Prima cappella: sull'altare, grande tavola raffigurante la Madonna col Bambino e San Giovannino di Luca Cambiaso (1562), considerata dall'Alizeri "la più bella opera" del pittore monegliese. Seconda cappella: statua seicentesca della Madonna del Rosario, attribuita a Tommaso Orsolino, proveniente dalla pieve di San Martino, contornata da tondi di Domenico Fiasella con i Misteri del Rosario (1650); nella volta affreschi con scene della vita di Maria, di Bernardo Castello. Ai lati, due dipinti ad olio su tela attribuiti ad Aurelio Lomi: (santa Caterina da Siena e san Vincenzo Ferreri). Cappella del Battistero: dalla seconda cappella, attraverso due porte, si accede ad un vano che ospita il fonte battesimale, in origine cappella della famiglia Salvago. L'ampia stanza quadrata (sei metri di lato) è rivestita con piastrelle policrome di ceramica di stile ispano-moresco, diffuse a Genova nel XVI secolo e conosciute come "laggioni". Al di sopra moderni affreschi con scene del Vangelo, di Giacinto Pasciuti (1913). Terza cappella: sull'altare è collocata un'immagine dipinta su roccia raffigurante Il Salvatore che porta la Croce; proveniente dalla pieve di San Martino, secondo la tradizione sarebbe stata dipinta tra la fine del XVI secolo e i primi anni del XVII da un ignoto soldato fiammingo del corpo di guardia della Lanterna su un masso del colle di San Benigno, nei pressi della sua postazione. Nel 1722 il masso per decisione delle autorità fu staccato e trasportato nella parrocchiale di San Martino ed infine, nel 1799, nella chiesa della Cella. Alla base della cupoletta che sovrasta la cappella due affreschi di Giovanni Bottai (1909-1978) raffigurano il dipinto sulla roccia nei pressi della Lanterna e il trasporto del masso verso la pieve di san Martino su un carro trainato da buoi. Quarta cappella: l'altare, opera di Domenico Parraca, era un tempo dedicato alla Madonna della Cintura (oggi a san Giuseppe). Ai lati, due dipinti settecenteschi di autore ignoto raffiguranti Sant'Agostino e Santa Monica. Nella volta, affreschi di Bernardo Castello con scene del Vangelo e figure di santi, molto rimaneggiati da un restauro eseguito nel 1925. Quinta cappella: posta nell'abside della navata, è detta cappella dell'Olivo, dalla grande tela del Barabino posta sull'altare, che raffigura la Madonna col Bambino, chiamata la Madonna dell'Olivo (1887). Il dipinto, collocato nella cappella appena restaurata il 21 ottobre 1888, ottenne all'epoca un notevole successo di pubblico e il plauso della critica. Alle pareti due dipinti (olio su tela): uno, di un ignoto artista genovese del XVII secolo, raffigurante la Natività di Maria, copia di un dipinto del Morazzone ed un altro, attribuito ad Antonio Maria Piola, con I santi Francesco Saverio e Ignazio di Loyola, proveniente dalla chiesa di San Pietro in Vincoli di salita Belvedere, già dei gesuiti. Nella volta, affreschi di Luigi Gainotti (1859-1940) e Francesco De Lorenzi (1830-1900), collaboratori del Barabino. Prima cappella: vi si trova la pala di Lazzaro Calvi (1512–1587) raffigurante San Martino che dona il mantello al povero; il grande dipinto, restaurato nel 2009, proviene dalla pieve di S. Martino. Nella volta affreschi ottocenteschi con putti, angeli e decori floreali. Seconda cappella: sull'altare è collocato un crocifisso ligneo settecentesco, opera dell'intagliatore sampierdarenese Pier Maria Ciurlo; nella volta affreschi di Giuseppe Passano raffiguranti lo Spirito Santo nel tondo centrale, contornato da figure di profeti e sibille e scene della Passione di Gesù. Terza cappella, con un dipinto ovale raffigurante il Sacro Cuore (1820), di Giuseppe Passano (1786-1849). Quarta cappella, un tempo dedicata a san Nicola da Tolentino, del quale esisteva un polittico di Giovanni Mazone, smembrato e in parte andato disperso. Oggi sull'altare campeggia un grande dipinto a olio del Grechetto, raffigurante la Visione mistica di San Bernardo di Chiaravalle, la principale delle opere d'arte provenienti dalla scomparsa pieve di S. Martino. Nella volta, affreschi del Passano dello stesso soggetto. Quinta cappella: posta nell'abside della navata, vi si trova un altro dipinto proveniente dalla chiesa di S. Martino, un olio su tela di Giovanni Lorenzo Bertolotto, raffigurante La carità di San Pietro e altri santi verso i poveri. Il dipinto nella pieve di S. Martino era collocato nella cappella della Compagnia dei Pescatori, fondata nel 1615. Dalla navata sinistra si accede alla sagrestia attraverso una porta sopra la quale è collocato un S. Francesco Borgia, opera di Giovanni Battista Carlone, proveniente anch'esso dalla chiesa di San Pietro in Vincoli di salita Belvedere. L'ambiente è arredato con massicci mobili del Seicento e Settecento. Al piano superiore, nell'ex refettorio e sala capitolare del convento, sono esposte numerose opere d'arte tra i quali gli affreschi staccati dalla chiesetta di S. Agostino, resti di un altro affresco di scuola lombarda raffigurante l'Ultima Cena, soggetto usuale nei refettori dei conventi, due sculture lignee cinquecentesche di scuola tedesca o fiamminga, raffiguranti la Madonna e S. Giovanni, che facevano parte di un gruppo processionale andato disperso, una statua marmorea dell'Immacolata di Filippo Parodi (1670), proveniente dallo scomparso oratorio della Morte, demolito nel 1938 per l'apertura di via Cantore, gonfaloni processionali, tra i quali quello dipinto dal Barabino nel 1852 per la Compagnia del Rosario e vari dipinti seicenteschi, tra i quali Madonna col Bambino attribuita a G.B. Paggi, Flagellazione, attribuito a Luciano Borzone e Madonna di Loreto di Bernardo Castello. Il bombardamento aereo del 9 giugno 1944, causando la distruzione di un lato del chiostro portò alla luce l'antica chiesetta di Sant'Agostino, già individuata nel 1880 dal prof. Ratto, al quale era stata commissionata un'indagine proprio per accertare l'esistenza dell'antico luogo di culto dove secondo la tradizione avrebbero sostato le spoglie del santo. L'importanza del ritrovamento era stato confermata da un'indagine condotta nel 1882 da Alfredo d'Andrade ed altri Il bombardamento, che distrusse quasi interamente il chiostro, lasciò invece quasi intatta l'antica costruzione. Tra le macerie emerse una muratura molto semplice, in rozzi blocchi di pietra, parzialmente interrata rispetto al livello del chiostro, di forma rettangolare (circa 11 m per 5 m), a navata unica, con abside semicircolare ad arcate cieche. Una parete esterna è scandita da lesene collegate in alto da archetti pensili. Alle pareti interne erano tracce di antichi affreschi. Nell'immediato dopoguerra le murature più antiche vennero totalmente liberate dalle sovrastrutture cresciute nel corso dei secoli e furono consolidate le pareti affrescate. Il pavimento venne abbassato fino alla quota di quello originale, del quale furono ritrovate alcune piastrelle. L'edificio dalle caratteristiche costruttive viene fatto risalire all'XI secolo, non si tratterebbe quindi di quello altomedioevale citato dalla tradizione, ma di una successiva ricostruzione. A partire dal XV secolo, inglobato in edifici di epoca successiva, divenne un anonimo locale seminterrato adibito a deposito e fino alla riscoperta del 1880 venne dimenticata anche la sua originaria funzione; peraltro nei decenni successivi e fino al secondo dopoguerra continuò a non essere adeguatamente valorizzato. Per i caratteri architettonici primitivi e la povertà della muratura appare comunque uno dei più antichi tra gli edifici di culto minori genovesi del medioevo (i blocchi di pietra hanno forma irregolare e rispetto alle altre chiese medioevali, benché fosse la più vicina alle cave, non è stata usata la pietra di Promontorio, probabilmente perché costruita prima della loro apertura). Gli affreschi, risalenti al XIII secolo, i più antichi conosciuti in Liguria, sono attribuiti ad un ignoto pittore, convenzionalmente identificato come il "maestro della Cella", il cui stile è ispirato a quello del pistoiese Manfredino di Alberto. Rappresentano episodi della vita di Gesù e sono considerate nel complesso pitture di mediocre qualità rispetto a quelle di altri maestri della stessa epoca. Nel 1958 gli affreschi furono staccati e collocati nell'ex refettorio del convento, ora adibito a museo. Poco resta del chiostro, (di forma quadrangolare, a due piani) praticamente distrutto dal bombardamento: restano tracce delle arcate sulle pareti esterne del convento e una parte del loggiato che oggi, chiuso da una muratura, corrisponde al corridoio tra la chiesa e la sagrestia. Bartolomeo Ferrari (1911-2007), popolare sacerdote che durante la seconda guerra mondiale si era unito ai partigiani della divisione Mingo con il nome di battaglia di "don Berto", è stato parroco di santa Maria della Cella dal 1957 al 1991. Lasciato l'incarico, per il resto della sua vita rimase presso la parrocchia come aiuto pastorale Nicolò Barabino (1832-1891), il più noto tra i pittori sampierdarenesi, autore di varie opere conservate nella chiesa, tra cui la Madonna dell'Olivo, vi fu battezzato nel giugno del 1832. Guida d’Italia - Liguria, Milano, TCI, 2009. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su chiesa di Santa Maria della Cella Sito ufficiale della parrocchia di Santa Maria della Cella e San Martino, su santamariadellacella.org. Notizie storiche sulla chiesa di S. Agostino della Cella, su cassiciaco.it. Immagini su www.sampierdarena.ge.it, su sampierdarena.ge.it (archiviato dall'url originale il 5 marzo 2016). Immagini e note storiche su www.opengenova.org, su opengenova.org. URL consultato il 13 maggio 2021 (archiviato dall'url originale il 15 marzo 2015). Luigi Persoglio, Testo della poesia O campanin da Cella, su opengenova.org. URL consultato il 13 maggio 2021 (archiviato dall'url originale il 15 marzo 2015).

Stadio di Villa Scassi
Stadio di Villa Scassi

Lo stadio Villa Scassi era un impianto sportivo di Sampierdarena, città del Genovese in seguito incorporata al capoluogo ligure. Era ricavato nel parco della cinquecentesca villa Imperiale Scassi, detta La Bellezza, acquistata nel 1888 dall'allora comune di Sampierdarena. Costruito dall'impresa Stura, poteva contenere sulle sue tribune in legno al massimo 5 000 spettatori stipati come in una scatola di pillole. "A scàtoa de pìloe" fu infatti il soprannome con cui i sampierdarenesi presero a chiamare l'impianto, benché il giornalista sportivo Carlo Bergoglio, detto "Carlin", preferisse chiamarlo "la scatola dei biscotti". Fu inaugurato nel 1920 con un derby amichevole tra i padroni di casa della Sampierdarenese e l'Andrea Doria terminato con il risultato di 4-1. La Sampierdarenese vi disputò i suoi primi 8 campionati nella massima serie nazionale, compresa la finale di andata del campionato di Prima Categoria FIGC 1921-1922 del 7 maggio 1922 contro la Novese, finita a reti inviolate. L'impianto ebbe vita breve, fu infatti chiuso nel 1928 e demolito per fare spazio all'attuale via Antonio Cantore. Nino Gotta, Pierluigi Gambino, 1000 volte Sampdoria, Genova, De Ferrari, 1991. Maurizio Medulla, Sampierdarena. Vita e immagini di una città, Genova, De Ferrari, 2007. Tito Tuvo, Marcello G. Campagnol, Storia di Sampierdarena, Genova, D'Amore Editore, 1975. Gino Dellachà, Una storia biancorossonera - Il calcio a San Pier d'Arena dal tempo dei pionieri del Liguria alla Sampdoria, Genova, Edizioni Sportmedia, novembre 2016, pp. 32-34. Società Ginnastica Comunale Sampierdarenese Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su stadio di Villa Scassi

Villa Grimaldi (Sampierdarena)
Villa Grimaldi (Sampierdarena)

Villa Grimaldi, nota anche come la Fortezza, è una storica dimora nobiliare del quartiere genovese di Sampierdarena, costruita nel Cinquecento per la famiglia Grimaldi. L'appellativo di "Fortezza" con cui è conosciuta è dovuto alla sua massiccia e severa struttura, con pochi decori esterni, circostanza che non ne pregiudica tuttavia l'aspetto monumentale. Il termine si pone anche in contrapposizione con gli appellativi "Bellezza" e "Semplicità" attribuiti rispettivamente alle adiacenti ville Imperiale e Lercari Sauli. La villa fu costruita negli anni sessanta del 1500 per il banchiere Giovanni Battista Grimaldi, all'epoca uno degli uomini più ricchi e influenti di Genova, su progetto del ticinese Bernardo Spazio che si ispirò per il suo progetto allo stile introdotto a Genova da Galeazzo Alessi, con il quale aveva collaborato, privilegiando però in questo caso la grandiosità della struttura architettonica piuttosto che gli elementi decorativi, peraltro non del tutto assenti nel progetto originario. Morto lo Spazio nel 1564, i lavori furono affidati dapprima a Giovan Battista Castello, noto come "il Bergamasco", e infine dal 1567 portati a compimento da Giovanni Ponzello, che in quegli anni stava curando la costruzione della vicina villa degli Imperiale. Alla morte di Giovanni Battista Grimaldi la villa passò al secondogenito Pasquale (mentre al primogenito Gio. Francesco fu assegnato il palazzo di famiglia di Genova, poi conosciuto come Palazzo della Meridiana). Nel Settecento ne è ancora documentata l'appartenenza alla famiglia Grimaldi. Durante l'assedio di Genova del 1800 fu utilizzata come ospedale dalle truppe napoleoniche, fino a che queste riuscirono a mantenere il controllo del comune di Sampierdarena, pressate dagli austriaci. Intorno alla metà dell'Ottocento fu acquistata da Agostino Scassi, figlio dell'Onofrio Scassi che nel frattempo era divenuto proprietario della villa Imperiale, alla quale aveva legato anche il suo nome, conosciuta infatti in epoca moderna come Villa Scassi. Il nuovo proprietario dopo averla affittata prima a un privato e poi all'Azienda delle Strade Ferrate, che la concesse provvisoriamente all'esercito come caserma, la diede in uso a una fabbrica di conserve alimentari Così la vide l'Alizeri nel 1875. All'inizio del Novecento fu acquistata dal proprietario della fabbrica di conserve, e ancora era adibita a quest'uso nel 1923, quando fu posta sotto vincolo della Soprintendenza alle Belle Arti e l'anno dopo acquistata dal comune di Sampierdarena, che mise in opera alcuni restauri liberandola delle baracche abusive che negli anni le si erano addossate intorno; nel 1926, con la costituzione della Grande Genova, entrò a far parte del patrimonio del comune di Genova. Parzialmente danneggiata dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, fu restaurata nel dopoguerra e adibita a sede scolastica, ospitando nel tempo diversi istituti professionali e poi dal 1965 la scuola media intitolata al pittore sampierdarenese Nicolò Barabino; parziali lavori di manutenzione vennero avviati a partire dal 1983 quando la villa era sede della succursale dell'IPC "G. Casaregis", ma nel 2008 gli ingenti costi necessari per l'adeguamento alle norme di sicurezza previste per gli istituti scolastici ne determinarono la chiusura. Nei successivi dieci anni, sebbene l'edificio non abbia avuto destinazioni d'uso specifiche, il cortile antistante è stato annualmente utilizzato come arena per trasmissioni cinematografiche all'aperto ed eventi teatrali. Nel 2022 l'edificio è stato sottoposto a restauro completo con l'obiettivo di dedicarlo a spazio per istituzioni culturali o eventi pubblici. Dopo l'interessamento di un centro di alta formazione danese, il Copenhagen Institute of Interaction Design, i locali della villa sono stati assegnati all'Accademia Ligustica di Belle Arti, al Teatro Nazionale di Genova, e al centro sociale Zapata. Nell'estate del 1607 Pasquale Grimaldi ospitò nella villa il Duca di Mantova Vincenzo Gonzaga accompagnato dal pittore Peter Paul Rubens che durante il suo soggiorno genovese acquisì i disegni di alcuni dei più bei palazzi di Genova, tra i quali la stessa "Fortezza", poi inseriti in un volume illustrato pubblicato ad Anversa nel 1622. Nel 1745 vi alloggiò il duca di Modena Francesco III, giunto a Genova in veste di comandante dell'armata spagnola (sia la Repubblica di Genova che il Ducato di Modena erano alleati della Spagna nel contesto della guerra di successione austriaca che sconvolgeva l'Europa in quel tempo). Qui Gian Giacomo Grimaldi quasi sessantenne (1705-1777) ospito' Giacomo Casanova nel 1764 onde persuaderlo a lasciare la sua amante, Rosalie, in isposa a un suo conoscente (Histoire de ma vie Vol 7, libri 3 e 4). La villa fiancheggia quella che era allora la strada principale di Sampierdarena, l'attuale via Nicolò Daste, ma l'ingresso e la facciata principale sono rivolti verso una strada laterale, diretta verso la spiaggia, l'antica "Crosa larga", oggi via Palazzo della Fortezza, su cui si affacciavano terreni coltivi di proprietà dei Grimaldi. Oltre che dal volume di Rubens la villa è documentata anche nei disegni e nelle planimetrie di Martin Pierre Gauthier del 1818-1832. La villa ha forma cubica, caratteristica dello stile dell'Alessi, di cui Bernardo Spazio era stato uno stretto collaboratore, ed è dotata di due logge, una al piano terreno nella facciata principale e una al piano nobile, orientata a nord, su via Daste. La facciata era ornata da un affresco in chiaroscuro di Battista Perolli, andato perduto. Si presenta oggi con un aspetto severo e totalmente privo di decorazioni. L'ingresso, sopraelevato rispetto al piano stradale, è costituito da una loggia a tre fornici. Successivi rifacimenti hanno del tutto eliminato l'originaria decorazione con semi-colonne doriche al piano terra e lesene corinzie al piano superiore, come si poteva vedere dai disegni del Rubens. L'eliminazione dei decori ha evidenziato la struttura architettonica, severa ma al tempo stesso armoniosa, che ben giustifica l'appellativo di "Fortezza". Sulle altre facciate non ci sono decorazioni, ed eccezione della balaustra della loggia, anch'essa a tre fornici, posta sulla facciata nord, che si apre nel salone del piano nobile. Al piano terra dal loggiato d'ingresso si accede ad un ampio vestibolo, in fondo al quale ha inizio lo scalone che porta al piano nobile. Sotto lo scalone si trovava un grande bagno ottagonale, oggi scomparso, simile a quello realizzato dall'Alessi per il palazzo Grimaldi in Bisagno e tanto lodato dal Vasari. Lo scalone disegnato dallo Spazio dà accesso alla loggia del piano nobile, da dove la vista spaziava verso le colline. La volta fu decorata da Battista da Carona (secondo alcuni in collaborazione con il fratello Andrea) con cassettoni in stucco ed altorilievi raffiguranti divinità marine realizzati su disegni di Luca Cambiaso. La loggia era priva di decorazioni e pitture alle pareti già nel progetto originale. La loggia è collegata con un grande salone, con tre grandi finestre rivolte a sud, da dove un tempo lo sguardo spaziava fino al mare. Il salone, lungo 18 m e alto nove, è anch'esso privo di decorazioni e pitture, ma gli stipiti scuri in ardesia di porte e finestre sul fondo bianco delle pareti conferiscono all'ambiente una grande solennità. Adiacenti al salone sono sei sale più piccole, tre per lato, le uniche che presentano affreschi nelle volte, oggi in cattivo stato di conservazione, opera del "Bergamasco" e del Perolli. I dipinti hanno in parte soggetto mitologico, con episodi dell'Iliade e dell'Eneide, altri rappresentano personaggi mitici dell'antica Roma. La struttura interna della villa e le decorazioni sono state in parte compromesse dalle varie destinazioni d'uso della villa a partire dal XIX secolo, in particolare quando fu trasformata in fabbrica di conserve. In origine sul lato a sud del palazzo si trovava un vasto giardino che arrivava sino al mare. Dopo che la costruzione della ferrovia lo aveva diviso in due parti, fu lottizzato e del tutto edificato intorno alla metà dell'Ottocento. La distanza dal mare fu ulteriormente aumentata dalla creazione del porto di Genova. Resta solo l'ampio cortile antistante all'ingresso, realizzato in posizione rialzata per superare il naturale dislivello del terreno. AA.VV., Ville del ponente e della Val Polcevera, Genova, Sagep, 1986. Guida d'Italia - Liguria, Milano, Touring Club Italiano, 2009. Ville di Genova Palazzo Gerolamo Grimaldi Palazzo Gio Battista Grimaldi (vico San Luca) Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Villa Grimaldi Villa Grimaldi (PDF), su opportunityliguria.it. Palazzo della Fortezza, su sanpierdarena.net. Le ville di Sampierdarena, su stedo.it. Il percorso storico delle ville di Sampierdarena, su opengenova.org. URL consultato il 10 febbraio 2015 (archiviato dall'url originale il 10 febbraio 2015).