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Ascensore di Quezzi

Ascensori pubbliciFunicolari di GenovaPagine che utilizzano collegamenti magici ISBNPagine con mappeQuezzi
Trasporti pubblici attivati nel 2015
Genova Quezzi elevator
Genova Quezzi elevator

L'ascensore di Quezzi è uno dei pochi impianti a fune di questo tipo in servizio di trasporto pubblico e presenta la peculiarità di essere il primo in Italia a vedere applicata l'innovazione della doppia pendenza. L'impianto è entrato in funzione a Genova nel 2015.

Estratto dall'articolo di Wikipedia Ascensore di Quezzi (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

Ascensore di Quezzi
Via Piero Pinetti, Genova Quezzi

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Via Piero Pinetti
16144 Genova, Quezzi
Liguria, Italia
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Genova Quezzi elevator
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Luoghi vicini

Torre Quezzi
Torre Quezzi

Torre Quezzi (318 s.l.m.) è una torre circolare in laterizio di 15 metri di diametro per 17 m di altezza, costruita dal Corpo Reale del genio Sardo tra il 1818 e il 1823, situata sulle alture di Quezzi. La torre domina le alture della val Bisagno, e fu costruita per sopperire alla mancanza di una adeguata difesa di Forte Quezzi lungo il crinale nord del monte, che avrebbe consentito un facile punto di partenza alle truppe nemiche per un eventuale attacco al forte stesso. Il Genio Sardo si prodigò per rinforzare quel lato del monte, con la costruzione di una piccola opera di "appoggio" a pianta circolare. Nel 1830 una relazione militare riscontrò un'inutilità nel posizionamento di Forte Quezzi e viceversa una ottima posizione difensiva della piccola opera di appoggio, così negli anni subito successivi furono sviluppati diversi progetti per rinforzare e ampliare la torre, con l'aggiunta di bastioni e la creazione di un forte simile a quello di Begato. L'idea tuttavia rimase solo al livello di disegno di progetto, e la torre non fu mai rimaneggiata. Dopo quasi 100 anni, intorno al 1909, l'opera fu abbandonata dalle autorità militari e adibita a ristorante poi definitivamente abbandonata nell'immediato secondo dopoguerra, quando furono rimosse le parti metalliche e i tiranti del pavimento, che ne causarono il crollo. Torre Quezzi è in completo abbandono; saltuariamente utilizzata come ricovero per le greggi di pastori locali è in uno stato di conservazione precario e necessiterebbe di restauri, che potrebbero riportare la struttura e l'area subito attorno in uno stato dignitoso. La torre e l'area immediatamente circostante sono considerati sito di interesse comunitario dall'Unione europea essendo uno dei pochi habitat del raro "tarantolino" o "geco tirrenico" (Euleptes europaea, precedentemente noto come Phyllodactylus europaeus). La Torre è una costruzione a tronco di cono, in cui a metà altezza si innestano delle paraste che sorreggono il parapetto di coronamento del tetto, oggi, come la maggior parte della costruzione, diroccato. Dalla parte interna dei parasti si aprono delle caditoie, protette in origine da possenti grate apribili. L'ingresso era originariamente protetto da un fossato a semi-cerchio, e da un ponte levatoio di cui oggi non rimangono tracce, ma che presenta ancora una muratura controscarpa davanti all'ingresso usata come appoggio per il ponte quando era abbassato. L'interno presentava 3 piani, oggi in gran parte totalmente crollati, sorretti da quattro pilastri portanti, in cui in uno di essi sono ricavate le scale di servizio che salivano ai piani. Al primo piano troviamo sul lato est la grossa feritoia per la cannoniera, svasata verso il basso in quanto il pezzo d'artiglieria era a difesa della Torre e non era a scopo offensivo. Nel piano superiore si scorge un'altra feritoia per la cannoniera, che al contrario aveva un "tiro" più diritto. Il terrazzo superiore, oggi irraggiungibile, era accessibile tramite una piccola casamatta e fu costruito a "prova di bomba", cioè da uno spesso strato di terra che sarebbe servito ad assorbire l'impatto di una bombarda dell'epoca. Al centro del soffitto esisteva in origine una piccola copertura in marmo, la quale poteva essere aperta per facilitare lo smaltimento del fumo di sparo, tramite un camino circolare verticale collegato con l'interno. L'armamento era rappresentato da due cannoni da 8, due obici lunghi e i due cannoncini, sopracitati, mentre il personale poteva variare da 20 a 50 unità in caso di necessità. La Torre è raggiungibile dalla strada militare, oggi in parte asfaltata, che parte da Forte Quezzi e porta fino a Forte Richelieu passando da Forte Monteratti, il sito oggi si trova in prossimità di serbatoi dell'Acquedotto Valnoci, in uno spiazzo asfaltato. A piedi è raggiungibile da via Leamara che parte dal quartiere di Quezzi, oppure da un sentiero percorribile anche in mountain bike che parte dalla piazza di Sant'Eusebio, in macchina dal quartiere del Biscione. La zona di Torre Quezzi è riconosciuta dalla Direttiva Habitat come zona speciale di conservazione per la presenza del fillodattilo (Euleptes europaea), un piccolo geco (il più piccolo vertebrato europeo) rinvenibile sulle pareti della torre, che nel resto della Liguria è presente esclusivamente nelle isole di Tino e Tinetto, in provincia di La Spezia, e per questo considerata specie protetta. Stefano Finauri, Forti di Genova, Servizi Editoriali, Genova, 2007, ISBN 978-88-89384-27-5 Tarantino Stefano-Gaggero Federico-Arecco Diana, Forti di Genova e sentieri tra Nervi e Recco alta via dei monti liguri, Edizioni del Magistero, Genova. Roberto Badino, Forti di Genova, Sagep, Genova 1969 Riccardo Dellepiane, Mura e fortificazioni di Genova, Nuova editrice genovese, Genova, 2008, [prima edizione 1984]. Cappellini A., Le Fortificazioni di Genova, Ed. F.lli Pagano Editore, Genova, 1939 Comune di Genova - Assessorato giardini e foreste, Genova. Il parco urbano delle Mura. Itinerari storico-naturalistici Forti di Genova Sito di interesse comunitario Fortificazioni Appennino ligure Quezzi Val Bisagno Fortificazioni alla moderna Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Torre Quezzi Foto di Torre Quezzi, su sullacrestadellonda.it. URL consultato il 6 dicembre 2009 (archiviato dall'url originale il 5 settembre 2009). Mappe, itinerari e foto dei forti di Genova, su forti-genova.com. URL consultato il 6 dicembre 2009 (archiviato dall'url originale il 24 luglio 2010). Scheda del SIC Archiviato il 25 marzo 2014 in Internet Archive. su ambienteinliguria.it

Forte Santa Tecla (Genova)
Forte Santa Tecla (Genova)

Forte Santa Tecla (161 s.l.m.) sorge sul rilievo che domina San Martino, dove in tempi antichi si ergeva la chiesa di Santa Tecla, di cui si hanno notizie fin dal 1100, da cui prende il nome. Nello spiano dove oggi sorge il Forte esisteva una chiesetta omonima risalente all'XI secolo e nell'anno 1339 appartenente al Doge di Genova Simon Boccanegra. La costruzione del Forte vero e proprio fu pianificata dall'ingegner Jacques De Sicre nell'ambito della più vasta opera di fortificazione della città di Genova, al di fuori della cinta muraria, in opposizione agli assedi austriaci, nel contesto della Guerra di successione austriaca che minacciava Genova. Così nel 1747 il De Sicre riferiva: La direzione dei lavori fu affidata al colonnello Giacomo De Cotte che aveva ricevuto dirette disposizioni dal De Sicre, ma il progetto presentò subito delle inadeguatezze e nel 1748 lo stesso De Sicre presentò una nuova relazione cercando di superare le carenze della fortificazione, con l'intervento finanziario di 65.000 Lire genovesi. L'attenzione verso Forte Santa Tecla si ripropose intorno al 1756 quando, sempre De Sicre, presentò un progetto di ampliamento con l'aggiunta di una ridotta casamattata a due piani, una polveriera, un rivellino, terrapieni e cammini coperti da integrare nel Forte. Ma il Magistrato delle Fortificazioni ritenne onerosi e inutili i lavori, quindi il progetto non fu approvato. Durante il 1800, il Forte era uno dei contrafforti a difesa del settore orientale della città, perché utile alla difesa del perimetro di Albaro, del quartiere di San Martino, della Madonna del Monte e perché ben collegato al Forte Richelieu. Altre opere di rafforzamento si ebbero nel 1814, per mano del Corpo Reale del Genio Sardo: furono sopraelevati i due semibastioni settentrionali e fu posto all'ingresso lo stemma sabaudo. Un'altra tranche di lavori iniziò nel 1830, durante i quali la copertura a terrazza della caserma interna fu trasformata in copertura a falde, generando un altro piano fruibile. Dopo 3 anni i lavori finirono e la fortificazione fu ultimata e resa operativa nella difesa del levante cittadino. Nel 1849 durante i moti popolari il Forte fu occupato, come il vicino Forte Richelieu, da insorti e senza colpo ferire fu riconquistata dalle Regie truppe in pochi giorni, come tra l'altro avvenne per Forte Richelieu. La fortificazione fu poi utilizzata occasionalmente da reparti militari fino alla prima metà del Novecento; durante la Grande Guerra i locali del Forte furono adibiti a carceri per prigionieri austriaci. Abitata da una famiglia fino agli anni settanta, nel 1982 iniziarono i lavori di restauro, per rendere il sito una sede per le iniziative culturali del quartiere di San Fruttuoso. Completati i lavori, il Forte venne chiuso nell'attesa di una destinazione. Intanto atti di vandalismo hanno vanificato i lavori incendiando il tetto della caserma e deturpando l'interno. Altri lavori di risanamento sono quindi iniziati coinvolgendo volontari della Protezione Civile, che hanno costudito l'interno e l'esterno dell'opera. Nel 2021, i volontari della Protezione civile (Associvile), si sono uniti insieme ad altre tre associazioni (AGESCI Genova 3, Gruppo radio Liguria, compagnia Teatrale "I conviviali") per dare vita ad una Associazione di secondo livello denominata "Rete Forte Santa Tecla"[1] che ha nei suoi scopi quello di promuovere il patrimonio storico del forte. Entrando ci troviamo in un cortiletto interno che separa in due l'opera dividendo la caserma dalla cortina meridionale. La caserma è suddivisa in tre piani. Al piano terra si trovano le cucine, gli uffici del sottoufficiale e il corpo di Guardia. Al piano superiore si trovano gli alloggi per i graduati e un passaggio alle mura e ai bastioni meridionali adibiti a magazzini. Il terzo piano infine è adibito ad alloggi per la truppa, da cui si può accedere alla copertura di uno dei due bastioni rivolti a settentrione, da dove si discende verso il cortile utilizzato come piazza d'Armi. A piedi è raggiungibile scendendo dal sovrastante Forte Richelieu, in meno di mezz'ora di cammino non impegnativo, su un sentiero che parte da Colle della Calcinara e collega tutti i Forti di levante della città. Con mezzo privato, percorrendo via Donghi, poi via Berghini e salendo in via Forte di Santa Tecla fino ad un piccolo spiazzo sterrato che conduce all'ingresso raggiungibile solo a piedi. Con il mezzo pubblico invece si prende la linea 67 AMT che parte da Piazza Martinez. Esiste anche una ripida e stretta carreggiabile che sale direttamente dai pressi del Monoblocco dell'Ospedale San Martino (Salita Superiore Santa Tecla), percorribile agevolmente dai mezzi a due ruote. Stefano Finauri, Forti di Genova, Servizi Editoriali, Genova, 2007. Tarantino Stefano-Gaggero Federico-Arecco Diana, Forti di Genova e sentieri tra Nervi e Recco alta via dei monti liguri, Edizioni del Magistero, Genova. Roberto Badino, Forti di Genova, Sagep, Genova 1969 Riccardo Dellepiane, Mura e fortificazioni di Genova, Nuova editrice genovese, Genova, 2008, [prima edizione 1984]. Cappellini A., Le Fortificazioni di Genova, Ed. F.lli Pagano Editore, Genova, 1939 Comune di Genova - Assessorato giardini e foreste, Genova. Il parco urbano delle Mura. Itinerari storico-naturalistici, Sagep, 1994 Forti di Genova Fortificazioni San Martino (Genova) Fortificazioni alla moderna Regno di Sardegna Forte Richelieu Wikiquote contiene citazioni di o su Forte Santa Tecla Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Forte Santa Tecla Mappe, itinerari e foto dei forti di Genova, su forti-genova.com. URL consultato il 29 dicembre 2009 (archiviato dall'url originale il 24 luglio 2010). Storia del Forte Quezzi, su fortidigenova.com. URL consultato il 29 dicembre 2009 (archiviato dall'url originale il 23 agosto 2010). Vista dal satellite del Forte, su forti-genova.com. URL consultato il 29 dicembre 2009 (archiviato dall'url originale il 14 maggio 2009).

Forte Quezzi
Forte Quezzi

Forte Quezzi (285 s.l.m.) è un forte di Genova, situato sulla sommità del Colle della Calcinara, che domina parte della val Bisagno e quella di Quezzi. È prossimo ad un altro forte che fa parte del gruppo di fortificazioni collinari genovesi: Forte Monteratti. L'ideazione di un forte sulle alture orientali del Bisagno avvenne intorno al 1747, quando la città di Genova l'anno prima fu minacciata dall'avanzata dell'esercito austro-piemontese arrivato ad assediare le alture del vicino monte Ratti, sopra l'abitato di Quezzi. Il 27 agosto, il Primo Ingegnere dell'esercito dell'Infante di Spagna, Jacque de Sicre, poteva annunciare alla Giunta della Difesa l'inizio dei lavori alla ridotta di Quezzi e ai Camaldoli. Tuttavia le opere, che con l'edificazione di Forte Santa Tecla e Forte Richelieu avrebbero potuto rappresentare un formidabile sistema difensivo, a causa di alcuni problemi di progettazione, e per mancanza di fondi, non furono portate a termine. Abbandonata e incompiuta, l'opera nelle operazioni di assedio del 1800, era allo stato di rudere. Ma il Generale Andrea Massena incaricato della difesa di Genova, resosi conto dell'importanza strategica che l'opera fortificata poteva avere, ne ordinò immediatamente il ripristino dei lavori. Così nonostante l'esecuzione dei lavori fosse ritenuta dai tecnici quasi impossibile a causa di carenza di materiali e manodopera. Ma secondo testimoni dell'epoca, il Forte fu costruito in tre giorni e tre notti: Nel 1809 in piena epoca Napoleonica, grazie a fondi francesi, furono supportate migliorie al forte, ad opera del Corpo Imperiale del Genio Napoleonico, che compresero il rifacimento in pietra del recinto bastionato, e la realizzazione della caserma a due piani, con soprastante terrazza. Dopo l'annessione di Genova al Regno di Sardegna nel 1814, l'apposita commissione del Genio militare sabaudo, riconoscendo l'importanza strategica della posizione, dispose per alcune migliorie all'opera non di grosso valore. L'obiettivo era quello di impedire al nemico di inoltrarsi nella valle del Bisagno, per questo scopo Una relazione militare del 1830 analizzò la condizione del Forte, che venne considerato di scarsa importanza, in quanto in "cattivo stato", e in quanto "la sua posizione non pare essere di grande utilità nella difesa; converrà lasciarlo cadere, e perciò non si faranno più riparazioni." Il 14 luglio 1857 alcuni rivoltosi seguaci di Mazzini, tentarono con un colpo di mano di impadronirsi del Forte, fallendo. Una relazione militare del 1875 definisce il Forte "di poco valore". Abbandonato, nel 1914 il forte Quezzi fu successivamente dato in concessione ad alcuni privati. L'ennesima relazione datata 1936 ci fa conoscere lo stato del Forte, le strutture sono fatiscenti, il ponte levatoio manca, i serramenti sono totalmente mancanti, le scale interne sono spesso prive di gradini, pavimenti crollati, infiltrazioni d'acqua dalla terrazza. Durante la Seconda guerra mondiale il primo piano fu demolito per far posto ad alcune postazioni di artiglieria contraerea, armate con sei cannoni da 76/45; che insieme ad altre postazioni lungo il crinale sul versante dell'abitato di Quezzi erano parte della difesa contraerea della città. Al termine del conflitto il forte fu completamente abbandonato, e depredato di ogni cosa, oggi è un cumulo di rovine lasciate a sé stesso, con mura crollate, rimaste riconoscibili solo quelle perimetrali, e fa da ricovero per greggi. L'entrata principale che dà verso la val Bisagno, era protetta da un ponte levatoio oggi irriconoscibile, sormontato da uno stemma Sabaudo, nell'androne d'ingresso c'erano i locali per il corpo di guardia, mentre a destra di questo, una scalinata sale verso il piazzale interno. Su di questo si affacciava la caserma a due piani, oggi riconoscibile solo per i muri perimetrali del piano terra, ripieni di terra e detriti. Dominante la valle di Quezzi e il quartiere di Marassi, il Forte Quezzi è raggiungibile in automobile dal quartiere del Biscione lungo una vecchia strada militare oggi asfaltata che poco prima di arrivare al quartiere del Biscione sale sulla destra immergendosi in una pineta. Imbocco raggiungibile anche con la linea di autobus 356 di AMT. A piedi dal quartiere di Quezzi o da Sant'Eusebio lungo la strada poderale denominata alla chiesa di Sant'Eusebio. Stefano Finauri, Forti di Genova, Servizi Editoriali, Genova, 2007, ISBN 978-88-89384-27-5 Tarantino Stefano-Gaggero Federico-Arecco Diana, Forti di Genova e sentieri tra Nervi e Recco alta via dei monti liguri, Edizioni del Magistero, Genova. Roberto Badino, Forti di Genova, Sagep, Genova 1969 Riccardo Dellepiane, Mura e fortificazioni di Genova, Nuova editrice genovese, Genova, 2008, [prima edizione 1984]. Cappellini A., Le Fortificazioni di Genova, Ed. F.lli Pagano Editore, Genova, 1939 Comune di Genova - Assessorato giardini e foreste, Genova. Il parco urbano delle Mura. Itinerari storico-naturalistici Forti di Genova Quezzi Val Bisagno Fortificazioni alla moderna Torre Quezzi Wikiquote contiene citazioni di o su Forte Quezzi Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Forte Quezzi Mappe, itinerari e foto dei forti di Genova, su forti-genova.com. URL consultato il 4 settembre 2018 (archiviato dall'url originale il 24 luglio 2010). Storia del Forte Quezzi, su fortidigenova.com. URL consultato il 14 dicembre 2009 (archiviato dall'url originale il 23 agosto 2010).

Chiesa di San Francesco all'Ospedale San Martino
Chiesa di San Francesco all'Ospedale San Martino

La chiesa di San Francesco all'Ospedale San Martino, nota anche come chiesa dei Padri Cappuccini, è un luogo di culto cattolico sito all'interno dell'Ospedale San Martino a Genova. La chiesa è affidata all'Ordine dei frati minori cappuccini. Fu costruita quale chiesa dell'ospedale tra il 1928 e il 1931, dedicata a san Francesco d'Assisi in quanto affidata ai Cappuccini che vi prestavano assistenza spirituale provenienti dall'antico ospedale di Pammatone. Fu il cappellano ospedaliero e storico della Provincia cappuccina, padre Francesco Saverio Molfino, che riuscì a raccogliere con una pubblica sottoscrizione 16 milioni di lire, con cui fu costruita la chiesa e furono ampliati i padiglioni ospedalieri. Venne progettata dall'ingegner Ettore Musso in stile neoromanico. La prima pietra fu posta il primo marzo del 1928 e la chiesa di San Francesco fu benedetta l'11 luglio del 1931 dal cardinale Carlo Dalmazio Minoretti. La facciata a salienti è coronata da un motivo ad archetti ciechi e una cornice a dentelli, munita di protiro voltato a botte e di una trifora di grandi dimensioni che occupano il corpo principale. L'interno è a tre navate voltate a botte, di cui la centrale culminante in un'abside. Le vetrate sono istoriate. L'interno ospita importanti opere pittoriche e scultoree: "Maria protettrice di Genova" di Valerio Castello; "Transito di san Giuseppe" di Stefano Magnasco; Crocifisso ligneo settecentesco della scuola del Maragliano; Ultima Cena, grande tela di Bernardo Castello firmata e datata 1598; Madonna delle Grazie, statua di Domenico Parodi. Guida d’Italia - Liguria, Milano, TCI, 2009. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su chiesa di San Francesco all'Ospedale San Martino

Biscione (Genova)
Biscione (Genova)

Forte Quezzi, chiamato ufficiosamente fin dagli anni settanta nel Novecento come Biscione dal nome gergale dato per la forma sinuosa dei suoi edifici, è il nome di complesso di edilizia popolare sorto alla fine degli anni sessanta sulle alture fra Marassi e Quezzi, a Genova. Il nome ufficiale, forte Quezzi, deriva invece dalla presenza dell'omonimo forte ottocentesco posto sulla cima della collina su cui sorge il complesso. È costituito da un insieme di cinque caseggiati, lunghi ciascuno oltre 300 metri, e disposti seguendo le curve di livello della collina sulla quale sono stati edificati. All'interno della costruzione spicca la chiesa parrocchiale Mater Ecclesiae costruita alla fine degli anni ottanta, con una curiosa forma di prua di nave. Amministrativamente fa parte del Municipio III - Bassa Val Bisagno (San Fruttuoso, Marassi, Quezzi e Biscione) ed ha, come singola unità urbanistica, una popolazione di 9 283 abitanti (al 31 dicembre 2010). Il nome Biscione, riferito per estensione al quartiere in cui sorge il complesso, dalla sua particolare struttura degli edifici, soprattutto il maggiore, che ricorda appunto le fattezze di un lungo e sinuoso serpente. Le strade lungo le quali si sviluppa il quartiere sono dedicate a quattro studiosi ed esploratori italiani: via Lamberto Loria, via Leonardo Fea (due edifici), via Elio Modigliani, via Carlo Emery. Il Quartiere INA-Casa di Forte Quezzi fu realizzato nell'ambito del piano INA-Casa per le case popolari edificate con finanziamento pubblico. La progettazione urbanistica del complesso fu affidata ad un ampio gruppo di architetti e risale al 1956/57. L'edificazione dell'ultimo edificio fu completata nel 1968. I coordinatori del gruppo furono Luigi Carlo Daneri e Eugenio Fuselli. La progettazione architettonica fu suddivisa nelle singole unità del quartiere come segue: casa A: capigruppo Luigi Carlo Daneri e Eugenio Fuselli; casa B: capogruppo Robaldo Morozzo della Rocca; casa C: capigruppo Angelo Sibilla e Mario Pateri casa D: capogruppo Gustavo Pulitzer Finali casa E: capogruppo Claudio Andreani Le diverse costruzioni che compongono l'insieme edilizio si distinguono per la presenza di due passeggiate, una al livello di un primo piano e l'altra al livello del quarto. Nelle intenzioni dei progettisti erano finalizzate al passeggio e al gioco dei bambini. L'orientazione generale delle facciate è rivolta a meridione, con massimo sfruttamento del soleggiamento. Complessivamente il complesso dei cinque edifici prevedeva la presenza di 865 appartamenti, che si stimava dovessero permettere una capienza complessiva di 4 500 abitanti. Gli edifici seguono le curve di livello e si snodano per molti metri; l'edificio più lungo ha uno sviluppo di circa 540 metri per 33 di altezza. La fonte di ispirazione per questo tipo di edilizia, che segue l'andamento curvo del territorio, si può individuare nel "piano Obus" di Algeri ipotizzato negli anni trenta da Le Corbusier. Il progetto attirò l'attenzione del mondo dell'Architettura del tempo, tra pareri positivi (che evidenziavano la forte carica innovativa del progetto) e negativi (principalmente per la scelta della zona, impervia e difficilmente raggiungibile, e per la densità abitativa, che era ritenuta troppo elevata per garantire una buona qualità della vita). Il quartiere doveva essere immerso in un parco urbano, dovevano essere presenti molti servizi ed era prevista l'apertura di negozi lungo tutto l'edificio principale.. Negli anni immediatamente successivi all'ultimazione degli edifici furono costruite una serie di abitazioni private, sfruttando le opere di urbanizzazione del quartiere, che snaturarono il progetto urbanistico. In anni più recenti il quartiere è stato comunque dotato di alcuni servizi, quali la scuola elementare e materna e una chiesa cattolica. Edificate in pieno boom economico come case popolari, per far fronte alla richiesta di abitazioni dovuta alla forte immigrazione dal meridione d'Italia, le abitazioni del complesso edilizio furono assegnate poi anche a molte famiglie genovesi espropriate dal centro storico che proprio allora iniziava ad essere interessato da profondi lavori di ristrutturazione per l'adattamento a sede della city degli affari e a moderno quartiere per gli uffici pubblici e amministrativi locali. L'evoluzione del quartiere non ha avuto, nel corso degli anni, vita facile. Specie nella fase iniziale - con carenza di strutture e servizi pubblici - venne identificato spesso come una sorta di ghetto, che diede la nascita ai quartieri "dormitorio" come Begato, CEP o le "Lavatrici", tutte strutture criticate in passato per il loro impatto paesaggistico e per l'isolamento dal resto del tessuto cittadino. L'alluvione dell'ottobre 1970 ebbe come conseguenza il crollo di un'ala dell'edificio di via Fea. Nessuno rimase sotto le macerie. Al posto degli appartamenti è stato in seguito costruito un locale adibito a centro sociale e una scuola materna. Chiesa parrocchiale della Mater Ecclesiæ, inizialmente ospitata in una sede provvisoria nei pressi del complesso edilizio, fu eretta in parrocchia con decreto del cardinale Giuseppe Siri del 22 dicembre 1965. L'attuale chiesa fu inaugurata nel 1997. Pietro D. Patrone, Daneri, introduzione di Enrico D. Bona, Genova, Sagep, 1982. Eugenio Fuselli, La casa più lunga, in AL Architetti Liguria, n. 9-10, rivista dell'Ordine degli Architetti della Liguria, gennaio-aprile 1990, pp. 20–22. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Biscione Storia del Biscione di Genova, su archivio.archphoto.it. URL consultato il 6 febbraio 2014 (archiviato dall'url originale il 6 febbraio 2014).