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Turati (metropolitana di Milano)

Linea M3 (metropolitana di Milano)Pagine con mappeStazioni della metropolitana di MilanoStazioni ferroviarie attivate nel 1990
Milan Metro Line 3 Turati station 02
Milan Metro Line 3 Turati station 02

Turati è una stazione della linea M3 della metropolitana di Milano.

Estratto dall'articolo di Wikipedia Turati (metropolitana di Milano) (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

Turati (metropolitana di Milano)
Via Principe Amedeo, Milano Brera

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NUI City Jungle Cafè

Via Principe Amedeo 2/7
20121 Milano, Brera
Lombardia, Italia
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Milan Metro Line 3 Turati station 02
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Luoghi vicini

Palazzo Montecatini (primo)
Palazzo Montecatini (primo)

Il Palazzo Montecatini è un edificio del centro di Milano, sito in Via della Moscova 3, angolo Largo Donegani, ad uso uffici. Fu progettato dallo Studio Ponti-Fornaroli-Soncini tra il 1935 e il 1938. Ci si riferisce spesso a esso come Primo Palazzo Montecatini per distinguerlo dall'altro palazzo Montecatini, anch'esso prospettante su Largo Donegani, progettato da Ponti e Fornaroli nel 1947-1951. "La storia dell'architettura moderna deve essere riconoscente in modo particolare agli industriali... per la creazione più rappresentativa delle moderne organizzazioni: gli uffici delle grandi amministrazioni. ... Il nuovo palazzo della Montecatini può essere considerato come un'opera di alta classe, [per] la serietà e modernità degli impianti, il calcolato tecnicismo, l'ardimento di taluni provvedimenti, come il condizionamento dell'aria." Il Palazzo fu commissionato allo Studio Ponti-Fornaroli-Soncini da Guido Donegani, fondatore e presidente della Montecatini "con il preciso mandato di dotarlo di tutti i perfezionamenti fin qui sperimentati e realizzati in tutto il mondo." "L'intensa (e combattuta) collaborazione tra [i progettisti] e il committente ha fatto alzare il tiro ad entrambi e l'edificio ha raggiunto, nonché l'efficienza, l'immagine che divenne subito popolare al suo primo apparire". "A vincolare la nascita del progetto vi sono tre elementi: la preesistente costruzione [su via Turati del vecchio Palazzo Montecatini] da integrare alla nuova in un unico complesso; la sagoma dell'area destinata al nuovo intervento e i conseguenti allineamenti stradali; l'ambientazione stilistica con gli edifici attigui. Ponti, Fornaroli e Soncini liberano la pianta [dalle forme classiche], consentendole di delinearsi nel modo più consono e razionale rispetto [alla forma del lotto e] alla distribuzione esterna e interna delle attività funzionali, dandole la forma di una H rastremata." Essa realizza una connessione naturale con l'edificio preesistente e "la centralizzazione degli uffici e dei servizi: nel braccio centrale sono posti gli uffici dei dirigenti; nei due corpi allungati gli altri uffici, che si trovano così a uguale distanza dai dirigenti." "Ma l'immagine dell'edificio è data non dal solenne fronte (arretrato, su una strada minore), bensì dalla parete laterale continua, sulla via principale (via Turati). Perfettamente liscia, con serramenti e cristalli a filo, questa impenetrabile parete appare senza spessore e la ripetizione delle aperture appare, significativamente, senza peso. Nel contatto con la vecchia facciata del vecchio Palazzo Montecatini, con cui si allinea, questa parete aerea (piacque a Malaparte, piacque a Savinio) esprime il totale distacco delle due architetture." "Impostata sulla funzionale pianta ad H, con accesso a corte su via Moscova, la macchina d'uffici studiata da Ponti, Fornaroli e Soncini realizza il risultato di una perfetta coerenza progettuale tra il design dell'involucro e quello delle attrezzature interne." Si è ricercata "l'unità dei rapporti, per cui tutte le sue forme nascono da una funzione naturale.... [Ad esempio,] i progettisti hanno misurato la scrivania, che è il mobile dominante dell'ambiente di ufficio, e su questa misura hanno fissato il modulo di tutta la costruzione. ... Gli assi di luce sono determinati dalla posizione di questi mobili; l'altezza dei davanzali è determinata dall'altezza degli scaffali. Ogni ufficio diventa uno spazio-modulo: nella addizione di questi elementi è immaginato tutto l'organismo." "Gli uffici sono divisi con "pareti trasparenti a settori mobili, che in breve tempo possono essere facilmente spostati." Lo spazio di lavoro è infatti un unico grande ambiente. "Il trattamento delle affilate superfici esterne è una precisa dichiarazione in favore della sincerità espressiva dei materiali predicata dal razionalismo. Le levigatissime pareti in marmo cipollino verde e i serramenti standardizzati in ferro e alluminio enfatizzano, infatti, il valore di pelle del rivestimento rispetto all'ordito strutturale della fabbrica." "Marmo e alluminio, materiali Montecatini; quel marmo che Gio Ponti dice ho fatto tagliare i massi controverso e ho inventato un marmo nuovo, e lo chiama il tempesta." Di grande effetto è il risultato cromatico che combina il grigio-argento dell'alluminio degli infissi, al verde cangiante del marmo della facciata. L'edificio non ammette modanature né rilievi e le pareti a piombo precipitoso hanno nella finestra un modulo essenziale, ripetuto ritmicamente in orizzontale nei corpi di fabbrica laterali e in verticale nell'edificio centrale. Ponti, nonostante le dimensioni del Palazzo, lo immagina leggero e ne leviga l'esterno tenendo sullo stesso piano il rivestimento e le cornici dei serramenti" "Una importanza notevole rivestono gli impianti, alloggiati nel secondo piano sotterraneo: posta pneumatica, centrale telefonica, gruppi di climatizzazione (rara a quei tempi in Italia), archivi, montacarichi, magazzini e ricoveri antiaerei per 500 persone." "E Ponti volle non nascondere ma rendere visibile e visitabili le bellissime centrali." Gli apparecchi e gli arredi furono tutti revisionati con entusiasmo dai progettisti o da loro appositamente disegnati (e fonte di "avvio di studi sulla prefabbricazione, come le scale pronte Montecatini, studiate da Libera, Ponti, Soncini e Vaccaro"). La meticolosa predisposizione progettistica, passione mia e dei miei collaboratori, scrive Ponti, assume nei disegni, oltre un valore tecnico, anche un valore morale di sforzo e uno estetico di grafia. Talvolta queste tavole assumono aspetti come l'ordinativo delle pietre, il cui interesse grafico ci pare assumere un suo valore astratto, al di là dello scopo pratico. Questa nostra passione progettistica si è accompagnata all'entusiasmo della revisione di tutti quanti i particolari, dagli impianti ai procedimenti, agli apparecchi, alle lampade etc: di tutto quanto cioè appariva da rivedere, da migliorare, da sperimentare e da prevedere. Dalla illuminazione di gala al percorso turistico per visitare il palazzo s'è cercato di prevedere tutto il prevedibile, di intervenire in ogni dove." "In un bombardamento durante la seconda Guerra Mondiale, l'edificio fu seriamente danneggiato. In occasione della ricostruzione delle ali laterali, Donegani volle realizzare l'elevazione dell'edificio, portando i piani da otto a nove. Ponti era fermamente contrario a questa modifica, che sentiva ledere il carattere di forma finita dell'opera. Ma Donegani motivò la decisione affermando che un edificio funzionale accresciuto di un piano funziona di più." G. Ponti, (a cura di), Il Palazzo per uffici Montecatini, Milano 1938 AA.VV., Il palazzo per uffici Montecatini inaugurato a Milano il 28 ottobre XVI. Montecatini società generale per l'industria mineraria e chimica, Tipografia Pizzi e Pizio, Milano 1938 Giuseppe Pagano, Alcune note sul palazzo della Montecatini, in Casabella Costruzioni, n. 138-139-140, Editoriale Domus, giugno-luglio agosto 1938. G. Ponti, Come è nato l'edificio, in Casabella Costruzioni, n. 138-139-140, Editoriale Domus, giugno-luglio-agosto 1939 P. Masera, La nuova sede della Montecatini in Milano, in "Edilizia Moderna", Estratto di Gennaio - Giugno, 1939 G. Ponti, Un palazzo del lavoro, in "Domus", n. 135, pagg. 36-47, 1939, C. Malaparte, Un palazzo d'acqua e di foglie, in Aria d'Italia, maggio 1940 G. Ponti, Superfici, in "Stile", n. 2, 1941 G. Ponti, Genesi di un perfezionamento, in "Stile", n. 25, pagg. 16-19, 1941 A. Savinio, Ascolto il tuo cuore città, Bompiani, Milano 1944 G. Ponti, I materiali dello stile di domani, in "Domus", n. 229, 1948 G. Ponti, L'alluminio e l'architettura, in "Domus", n. 230, 1948 G. Ponti, Alcune considerazioni sugli edifici per uffici, in "Edilizia Moderna", n. 49, pagg. 11-19, 1952 L. Cappellini e G. Ricci, Guide di Architettura: Milano, Milano 1990 L. L. Ponti, Gio Ponti: l'opera, Leonardo Editore, Milano 1990 ISBN 88-355-0083-4 G. Arditi e C. Serrato, Giò Ponti: venti cristalli di architettura, Il Cardo, Venezia 1994 Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sul primo palazzo Montecatini

Chiesa di Sant'Angelo (Milano)
Chiesa di Sant'Angelo (Milano)

La chiesa di Santa Maria degli Angeli, più conosciuta come chiesa di Sant'Angelo, è una chiesa del centro storico di Milano, chiaro esempio dello stile barocco nel capoluogo lombardo. Il complesso di Santa Maria degli Angeli, costituito dalla chiesa di Sant'Angelo e dall'annesso convento che si trova sulla sua destra, è fin dalla posa della prima pietra avvenuta il 21 febbraio 1552 a opera dell'arcivescovo Giovanni Arcimboldi la sede milanese dei Francescani dell'Ordine dei frati minori osservanti di San Francesco. Il complesso originario, eretto nel 1436 e demolito nel 1551, si trovava non distante da quello attuale, lungo il corso del naviglio della Martesana e appena fuori dalla cinta dei bastioni spagnoli. All'inizio del Quattrocento il francescano San Bernardino da Siena aveva percorso l'Italia predicando per fare cessare i sanguinosi scontri fra Guelfi e Ghibellini. Giunto a Milano venne favorevolmente accolto e tredici giovani uomini, colpiti dalle sue prediche, vollero vestire l'abito dei Frati Minori Osservanti e seguire il Santo. Le autorità milanesi vollero donare alla piccola comunità una chiesola con annessa una casa che sorgeva fuori da Porta Nuova, lungo il corso della Martesana. Presto le oblazioni dei fedeli furono sufficienti per erigere, nel 1436, una nuova chiesa, intitolata a Santa Maria degli Angeli ad imitazione di quella di Assisi. Fu successivamente aggiunto un convento che poté ospitare duecento frati. Il complesso sorgeva non lontano da dove sarebbe poi stato edificato il Lazzaretto, fuori dal Redefossi e presso il naviglio della Martesana, lungo l'attuale via Melchiorre Gioia. Era all'interno di un parco boschivo creato per volontà della duchessa Bianca Maria Sforza e fu definito grandioso e ricolmo di opere d'arte. La chiesa, descritta come ricca e magnifica dalle fonti dell'epoca, ospitava sui lati dodici cappelle gentilizie e nel coro un dipinto della Passione di Cristo; intorno sorgevano cinque chiostri ornati con affreschi raffiguranti le vite si San Francesco e di San Bernardino. Il complesso, già gravemente danneggiato nel 1527 da un violento incendio, dovette poi essere abbattuto nel 1551 per l'innalzamento della nuova cerchia di bastioni decisa dal governatore di Milano Ferrante I Gonzaga che ordinò quindi l'erezione dell'attuale edificio in sostituzione del precedente, ad opera dell'architetto di fiducia del governatore, il pratese Domenico Giunti. La posa della prima pietra della nuova chiesa avvenne il 21 febbraio 1552 alla presenza dell'arcivescovo Angelo Arcimboldi, del governatore Ferrante Gonzaga e del padre provinciale dei Francescani. La consacrazione avvenne il 23 maggio 1555, quando l'architetto Giunti aveva già lasciato Milano al seguito di Don Ferrante che era stato esautorato dalla carica di Governatore della città nel marzo 1554. I lavori di edificazione della chiesa si protrassero per lungo tempo, per cui rimane irrisolta la questione dell'aderenza della costruzione al progetto originale del Giunti che aveva appunto lasciato Milano nel 1555. In particolare la facciata non corrisponde ai disegni originali lasciati dall'architetto e ancora nell'anno 1584 risultava non terminata. L'edificio si articola in una vasta navata, circondata da una serie di cappelle laterali e coperta da volta a botte, seguita da un ampio transetto e da un profondo presbiterio. L'insieme dell'interno contiene chiari riferimenti alla tradizione architettonica toscana riconoscibile «nell'ampia serena stesura di spazi, anche nella decorazione della volta, essenzialmente costruttiva e geometrica», ricordo di Santa Maria delle Carceri a Prato. Vi sono contenute diciannove cappelle gentilizie, otto per lato sulla navata principale, e tre affacciate sul transetto. Appartennero a famiglie patrizie e corporazioni della città di Milano, che ne ordinarono le decorazioni nell'arco dei secoli, per tutto il Cinquecento, Seicento e Settecento, fino alle ultime risalenti all'ultima metà del Novecento. Ricorre nella decorazione il sole raggiante col monogramma IHS, simbolo di Cristo diffuso dal francescano San Bernardino da Siena. Sotto all'altare maggiore è presente una cripta costituita da tre vani, oggi in disuso e adibita a magazzino; la cripta era utilizzata fino al Settecento per dire messa in periodo di Quaresima. Come gran parte delle sedi monastiche milanesi, anche questo convento venne soppresso durante il periodo napoleonico, nel 1810. Solo nel 1922 i Minori francescani fecero ritorno nell'edificio. Il grandioso monastero originario, articolato su tre chiostri, ornati da cicli di affreschi dei Procaccini e del Morazzone, in stato degradato, venne abbattuto e ricostruito in forme contemporanee. La chiesa si segnala per essere una dei pochi edifici di culto milanesi ad essere sopravvissuti relativamente intatti ai devastanti "restauri" ottocenteschi, che hanno imposto un uniforme quanto banale aspetto "neomedievale" a tutti i monumenti più importanti. Anche qui le spoliazioni napoleoniche e la rimozione ottocentesca delle sepolture dalle chiese hanno aperto lacune, ma nel complesso la chiesa si presenta ancora integralmente nella sua veste manierista e barocca, conservando tutte le cappelle di patronato delle antiche corporazioni, difese da alte cancellate e decorate da opere d'arte del Sei/Settecento. Le lacune sono state colmate nel XX secolo da opere moderne (affreschi, quadri, sculture), non sempre di livello comparabile a quello delle opere antiche, ma tali comunque da fornire al visitatore un'immagine non lacunosa dell'edificio. Il sagrato della chiesa è ornato dalla Fontana di San Francesco con la rappresentazione in bronzo di San Francesco d'Assisi che parla agli uccelli, opera del 1927 di Giannino Castiglioni. Il convento (1939-1958) che ospita anche l'istituto Angelicum è opera di Giovanni Muzio. La facciata, non corrispondente ai disegni originali dell'architetto Giunti e quindi terminata dopo il suo abbandono di Milano nel 1554, è a due ordini dorico e ionico, a salienti. Essa è suddivisa in due ordini sovrapposti da un alto cornicione sorretto da quattro colonne con capitelli tuscanici; intervallati alle colonne si aprono tre portali, con quello centrale più grande rispetto ai due laterali. La fascia superiore della facciata è decorata da un cornicione che richiama una serliana idealmente sorretta da sei lesene con capitelli ionici. Nel timpano sopra la finestra centrale, entro una nicchia, vi è la Statua dell'Immacolata. Termina in alto la facciata un frontone triangolare con croce in ferro battuto. Completano la decorazione statue di Gerolamo Prestinari, scultore attivo nel Sacro Monte di Varese. In particolare si possono vedere: al primo ordine, entro nicchie, quattro statue di San Francesco, San Bernardino e due santi francescani. sopra il portale maggiore, altorilievo con San Michele Arcangelo che sconfigge Lucifero sulla balaustra sostenuta da quattro colonne, quattro statue raffiguranti i Dottori della Chiesa nei timpani delle finestre, coppia di Monache a coronamento, Angeli L'interno della chiesa è a croce latina, con unica ampia navata a botte lungo la quale si aprono due file di cappelle laterali anch'esse voltate a botte. La descrizione procede secondo l'ordine di percorso, partendo da destra. Nella prima cappella a destra, dedicata a Santa Caterina d'Alessandria, all'altare è collocata una copia della pala di Gaudenzio Ferrari un tempo qui e oggi alla Pinacoteca di Brera. L'ancona era stata commissionata nel 1540 dal senatore Giacomo Gallarati, per la propria cappella di famiglia nella precedente chiesa di Sant'Angelo, e poi trasportata nella chiesa attuale. A seguito della soppressione del convento, fu acquistata dal governo austriaco e donata alla pinacoteca di Brera. All'epoca della sua commissione il Ferrari era l'artista più famoso del momento, scelto dalla potente famiglia Gallarati per la decorazione della cappella dove avrebbe trovato sepoltura anche Francesco Gallarati, comandante delle truppe imperiali. La tela mostra al centro la Santa, orante, torturata dagli aguzzini, mentre dall'alto piomba un angelo dalla spada sguainata, dipinto in virtuosistico scorcio, pronto a spezzare le ruote del martirio, scatenando terrore e sconcerto tra i soldati e l'imperatore in secondo piano. La vivacità dei colori e dei costumi ritratti, la teatralità delle pose, le nerborute anatomie dei personaggi testimoniano la volontà dell'autore di aggiornarsi alle ultime creazioni del manierismo di scuola romana, e in particolare l'influsso del Giudizio universale di Michelangelo e degli affreschi mantovani di Giulio Romano. Le tele laterali, risalenti agli anni '80 del XVI secolo, sono del cremonese Antonio Campi e sono giocate su un forte contrasto luce-ombra che costituisce un precedente lombardo alla pittura di Caravaggio. La tela di destra è la Decapitazione, mentre quella di fronte rappresenta L'imperatrice Faustina visita Santa Caterina in carcere. La scena è caratterizzata da un'orchestrazione di ombre e luci generate da molteplici fonti, quella ultraterrena proveniente dal carcere, quella della torcia e alle spalle quella naturale della luna. Nella seconda cappella a destra si segnala la tela seicentesca con San Carlo in gloria, di Pier Francesco Mazzucchelli detto il Morazzone; nel dipinto il Santo viene portato in cielo da un gruppo di angeli. Ai lati della cappella due tele del 1854 del pittore Bombardini. Terza cappella a destra, commissionata dalla famiglia Porrone e interamente decorata dal pittore Giovanni Battista della Rovere detto Il Fiammenghino (1561-1627). Sopra all'altare è ritratto San Francesco che riceve le stimmate; ai lati e sulla volta scene della vita del Santo. I due affreschi principali della cappella rappresentano San Francesco che alla Porziuncola riceve il perdono d'Assisi per intercessione della Beata Vergine e il Capitolo Generale celebratosi dal Santo ad Assisi con l'intervento del cardinale Ugolino, poi Papa Gregorio IX. La quarta cappella a destra è caratterizzata dalla pala d'altare dello Sposalizio della Vergine di Camillo Procaccini (1561-1629); sul lato si vede una tela di Panfilo Nuvolone (1581-1651) rappresentante l'Immacolata Concezione, dogma fortemente sostenuto dai Francescani. Quinta cappella a destra, dominata dalla tela attribuita al milanese Filippo Abbiati (1640-1715) che rappresenta la francescana santa Margherita da Cortona con i santi Pasquale Baylón e Giovanni da Capestrano. Sui due lati della cappella due affreschi del 1597 di Pietro Gnocchi, milanese, raffiguranti La pesca miracolosa e San Pietro che manca di fede salvato da Cristo. Altre decorazioni sono di Bernardino Luini. Sesta cappella a destra, contiene la tela novecentesca di San Luca, circondata da stucchi del seicento. Settima cappella a destra, tutta la decorazione a stucco e gli affreschi con Storie di San Girolamo furono completati dal genovese Ottavio Semini nel 1565. Nell'ottava cappella a destra vanno ricordati gli affreschi di Simone Peterzano, primo maestro del Caravaggio. Essi rappresentano, sulla parete sinistra, il Miracolo della mula, mentre a destra la Predicazione del santo, caratterizzato da vivaci motivi quotidiani quali i bambini che giocano fra le braccia delle madri ed il frate assorto nell'ascolto della predica. All'altare, statua del XVI secolo, mentre la cupola è decorata con la Gloria di Dio Padre dei Fiammenghini. Nel transetto si segnalano la Cappella Brasca, decorata da Ottavio Semino, e alcuni monumenti funebri, tra cui l'epitaffio marmoreo di Fabrizio Ferrari, disegnato da Martino Bassi. Sulla parete a sinistra dell'altare, è sistemato il Sepolcro del vescovo Pier Giacomo Malombra, morto a 45 anni nel 1573), in marmo bianco. Il monumento è attribuito ad Annibale Fontana, scultore manierista milanese noto per le opere scultoree di Santa Maria dei Miracoli presso San Celso. Presenta, al di sopra di un'edicola aggettante, un sottile sarcofago decorato da sobri motivi classici sormontato dalla figura del vescovo in posizione reclinata. In posizione simmetrica rispetto all'altare del Mausoleo Malombra è il monumento funebre alla beata Beatrice Casati, moglie di Franchino Rusca, terzo Conte di Locarno, morta in odore di santità nel 1490. Rimasta vedova nel 1465, rimase a Locarno per alcuni anni per poi spostarsi a Milano nella casa del defunto coniuge; qui vestì l'abito monacale del Terzo Ordine di San Francesco. Come si legge nell'epitaffio, il sepolcro marmoreo fu eretto nell'anno 1499 su volontà della figlia di Beatrice, Antonia Rusca. Proviene dalla precedente chiesa demolita e fu rimontato in modo parziale nella posizione attuale. Costituisce un raro esempio di monumento sepolcrale femminile a cavallo fra Quattrocento e Cinquecento, variamente attribuito al Bambaja o a Benedetto Briosco. Il corpo della monaca giace disteso all'interno di una nicchia decorata con delicati motivi a foglie d'acanto. La morbidezza del panneggio e l'impostazione classica del monumento contrastano con il crudo naturalismo del volto dell'anziana monaca. La cappella del Crocifisso, a destra del presbiterio, e la Cappella della Santità Francescana, alla sua sinistra, sono di Giannino Castiglioni (anni cinquanta del novecento). Alla testata del transetto sinistro, la Cappella della Misericordia, decorata da affreschi di Ottavio Seminocon Nascita e la Morte di Maria alle pareti, e la Trinità incorona la Vergine sulla volta emisferica. Sull'altare, gruppo di sculture in pietra dipinta del XVI secolo della "Madonna della Misericordia" tra San Francesco d'Assisi e Santa Margherita di Antiochia. Nel corridoio d'ingresso del transetto destro, è ospitata una Madonna col Bambino, bassorilievo quattrocentesco firmato Francesco Solari. Il presbiterio è decorato da un vasto ciclo di affreschi di Camillo Procaccini, autore anche di diverse tele nelle cappelle della chiesa, del secondo decennio del Seicento. Nella volta si può ammirare, nel tondo centrale, L'Assunzione di Maria, contornata nei quattro scomparti laterali da schiere di angeli musicanti. Gli affreschi sono caratterizzati dai delicati accordi cromatici delle vesti degli Angeli, sull'insolita dominate lilla delle nubi sullo sfondo. Il concerto degli angeli mostra anche una notevole rassegna degli strumenti musicali in uso al tempo, liuti, archi, arpe e trombe. Sempre del più anziano dei fratelli Procaccini sono anche le tele sul fondo del coro, con L'Annunciazione, La Fuga in Egitto, e La Morte della Madonna. L'Altare Maggiore, barocco, in marmi policromi e pietre dure, fu scolpito nel 1708 da Giovanni Battista Dominioni, con le sovrastanti statue. La sagrestia, che presenta una decorazione rococò, contiene al suo interno tele di diversi pittori, tra cui una Natività della Vergine di Giulio Cesare Procaccini. Affreschi allegorici di Fiammenghini. Settima cappella a sinistra, alla parete destra mostra la tomba di Carlo Antonio Sormani († 1730). Il monumento, ricco di decorazioni e di simboli guerreschi e del comando, è databile fra il 1730 e il 1733. Nell'arcone che divide la navata dal transetto è dipinta una solenne Incoronazione di Maria del Legnanino. Sesta cappella a sinistra, è dedicata a San Giovanni evangelista e ospita opere del XVI e del XVIII secolo. La quinta cappella a sinistra è un armonico esempio di barocchetto lombardo, in cui sculture, marmi, dipinti ed affreschi si fondono nell'estrosa decorazione. Al progetto, realizzato nel secondo decennio del Settecento, collaborarono alcuni fra i maggiori artisti milanesi del periodo. Lo scultore Giuseppe Rusnati è autore della statuaria, il Legnanino delle tele, mentre la volta fu affrescata a quattro mani come era in uso all'epoca: Giovan Battista Sassi, specializzato nelle figure allegoriche, e il Castellino, autore delle caratteristiche quadrature formate da fantasiose architetture mistilinee ornate da fiori. Il tutto fu finanziato dalla potente famiglia dei Durini, feudatari di Monza, a partire dal 1697. In quella data la cappella, precedentemente dedicata a Santa Margherita, ebbe la dedicazione attuale, in onore dei conti Giacomo e Giangiacomo Durini, sepolti nella cappella stessa. L'intera cappella è rivestita fino alla cupola da marmi policromi, che costituiscono anche la balaustra composita. Sull'altare spicca dal fondo nero la statua in marmo di Carrara di San Giacomo apostolo. Il Santo è rappresentato con la tradizionale conchiglia di San Giacomo, simbolo del pellegrinaggio nella città di Santiago di Compostela, che ricorre anche nella decorazione marmorea. Il pellegrino raccoglieva sulle spiagge galiziane e sulla costa di Finis Terrae le conchiglie, che dovevano essere cucite sul mantello o sul cappello ed erano il simbolo da mostrare a tutti che il Pellegrino aveva raggiunto e visitato la tomba dell'apostolo di Gesù. Alle pareti le tele rappresentano storie di San Giacomo e di San Giovanni, sormontate da putti e tondi con le statue allegoriche della Fede e della Penitenza. Nella cupola, angeli portano il vessillo di San Giacomo. Quarta cappella a sinistra, è presente una pala d'altare affigurante i Santi Agata e Omobono Terza cappella a sinistra, rivestita da affreschi del Morazzone con putti e Profeti. Sull'altare, Apoteosi di San Pietro di Alcantara, di Giambattista del Sole. Nella seconda cappella a sinistra, tutta la decorazione spetta a Camillo Procaccini, successivamente alla canonizzazione di San Diego (1588). Al centro, San Diego che guarisce gli infermi. La prima cappella a sinistra, dedicata al titolare della chiesa, San Michele arcangelo, fu commissionata dalla famiglia Sansoni, che la utilizzò anche come sepoltura per i propri membri. La decorazione fu interamente realizzata dal pittore manierista Panfilo Nuvolone, padre dei più celebri Carlo Francesco e Giuseppe, esponenti del barocco milanese. La pala centrale raffigura La Vergine fra San Girolamo e San Michele che scaccia il demonio, mentre gli altri episodi sono allegorie delle virtù. Benché realizzata nel primo decennio del Seicento, la rigida decorazione a stucco e le scultoree figure dipinte si mostrano più vicine alla compostezza manierista, che non al nascente spirito barocco. Nei due bracci del transetto, diviso in quattro corpi distinti più un quinto corpo nella parete di fondo dell'abside, vi è l'organo Tamburini (Opus 372) a quattro tastiere di 61 note e pedaliera concavo-radiale di 32 note, la cui consolle è collocata dietro l'altar maggiore, nel coro. Lo strumento è stato costruito nel 1957 ed è a trasmissione elettrica per le note ed i registri. È stato restaurato nel 2003 con l'aggiunta di un centralino elettronico per la gestione delle combinazioni aggiustabili. Luigi Malvezzi, Brevi cenni illustrativi intorno alla chiesa di Sant'Angelo in Milano dell'Ab. Luigi Malvezzi, Milano, Tipografia di A. Lombardi, 1870. Costantino Baroni, Domenico Giunti architetto di Don Ferrante Gonzaga e le sue opere in Milano, in Archivio storico lombardo: giornale della Società storica lombarda, A. 3, dic., 31, fasc. 3-4, nuova serie, Milano, G. Brigola, 1938. Adolfo Venturi, Domenico Giunti o Giuntalodi, in Storia dell'arte italiana, XI, Architettura del Cinquecento, parte III, Milano, Ulrico Hoepli, 1940, pp. 850-859. Maria Teresa Fiorio, Le chiese di Milano, Electa, Milano, 2006 Guida d'Italia, Milano, Edizioni Touring Club Italiano, Milano, 2007. Mina Gregori (a cura di), Pittura a Milano dal seicento al neoclassicismo, Cariplo, Milano, 1999. Mina Gregori (a cura di), Pittura a Milano, Rinascimento e Manierismo, Cariplo, Milano, 1998. Silvio Leydi, Rossana Sacchi, Il Cinquecento, in "Itinerari di Milano e provincia", Provincia di Milano, MIlano, 2000. Wikibooks contiene testi o manuali sulla disposizione fonica dell'organo a canne Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla chiesa di Sant'Angelo a Milano Sito ufficiale, su fratiminori.it. Chiesa di Sant'Angelo, su LombardiaBeniCulturali, Regione Lombardia.

Chiesa di San Bartolomeo (Milano, 1864)
Chiesa di San Bartolomeo (Milano, 1864)

La chiesa di San Bartolomeo (in milanese gesa de San Bartolamee) è un luogo di culto cattolico di Milano, situato in via Moscova 6/8. È stata costruita nel 1864, in stile neorinascimentale, su progetto di Maurizio Garavaglia (1812-1874). L'attuale edificio prese il posto di una precedente chiesa dedicata a San Bartolomeo situata di fronte alla Porta Nuova medievale e demolita per consentire l'apertura di via Turati. Fu sostituita dall'edificio attuale, il cui progetto fu affidato all'architetto Maurizio Garavaglia. La chiesa ricalca stilemi palladiani. Ospita alcune opere d'arte provenienti dalla chiesa demolita. Fra le opere trasferite dal precedente edificio, è il monumento funebre in stile neoclassico al conte Karl Joseph von Firmian (1717-1782), ministro plenipotenziario della Lombardia austriaca, scolpito da Giuseppe Franchi (1731-1806). L'iscrizione specifica che il monumento fu restaurato nel 1815, dopo essere stato rimosso durante l'occupazione francese. Chiese di Milano Chiesa di San Bartolomeo (Milano) Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su chiesa di San Bartolomeo Sito ufficiale, su sanbartolomeomilano.it. Chiesa di San Bartolomeo, su BeWeB, Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici della Conferenza Episcopale Italiana. L'antica storia della chiesa di San Bartolomeo a Milano, su viaggionellarte.it. Il museo diffuso: “Il martirio di San Bartolomeo” di Daniele Crespi, su blog.urbanfile.org.

Palazzo La Serenissima
Palazzo La Serenissima

Il Palazzo La Serenissima è un palazzo per uffici e abitazioni, situato a Milano in Via Turati, progettato e realizzato da Eugenio ed Ermenegildo Soncini tra il 1966 e il 1968. La società committente, la Campari s.p.a., richiedeva un edificio per uffici con un'organizzazione interna molto flessibile, per destinarlo ad affitto. L'area su cui doveva sorgere l'edificio era però composta da due lotti, acquistati in tempi diversi, talché la loro destinazione d'uso era diversa: su via Turati fu possibile realizzare un edificio totalmente ad uffici, mentre quello su via Cavalieri dovette essere destinato ad abitazioni per più della metà. Altri vincoli del PRGC limitavano il loro sviluppo in altezza e imponevano spazi liberi interni così ampi da poter essere destinati a giardino. I progettisti proposero allora di realizzare al piano terreno un portico pubblico, aperto sulla via, così che "il giardino apparisse come un'oasi di verde trasparenza al suo interno". Volevano così creare nel cuore di Milano, su uno degli assi più importanti della città, un edificio che ne accrescesse la qualità ambientale. La Campari signorilmente accettò la proposta, rinunciando allo sfruttamento di uno spazio di grande valore commerciale se destinato a negozi. L’edificio era caratterizzato dal colore brunito delle strutture metalliche di facciata, dai vetri fumé del sistema a courtain walls che lo rendevano moderno, tecnologicamente avanzato e sperimentale alla sua epoca: è infatti un edificio in acciaio e vetro, quando nello stesso periodo il calcestruzzo armato era il sistema costruttivo dominante in Italia. Nel 2012 l'edificio è stato restaurato dallo studio Park Associati, per conto di una banca straniera nuova proprietaria. Sono stati effettuati interventi sulla facciata e l'adeguamento degli impianti, preservando però l’architettura originale. Il progetto ha anche recuperato "volumetrie al piano terreno, dove la generosità di spazi non utilizzati viene ora rivolta al commercio, mantenendo parte della zona a verde centrale". "Al fine di raggiungere il miglior equilibrio possibile tra forma e struttura, assolutamente indispensabile in un edificio come questo nel quale la struttura si identifica con l'architettura" furono studiati e valutati due sistemi strutturali alternativi: uno in calcestruzzo armato, l'altro in acciaio. Fu scelto l'acciaio perché con esso non solo l'ingombro delle strutture risultava più ridotto ma era anche possibile evitare le pilastrate interne; si otteneva così una grande flessibilità. Il sistema strutturale è dunque composto da membrature metalliche che consentono una suddivisione modulare dell'edificio. Su questo reticolo modulare si possono impostare le pareti mobili, che consentono di creare i locali in funzione delle necessità degli inquilini. È così possibile passare, senza necessità di gravosi interventi né strutturali né impiantistici, da una soluzione con ampi saloni che interessano l'intera larghezza dei corpi di fabbrica, a una con saloni più piccoli per il lavoro collettivo, sino a una soluzione con uffici singoli. Sia nei corpi su strada che in quelli sul giardino, i pilastri sono solo perimetrali ed hanno un limitatissimo ingombro: 16 x 30 cm. (di cui solo 15 cm all'interno del corpo). Il rapporto tra superficie coperta e superficie utile è così eccezionalmente alto: superiore al 70%. Nessun ingombro intermedio dunque, ad eccezione dei nuclei delle scale e degli ascensori, eseguiti in calcestruzzo armato per controventare la struttura in acciaio. Determinante per il risultato estetico dell'edificio è stato l'impiego dell'acciaio lasciato a vista. Questo materiale è utilizzato sia nella struttura portante, sia nelle lamiere grecate del soffitto del porticato, al fine di mantenere coerenza nell'impiego dei materiali e un gradevole gioco chiaroscurale. Si è così ottenuto uno stretto binomio tra struttura e architettura. Le facciate sono di due tipi completamente differenti: quella del corpo a uffici è costituita da superfici vetrate, mentre quella delle abitazioni su via Cavalieri è realizzata con pannellature metalliche porcellanate, nelle quali si aprono le finestre dei vari locali, con posizioni e dimensioni studiate in modo tale da evitare, data l'esigua larghezza stradale, sguardi indiscreti negli ambienti interni. Per lo stesso motivo sono stati utilizzati sia dei cristalli ambrati scuri, che riflettono parte dei raggi solari, sia cristalli specchiati. "Per separare il portico pedonale dal giardino è stato impiegato un sistema di vetrate a saliscendi, con vetro Visarm sulla tonalità del bronzo." L'assenza dei tradizionali elementi di sostegno ha reso impossibile accettare quei margini di improvvisazione normalmente concessi alla fase di realizzazione degli impianti: fu necessario eseguire un progetto integrato e dettagliato di tutti gli impianti per poter realizzare preventivamente nelle travi e nei pilastri, quando questi erano ancora in officina, i fori e le asole necessarie per l'installazione dei condotti degli impianti. E. ed E. Soncini, Relazione tecnica sull'edificio de La Serenissima, Milano, 14 aprile 1969 F. Gerosa, Addio a Soncini, il Giornale dell'Ingegnere, n. 10, 1993 A. Kordalis, N. Tommasi, Eugenio ed Ermenegildo Soncini tra sperimentalismo e rigore tecnologico negli anni della Ricostruzione, tesi di laurea (relatore L. Crespi, co-relatore E. Triunveri) Facoltà di Architettura, Politecnico di Milano, 1996

Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente
Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente

La Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente, ai più nota come La Permanente, è un ente morale, sodalizio artistico e culturale di Milano. La società nasce in seguita alla fusione e fondazione in ente morale, nell'anno 1883, di due enti culturali: la Società per le belle arti (che era stata fondata a Milano nel 1844) e l’Esposizione permanente di belle arti (costituita più tardi, sempre a Milano, nel 1870). Il nuovo Ente assunse quindi la denominazione, tuttora vigente, di Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente. Il suo carattere culturale, senza scopo di lucro e dedicato all'incremento delle belle arti, venne sancito dal re Umberto I nel 1884. Dal XIX secolo dunque, La Permanente, come comunemente viene chiamata a Milano, svolge in modo autonomo il proprio compito di diffusione culturale, non solo nell'ambito milanese, ma anche in quello nazionale e internazionale. Il sodalizio opera sia con mostre tematiche che con esposizioni dei soci artisti. Tipica manifestazione fu in passato anche il sorteggio di opere d'arte fra i soci. Si può dire che la storia del sodalizio verta su alcuni punti focali: la rassegna inaugurale del 1886; la mostra del 1900 dedicata a La pittura lombarda del secolo XIX; la mostra dedicata al Novecento Italiano a sancire la ricostruzione postbellica del palazzo venne poi la mostra del 1953 La donna nell'arte da Hayez a Modigliani; infine Milano di ieri e di oggi attraverso l'arte (1957), mostra intesa a chiarire le relazioni tra l'istituzione e la città. Il Palazzo della Permanente ha anche ospitato le manifestazioni della Biennale di Brera, iniziata nel 1908, che con il nuovo inizio nel dopoguerra ha preso il nome di Biennale nazionale di Milano. Con il tempo è andato formandosi l'annesso Museo della Permanente (1992) il cui corpus è costituito dai premi acquisto della Biennale della Città di Milano, dalle opere sorteggiate e da donazioni da parte di privati e dagli stessi artisti soci, così da costituire una panoramica della realtà artistica degli ultimi secoli. Importantissimo è l'archivio della Permanente, tuttora ricco di documenti, nonostante i gravi danni provocati dai bombardamenti della seconda guerra mondiale. Altrettanto ricca è l'attività editoriale e di catalogazione pubblicata via via nel tempo dalla Permanente in relazione alle sue iniziative espositive. Assoluti protagonisti della storia culturale ed artistica hanno fatto parte del sodalizio. Basti ricordare, via via nel tempo, Francesco Hayez, Antonio Rotta, Tranquillo Cremona, Daniele Ranzoni, Gaetano Previati, Emilio Longoni, Mosè Bianchi, Giuseppe Pellizza da Volpedo, Angelo Morbelli, Gerolamo Induno, Lorenzo Vela, Filippo Tommaso Marinetti, Umberto Boccioni, Mario Sironi, Leone Lodi, Achille Funi, Carlo Carrà, Francesco Messina, Attilio Rossi, Trento Longaretti, Giuseppe Ajmone. 1886-1891 Federico Mylius 1892-1907 Carlo Bassi 1907-1935 Giorgio Mylius 1935-1945 Giovanni Treccani degli Alfieri 1945-1952 Carlo Ernesto Accetti 1952-1952 Giuseppe Caprotti 1952-1953 Giovanni Falck 1953-1957 Paolo Stramezzi 1957-1958 Giovanni Falck 1958-1961 Paolo Stramezzi 1961-1964 Franco Marinotti 1964-1972 Eugenio Radice Fossati 1972-1976 Angiola Maria Barbizzoli Migliavacca Campari 1976-1984 Alfredo Spagnolo 1984-2000 Giampiero Cantoni 2000-2003 Alberto Ghinzani 2003-2006 Rosellina Archinto 2006-2007 Giuseppe Melzi 2007-2013 Guido Podestà 2013-2016 Giulio Gallera 2016 Emanuele Fiano Il Palazzo della Permanente, su progetto dell'architetto Luca Beltrami sito in via Turati (all'epoca via Principe Umberto), fu edificato per ospitare manifestazioni d'arte. Un'apposita esposizione lo inaugurò il 25 aprile 1886, mentre la prima mostra dei soci ebbe luogo nel 1892. L'edificio del Beltrami fu in parte gravemente danneggiato dai bombardamenti del 1943; al termine del conflitto il palazzo fu ricostruito ad opera degli architetti Pier Giacomo e Achille Castiglioni negli anni 1952-1953. 1886 Mostra inaugurale 1892 Prima mostra dei soci 1900 La pittura lombarda del XIX secolo 1912 Mostra postuma di Tranquillo Cremona 1915 Mostra dell'Incisione italiana 1916 Biennale di Brera 1926 I mostra del Novecento Italiano 1929 II mostra del Novecento Italiano 1953 La donna nell'arte tra Hayez e Modigliani 1953 XVIII Biennale nazionale di Milano 1955 XIX Biennale nazionale di Milano 1957 XX Biennale nazionale di Milano 1957 Milano di ieri e di oggi attraverso l'arte 1959 50 anni d'arte a Milano. Dal divisionismo ad oggi 1966 La Scapigliatura: pittura, scultura, letteratura, musica, architettura 1979 Mostra di Medardo Rosso 1983 Il Novecento italiano 1984 Oskar Kokoschka, 1906/1924, disegni e acquarelli 1990 Bildhauerei in Mailand, 1945-1990 2001 Esposizione straordinaria dei Soci della Permanente 2003 Nella materia: dal futurismo a Kiefer, da Burri a Kounellis 2004 Salone 2004 2006 Ventipiucento, mostra celebrativa dei centoventi anni dell'Ente 2006 Mostra di Arturo Martini 2007 Il Carnevale, mostra di Gianfilippo Usellini 2013 Dürer. L'opera incisa dalla collezione di Novara 2018 Chagall. Sogno di una notte d'estate 2018 Urbanart colore/materia/luce 2018 Caravaggio. Oltre la tela 2018 Tex Willer. 70 anni di un mito 2019 Io e Leonardo, artisti della Permanente e l'eredità di Leonardo 2022 SOStenibile, gli artisti della Permanente per l'Ambiente e la Sostenibilità 2023 #lèggerelineeleggère, la visione artistica oltre la realtá dell'oggi Ermenegildo Agazzi, Giuseppe Ajmone, Achille Alberti, Ambrogio Alciati, Italo Antico, Bruna Aprea, Rodolfo Aricò, Carlo Balestrini, Giuseppe Banchieri, Orazio Barbagallo, Amerigo Bartoli, Aldo Bergolli, Giorgio Berlini, Nino Bertocchi, Angelo Bertoglio, Cesare Bertolotti, Giovanni Blandino, Floriano Bodini, Agostino Bonalumi, Renzo Bongiovanni Radice, Renato Borsato, Luigi Bracchi, Sandro Bracchitta, Giovanni Brancaccio, Gastone Breddo, Otello Brocca, Anselmo Bucci, Carlo Bugada, Luca Caccioni, Giovanni Campus, Biagio Canevari, Michele Cannaò, Nado Canuti, Giovanni Cappelli, Aldo Carpi, Carlo Carrà, Pietro Cascella, Felice Casorati, Nino Cassani, Bruno Cassinari, Rodolfo Castagnino, Carlo Cattaneo, Alik Cavaliere, Mino Ceretti, Giovanni Cerri, Marco Chiesa, Alfredo Chighine, Galileo Chini, Beppe Ciardi, Guido Cinotti, Pietro Coletta, Giancarlo Colli, Giuliano Collina, Silvio Consadori, Carlo Conte, Romano Conversano, Alex Corno, Roberto Crippa, Giulio Crisanti, Franco Daleffe, Sergio Dangelo, Carola de Agostini, Cristoforo De Amicis, Raffaele De Grada, Francesco De Rocchi, Maria Luisa De Romans, Lucio Del Pezzo, Enrico Della Torre, Bruno Di Bello, Guido Di Fidio, Vittorio Di Muzio, Nino Di Salvatore, Adriano Di Spilimbergo, Gian Paolo Dulbecco, Enzo Esposito, Agenore Fabbri, Berto Ferrari, Renzo Ferrari, Libero Ferretti, Davide Ferro, Michele Festa, Tullio Figini, Luigi Filocamo, Salvatore Fiume, Ugo Flumiani, Luciano Folloni, Lucio Fontana, Attilio Forgioli, Franco Francese, Donato Frisia, Luigi Fulvi, Giovanni Fumagalli, Renato Galbusera, Oscar Gallo, Alessandro Gallotti, Pietro Gaudenzi, Alberto Ghinzani, Franca Ghitti, Alberto Gianquinto, Piero Giunni, Emilio Gola, Giuseppe Grandi, Giulio Greco, Giorgio Griffa, Costantino Guenzi, Giuseppe Guerreschi, Carlo Gusmeroli, Achille Guzzardella, Carlo Hollesch, Paolo Iacchetti, Emma Jeker, Savino Labò, Piero Leddi, Trento Longaretti, Emilio Longoni, Ubaldo Magnavacca, Gianfranco Manara, Ferdinando Mandelli, Luigi Mantovani, Giancarlo Marchese, Ada Marchetti, Sandro Martini, Giuseppe Martinelli, Piero Marussig, Lino Marzulli, Giacomo Maselli, Vittorio Matino, Giovanni Mattio, Alfredo Mazzotta, Vittorio Melchiori, Gino Meloni, Fausto Melotti, Francesco Messina, Elena Mezzadra, Umberto Milani, Giuseppe Montanari, Sara Montani, Enzo Morelli, Mario Moretti Foggia, Gino Moro, Giuseppe Motti, Giuseppe Novello, Eugenio Olivari, Claudio Olivieri, Gottardo Ortelli, Giancarlo Ossola, Goliardo Padova, Guido Pajetta, Mimmo Paladino, Bernardino Palazzi, Aldo Pancheri, Gianfranco Pardi, Lucio Pascalino, Franco Pedrina, Eros Pellini, Eugenio Pellini, Siro Penagini, Cesare Peverelli, Francesco Pezzoli, Gianriccardo Piccoli, Lorenzo Piemonti, Barbara Pietrasanta, Orazio Pigato, Fausto Pirandello, Stefano Pizzi, Alfredo Pizzo Greco, Cristiano Plicato, Bruno Polver, Pino Ponti, Emilio Quadrelli, Ernesto Quarti Marchiò, Mario Raciti, Amilcare Rambelli, Mauro Reggiani, Regina, Arturo Rietti, Egidio Riva, Gualberto Rocchi, Franco Rognoni, Bepi Romagnoni, Massimo Romani, Ottone Rosai, Attilio Rossi, Antonio Rotta, Erminio Rossi, Alberto Salietti, Giancarlo Sangregorio, Anna Santinello, Giuseppe Scalvini, Emilio Scanavino, Giorgio Scano, Giulio Scapaticci, Paolo Scheggi, Alberto Schiavi, Mario Schifano, Salvatore Sebaste, Luigi Secchi, Giovanni Setti, Lydia Silvestri, Mario Sironi, Ivo Soli, Nino Springolo, Mauro Staccioli, Attilio Steffanoni, Ottavio Steffenini, Luigi Stradella, Daniele de Strobel, Luiso Sturla, Remo Taccani, Emilio Tadini, Guido Tallone, Dino Tega, Togo (Enzo Migneco), Caterina Tosoni, Mario Tozzi, Ernesto Treccani, Valeriano Trubbiani, Giulio Turcato, Tino Vaglieri, Valentino Vago, Nanni Valentini, Walter Valentini, Romolo Valori, Giuliano Vangi, Grazia Varisco, Franco Vasconi, Mario Vellani Marchi, Mario Venturelli, Giulio Vercelli, Renato Vernizzi, Luigi Veronesi, Cesare Vianello, Enzo Vicentini, Umberto Vittorini, Agostino Viani, Raul Viviani, Carlotta Zanetti, Alberto Zardo, Franco Zazzeri, Alessandro Zenatello, Carlo Zocchi. Sito ufficiale, su lapermanente.it.

Palazzo della Permanente
Palazzo della Permanente

Il Palazzo della Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente, conosciuto anche semplicemente come Palazzo della Permanente, è un palazzo storico di Milano situato in via Filippo Turati al civico 34, dal 1881 sede della storica e omonima istituzione culturale. Progettato nel 1881 da Luca Beltrami in stile revival neoclassico, l'edificio è stato parzialmente restaurato dagli architetti Giulio Richard e Paolo Mezzanotte tra il 1920 e il 1922. Gravemente danneggiato dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, il Palazzo è stato completamente ricostruito, ad eccezione della facciata superstite e di poche altre preesistenze, dagli architetti e designer Pier Giacomo e Achille Castiglioni secondo i criteri del funzionalismo. Il complesso è composto da un edificio orizzontale di sale destinate alle esposizioni organizzate dalla Società e una torre verticale per uffici. Nel 1881 l'istituzione culturale della Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente acquista un terreno in via Turati (all'epoca denominata via Principe Umberto) per edificarvi la propria sede. Il progetto viene affidato all'architetto Luca Beltrami (Milano 1854 – Roma 1933), docente di Architettura all'Accademia di Brera e al Politecnico di Milano e impegnato in quegli anni in importanti interventi di architettura e restauro nella città: il Castello Sforzesco e la ricostruzione della Torre del Filarete (1893-1911), la Sinagoga (1892), il Palazzo delle Assicurazioni Generali in Piazza Cordusio (1901). Beltrami concepisce il palazzo della Permanente secondo uno stile neoclassico, suddividendo in modo schematico gli ambienti. La simmetrica facciata su via Turati, in pietra rossa di Verona, presenta al piano terra un ingresso a triplice apertura scandito da pilastri e due finestre rettangolari; la tripartizione è ripetuta al piano superiore nella loggia ad archi intervallata da colonne e affiancata da due finestre rettangolari con timpano triangolare. Sul fregio in facciata corre l'intitolazione del palazzo: Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente. All'interno la scansione degli spazi si articola nel 1886, data dell'apertura al pubblico, in quattro sale illuminate da lucernari al piano terra, un cortile coperto e una galleria per l'esposizione di sculture conclusa da un giardino con caffetteria. Al piano superiore si accede attraverso una monumentale scala doppia in marmo. Al primo piano un grande salone è destinato ad eventi, conferenze e riunioni ed affiancato sui due lati da due ambienti per l'esposizione di oggetti. Il palazzo viene restaurato tra il 1920 e il 1922 dagli architetti Giulio F. Richard e Paolo Mezzanotte: vengono eliminate le decorazioni pittoriche di Giovanni Battista Todeschini e di Giuseppe Mentessi, assistente di Beltrami all'Accademia di Brera, mentre rimane immutata l'architettura di Beltrami. L'edificio viene pesantemente colpito dai bombardamenti del 1943, lasciando intatta soltanto la facciata su via Turati, tuttora esistente e tutelata come monumento nazionale. Dopo l'esame di 17 proposte, nel 1949 il Sodalizio artistico sceglie per la ricostruzione della propria sede il progetto degli architetti e designer Pier Giacomo Castiglioni, Achille Castiglioni, con Luigi Fratino. I lavori prendono avvio l'anno successivo e si concludono nel 1953, quando la nuova sede viene aperta al pubblico completamente rinnovata. Il complesso della Permanente è composto da un corpo sviluppato orizzontalmente, che contiene grandi spazi destinati all'allestimento delle mostre, sul quale si innesta una alta torre per uffici, con una netta distinzione tra i due elementi. La facciata del palazzetto di Beltrami viene inclusa nel progetto come preesistenza originale e accoglie tre distinti ingressi: al centro, dal portico, alle sale espositive; a sinistra ai magazzini delle opere; a destra, dalla galleria, agli uffici della torre. Pur conservando alcune preesistenze, i Castiglioni ricostruiscono le sale secondo una nuova distribuzione e una nuova struttura di copertura. Il progetto dei Castiglioni rende l'allestimento delle sale per l'esposizione il più possibile flessibile grazie alla suddivisione in sale molto spaziose, da poter suddividere in spazi più piccoli mediante pareti mobili, pannelli con telaio in legno rivestito di tela, sostenute da tiranti in metallo, che scorrono grazie a una guida inserita nei muri perimetrali di ogni sala. La stessa guida può essere utilizzata per modulare l'impianto di illuminazione e per l'apprensione dei dipinti. L'impianto di illuminazione prevede un'alternanza di lucernari in vetrocemento di forma cilindrica, dimensionati in modo da evitare l'abbagliamento, e riflettori incassati, dotati di lampade fluorescenti schermate: il risultato è un piano illuminante astratto, visivamente intervallato da punti e tratti di luce, con un'illuminazione diffusa. La copertura ospita anche gli aspiratori per il ricambio d'aria. Il pavimento delle sale, che contiene i pannelli radianti per il riscaldamento, è in mosaico alla veneziana, a grana piccola (marmo di Candoglia e Bardiglio). La galleria per l'esposizione delle sculture si affaccia su un cortile interno. Il gioco di illuminazione radente e lo studio delle texture delle superfici delle pareti verticali rivestite di marmo, del pavimento a mosaico e del soffitto a stucco permettono l'illusione visiva di distacco delle pareti dal suolo. Destinata ad ospitare uffici, la torre a tredici piani progettata dai fratelli Castiglioni è alta 53 metri e ne dista quasi 20 dal rettifilo di via Turati: concepita per una visione dal basso, come edificio infinito, è strutturata come “edificio interrotto”, senza una copertura dal forte impatto visivo. La facciata sfrutta come decorativi gli elementi strutturali: le travi perimetrali dei solai in cemento armato sono lasciate a vista costruendo un motivo a fasce orizzontali e le pareti rivestite in litoceramica sono regolarmente intervallate da aperture. Le finestre a tutta altezza in profilato metallico hanno tre diversi telai che consentono differenti aperture: uno inferiore fisso, i due superiori a saliscendi autobilanciati; il davanzale è una lastra di marmo bianco, la tenda veneziana in alluminio anodizzato. I pavimenti alternano mosaico di vetro nella galleria d'ingresso, travertino nell'atrio, palladiana nei disimpegni e linoleum negli uffici. I serramenti interni sono in profilato di alluminio, mentre le porte a battente con struttura di abete a nido d'ape, rivestite in alluminio anodizzato. I Castiglioni integrano nell'edificio alcuni sistemi tecnologici: un servizio di posta pneumatica per la comunicazione tra gli atri e l'ufficio del custode, e i pannelli radianti con raffrescamento estivo. Renzo Modesti e Remo Taccani (a cura di), La Permanente, Società per le belle arti ed esposizione Permanente a Milano, numero unico per la ricostruzione del palazzo sociale 1883 marzo dicembre 1950, Edizione Soc. delle B.A. ed E.P., Milano Réalisationd Architecturales en Italie, in “Cahiers du Centre Scientifique et Techinique du batiment”, 1952, 16, p. XIII Red., Osservazioni su un'architettura. La torre della Permanente a Milano, in “Domus”, 1953, 285, agosto, pp 7-12 Red., La Torre della Permanente a Milano, in “Vitrum”, 1954, 52-53, febbraio-marzo, pp. 34-39; R. Angeli, La scala, in “Casa e Turismo”, 1956, 8, gennaio-febbraio, p.17 AA.VV., Milano oggi 1959-1960, Edizioni Milano Moderna, Milano 1959, pp 90-104 Anty Pansera, Milano, la Permanente sotto la Torre, in “Il moderno”, 16 febbraio 1990* Sergio Polano, Achille Castiglioni. Tutte le opere 1938 - 2000, 2001, Electa, Milano Silvia Cattiodoro, 1913-2013. Pier Giacomo, 100 volte Castiglioni, In edibus, 2013 ISBN 8897221173, 9788897221173 Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Palazzo della Permanente Sito ufficiale, su lapermanente.it. Palazzo della Permanente, su LombardiaBeniCulturali, Regione Lombardia.

Chiesa di San Bartolomeo (Milano)
Chiesa di San Bartolomeo (Milano)

La chiesa di San Bartolomeo era un luogo di culto cattolico di Milano, situato nell'attuale piazza Cavour. Risalente nelle sue forme primitive all'XI secolo, la chiesa fu demolita nel 1861. La primitiva chiesa di San Bartolomeo era già esistente nell'XI secolo ed era ubicata in prossimità della Cerchia dei Navigli, alla confluenza tra le vie Manzoni e Fatebenefratelli con l'attuale piazza Cavour, di fronte alla Porta Nuova medievale. Della sua conformazione prima del XVI sappiamo ben poco grazie agli ordino di ampliamento degli arcivescovi-cardinali san Carlo e Federico Borromeo, che affidò il progetto di rifacimento a Francesco Maria Richini. Di come questa chiesa potesse apparire abbiamo un'immagine settecentesca da un'incisione di Marc'Antonio Dal Re. La chiesa, spoglia di opere d'arte e di devozione, divenne presto meta dell'aristocrazia cittadina e fu così che nel 1683, a pochi mesi di distanza dalla vittoria sui turchi a Vienna, la contessa Teresa Gordone Serbelloni donò alla chiesa di San Bartolomeo un'icona della Madonna del Buon Aiuto, copia di un originale attribuito a Lucas Cranach il Vecchio, già pittore di Federico III di Sassonia. Sino alle disposizioni dell'Editto di Saint Cloud del 1804, la chiesa divenne anche uno dei luoghi privilegiati per la sepoltura dei personaggi delle più eminenti famiglie milanesi tra le quali i Bascapé, i Bodio, i Brivio, i d'Adda, i Fagnani, i Lattuada, i Meda, i Melzi, i Porta, i Recalcati, i Simonetta e gli Zanardi, oltre a personalità politiche e militari delle varie epoche. A partire dal 1805 gli venne annessa come sussidiaria anche la vicina chiesa di San Francesco di Paola. La chiesa, nel 1848, fu protagonista di un episodio accaduto durante le celebri Cinque giornate: un reparto di soldati capeggiati dal tenente Wolf aveva sfondato la porta della chiesa di San Bartolomeo nella ricerca di un sovversivo e non trovandolo si recò nella casa del parroco massacrandolo dopo il rifiuto di questi di collaborare. Per consentire l'apertura di via Principe Umberto, oggi via Turati, si decise di demolire l'antica chiesa, che venne sostituita da un nuovo edificio in via Moscova, sempre dedicato a San Bartolomeo; lì confluirono tutte le opere della chiesa, tra cui si segnala il neoclassico monumento funebre al conte Karl Joseph von Firmian. Maria Teresa Fiorio, Le chiese di Milano, Milano, Electa, 2006, pg. 181. Chiese di Milano Chiesa di San Bartolomeo (Milano, 1864) Chiese scomparse di Milano Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su antica chiesa di San Bartolomeo