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Domus Fausta

Architetture di Emilio LanciaArchitetture di Giò PontiEdifici ad appartamenti di MilanoPagine con mappe
20160717 170420 Domus Fausta
20160717 170420 Domus Fausta

La Domus Fausta è un edificio di Milano situato in via De Togni al civico 21. L'edificio fu costruito tra il 1932 e il 1936 su progetto di Gio Ponti ed Emilio Lancia come parte di una serie di palazzi chiamati "Case tipiche", che prevedeva la costruzione di altre nove "Domus" che dovevano esemplificare i canoni dell'architettura moderna. L'edificio è uno dei primi esempi cittadini di architettura razionalista e uno delle prime realizzazioni in cui Gio Ponti si distacca dallo stile Novecento: la casa si presenta elegante seppure quasi priva di ornamenti, con l'eccezione del lineare portale in travertino che contrasta con la facciata intonacata in giallo ocra con balconate. Così come per le vicine Domus Julia e Domus Carola, ogni piano prevede un singolo appartamento, la cui divisione degli spazi è stata eseguita secondo le concezioni architettoniche razionaliste, ovvero con spazi di servizio ridotti al minimo a vantaggio di un grande spazio dedicato a soggiorno e sala da pranzo. Attilia Lanza, Milano e i suoi palazzi: Porta Vercellina, Comasina e Nuova, Libreria Meravigli Editrice, 1993. Ville e palazzi di Milano Domus Julia

Estratto dall'articolo di Wikipedia Domus Fausta (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

Domus Fausta
Via San Vittore, Milano Municipio 1

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20123 Milano, Municipio 1
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Luoghi vicini

Museo nazionale della scienza e della tecnologia Leonardo da Vinci
Museo nazionale della scienza e della tecnologia Leonardo da Vinci

Il Museo nazionale della scienza e della tecnologia Leonardo da Vinci ha sede a Milano; aperto nel 1953, con i suoi 50 000 m² complessivi è il più ampio museo tecnico-scientifico in Italia e uno dei maggiori in Europa. Possiede la più grande collezione al mondo di modelli di macchine realizzati a partire da disegni di Leonardo da Vinci. È visitato da oltre 500 000 persone all'anno. Le collezioni contano 19 000 beni storici e includono testimonianze rappresentative della storia della scienza, della tecnologia e dell'industria italiane dal XIX secolo ai giorni nostri. Nei suoi 14 laboratori interattivi si svolgono attività che seguono il metodo educativo basato sull'educazione informale. Il museo collabora con i principali musei scientifici europei e mondiali e dal 2003 è membro di ECSITE (European Collaborative for Science, Industry and Technology Exhibitions). Il museo è dal 2000 una fondazione di diritto privato, i cui soci fondatori sono il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo; i partecipanti sostenitori sono Regione Lombardia, Comune di Milano, Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Milano; le principali università milanesi fanno parte del consiglio scientifico. Il museo è collocato in via San Vittore 21 nell'antico monastero di San Vittore al Corpo, a fianco alla chiesa omonima, nelle vicinanze del luogo dove Leonardo possedeva alcuni terreni coltivati a vigna, all'epoca appena fuori le mura cittadine. È anche non lontano dalla chiesa di Santa Maria delle Grazie, dove si trova il celebre Cenacolo, e dalla Basilica di Sant'Ambrogio.

Palazzo Gonzaga di Vescovado
Palazzo Gonzaga di Vescovado

Il palazzo Gonzaga di Vescovato, o palazzo Gonzaga, è un edificio storico di Milano, costruito in forme neoromaniche fra il 1897 e il 1901. Si trova sull'attuale via Carducci ai civici 28 e 30, denominata via San Gerolamo all'epoca della costruzione del palazzo. Il palazzo fu costruito a partire dal 1897 dall'architetto Cecilio Arpesani, allievo di Camillo Boito, su commissione del principe Emanuele Gonzaga (1858-1914) di Vescovato, a uso di propria dimora. Arpesani (1853-1924) fu architetto prolifico con una committenza principalmente costituita da ricche famiglie nobili e borghesi della città di Milano e dalla Chiesa: a cavallo fra l'Ottocento e il Novecento progettò in città diversi edifici fra cui la palazzina Sessa, il palazzo dell'Istituto Marcelline Tommaseo, la Basilica di Sant'Agostino, la Chiesa di Santa Croce. L'area sulla quale fu eretto l'edificio era prima occupata da una modesta casa d'affitto e da costruzioni basse destinate a uso di magazzini serviti dal Naviglio per una superficie totale di 2 935 mq. Il Principe volle che la nuova costruzione contenesse ancora alcuni appartamenti d'affitto e che il palazzo fosse disegnato seguendo le tradizioni dell'architettura neoromanica lombarda avvicinandosi il più possibile alle forme della Basilica di Sant'Ambrogio, da lì non distante: proprio nel maggio 1897, infatti, si era celebrato il quindicesimo centenario del patrono di Milano, morto nell'anno 397 d.C.. Il palazzo si presenta come un corpo arretrato fiancheggiato da due ali che delimitano un cortile chiuso da una cancellata in ferro battuto, piuttosto rara a Milano. L'uso del mattone in cotto e dei balconi al contrario mostrano uno stile revival ispirato alla tradizione lombarda. L'ingresso con la portineria ricorda i sacelli tipici delle chiese romaniche. Attilia Lanza, Marilea Somarè, Milano e i suoi palazzi: porta Vercellina, Comasina e Nuova, Vimercate, Libreria Meravigli editrice, 1993, pg. 42. Palazzo Gonzaga in via S. Gerolamo - Milano, in L'Edilizia moderna, Anno X, fasc. X, Milano, 1901 Ottobre. Ville e palazzi di Milano Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Palazzo Gonzaga di Vescovado

Mausoleo imperiale di San Vittore al Corpo
Mausoleo imperiale di San Vittore al Corpo

Il mausoleo imperiale di San Vittore al Corpo fu un monumento funerario a pianta circolare della città romana di Mediolanum (la moderna Milano). Realizzato verso la fine del IV secolo nell'epoca in cui Mediolanum fu capitale dell'Impero romano d'Occidente (ruolo che ricoprì dal 286 d.C. al 402 d.C.) e situato fuori delle mura romane di Milano nei pressi di Porta Vercellina romana, accolse probabilmente le tombe della casata dell'imperatore Valentiniano. Secondo le liste episcopali medievali (X-XI secolo) all'interno del mausoleo imperiale vennero anche deposti i corpi dei primi vescovi milanesi Mirocle (313-314) e Protasio (343-344). Trasformato in cappella di San Gregorio tra il IX e il X secolo e annesso alla chiesa di San Vittore al Corpo, il mausoleo fu abbattuto nel XVI secolo in occasione della ricostruzione tardo-cinquecentesca della citata chiesa cristiana. L'area del mausoleo imperiale fu parzialmente scavata tra il 1950 e il 1953 e tra il 1960 e il 1977, quando furono riportate alla luce un recinto fortificato, un quarto del mausoleo e circa novanta sepolture a inumazione di alto livello, nella maggior parte cristiane e in piccola parte pagane. I resti del mausoleo imperiale sono visitabili nella moderna via Olivetani 3, nei sotterranei della chiesa di San Vittore al Corpo, mentre in via San Vittore 21, all'interno del monastero di San Vittore al Corpo, che ospita il Museo nazionale della scienza e della tecnologia Leonardo da Vinci, è possibile vedere ciò che resta del recinto fortificato che un tempo racchiudeva l'area del mausoleo imperiale. Quando Diocleziano decise di dividere l'Impero romano in due, scelse per sé l'Impero romano d'Oriente, con capitale Nicomedia, mentre il suo "collega" Massimiano si mise a capo dell'Impero romano d'Occidente scegliendo come residenza e capitale Mediolanum, la moderna Milano (286 d.C.). In questa occasione il nome della città fu cambiato in Aurelia Augusta Mediolanum. Mediolanum rimase capitale dell'Impero romano d'Occidente fino al 402 d.C., quando la corte imperiale fu trasferita a Ravenna, in quanto considerata più difendibile e meglio collegata a Costantinopoli. L'imperatore prese questa decisione dopo l'assedio di Milano del 402, che fu opera di Alarico, re dei Visigoti. In epoca tardoantica, nell'epoca in cui Mediolanum fu capitale dell'Impero romano d'Occidente, vennero costruiti molti importanti edifici, tra cui il mausoleo imperiale, che venne innalzato a ovest della città, fuori delle mura romane di Milano, nei pressi di Porta Vercellina romana. In questa area (corrispondente all'attuale via San Vittore) erano originariamente presenti un cimitero ad martyres (cioè vi anche erano sepolti i cristiani martirizzati dalle persecuzioni romane) e, fin dal I secolo, un'antica e vasta necropoli pagana poi cristianizzata. È proprio dalla presenza di questa cimitero cristiano che deriva il richiamo "al Corpo" nel nome del mausoleo imperiale, della chiesa di San Vittore al Corpo e del monastero di San Vittore al Corpo. Non lontano dal mausoleo imperiale venne poi costruita la Basilica di Sant'Ambrogio, il cui nome originario paleocristiano fu Basilica Martyrum, con un richiamo al citato cimitero ad martyres. Nella stessa zona dove era già presente la citata necropoli, alla fine del IV secolo, venne eretto un imponente recinto fortificato con pianta a ottagono schiacciato. Tale struttura incluse nel suo perimetro parte della preesistente necropoli e il sontuoso mausoleo imperiale di San Vittore al Corpo, divenendo così un luogo di sepoltura privilegiato, visto che accolse le tombe della casata dell'imperatore Valentiniano, gruppo familiare che regnò sull'Impero romano dal 364, con l'ascesa di Valentiniano I, al 472, con Anicio Olibrio, l'ultimo dei valentiniani al potere. In particolare, il mausoleo imperiale accolse le salme degli imperatori romani da Graziano (morto nel 383) a Valentiniano II (deceduto nel 392). Forse il mausoleo milanese ospitò anche la salma di Teodosio I (morto nel 395). Secondo alcune ipotesi, il mausoleo imperiale potrebbe essere stato pensato per ospitare le salme della famiglia dell'imperatore Massimiano, che fu al potere dal 286 al 305, quindi circa un secolo prima della casata di Valentiniano: il tal caso la realizzazione del mausoleo andrebbe anticipata all'inizio del IV secolo. Molto probabilmente, in occasione della costruzione del mausoleo imperiale, venne edificata anche la basilica portiana, nome paleocristiano della chiesa di San Vittore al Corpo. Essa non era adiacente al mausoleo, ma venne costruita nei suoi pressi. Come consuetudine dell'epoca, gli antichi Romani realizzarono prima il mausoleo imperiale e la basilica, e solo successivamente il recinto fortificato che racchiudeva anche parte della necropoli e del cimitero. Secondo le liste episcopali medievali (X-XI secolo) all'interno del mausoleo imperiale vennero anche deposti i corpi dei primi vescovi milanesi Mirocle (313-314) e Protasio (343-344). Trasformato in cappella di San Gregorio tra il IX e il X secolo e annesso alla chiesa di San Vittore al Corpo, il mausoleo imperiale fu abbattuto nel XVI secolo in occasione della ricostruzione tardo-cinquecentesca della citata chiesa cristiana. L'area del mausoleo imperiale fu parzialmente scavata da Aristide Calderoni nel 1950 al 1953 e da Marco Mirabella Roberti tra il 1960 e il 1977, quando furono riportate alla luce il recinto fortificato, un quarto del mausoleo e circa novanta sepolture a inumazione di alto livello, nella maggior parte cristiane e in piccola parte pagane. Di queste prime indagini non si dispone però di un adeguato rendiconto scientifico che consenta un preciso riesame delle testimonianze archeologiche. Il recinto fortificato sub-ottagonale, lungo internamente 132 e largo 100 metri, aveva lati lunghi 42/44 metri ed era dotato di torri semicircolari ai vertici. Il muro fuori terra, con pareti laterali in laterizio e nucleo in mattoni e ciottoli alternati a strati, era sorretto da fondazioni in conglomerato di malta e ciottoli. Il tratto di muro nord occidentale presentava all'interno nicchie affiancate da lesene, motivo forse presente anche negli altri lati della struttura. L'ingresso monumentale al recinto fortificato era collocato a sud-est ed era fiancheggiato da due torri. Il recinto fortificato, verosimilmente posteriore ad alcune sepolture del IV secolo e al mausoleo imperiale, dovette avere lunga vita: in una pianta del 1814, tre dei suoi lati costituivano ancora confini di proprietà. All'interno di questo recinto fortificato era situato il mausoleo imperiale. La piccola porzione del mausoleo imperiale indagata tra il 1953 e il 1960 consente tuttavia di restituirne la planimetria. Il mausoleo imperiale si presentava come un ottagono (lato di 7,5 metri) caratterizzato all'esterno sugli angoli da lesene a libro e all'interno da otto nicchie rettangolari e semicircolari alternate e divise da colonne: si tratta di una tipologia architettonica che richiama altri noti edifici milanesi (nello specifico, il battistero di San Giovanni alle Fonti e la cappella di Sant'Aquilino). Informazioni sull'alzato del mausoleo sono desumibili solo da una veduta di un disegnatore olandese di poco precedente alla demolizione (1570), in cui il mausoleo imperiale è rappresentato ancora nella sua posizione presso la chiesa di San Vittore al Corpo. Nel rilievo si nota inoltre l'indicazione di un secondo ordine con arcate cieche: questo dato suggerirebbe la presenza all'interno di gallerie superiori, di cui rende testimonianza anche lo scrittore milanese Giacomo Filippo Besta nel XVI secolo. Dell'originario sontuoso apparato decorativo che caratterizzava l'interno del monumento fino alla sua demolizione restano pochissime tracce. Sappiamo che i pavimenti erano costituiti da lastre di marmo accostate con tecnica opus sectile, mentre la parte delle mura verticali interne che era appoggiata al pavimento era rivestita da uno zoccolo di marmo grigio. Le pareti interne del mausoleo imperiale dovevano essere impreziosite da tarsie di marmo e di vetro, mosaici, dipinti e da un intonaco dipinto. Dell'antico mausoleo imperiale di Mediolanum sono giunti sino a noi pochi resti. Gli unici suoi resti si trovano nella moderna via San Vittore 25, nei sotterranei della chiesa di San Vittore al Corpo, che corrispondono a un quarto della superficie dell'antica struttura. Questo sito archeologico, che è visitabile da parte del pubblico con l'ingresso in via Olivatani 3, è costituito da due delle otto nicchie che un tempo ornavano le pareti interne del mausoleo imperiale e da una piccola porzione del pavimento in lastre di marmo. In via San Vittore 21, all'interno del Monastero di San Vittore al Corpo, che ospita il Museo nazionale della scienza e della tecnologia Leonardo da Vinci, è possibile vedere ciò che resta del recinto fortificato che un tempo racchiudeva le aree del mausoleo imperiale e della necropoli. Nello specifico, questi resti sono costituiti da ciò che rimane delle due torri che fiancheggiavano l'ingresso del recinto fortificato, e dai resti di un tratto di muro del recinto stesso, quello verso sud-est. Il sito è liberamente visitabile da parte del pubblico. All'interno del museo, situate al piano terreno, è possibile vedere alcune antiche epigrafi della necropoli cristiana. Tra esse, è stata rinvenuta un'epigrafe che risale al 386 d.C. e che si riferisce alla sepoltura di un praesbyter di nome Probo, carica ecclesiastica seconda solo a quella di vescovo (l'epigrafe è stata rinvenuta nei pressi delle mura esterne del mausoleo imperiale a testimoniare l'importanza della persona sepolta): essa rappresenta il più antico documento databile con precisione della Milano cristiana. In via San Vittore 29 è presente un sito archeologico, non visitabile da parte del pubblico, che conserva il tratto nord-ovest del recinto fortificato. Si trova nel giardino dell'Istituto del Buon Pastore ed è costituito da un muro aventi nicchie larghe 3 metri a cui lati sono presenti resti di lesene pensili in laterizio. Questo tratto di muro era forse destinato a conservare sarcofagi oppure ad accogliere le mensae dei banchetti funebri. In questo sito archeologico sono state anche trovate tombe a cappuccina un tempo appartenenti all'antica necropoli. L'elevato numero di tombe trovate documentano la grandezza della necropoli e del successivo cimitero cristiano, testimoniando la presenza di una vera e propria "cittadella dei morti". Durante gli scavi archeologici sono stati trovate sia tombe pagane che tombe cristiane, a volte provviste del corredo funebre. Museo nazionale della scienza e della tecnica "Leonardo da Vinci" (Milano): 5 anni del Museo 1953-1958. Museoscienza: tutto il Museo nazionale della scienza e della tecnica Leonardo da Vinci / a cura di Orazio Curti. - Milano: Associazione Amici del Museo, stampa 1978. Ferdinando Reggiori, Il monastero olivetano di San Vittore al Corpo in Milano e la sua rinascita quale sede del Museo Nazionale della Scienza e della Tecnica "Leonardo da Vinci"... - Milano: Silvana, 1954. Agnoldomenico Pica, La basilica di Porziana di San Vittore al corpo. - Milano: Esperia, 1934. Milano archeologia: i luoghi di Milano antica: guida alle aree archeologiche / [a cura di Anna Maria Fedeli]. - Milano: ET, 2015. Casata di Valentiniano Chiesa di San Vittore al Corpo Massimiano Mausoleo Mediolanum Monastero di San Vittore al Corpo Mura romane di Milano Museo nazionale della scienza e della tecnologia Leonardo da Vinci Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sul Mausoleo imperiale di San Vittore al Corpo Il mausoleo imperiale di San Vittore al Corpo, su milanoarcheologia.beniculturali.it. URL consultato il 14 febbraio 2020 (archiviato dall'url originale l'11 novembre 2021). Il mausoleo imperiale di San Vittore al Corpo, su touringclub.it. Il mausoleo imperiale di San Vittore al Corpo, su milanoguida.com.

Enrico Toti (S 506)

L'Enrico Toti, contraddistinto dal distintivo ottico S 506, è il sottomarino capostipite della classe Toti, costruito in Italia negli anni sessanta. Dopo aver prestato un lungo servizio con la Marina Militare, a seguito della sua dismissione e dopo numerosi lavori di adattamento, è stato ceduto al Museo della scienza e della tecnologia di Milano dove, dal 2005, è esposto e visitabile. Costituisce uno dei tre sottomarini esposti in Italia insieme all'Enrico Dandolo (S 513) a Venezia (anche lui della classe Toti) e al Nazario Sauro (S 518) a Genova (capostipite della classe successiva). A causa della sconfitta nella seconda guerra mondiale, all'Italia era stata vietata la costruzione di sottomarini secondo le clausole del trattato di pace. Decadute le clausole la componente sommergibilistica italiana ricominciò ad addestrarsi con i vecchi battelli statunitensi in attesa del proprio progetto: l'Enrico Toti è stato il primo sottomarino costruito in Italia dal dopoguerra. Il sottomarino venne costruito a Monfalcone dalla Italcantieri, che ne iniziò la fabbricazione l'11 aprile 1965. Venne varato il 12 marzo 1967 e consegnato alla Marina Militare il 22 gennaio 1968. Il sottomarino è stato progettato con caratteristiche antisottomarino (da cui la sigla NATO SSK - Submarine Submarine Killer) ed essendone il capostipite diede il nome alla classe, completata in circa due anni dai sottomarini Dandolo, Mocenigo e Bagnolini. Il 30 giugno 1999, l'unità militare, terminato il servizio attivo, venne donata al museo della scienza e della tecnologia di Milano, dove è conservata dal 14 agosto 2005. L'arrivo nella città milanese è stato alquanto travagliato, a causa della sua mole. Partito dal porto di Augusta (5 aprile 2001), ha risalito l'Adriatico e quindi il Po fino al porto fluviale di Cremona (6 maggio 2001), dove rimase fino all'8 agosto 2005, quando iniziò il suo viaggio fino al museo tramite la ditta Fagioli di Reggio Emilia, trasportandolo, via terra, fino alla sua collocazione finale, grazie anche al lavoro dei militari del 2º Reggimento pontieri di Piacenza, che collaborarono per il passaggio in sicurezza in alcune parti di Milano (mettendo ad esempio ponti metallici in alcuni punti in cui la strada, per la presenza di strutture sotterranee, non avrebbe retto il peso del sottomarino), dove giunse il 14 agosto 2005. Il lavoro di preparazione al trasporto ha incluso un notevole impegno da parte dei Palombari/Sommozzatori del COMSUBIN (Comando Subacquei ed Incursori - Le Grazie – SP) della Marina Militare Italiana che, nei mesi di Giugno e Luglio 2005, hanno lavorato nel Porto Fluviale di Cremona; Il lavoro che è stato svolto dai Palombari e tecnici del COMSUBIN, sia a terra sia in immersione, ha permesso di smontare alcune parti del sommergibile (tra cui la torretta/vela) al fine di ridurne l’ingombro verticale. Il grosso del lavoro è stato però la rimozione della zavorra contenuta nella chiglia/barchetta del battello, operazione resa non facile dalle condizioni di visibilità quasi nulla nelle acque del porto fluviale: sono state asportate diverse decine di tonnellate di piombo contenute in questa parte dell’opera viva, in contenitori chiusi da pesanti pannelli metallici imbullonati allo scafo. La zavorra era costituita da “lingotti” di piombo del peso di circa trenta chilogrammi ciascuno che sono stati raggruppati su bancali del peso di circa due tonnellate l'uno. L’alleggerimento dello scafo (eseguito anche asportando parte delle batterie interne al battello) era prerequisito fondamentale per permetterne il sollevamento ed il successivo trasporto su strada. Il battello è intitolato ad Enrico Toti, nome già dato in precedenza ad un sommergibile. Il primo Toti aveva prestato servizio nella Regia Marina dal 1928 al 1943 e durante la seconda guerra mondiale, trovando impiego principalmente come unità scuola e trasporto, ma è ricordato per essere stato l'unico sommergibile italiano ad aver affondato in azione un sommergibile nemico: il 15 ottobre 1940 il Toti affondò a cannonate il sommergibile britannico HMS Triad (N53) mentre navigava nelle acque del Mare Ionio. I motori diesel del sottomarino erano stati denominati dalla componente motoristi del sommergibile, il destro "Turiddu", diminutivo in siciliano di Salvatore, ed il sinistro "Ianuzzu" diminutivo di Sebastiano; entrambi i nomi sono tipici della zona di Augusta e sono stati presi in prestito dalla letteratura del Verga. Nel corso della sua attività il Toti ha accumulato 27.030 ore di moto percorrendo 137.000 miglia nautiche. L'equipaggio era composto da un numero variabile di persone; questo numero, cambiato più volte nel corso della storia dell'S-506, è stato in genere compreso tra le 20 e le 30 unità, divise in due o tre squadre di guardia a seconda della durata della "missione" e della categoria (specializzazione) di appartenenza. In taluni casi prestavano servizio secondo lo schema 4+4, cioè 4 ore di guardia, 4 ore di riposo in una branda “calda” (alternata con un collega) in altri casi i turni rispettavano lo schema 4+8 (sempre con branda calda quindi, con due brande si dormiva in tre). Il caratteristico bulbo a prora (detto "naso") conteneva l'impianto ecogoniometrico che costituiva il "sistema attivo" meglio conosciuto col nome di sonar, mentre l'impianto idrofonico che costituiva il "sistema passivo" era contenuto nella porzione di perimetro anteriore basso, subito sotto i tubi lanciasiluri del "battello" e tutto ciò, con la netta prevalenza nell'uso del sistema passivo, creava l'impianto necessario ad individuare i bersagli. Il Toti è stato essenzialmente impiegato per addestramento e nelle esercitazioni per simulare attacchi a sommergibili sovietici o a task force del Patto di Varsavia, riscuotendo sempre lusinghieri risultati grazie alla sua silenziosità e manovrabilità. Durante gli anni settanta, nel corso di una esercitazione NATO, il battello riuscì a penetrare lo schermo delle unità di scorta di un gruppo da battaglia dell'US Navy, simulando l'affondamento della portaerei; dopo il riuscito "attacco" il sommergibile riemerse a fianco alla portaerei. In un'altra occasione, un siluro difettoso tornò indietro verso il battello, urtandolo e lasciando una traccia d'impatto sulla prua. Il sottomarino Enrico Toti ed il suo equipaggio sono i protagonisti del romanzo Delfini d'acciaio - Sfida nel Mediterraneo di Marco Mascellani in cui l'unità, salvata dal disarmo, deve affrontare il difficile compito di porre soluzione ad un colpo di Stato in un paese arabo. Museo nazionale della scienza e della tecnologia Leonardo da Vinci Enrico Dandolo (S 513) Nazario Sauro (S 518) Caproni CB22 Wikinotizie contiene notizie di attualità sull'Enrico Toti Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Enrico Toti Sito ufficiale del Museo, su museoscienza.org. Fotografie del sottomarino Enrico Toti (S 506) nel porto fluviale di Cremona, su glcglc.net.

Museo Martinitt e Stelline
Museo Martinitt e Stelline

Il Museo Martinitt e Stelline è un museo d'arte di Milano, situato accanto al Palazzo delle Stelline, visitabile gratuitamente. Aperto nel 2009, grazie ad una generosa donazione, e gestito dal Pio Albergo Trivulzio, conserva il patrimonio archivistico, storico e artistico dei Martinitt, delle Stelline e del Pio Albergo Trivulzio tre enti assistenziali secolari della città di Milano. È stato uno dei primi musei multimediali della città, le installazioni permettono ai visitatori di leggere i documenti che hanno segnato la vita degli orfani e, in generale, la storia di Milano. Sono presenti anche sale di studio, uffici di consulenza e supplementazione del materiale, una sala conferenze e sale di consultazione. Nel 2009 per ricomporre la memoria storica degli enti milanesi Martinitt, Stelline e Pio Albergo Trivulzio e restituirla nella sua integrità alla consultazione e alla fruizione del pubblico viene progettato il Museo Martinitt e Stelline, indirizzato a operare attraverso sistemi completamente interattivi e multimediali, per offrire alla memoria storica dei cittadini e rendere completamente fruibile ed esperibile il materiale archivistico, bibliografico, fotografico e artistico degli istituti. Le installazioni e la metodologia espositiva multimediale permettono un approccio interdisciplinare, che favorisce lo studio, la divulgazione e la conoscenza del patrimonio da parte dell’utenza, anche non specialistica. Il Museo Martinitt e Stelline presenta un percorso interattivo e multimediale, le installazioni si susseguono in 10 sale che ripercorrono la vita all'interno degli istituti con le tappe fondamentali (ammissione, scuola, avviamento professionale), raccontano gli spazi in cui si muovevano gli orfani, la Milano operosa in cui trovare un riscatto sociale nel lavoro e i grandi benefattori che hanno permesso la sopravvivenza degli istituti nel corso del tempo. Presso il Museo Martinitt e Stelline è conservato il complesso patrimonio archivistico, storico, artistico dei tre enti che deriva dalla gestione e dai vari lasciti testamentari dei benefattori. Presso il Museo Martinitt e Stelline sono conservati gli archivi storici dei tre enti assistenziali dall'800 fino ad oggi. I fondi più antichi sono depositati presso l'Archivio di Stato di Milano. L'archivio storico del Pio Albergo Trivulzio è distinto in due fondi: Fondo amministrazione formato da 1.337 buste, gli estremi cronologici della documentazione vanno dal 1379 al 1959. Fondo direzione formato da 254 buste gli estremi cronologici della documentazione vanno dal 1825 al 1959. L'archivio storico dell'orfanotrofio maschile è suddiviso in due fondi: Fondo amministrazione formato da 1.177 buste, gli estremi cronologici della documentazione vanno dal 1248 al 1996. Fondo direzione formato da 243 buste gli estremi cronologici della documentazione è compreso tra il 1825 e la seconda metà del XX secolo. Nell'archivio dell'orfanotrofio dei Martinitt sono conservate anche 330 buste che contengono i fascicoli personali dei Martinitt con estremi cronologici per anno di dimissione dal 1800 al 1959. L'archivio storico dell'orfanotrofio femminile è formato da 927 cartelle e gli estremi cronologici 1578 al 1959. A partire dal 1825, si aggiunse l'archivio cosiddetto “Centrale”, con le pratiche degli uffici dell'amministrazione comune, consta di 794 buste ancora in fase di inventariazione. Il patrimonio artistico conservato al Museo Martinitt e Stelline è composto da ritratti della galleria gratulatoria, tipica degli enti assistenziali, con i ritratti dei benefattori che con le loro elargizioni hanno permesso la sopravvivenza degli enti attraverso i secoli. Questi dipinti erano ciclicamente esposti a beneficio della comunità per ricordare la beneficenza già ricevuta e per stimolarne di nuova. Oggi la raccolta di ritratti dei tre enti, che coprono un arco cronologico dal XVI al XX sec, ammonta a 137 dipinti, la maggior parte custoditi in depositi non accessibili presso il Museo Martinitt e Stelline e solo in minima parte esposti lungo il percorso museale. L'ente conserva anche un grande patrimonio storico-artistico proveniente da lasciti ed eredità, conservato per lo più in depositi esterni, i beni sono catalogati e disponibili per la consultazione sul sito di Lombardia Beni Culturali. Lungo il percorso museale sono esposti alcuni oggetti e documenti donati recentemente al Museo che provengono da personalità connesse con gli istituti quali Emma Porciani, direttrice delle Stelline, e Ettore Reina, ex Martinin. Sono stati esposti, grazie ad un accordo stretto con il Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano, anche alcuni oggetti dell'incisore Romeo Maccaferri (ex Martinin). Il Museo conserva anche la biblioteca dell'orfanotrofio maschile dei Martinitt e la biblioteca di Carlo Silvestri. Conserva anche un importante archivio fotografico attualmente in fase di catalogazione. Il Museo Martinitt e Stelline è collocato in un edificio al civico n. 57 di corso Magenta, uno stabile degli anni ’30 del ‘900 che è rimasto di proprietà dell’ASPIMMeSePAT quando il Palazzo della Stella è stato venduto in seguito alla chiusura dell’orfanotrofio femminile. Il Museo offre percorsi per le scuole ed è un centro di aggregazione importante per la città grazie alle numerose iniziative che si svolgono (laboratori, corsi per la terza età, presentazione di libri, eventi in collaborazione con altre associazioni cittadine). Marianna Belvedere e Cristina Cenedella (a cura di), La storia va in scena. Appunti di museologia dal percorso di realizzazione del Museo Martinitt e Stelline di Milano, Sondrio, Ramponi, 2012, ISBN 978-88-905807-0-3. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Museo Martinitt e Stelline