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Azienda ospedaliera San Camillo-Forlanini

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Ospedale san camillo forlanini
Ospedale san camillo forlanini

L'azienda ospedaliera San Camillo-Forlanini è un'azienda sanitaria pubblica di Roma, situata nel quartiere Gianicolense, nel territorio del Municipio XII. Nei primi del Novecento, il sindaco di Roma Ernesto Nathan (1845-1921) ebbe l'idea di creare un nuovo ospedale per i cittadini romani e nel 1919 l'amministrazione ospedaliera decise di avviarne i lavori. Per costruire l'ospedale, che fu chiamato in un primo momento "Ospedale della Vittoria", vennero utilizzati i terreni della Vigna di San Carlo di proprietà del Pio Istituto di Santo Spirito. I lavori furono affidati all'ingegnere Domenico Caterina, ma vennero interrotti nel 1922 per mancanza di fondi. La lavorazione su terreni collinosi comportava lo spostamento di molta terra e i costi per completare l'opera erano elevati. Il cantiere riaprì il 15 settembre 1927 e i lavori furono sovvenzionati dal capo del governo Benito Mussolini (1883-1945), che stanziò 42 milioni di lire per completare l'opera. In questa seconda fase di progettazione intervenne l'architetto Emanuele Caniggia (1891-1986), il quale lavorò al completamento dell'ospedale dal 1928 fino alla sua ultimazione nell'ottobre 1929. L'ospedale fu inaugurato con il nome di "Ospedale del Littorio", che dopo la Seconda guerra mondiale venne sostituito con "Ospedale di San Camillo de Lellis", in onore del patrono dei malati, degli infermieri e degli ospedali. Nel 1935 fu inaugurato al suo interno l'ospedale Lazzaro Spallanzani, che dal 1996 fu riconosciuto come autonomo IRCCS (istituto di ricovero e cura a carattere scientifico), mantenendo la propria sede dentro l'ospedale. Inizialmente la struttura era composta da sei padiglioni che prendevano il nome da medici e chirurghi romani: tre di medicina, chiamati Baccelli, Cesalpino e Bassi; tre di chirurgia, detti Flaiani, Lancisi e Morgagni. I lavori di ampliamento iniziarono negli anni Cinquanta, con l'aggiunta del reparto di cardiochirurgia, pediatria e traumatologia, e proseguirono negli anni successivi portando l'ospedale ad essere, negli anni Sessanta, tra i primi ospedali di Roma ad avere il reparto di rianimazione, l'unità coronarica e cardiochirurgica. L'ospedale originario sotto il profilo giuridico subì diverse modifiche; tra queste vi fu l'unione con l'ospedale Carlo Forlanini, sotto il nome di azienda ospedaliera San Camillo-Forlanini. Dal 2015 l'Ospedale Carlo Forlanini divenne proprietà della regione Lazio, il cui presidente Nicola Zingaretti dispose il trasferimento della maggior parte delle strutture e dei servizi all'ospedale San Camillo-Forlanini e alle strutture limitrofe. L'azienda ospedaliera San Camillo-Forlanini è inserita nel sistema sanitario regionale come centro HUB, con riferimento ai seguenti ambiti: emergenza: DEA di II livello perinatale: livello II rete emergenza pediatrica: HUB rete cardiologica: E+ rete ictus: UTN II rete trauma: CTS rete laboratorista L'azienda ospedaliera è sede del centro regionale trapianti, per il trapianto di rene, fegato, midollo, cuore, pancreas e cellule pancreatiche, e del centro regionale sangue. Per sostenere i pazienti e i suoi familiari, all'interno dell'azienda ospedaliera operano diverse associazioni di volontariato, che costituiscono la "Rete della solidarietà", intesa come filiera di collaborazione tra i volontari e le figure professionali sanitarie. La struttura degli edifici è organizzata in 14 padiglioni, dove sono distribuiti i reparti e le sedi dei servizi, e comprende un'area complessiva di 238.000 m²: Padiglione Antonini – fisiatria Padiglione Marchiafava – infettivologia e pneumologia Padiglione Morgagni – dermatologia, psicologia e disturbi dell'alimentazione Padiglione Lancisi – neurologia Padiglione Busi – MOC, radioterapia, mammografia, laser terapia e archivio radiologico Padiglione Bassi – gastroenterologia, malattie del fegato Padiglione Cesalpino – ematologia Padiglione Baccelli – cardiochirurgia e degenze di chirurgia vascolare Padiglione Piastra – rianimazione, terapia intensiva, radiologia, ortopedia, poliambulatorio, pronto soccorso generale e pediatrico. Padiglione Sala – maternità e ostetricia Padiglione Maroncelli – diabetologia, endocrinologia, medicina interna, malattie del fegato Padiglione Malpighi – laboratorio di analisi Padiglione Puddu – cardiologia e ambulatorio di chirurgia vascolare Padiglione Flaiani – oncologia-pediatria I dipartimenti sono suddivisi in unità operative complesse (U.O.C.), unità operative semplici (U.O.S.) e unità operative semplici dipartimentali (U.O.S.D.). Area testa-collo: Area della motricità: Area malattie dell'apparato digerente, della nutrizione, endocrine e metaboliche: Area oncologica: Area Forlanini, malattie del torace e dell'apparato respiratorio: Area diagnostica per immagini, interventistica e radioterapia: Area sangue, organi e tessuti: U.O.C. farmacia ospedaliera L'azienda ospedaliera ha attivato una convenzione con l'Università La Sapienza di Roma per la formazione di infermieri, dietisti, fisioterapisti, tecnici di radiologia e di laboratorio biomedico, e per la formazione complementare post base. Questa convenzione è iniziata nel 1996 con i diplomi universitari e prosegue con le lauree triennali dal 2001. Corsi di laurea di I livello: laurea in infermieristica laurea in dietistica laurea in fisioterapia laurea in tecniche di laboratorio biomedico laurea in tecniche di radiologia medica per immagini e radioterapia Corsi di laurea di II livello: laurea magistrale in scienze infermieristiche ed ostetriche Master di I livello: management infermieristico per le funzioni di coordinamento Area critica per infermieri: scienze tecniche applicate alla gestione dei sistemi informativi in diagnostica per immagini Scuola di formazione per operatore socio sanitario L'ospedale è raggiungibile tramite la seguente stazione: Da qui (piazza Flavio Biondo) si può raggiungere l'ospedale tramite diverse linee di autobus oppure con linea tranviaria su Circonvallazione Gianicolense. Nicola Picardi, L'Ospedale di S. Camillo de Lellis di Roma, in Annali italiani di chirurgia, vol. 80, n. 5, 2009, pp. 411-415, ISSN 0003-469X. Ospedale Carlo Forlanini Sistema sanitario nazionale Sapienza - Università di Roma Sito dell'Azienda Ospedaliera S. Camillo - Forlanini, su scamilloforlanini.rm.it.

Estratto dall'articolo di Wikipedia Azienda ospedaliera San Camillo-Forlanini (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

Azienda ospedaliera San Camillo-Forlanini
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Ospedale san camillo forlanini
Ospedale san camillo forlanini
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Istituto nazionale per le malattie infettive
Istituto nazionale per le malattie infettive

L'Istituto nazionale per le malattie infettive Lazzaro Spallanzani (INMI "Lazzaro Spallanzani" IRCCS) è un istituto di ricovero e cura a carattere scientifico, sito a Roma in via Portuense, 292. L'ospedale Lazzaro Spallanzani fu fondato nel 1936 e fu destinato alla prevenzione, diagnosi e cura delle malattie infettive, occupando con i suoi 15 padiglioni un'area di 134000 m² all'interno dell'ospedale San Camillo, fondato nel 1929. Nel corso degli anni '30 fu aperta una sezione dedicata alla cura e alla riabilitazione per i malati di poliomielite, mentre negli anni '70 l'Istituto si concentrò sul contrasto all'epatite B, che rappresentò un punto di partenza verso una maggiore competenza nel campo dell'epatite virale acuta e cronica. A partire dal 1980 rappresenta uno dei maggiori centri per l'assistenza e la ricerca sulle infezioni causate dal virus HIV. Un'espansione del complesso si ebbe nel 1991 mentre nel 1996 il Ministero della salute ha riconosciuto lo Spallanzani come Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS). Nei primi anni 2000 il Ministero identificò l'ospedale come polo nazionale contro il bioterrorismo e specializzato nel trattamento di malattie infettive ad elevato impatto, ossia SARS, FEV e MERS. Con deliberazione della Giunta Regionale del Lazio nº 157/2007 è stato istituito il Polo Ospedaliero Interaziendale Trapianti (POIT), una struttura deputata ai trapianti di fegato, reni e pancreas partecipata sia dallo Spallanzani che dal San Camillo-Forlanini. L'Istituto possiede uno dei due laboratori con livello di biosicurezza 4 presenti in Italia (l'altro è presso l'ospedale Luigi Sacco di Milano). Il 25 novembre 2014 è stato ricoverato presso l'istituto Fabrizio Pulvirenti, un medico italiano di Emergency infettato dal virus Ebola mentre si trovava ad operare in Sierra Leone, poi dimesso il 2 gennaio 2015. Nell'ambito della pandemia di COVID-19 l'Istituto, a partire dal 30 gennaio 2020, ha ospitato i primi due infettati identificati in Italia: due turisti cinesi, originari della provincia di Hubei, di 66 e 67 anni. Il 2 febbraio, durante una conferenza stampa, il Ministro della salute Roberto Speranza ha annunciato che un gruppo di ricercatori dell'INMI ha isolato il coronavirus SARS-CoV-2. Il team era composto da Maria Rosaria Capobianchi, Francesca Colavita, e Concetta Castilletti. Le sequenze parziali sono state tempestivamente pubblicate sul portale GenBank a disposizione della comunità scientifica internazionale. A partire dal 6 febbraio 2020 il nosocomio ospita anche il primo italiano risultato positivo al coronavirus, si tratta di uno dei 56 italiani rimpatriati da Wuhan con un volo speciale. Linee autobus ATAC: 228, 718, 774; Roma TPL: 710. Lazzaro Spallanzani GRAd-Cov-2 Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Istituto nazionale per le malattie infettive Sito ufficiale, su inmi.it.

Ospedale Carlo Forlanini
Ospedale Carlo Forlanini

L'ospedale Carlo Forlanini è stato un ospedale di Roma fondato negli anni 1920 per trattare i malati di tubercolosi, e chiuso nel giugno 2015 con trasferimento delle sue funzioni nei vicini ospedali San Camillo-Forlanini sulla Circonvallazione Gianicolense e Lazzaro Spallanzani sulla via Portuense. Era intitolato a Carlo Forlanini, uno dei principali seguaci in Italia del professor Robert Koch, Premio Nobel per la medicina nel 1905 e scopritore dell'agente patogeno della tubercolosi. Fu inaugurato il 10 dicembre 1934. Fino alla metà del XX secolo non erano noti antibiotici efficaci sul micobatterio della tubercolosi, malattia incurabile e terribilmente contagiosa. Per questo motivo, intorno al 1925, il professor Eugenio Morelli ebbe l'idea di creare in ogni provincia italiana un sanatorio per curare e isolare i malati in modo che non contagiassero le persone sane; per la provincia di Roma, fu pensato il Carlo Forlanini, che doveva essere non solo il più grande e prestigioso istituto scientifico di riferimento, ma anche un grande centro di ricerca sociale sulla tubercolosi a livello mondiale. La decisione di costruire il sanatorio fu presa dopo che, nel giugno 1928, la Confederazione Fascista degli Industriali aveva destinato un contributo di tre milioni di lire alla costruzione, in particolare a Roma, di un istituto per lo studio e la cura della tubercolosi e delle malattie polmonari. La progettazione fu eseguita dall'Ufficio Costruzioni Sanatoriali dell'INFPS con a capo Galbi Berardi. Gli ingegneri invece furono Ugo Giovannozzi, per la parte artistica, Giulio Marconigi e Ferdinando Poggi, per la parte tecnica; quest'ultimo fu anche il primo direttore dei lavori, rimpiazzato poi nel 1934 a seguito di una nomina del presidente dell'INFPS Giuseppe Bottai. La prima pietra fu posata tra il novembre e il dicembre del 1930. La prima fase dei lavori fu quella di procedere ad uno scavo di quattrocentottantamila metri cubi seguiti poi dalla fase della chiusura parziale di alcuni sottostanti antichi firmici di tufo. Il materiale utilizzato per colmare tale baratro provenne dagli sbancamenti di via di Fori Imperiali. Il 30 marzo 1939 il comitato esecutivo deliberò l'erogazione di undici milioni di lire per completare gli aggiuntivi lavori in costruzione. Oltre a ciò ci fu anche un premio di acceleramento di cinquemila lire per ogni giorno di anticipo sul termine di ultimazione contrattuale assegnato alla Ditta Bassanini. La Cattedra universitaria di Roma con sede al Forlanini fu seconda nel mondo dietro soltanto a quella della Sorbona a Parigi; l'Ospedale Carlo Forlanini fu la prima grande struttura del mondo dedicata esclusivamente alla cura della tubercolosi; in esso infatti fu scoperto e messo a punto nel 1960 da parte di numerosi medici e ricercatori guidati e coordinati dal prof. Omedei Zorini, il metodo di "Chemio-Profilassi Anti- tubercolare mediante Isoniazide", risultato molto efficace e perciò applicato in tutto il mondo per la prevenzione della tubercolosi nelle persone ancora sane ma esposte al contagio (ad esempio ambienti familiari, miniere, manicomi, carceri). Proprio per tale motivo l'Ospedale Carlo Forlanini fu scelto dalla Organizzazione mondiale della sanità come sede di formazione dei medici, scelti dai vari stati, che avrebbero organizzato la lotta anti-tubercolare nel proprio Paese. Il Forlanini fu sede dell'IFA (International Forlanini Association), l'associazione costituita tra i medici stranieri che lì si erano perfezionati, oltre 600 ex-allievi di tutte le nazioni (India, USA, Sud-America, ecc.), che hanno diffuso in tutto il mondo il nome del Forlanini e le sue conquiste scientifiche. Il sanatorio, inizialmente chiamato "Istituto Benito Mussolini", fu inaugurato il 1º dicembre 1934. L'inaugurazione fu effettuata proprio dal capo del Governo Benito Mussolini, mentre il 17 aprile 1936 ci fu l'omaggio della visita del Re Vittorio Emanuele III e dalla consorte, la Regina Elena. All'inaugurazione erano presenti il senatore Luigi Federzoni, l'onorevole Costanzo Ciano, insieme ad altri come Balstrodi, Bruno Leoni e il sottosegretario conte Galeazzo Ciano. A questi si aggiungevano: Giuseppe Volpi conte di Misurata, il presidente della Confederazione Fascista degli Industriali, l'onorevole Bottai, il presidente dell'Istituto Nazionale Fascista della Previdenza Sociale e il direttore dell'Istituto stesso Medalaghi. Oltre a queste personalità convennero anche il Capo di Stato Maggiore della Milizia, generale Attilio Teruzzi, il cardinale del Papa, cardinale Marchetti Selvaggiani, molti senatori, il governatore di Roma, Francesco Boncompagni Ludovisi e il Governatore della Banca d'Italia, Vincenzo Azzolini. Dal punto di vista medico erano presenti tra i più illustri fisiologi dell'epoca tra cui il professor Fernard Bezancon segretario dell'Associazione europea per la lotta alla tubercolosi. Per la grandiosità dell'evento la cronaca dell'inaugurazione fu mandata in diretta sulla radio nazionale. Diverse foto testimoniano come nella giornata inaugurale del congresso del 1950, avvenuto nel teatro del Forlanini, fosse presente il professor Alexander Fleming. In quella sede, infatti, si ha memoria di una affermazione del professor Fleming inerente alla sua scoperta della penicillina. Fleming disse: Negli anni in cui fu inaugurato il sanatorio la tubercolosi era sì ben inquadrata da un punto di vista nosologico ma, nell'ambito farmacologico, non era ancora sufficientemente definita. Infatti prima della scoperta dei sulfamidici, da parte del prof. Gerhard Domagk, e della penicillina, grazie ad Alexander Fleming, la cura della tubercolosi si basava su terapie caratteriali con somministrazione di calcio ed estratti epatici, sull'elioterapia e su un'alimentazione ipercalorica ed iperproteica. Nel 1928 ad Oslo alla Conferenza Internazionale sulla tubercolosi fu presa con voto unanime la decisione di innalzare un obelisco di marmo bianco di Carrara in memoria del prof. Forlanini di fronte all'entrata del sanatorio. Questo obelisco non fu mai costruito, ma si poteva ammirare Carlo Forlanini nel plastico posto nell'atrio centrale. Nel piano sotterraneo del sanatorio si trovano i locali che un tempo erano adibiti a sala incisoria e a camera ardente, in quest'ultima tra il 1935 e il 1959 transitarono centoundicimila cadaveri. Il massimo numero di defunti si ebbe nel 1944 quando morirono milletrecento persone, circa centoundici malati al mese, quasi quattro malati al giorno Tale numero sommati ai morti avvenuti tra il 1960 ad oggi, ossia duecentotrentottomila persone, raggiunge la cifra di trecentocinquantamila morti. L'8 giugno 1955 scoppiò una violentissima rivolta all'interno del sanatorio, che ebbe inizio con uno sciopero proclamato il giorno prima dal personale salariato per alcune rivendicazioni sul trattamento pensionistico. Per rimpiazzare i circa mille dipendenti in protesta la Prefettura richiese l'intervento dell'esercito. Quando quella mattina sessanta soldati della sanità, insieme a reparti di Fanteria, Genio e Granatieri entrarono dal cancello di via Portuense, i malati cominciarono a rumoreggiare e a coalizzarsi, sia per appoggiare l'agitazione del personale sia per la preoccupazione di non vedere osservate le regole igieniche. La situazione degenerò e il Comandante si rivolse alla Questura centrale che circondò il sanatorio con decine di camionette della Celere. Tutto ciò, invece di spegnere il tumulto, provocò una reazione ancora più violenta da parte dei ricoverati. Ci fu una ressa indescrivibile non appena la sirena cominciò a suonare e alcune decine di malati furono addirittura presi a manganellate da parte della polizia. Questi malati risposero a tale attacco con il loro sputo misto a sangue tipico di un tubercoloso. Le proteste perdurarono fino al primo pomeriggio, finché in tarda serata la polizia fermò una trentina di persone che furono subito trasportate all'Ufficio politico della Questura e denunciate per oltraggio, violenza e resistenza alla forza pubblica. Il Forlanini per circa quarant'anni fu gestito a pieno titolo dall'INPS, ma nel 1968 con una legge proposta dall'onorevole Mariotti si decretava la fine del sistema mutualistico e si sanciva il diritto di tutti i cittadini alla tutela della salute attraverso il Servizio Sanitario Nazionale. Così ospedali appartenenti a enti pubblici furono classificati come Enti Ospedalieri Autonomi e il Forlanini fu degradato a ospedale. La separazione del Forlanini dall'INPS avvenne, di fatto, nel 1971 quando fu classificato “Ospedale Regionale per le malattie dell'apparato respiratorio”. Causa principale di tale cambiamento fu la debellazione quasi totale della TBC, che non necessitava più di lungodegenza sanatoriale, grazie all'introduzione e alla diffusione delle terapie antibiotiche. Dopo la separazione del Forlanini dall'INPS ci fu l'accorpamento con lo Spallanzani, definito allora il “Lazzaretto”, e con il San Camillo, dando così origine all'Ente Ospedaliero Monteverde. Quest'ultimo, però, ebbe vita breve dato che nel 1978 la legge 833 decretò l'istituzione del Servizio Sanitario Nazionale, e gli ospedali furono con ciò inseriti nelle Unità Sanitarie Locali. Il Forlanini fu inserito nella USL Roma 16 divenuta poi USL Roma 10. Agli inizi degli anni Novanta lo si volle intitolare ad un bambino americano morto in Calabria in circostanze drammatiche, così il suo nome divenne Ospedale "Nicholas Green". Però poco tempo dopo, nel 1992, grazie al decreto legislativo 502 ottimato nel 1994, l'Ente Ospedaliero Monteverde fu ratificato in Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini-Spallanzani. Ciò fu frutto del progetto iniziale del prof. Morelli basato sulla creazione di una "città Ospedaliera formata da tre istituti e con al centro proprio il Forlanini". Tale città doveva avere come limite di confine a nord ed a ovest via Bernardino Ramazzini, a sud via Portuense e ad est via Giacomo Folchi. L'unione San Camillo-Forlanini-Spallanzani durò fino al 1996 quando proprio quest'ultimo si divise dagli altri diventando Istituto Nazionale di Ricerca Scientifica. Dopo tale evento si diede vita all'Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini con al vertice un direttore generale. Nel corso degli anni, con il diminuire dei malati di tubercolosi, questa imponente struttura ha dovuto affrontare la trasformazione in struttura ospedaliera, dovendosi assimilare alle dolorose e disagevoli ragioni dei bilanci da quadrare: per molti anni i primi tagli di risorse si sono ripercossi sulla manutenzione degli aspetti esteriori, fino alla sua definitiva chiusura nel 2015. La chiusura è stata contestata anche da medici, compreso il primario prof. Massimo Martelli. Lo stesso prof. Martelli ha proposto infatti, già dal 2010, un piano di gestione del Forlanini che consentisse dei risparmi economici senza ostacolare la necessaria operatività della struttura. Il complesso è stato dichiarato patrimonio indisponibile alla vendita nel 2017. L'Istituto Carlo Forlanini costituì una cittadella autosufficiente: dall'approvvigionamento idrico al fabbisogno alimentare, dai trasporti interni al funzionamento energetico, il tutto, in una struttura urbanistica dotata di viali alberati e illuminati, chiese, campi di bocce, biliardi, cinema, teatri, centrale termica, scuole per bambini, emittente radiofonica, barbiere, parrucchiere, refettori, cantine per vino, canile, musei. L’istituto era inizialmente suddiviso in quattro grandi padiglioni "polmonari" situati in via Portuense, di cui due erano riservati alle donne e due agli uomini; successivamente nel 1941 si aggiunse un nuovo padiglione ortopedico costituito da duecentocinquantuno posti letto dedicati alle persone affette da forme tubercolari osteo-articolari. Oltre a questi vi erano altre degenze quali la pediatria, la laringologia, la chirurgia, l’ostetricia, la ginecologia e una clinica delle malattie dell’apparato respiratorio per un totale di ventotto reparti per assistenza ai malati e venticinque sezioni di settori scientifici. Nel complesso, la disponibilità del sanatorio ammontava a duemilasessanta posti letto nel 1938. Tale cifra risultò insufficiente quando, in seguito all'apertura di un nuovo reparto denominato clinica medica-donne avvenuta il 6 ottobre 1939, dal 1940 la frequenza dei ricoveri crebbe esponenzialmente arrivando a sfiorare, nel 1943, la cifra di quattromila malati. All'apertura del sanatorio, nel 1934, l’organico era formato da cento medici, diciassette tecnici specializzati, trenta caposala e ottantadue infermiere a cui aggiungere novecento salariati tra cui elettricisti, falegnami, lattonieri, magazzinieri, giardinieri e altri di cui molti provenienti dal sanatorio di porta Furba. Verso la fine degli anni quaranta cominciare a comparire i primi infermieri abilitati (futuri infermieri generici) dato che, fino ad allora, il personale di assistenza era composto esclusivamente da donne. Inoltre, tra le corsie operava anche il personale religioso formato da nove cappellani, quindici suore, venti suore-infermiere e alcune addette a servizi vari che alloggiavano direttamente all'interno del sanatorio in modo tale da essere facilmente reperibili. Nel complesso i dipendenti del Forlanini presero il nome di “sanatoriali”, col fine di distinguerli dai dipendenti degli altri ospedali. Il Forlanini era inoltre dotato di un sofisticatissimo sistema di cerca-persone con il quale contattare rapidamente i dipendenti. L'apposita rete alimentava oltre quaranta segnalatori ottici, opportunamente installati nei corridoi molto trafficati, azionati mediante chiamata da un qualsiasi apparecchio telefonico interno. I segnalatori ottici erano dotati ciascuno di cinque punti luminosi: verde, rosso, bianco, celeste e giallo, che si accendevano a seconda del padiglione di chiamata. Un campanello installato presso ciascun segnalatore ottico avvertiva della chiamata. Dati i numerosissimi frequentatori il cibo era preparato loro da sei diverse cucine; una cucina situata nel padiglione pediatrico, una per il personale religioso, una del padiglione ortopedico, la piccola cucina di smistamento, la cucina del padiglione Indenni e infine la cucina centrale. Quest’ultima era un salone di quasi milleottocento metri quadrati di superficie diviso da bassi tramezzi che circoscrivono i vari locali senza coprire la vista generale; il pavimento di porcellana bianca si presentava a grandi riquadri azzurri così come le pareti rivestite da maioliche. Un’importante caratteristica erano le colonne aereo-termiche installate a completamento del già moderno impianto di ventilazione ed eliminazione odori, che dalle torrette immettono l’aria pura esterna e allontanano in ragione di trentamila metri cubi all'ora l’aria maleodorante. Inoltre, la cucina centrale era dotata di sei grandi fuochi a gas, sette tavole calde a vapore e di due pentole per la cottura del latte dalla capacità di mille litri. Negli anni quaranta il consumo alimentare quotidiano ammontava a seicento chili di pasta, un quintale di condimenti, due quintali di verdure, duecento chili di grassi, oltre un quintale di pelati e pomodoro, settecentocinquanta chili di pane, seicentocinquanta litri di vino dei Castelli Romani, più di mille litri di acqua minerale, cento chili di biscotti, trenta chili tra cacao e cioccolato, dodici chili di caffè, settecento litri di latte, oltre cento chili di zucchero e un quintale e mezzo di frutta. Solo nel novembre del 1946 si consumarono inoltre sette quintali di carne suina, quattordici quintali di vitellone e quattro quintali di abbacchio per un totale di ventiquattromila pasti. La distribuzione e lo smistamento delle quaranta tonnellate di merce e sette di biancheria avveniva per mezzo di carrelli con comando a bottoneria attraverso il quale veniva individuato un itinerario di quasi tre chilometri tra i vari centri di smistamento. I carrelli viaggiavano orizzontalmente in pendenza su cremagliere; inoltre, grazie a modernissimi quadri di segnalazione, identici a quelli che erano in uso nelle stazioni ferroviarie, consentivano di individuare immediatamente la posizione e il viaggio effettuato dai singoli carrelli; infine, altri impianti di segnalazione avvertivano il personale dell’arrivo o della partenza di un carrello. La vasta capacità, l’ottima organizzazione e la grande praticità agevolata dagli apparecchi di metallo pregiato hanno reso tale cucina una tra le più grandi e moderne dell’Europa del tempo. Ciò nonostante, il maestoso salone giace ora in uno stato di abbandono e la cucina risulta sommersa dalle macerie. All'interno del sanatorio vi era anche un teatro da ottocento posti. Era dotato di un moderno impianto di luci graduabili capaci di simulare aurore e tramonti, pannelli fonoassorbenti, camerini e una sofisticata cabina di regia che rendeva il teatro usufruibile come sala cinematografica utilizzata tre volte a settimana per proiettare film. Inoltre, il teatro veniva utilizzato da sfondo per spettacoli vari, concorsi d’arte per i ricoverati e premiazioni degli studenti più meritevoli. Sempre all’interno del teatro sono stati organizzati il quinto Congresso italiano di Tisiologia, e dal 17 al 22 settembre 1950 il primo congresso internazionale dei medici specialisti delle malattie del torace sull’argomento della tubercolosi. Il monumentale Forlanini risulta anche costituito da moltissime sculture e opere architettoniche. Nel cortile retrostante alla ex casa suore è custodita una statua, posta a circa tre metri di altezza, di Claretta Petacci, l’amante di Mussolini. Oggi la statua si presenza senza testa, braccio destro, con il piede sinistro frantumato e con il fucile tenuto in mano, ossia il moschetto del 91 distrutto a causa di una bravata avvenuta durante l’inverno del 1986. In fondo ad uno degli atrii sono presenti due altorilievi di cultura fascista realizzati da Arrigo Minerbi in pietra di Saltrio raffiguranti il primo, situato verso dove c’era la clinica donne, il lavoro femminile e il secondo, nei pressi della clinica uomini, il lavoro maschile. Entrambi furono commissionati dall'onorevole Antonio Stefano Benni, allora presidente della “Confederazione generale fascista dell’Industria”. Con tali altorilievi l’autore ha voluto esprimere la solidarietà delle industrie italiana nella lotta alla tubercolosi. Nella costruzione dell’immenso sanatorio sono stati seguiti precisi criteri architettonici; difatti, sono stati utilizzati materiali più pregiati per le parti maggiormente rappresentative come la direzione sanitaria, gli atri, l’Aula Magna e il corridoio del museo anatomico. I due ingressi principali son stati costruiti con gli stessi rapporti di dimensione; inoltre i grandi cancelli di piazza Forlanini e di via Portuense si trovano in asse tra loro e il punto centrale di questa retta immaginaria è rappresentato dai giardini dall'esedra. Quest’ultima è stata modellata a “ferro di cavallo” in modo tale da favorire la circolazione dell’aria nelle ampie aree di degenza collegate tra loro da lunghe balconate. In questa grande esedra erano inoltre collocati i laboratori in posizione baricentrica quasi a significare il cuore del sanatorio. Essi erano distinti in quattro rami: il chimico, il batteriologico, l’istologico e il sierologico; ognuno di questi rami era inoltre dotato di un laboratorio. Oggi moltissimi reparti, laboratori, settori e stanze del Forlanini giacciono in uno stato di abbandono. Ogni camera per i pazienti era munita di una lunga veranda di quasi tre metri di profondità sufficientemente spaziose da accogliere lo sdraio dei malati; difatti, al fine di garantire la massima luce possibile durante il giorno erano direttamente esposte a mezzodì. Al tramonto le 192 serrande delle verande si abbassavano contemporaneamente grazie a un impulso elettrico centralizzato comandato da un grande orologio. In ogni camera, inoltre, si trovavano due crocifissi posti uno di fronte all’altro; nel complesso, all’interno del sanatorio vi erano ben novecento crocifissi. Ogni letto era dotato di una cuffia per l’ascolto della musica di Alberto Rabagliati, del trio Lescano, della Santa Messa, di alcuni consigli igienico-sanitari e, fino ad un certo periodo, anche dei comizi di Mussolini. La trasmissione radio era garantita da una centrale radiofonica posta inizialmente nelle vicinanze del centralino, poi trasferita nel piano sotterraneo della palazzina. Dopo la trasformazione del Forlanini da sanatorio ad ospedale, grazie alla legge Mariotti, il primo effetto a livello organizzativo fu l'apertura dell'attività clinica di accettazione a tutti i ricoveri, per cui si rese necessario l'apertura dei cancelli anche di notte, con relativo turno notturno per il personale del centralino e della sorveglianza. Il servizio di sicurezza era assicurato da un gruppo di trenta guardie armate di pistole custodite in una cassaforte della portineria di piazza Forlanini. Negli anni 1950 furono aggregati altri undici uomini scelti tra i reduci di guerra ed esonerati dai turni notturni. Il compito principale di quest'ultimi era quello di fare posti di blocco all'interno del sanatorio i quali erano collocati: nell'atrio dove poi fu collocato il Protocollo Generale, all'ingresso del primo padiglione-donne, al piano terra del secondo padiglione uomini, in alcuni sotterranei, nel guardaroba centrale, nella portineria di Via Portuense e nel centralino. Tra il personale addetto alla sorveglianza figuravano anche alcune donne che avevano il compito di perquisire il personale femminile in uscita. Nel Forlanini vi è un museo di Anatomia e di Anatomo-Patologia, citato da molti testi di studio e visitato da numerose scolaresche e scuole di Scienze Infermieristiche. Esso prende il nome di "museo anatomico Eugenio Morelli". Massimo Venanzetti, Anch'io fui studente al Forlanini. Una giornata con il suo fondatore tra segreti e curiosità, Roma, Scienze e lettere, 2012, ISBN 8866870072. Azienda ospedaliera San Camillo-Forlanini Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su ospedale Carlo Forlanini Sito dell'Azienda Ospedaliera S. Camillo - Forlanini, su scamilloforlanini.rm.it.

Nuovo Trastevere

Il Nuovo Trastevere è un'area urbana del Municipio Roma XI di Roma Capitale. Fa parte della zona urbanistica 15A Marconi, nel quartiere Q. XII Gianicolense. Si estende fra la via Portuense, via Quirino Majorana e la ferrovia FL1. La denominazione attuale risale al 2002. In passato veniva generalmente chiamato "Ex-Purfina", in riferimento alla dismessa raffineria petrolifera. L'area risiede a valle della collina tufacea di Monteverde ed i primi insediamenti risalgono all'epoca romana, tra il I ed il IV secolo. Nonostante la mancata valorizzazione diversi reperti sono meritevoli di menzione. In particolare sono ancora visibili resti di due edifici (uno, mosaicato, probabilmente adibito a stazione termale, il secondo con finalità funerarie), un tratto di una strada, generalmente identificato con l'antica via Campana. Ma i reperti più interessanti sono i sepolcri di via Giuseppe Ravizza, con dipinti ben conservati e urne cinerarie. Questi sepolcri sono stati completamente inseriti negli edifici moderni. L'ingresso è stato chiuso. Il quartiere si connotò come zona popolare nel secondo dopoguerra con la costruzione della raffineria petrolifera di Roma (la cui ciminiera, ormai distrutta, faceva il paio con quella, ancora visibile della camera mortuaria dell'Ospedale San Camillo). Il suo essere limitata dalla ferrovia da un lato e da due grosse arterie stradali (via Portuense e via Quirino Majorana) dall'altro, rendeva il quartiere "isolato" dalle zone limitrofe. Da qui il soprannome "Isola" spesso utilizzato. Alcune scene di Ragazzi di vita di Pier Paolo Pasolini, ambientate nella zona, descrivono il popolarsi di questo strano quartiere, stretto fra la borgata "Magliana" (tristemente nota per l'omonima banda) e lo storico "Monteverde".

Crollo di via di Vigna Jacobini 65 a Roma
Crollo di via di Vigna Jacobini 65 a Roma

Il crollo del palazzo di Via di Vigna Jacobini 65 avvenne a Roma la notte del 16 dicembre 1998. Nel disastro morirono 27 delle 38 persone residenti nello stabile. Lo stabile n. 65 di Via di Vigna Jacobini nel quartiere Portuense a Roma era un edificio di 5 piani costruito nel 1957 e ristrutturato tra il 1992 e il 1993. Alle 3:06 di mercoledì 16 dicembre 1998 il palazzo crollò improvvisamente senza segni premonitori lasciando a terra vari cumuli di macerie. I soccorritori arrivano dopo circa mezz’ora, allertati dalle persone residenti nelle vicinanze. Fin da subito si venne a sapere che sotto le macerie erano presenti quasi 30 persone e che c’erano anche dei bambini, per questo non furono usate scavatrici. Alla fine furono estratti dalle macerie solo 2 superstiti che verranno ricoverati in ospedale in gravi condizioni mentre vi furono 27 morti. I funerali di 13 vittime si svolsero in forma pubblica il 22 dicembre successivo alla presenza del presidente della repubblica Oscar Luigi Scalfaro e dei presidenti di Camera e Senato. L'esequie delle restanti 14 vittime furono svolte in forma privata. Il procedimento penale ha accertato che il crollo dell'edificio fu causato da errori progettuali (sottodimensionamento dei pilastri) e dalla scarsa qualità ed estrema disomogeneità del calcestruzzo. Si è inoltre proceduto nei confronti del responsabile della tipografia, che era installata nel piano seminterrato, in ragione dei possibili effetti prodotti dai macchinari sull'ambiente circostante (in particolare si è ipotizzato che le macchine tipografiche avessero determinato un clima caldo e asciutto, nocivo per il calcestruzzo). Dopo due annullamenti della Corte di Cassazione, il procedimento penale si è concluso nel 2019 con sentenza di assoluzione dell’unico imputato perché il fatto non sussiste, pronunciata dalla Corte di appello di Roma su richiesta conforme della Procura generale. È stato quindi riconosciuto che l’attività tipografica non ebbe alcun effetto nocivo sulla struttura dell’edificio. Tra parentesi l'età: Fabio Biancalana (34) Claudia Cancellieri (1) Claudio Cancellieri (34) Giulia D'Ercole (72) Fernanda De Angelis (64) Edoardo De Michelis (4) Iacopo De Michelis (1) Roberto De Michelis (45) Alessio Fioravanti (4 mesi) Stefano Fioravanti (34) Giuliano Fumaselli (55) Massimiliano Fumaselli (23) Stefano Fumaselli (30) Veronica Gentili (28) Elisa Giuli (74) Giordano Gori (3) Giorgia Gori (8) Giuliano Gori (34) Filippo La Mantia (74) Vincenzo Lella (69) Rosa Magnoli (50) Iolanda Matarazzo (35) Maria Simonetta Micheli (32) Angela Palermo (68) Giovanna Picone (38) Giuliano Romani (38) Elisa Tosti (37) Il 10 maggio 2022 l’Assessore alla Cultura di Roma Capitale, Miguel Gotor, ha annunciato che la Commissione Consultiva di Toponomastica ha espresso parere favorevole in merito all'intitolazione del giardino di Piazza Piero Puricelli, nel quartiere Portuense, alle vittime del crollo di Via di Vigna Jacobini 65. In seguito, la Giunta capitolina con la deliberazione n. 180 del 27 maggio 2022 ha approvato la nuova denominazione. Il 16 dicembre 2022, in occasione del ventiquattresimo anniversario del crollo della palazzina, alla presenza del Sindaco di Roma Capitale, Roberto Gualtieri, del Presidente del Municipio Roma XI, Gianluca Lanzi, e dei famigliari delle vittime, a Piazza Piero Puricelli si è tenuta la cerimonia di inaugurazione della targa toponomastica “Giardino Vittime di Via di Vigna Jacobini”. Poco dopo il tragico evento Roma si dotò del Fascicolo di fabbricato, un documento che doveva servire a tenere sotto controllo lo stato di salute di tutti gli immobili della capitale. Un documento che poi venne fatto proprio anche da altri comuni e regioni, ma poi cancellato pochi anni dopo. Crollo di viale Giotto 120 a Foggia Cedimento strutturale

Chiesa della Trasfigurazione di Nostro Signore Gesù Cristo (Roma)
Chiesa della Trasfigurazione di Nostro Signore Gesù Cristo (Roma)

La chiesa della Trasfigurazione di Nostro Signore Gesù Cristo è un luogo di culto cattolico di Roma, sede dell'omonima parrocchia, nel quartiere Gianicolense, in piazza della Trasfigurazione. Fu costruita, su progetto di Tullio Rossi, tra il 1934 ed il 1936, in una zona di Roma allora in crescente trasformazione ed urbanizzazione. È stata eretta in parrocchia il 18 giugno 1936 con decreto del cardinale vicario Francesco Marchetti Selvaggiani “Romanus pontifex”, ereditando titolo e dei redditi della soppressa parrocchia di San Rocco al Porto di Ripetta. Durante l'occupazione nazista di Roma, la parrocchia retta da mons. Giovanni Butinelli fu coinvolta nell'accoglienza degli ebrei voluta da Pio XII: a seguito del rastrellamento del 16 ottobre 1943, la parrocchia salvò dallo sterminio più di cento ebrei. Negli anni 70 e 80 ebbe un ruolo importante nei fermenti successivi al Concilio Vaticano II, con la creazione del gruppo e della rivista La Tenda, e nell'accoglienza degli esuli dalla dittatura militare in Argentina. Dal 2001 la parrocchia è sede del titolo cardinalizio della Trasfigurazione di Nostro Signore Gesù Cristo, di cui è titolare il cardinale Pedro Rubiano Sáenz, arcivescovo emerito di Bogotà. Di notevole valore artistico il portale in bronzo inaugurato in occasione del Giubileo del 2000, opera di Pierangelo Pagani, di 2,50 metri di larghezza e 5 m di altezza, che raffigura una grande croce che con le sue braccia divide il portale in quattro ante. All'interno, nell'abside, è collocata una copia della Trasfigurazione di Raffaello Sanzio. (DE) Luigi Monzo: croci e fasci – Der italienische Kirchenbau in der Zeit des Faschismus, 1919-1945. 2 vol. Karlsruhe 2017 (tesi di dottorato, Karlsruhe Institute of Technology, 2017), pp. 576-577. Claudio Rendina, Le Chiese di Roma, Roma, Newton & Compton Editori, 2000, p. 360, ISBN 978-88-541-1833-1. Valentina Cavalletti, Trasfigurazione. Una storia di desaparecidos, accoglienza e solidarietà, Roma, Archivio Storico Culturale del Municipio Roma XVI, 2006. Wikibooks contiene testi o manuali sulla disposizione fonica dell'organo a canne Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla chiesa della Trasfigurazione di Nostro Signore Gesù Cristo Il sito ufficiale della parrocchia, su trasfigurazione.it.

Chiesa della Sacra Famiglia (Roma)
Chiesa della Sacra Famiglia (Roma)

La chiesa della Sacra Famiglia è un luogo di culto cattolico di Roma, nel quartiere Portuense, in via Filippo Tajani. È stata costruita nel XX secolo su progetto degli architetti Mario Paniconi e Giulio Pediconi, ed inaugurata nel 1978. La chiesa, visitata da Giovanni Paolo II il 14 febbraio 1994, è sede della parrocchia omonima “a via Portuense”, istituita dal cardinale vicario Francesco Marchetti Selvaggiani il 14 agosto 1932 con il decreto Cum sanctissimus dominus. La cura della chiesa è affidata alla Congregazione della Sacra Famiglia di Bergamo. La chiesa è a pianta circolare ed è affiancata da un curioso campanile progettato dall'architetto Gian Franco Filacchione (1987) in struttura metallica sotto il quale vi è una porta in ferro che introduce al giardino giochi. Nel lato sud è stato costruito nel 2009 un piccolo orologio solare a ore astronomiche, dipinto con colori per esterno da Marco Agrillo. All'interno l'ampio presbiterio è dominato da un grande crocifisso su pannello rosso, ove sono raffigurati i simboli dei quattro evangelisti ed episodi dell'ultima cena e della passione di Gesù realizzato dall'artista Ennio Tesei (1979). Al lato destro del suddetto crocifisso vi è una pala d'altare raffigurante la Sacra Famiglia di Nazareth di Gian Franco Filacchione (2009). Sul lato opposto dell'altare maggiore, dietro lo spazio del fonte battesimale, si trova un pannello polimaterico di soggetto astratto realizzato dall'artista Fernanda Tollemeto (1992) e intitolato Ogni giorno rinasco ed è sempre la prima volta, e alla sua sinistra vi è un bel dipinto di Maria con Gesù bambino in braccio di attribuzione incerta (XIX secolo). La via Crucis, in formelle quadrate di bronzo, attorno all'aula circolare della chiesa è opera dell'artista Paola Di Gregorio (2000). Nella parte opposta del presbiterio vi è la cappella feriale decorata con icone di stile bizantino ad opera di padre Cesar Hernandez della Congregazione della Sacra Famiglia.

Marconi (zona di Roma)
Marconi (zona di Roma)

Marconi (in antico Piana di Pietra Papa) è la zona urbanistica 15A del Municipio Roma XI di Roma Capitale. Si estende sul quartiere Q. XI Portuense, sulla piana delimitata dalla ferrovia Roma-Pisa e il tratto di fiume Tevere tra Ponte dell'Industria e Ponte Guglielmo Marconi. La zona confina: a nord con la zona urbanistica 16D Gianicolense a est con la zona urbanistica 11A Ostiense a sud con la zona urbanistica 11B Valco San Paolo e 15C Pian due Torri a ovest con le zone urbanistiche 15B Portuense e 16A Colli Portuensi L'urbanizzazione della zona, formalizzata già nel Piano regolatore del 1931 prevedeva di proseguire, nella destinazione industriale dei terreni a sud di Roma compresi nelle due anse del Tevere fra Testaccio e la Magliana, la linea di sviluppo urbano già identificata e avviata dallo Stato Pontificio, e particolarmente da papa Pio IX. Dopo l'Unità d'Italia si stabilirono così in riva destra del Tevere i grandi stabilimenti Mira Lanza, Molini Biondi, Società anonima Oliere, la raffineria della Purfina, favoriti dalla vicinanza della ferrovia e del Tevere (grande arteria di smaltimento rifiuti, prima della costruzione del sistema dei depuratori negli anni 60-70). Gli impianti furono tutti dismessi tra gli anni 50 e i primi 60, lasciando terreni lungamente abbandonati e lo spazio per un'edilizia residenziale intensiva e spesso abusiva, che creò grandi problemi di risanamento urbanistico. L'abitato moderno si sviluppa lungo l'asse stradale di viale Guglielmo Marconi e lungo l'asse secondario di via Quirino Majorana (cosiddetto Nuovo Trastevere). Benché l'urbanizzazione moderna non lo lasci neppure sospettare, la zona fu abitata, economicamente attiva ed intensamente frequentata fin dall'epoca romana, sia come area agricola, che come scalo fluviale, che come sede della via Campana con adiacenti aree sepolcrali, e presenta quindi vari siti di interesse archeologico, tra cui: una necropoli dell'età repubblicana e un deposito-magazzino a via Pierantoni; mausoleo convertito in cisterna, basolato della via Campana e Terme di età imperiale a Pozzo Pantaleo (ex Purfina); nella zona di Pietra Papa resti di una villa romana agricola e di darsene. I siti di interesse storico sono: Casa Vittoria; Asilo nido Fantasia; Case operaie di via dei Papareschi; Società Colle e concimi; Scuola Pascoli; Mira Lanza (edifici vari); Autoparco della Croce Rossa; Teatro India; Molini Biondi. La zona è collegata tramite il ponte dell'Industria, o ponte di ferro, e il ponte Guglielmo Marconi, con la zona urbanistica 11A Ostiense, nel quartiere omonimo. Un terzo ponte ciclo-pedonale, ponte della Scienza, la cui costruzione è stata terminata nel 2013, è stato dichiarato agibile il 29 maggio 2014. Chiesa di Gesù Divino Lavoratore, su via Oderisi da Gubbio. Chiesa dei Santi Aquila e Priscilla, su via Pietro Blaserna.

Chiesa di Nostra Signora di Coromoto

La chiesa di Nostra Signora di Coromoto è un luogo di culto cattolico di Roma, situata nel quartiere Gianicolense, in largo Nostra Signora di Coromoto. Essa è stata costruita tra il 1976 ed il 1978 su progetto dell'architetto Massimo Battaglini (nato a Portici nel 1924), e fu inaugurata il 17 settembre 1978 dal cardinal vicario Ugo Poletti. La chiesa è sede della parrocchia omonima, istituita il 15 dicembre 1966 con decreto del cardinale vicario Luigi Traglia “Sanctissimus Dominus noster” col titolo di “San Giovanni di Dio”, mutato poi in quello attuale nel 1978. Alla chiesa è legato il titolo cardinalizio di “Nostra Signora di Coromoto in San Giovanni di Dio”, istituito il 25 maggio 1985 da Giovanni Paolo II, che aveva visitato la parrocchia il 15 marzo 1981. Il titolo della chiesa fa riferimento alla Vergine di Coromoto, la cui devozione è molto diffusa in Venezuela, di cui è patrona: la modifica del nome della parrocchia fu dovuta al contributo dato dagli italo-venezuelani alle spese di costruzione dell'edificio. L'edificio di culto si trova in posizione elevata, sopra una vasta terrazza in cemento armato cui si accede tramite due rampe di scale. Sulla terrazza si leva un'alta croce marrone in ferro, che nel 1988 sostituì quella precedente in legno. L'ingresso della chiesa è costituito da un grande portale, che fino a qualche tempo fa era sormontato dalla riproduzione fotografica di un'icona raffigurante Gesù Crocifisso con la Madonna e San Giovanni Evangelista tra i Santi Pietro e Paolo. Quest'immagine è ora sostituita da un mosaico con due angeli che sorreggono un clipeo entro il quale è una croce greca, dal cui braccio orizzontale pendono l'alfa e l'omega, prima e ultima lettera dell'alfabeto greco e perciò simboli di Cristo, principio e fine. Sotto la croce è l'iscrizione "Lucis et pacis". Il mosaico è opera del brasiliano padre Ruberval Monteiro da Silva, O.S.B., che ha realizzato anche le pitture della cripta e quelle della cappella dell'Adorazione eucaristica, al piano seminterrato sottostante la chiesa. L'edificio ha pianta irregolare, ed è costituito, all'interno, dall'aula esagonale con un'ampia abside poligonale sul lato opposto all'ingresso. Ai due lati di essa, si trovano due profonde cappelle laterali; in quella di destra è collocata la statua lignea policroma di Nostra Signora di Coromoto, accompagnata dagli stemmi musivi della Repubblica del Venezuela e degli Stati che la compongono; quella di sinistra è destinata alle confessioni dei fedeli, il cui raccoglimento è favorito dalla presenza del gruppo neogotico della Pietà, fiancheggiato da due angeli. La copertura dell'abside e dell'aula è costituita da un soffitto piano sostenuto da vistose travi lamellari in legno, mentre il paramento murario è in mattoncini ad eccezione dell'abside, che è ricoperta d'intonaco color crema. La bussola all'ingresso della chiesa comprende una vetrata serigrafata raffigurante l'Apparizione di Maria agli indios Coromoto (1988), mentre due vetrate policrome con scene bibliche, opera dell'artista Elisabetta Morelli, chiudono le asole di luce sulle pareti laterali. Su quella di sinistra si segnalano le statue in legno policromo di San Giovanni di Dio e di San Michele Arcangelo, quest'ultima dovuta ad artigiani di Ortisei. Intorno alla chiesa sono disposte le formelle in bronzo con le stazioni della Via Crucis, completate da quelle con la Resurrezione e il Battesimo di Gesù, il tutto dovuto al maestro Vincenzo Ingletti. Il presbiterio occupa quasi interamente l'abside sul lato opposto rispetto all'ingresso. Nell'area presbiteriale, rialzata di tre gradini rispetto al pavimento del resto della chiesa, si trovano l'altare maggiore, l'ambone, la sede e il tabernacolo, decorati con bassorilievi marmorei, nonché il fonte battesimale, sormontato da un gruppo in marmo del Battesimo di Gesù, di scuola romana della fine del '500; al centro dell'abside, sopra il tabernacolo, è un grande Crocifisso in terracotta smaltata, opera dello scultore Pio Fedi (Viterbo 1816 - Firenze 1892), che è fiancheggiato da due lampadari di scuola veneziana. Nel soffitto, in corrispondenza dell'altare, si apre un lucernario quadrato, suddiviso da una croce in quattro quadrati minori, che costituisce la maggiore fonte di luce naturale della chiesa. L'attuale sistemazione del presbiterio, che nel 1994 ha sostituito la precedente, dovuta a mons. Giuseppe Gulizia (parroco fino al 1990), è opera dell'ex parroco mons. Romano Rossi, dal 2008 al 2022 vescovo di Civita Castellana. La mensa dell'altare (dedicata il 27 settembre 2008) e il tabernacolo degli oli santi si devono all'attuale parroco, don Francesco Giuliani. L'organo della chiesa Ferraresi opus 43 è costituito da una consolle elettronica Viscount Hymnus 350 con registri campionati e da un corpo di canne da essa comandato situato sulla parete destra dell'aula liturgica, entro una cassa in legno. I registri reali sono dieci, per un totale di 854 canne, e sono distribuiti sulla prima e sulla seconda tastiera della consolle elettronica, che ha tre tastiere di 61 note ciascuna ed una pedaliera concavo-radiale di 32. Pierino Ratti (a cura di), Guida alle nuove Chiese di Roma, Gangemi Editore, Roma - Reggio Calabria 1990, pp. 92–93, n. 37. Claudio Rendina, Le Chiese di Roma, Newton & Compton Editori, Milano 2000. Mauro Quercioli, Quartiere XII. Gianicolense, in AA.VV, I quartieri di Roma, Newton & Compton Editori, Roma 2006. Nostra Signora di Coromoto in San Giovanni di Dio, 1978-2008: 30 anni di grazia, Parrocchia N.S. di Coromoto, Roma 2008. Rino Cammilleri, Tutti i giorni con Maria, calendario delle apparizioni, Milano, Edizioni Ares, 2020, ISBN 978-88-815-59-367. Nostra Signora di Coromoto Wikibooks contiene testi o manuali sulla disposizione fonica dell'organo a canne Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla chiesa di Nostra Signora di Coromoto Sito ufficiale della parrocchia, su coromoto.it. Scheda della parrocchia dal sito della Diocesi di Roma, su vicariatusurbis.org. URL consultato il 12 luglio 2012 (archiviato dall'url originale il 6 aprile 2013). L'organo , su audiorama.it.