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Villa Patrizi (Roma)

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M03 Monumento ai ferrovieri caduti x la patria 1915 1918 a Villa Patrizi 1120071
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Villa Patrizi è un complesso di edifici nel quartiere Nomentano, a Roma, che ospita le sedi della società Ferrovie dello Stato Italiane e del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Originariamente era una villa fuori porta, costruita su progetto dell'architetto Sebastiano Cipriani in stile rococò, e apparteneva alla nobile famiglia dei Patrizi Naro Montoro; fu distrutta nel corso dei combattimenti del 1849 e il corpo centrale fu ricostruito nel decennio successivo; nel 1907 il marchese Filippo cedette l'immobile all'Amministrazione delle Ferrovie dello Stato. L'immobile ha subito nel corso degli anni numerose trasformazioni e della costruzione originale non rimane nulla. Alcune immagini dell'interno dei cortili sono rimaste immortalate nel film del 1955 Destinazione Piovarolo. La sequenza che vede Villa Patrizi al centro dell'azione è quella del giorno della pubblicazione dei risultati del concorso per capostazione dove Totò, il protagonista, si aggiudica l'ultimo posto, con assegnazione alla sperduta (e immaginaria) località di Piovarolo. Villa Patrizi è facilmente raggiungibile con i mezzi pubblici ATAC, ma anche a piedi da via del Castro Pretorio, da porta Pia e dalla stazione di Roma Termini. L'edificio non è visitabile al pubblico. Al suo interno ospita gli uffici della Fondazione FS Italiane dove sono presenti una biblioteca e una fototeca che testimoniano la storia e lo sviluppo delle ferrovie in Italia. Infine sotto l'aspetto botanico è da registrare la presenza di un grande albero della canfora, tutt'altro che frequente a queste latitudini; vi sono inoltre delle magnifiche palme e chicas centenarie. Linee autobus Armando Bussi, Villa Patrizi e dintorni - Storia e storie, Roma, Palombi editori, 2015, ISBN 9788860607102. Stampe e Foto antiche su Info.roma.it

Estratto dall'articolo di Wikipedia Villa Patrizi (Roma) (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

Villa Patrizi (Roma)
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Villa Patrizi

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00161 Roma, Nomentano
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M03 Monumento ai ferrovieri caduti x la patria 1915 1918 a Villa Patrizi 1120071
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Luoghi vicini

Acquedotto alessandrino
Acquedotto alessandrino

L'acquedotto Alessandrino (Aqua Alexandrina), l'undicesimo acquedotto dell'antica Roma, venne edificato nel 226 d.C. dall'imperatore Alessandro Severo (11 marzo 222 – 19 marzo 235). Fu l'ultimo a essere realizzato dei grandi acquedotti dell'antica Roma. La sua realizzazione era finalizzata all'approvvigionamento idrico delle terme di Nerone che, situate in Campo Marzio presso il Pantheon (circa nella zona occupata oggi da Palazzo Madama), erano state radicalmente ristrutturate dallo stesso imperatore, e che pertanto da allora assunsero anche la denominazione di "terme Alessandrine" (Thermae Alexandrinae). Le sue acque venivano captate da falde acquifere in località “Pantano Borghese”, nei pressi del XIV miglio dell'antica via Prenestina, 3 km a nord dell'abitato di Colonna. Il percorso si sviluppava, date anche le notevoli capacità tecniche dell'epoca, in buona parte su arcuazioni, mentre i tratti sotterranei erano limitati a cunicoli (di 0,72 m di larghezza per 1,80 di altezza) per oltrepassare le alture. Le arcate dell'acquedotto Alessandrino, in speco sotterraneo fino alla tenuta di Torre Angela, sono tuttora quasi per intero visibili nei tratti successivi sui vari fossi (nella zona di Centocelle le arcate raggiungono la massima quota, tra i 20 e i 25 m) fino alla zona della “Marranella”, dopo la quale raggiunge, in percorso sotterraneo sconosciuto, la zona di Torpignattara. Da qui lo speco procedeva nuovamente interrato fino ad entrare in Roma nella zona cosiddetta ad spem veterem, nei pressi dell'attuale Porta Maggiore. Rodolfo Lanciani, al riguardo, afferma che«...[l'acquedotto] penetrava in città a un livello di 3,18 m inferiore all'attuale soglia di Porta Maggiore»che era poi il livello di campagna dell'epoca. Nelle vicinanze doveva trovarsi la piscina limaria, il bacino di decantazione per la purificazione delle acque. Nessun altro avanzo del percorso è visibile all'interno della cinta delle Mura Aureliane. L'acquedotto Alessandrino giungeva alle terme di Nerone dopo un percorso di circa 22,7 km. Si è calcolato che la portata giornaliera di acqua fosse pari a 21.632 m3, circa 250 litri al secondo. Oggi le stesse sorgenti sono utilizzate dall'acquedotto dell'Acqua Felice, realizzato nel 1585 per volontà di papa Sisto V. I principali interventi di restauro risalgono all'epoca di Diocleziano, a cavallo tra il III e il IV secolo, poi tra il V e il VI secolo, e ancora verso la fine dell'VIII, ad opera di papa Adriano I. Acquedotti di Roma Acquedotto Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Acquedotto alessandrino

Attentato all'ambasciata del Regno Unito in Italia del 1946
Attentato all'ambasciata del Regno Unito in Italia del 1946

L'attentato all'ambasciata del Regno Unito in Italia avvenne nei pressi di Porta Pia a Roma il 31 ottobre 1946 e fu rivendicato dall'organizzazione paramilitare sionista Irgun Zvai Leumi. L'esplosione di due bombe temporizzate, inserite in valigie e lasciate all'ingresso dell'ambasciata, ferì due persone e danneggiò irreparabilmente l'edificio. L'Irgun colpì l'ambasciata perché la riteneva un ostacolo all'immigrazione illegale di ebrei nella Palestina mandataria. Uno degli obiettivi previsti dall'Irgun, l'ambasciatore Noel Charles, era in licenza durante l'attacco. Fu subito stabilito che i militanti stranieri dell'Irgun erano dietro l'attacco e, sotto la pressione del Regno Unito, la Polizia di Stato, i Carabinieri e le Forze di Polizia Alleate perquisirono e radunarono numerosi membri dell'organizzazione Betar, che aveva reclutato militanti tra i profughi sfollati. A conferma dei timori per l'espansione del terrorismo ebraico oltre la Palestina mandataria, quello all'ambasciata fu il primo attacco contro personale britannico da parte dell'Irgun sul suolo europeo. I governi britannico e italiano avviarono un'indagine approfondita e conclusero che l'attacco era stato organizzato dagli agenti dell'Irgun della Palestina mandataria. L'attentato fu condannato dai leader delle agenzie ebraiche che sovrintendevano ai loro rifugiati. L'Italia promulgò successivamente una rigida riforma sull'immigrazione, mentre nel Regno Unito aumentò il sentimento antisemita. Durante i primi anni cinquanta, Israele fece pressione sui Britannici per spingere il governo italiano a non perseguire i militanti. Nel 1952 otto sospetti, tra cui il capobanda Moishe Deitel, furono processati in contumacia e ricevettero condanne lievi che andavano da 8 a 16 mesi. Il governo britannico cercò di anticipare la minaccia del terrorismo ebraico emanato al di fuori della Palestina mandataria all'indomani della seconda guerra mondiale. L'Irgun era stato fondato prima dell'Olocausto per il malcontento con la politica dell'Haganah della havlagah, od autocontrollo. Nel 1936 divenne l'ala armata del sionismo revisionista, con lo scoppio della Grande rivolta araba in Palestina contro la politica britannica sull'immigrazione ebraica. Secondo l'Irgun, il terrorismo era una tattica vincente poiché aveva consentito agli Arabi di far modificare la politica del Regno Unito sulla migrazione ebraica in Palestina. Il conseguente libro bianco del 1939 ridusse ulteriormente l'immigrazione ebraica imponendo delle quote ed innescò una breve risposta militare da parte dell'Irgun e della sua successiva derivazione Lehi, concludendo che solo le campagne di violenza politica contro il personale e le installazioni britanniche potevano smuovere i Britannici. L'Irgun sospese le proprie operazioni quando scoppiò la seconda guerra mondiale alcuni mesi dopo. Le notizie sull'Olocausto provenienti dall'Europa occupata spinsero l'organizzazione ad intraprendere un'insurrezione nel 1944 sotto la guida di Menachem Begin. L'Irgun svolse anche un ruolo chiave nell'organizzazione dell'Aliyah Bet per consentire l'immigrazione ebraica clandestina in Palestina, e si ritiene che abbia individuato l'Ambasciata britannica a Roma convinta che fosse un centro di "intrighi antiebraici" per frenare l'immigrazione ebraica illegale in Palestina. Prima di ritirarsi da direttore generale dell'MI5 in tempo di guerra nel maggio 1946, David Petrie offrì una propria valutazione della minaccia del terrorismo ebraico in Europa e diede un avvertimento: "la luce rossa è decisamente accesa". L'allerta è stata confermata dal suo successore Sir Percy Sillitoe in agosto e settembre, quando affermò che l'Irgun ed il Lehi stessero probabilmente creando piani per assassinare importanti figure britanniche al di fuori del Medio Oriente. L'MI5 considerava la Palestina mandataria una priorità all'interno dell'Impero britannico ed aveva i Defence Security Officers (DSO) di stanza all'interno del mandato, che lavoravano con i Criminal Investigation Departments locali (CID), ed il Secret Intelligence Service (SIS), per raccogliere informazioni sulle minacce terroristiche ebraiche alla Gran Bretagna. Le loro fonti avvertirono che l'Irgun ed il Lehi stavano prendendo di mira il personale britannico al di fuori della Palestina mandataria. L'MI5 fu costretto a prendere sul serio queste minacce: il 22 luglio 1946, l'Irgun compì l'attentato al King David Hotel di Gerusalemme dove vi erano gli uffici del governo britannico, uccidendo 91 persone. In Palestina era in corso una guerriglia a bassa intensità, con sabotaggi delle linee di comunicazione ed attacchi a soldati britannici e poliziotti che provocarono 99 morti tra il 1º ottobre ed il 18 novembre 1946. Mentre l'Haganah decise di sospendere il suo ruolo nelle operazioni di sabotaggio, l'Irgun ed il Lehi estesero le loro operazioni in Europa per colpire i rappresentanti diplomatici britannici. Solo nel novembre 1945 si calcolava che circa 15 000 profughi ebrei fossero riusciti ad entrare in Italia nei sei mesi precedenti alla fine delle ostilità: la posizione geografica del Paese era favorevole al traffico di profughi verso la Palestina. Nel settembre 1945, già impegnato da diversi anni in una rivolta contro le autorità mandatarie britanniche e l'esercito in Palestina, l'alto comando dell'Irgun inviò una missione in Europa il cui scopo era quello di organizzare il flusso di sfollati ebrei sopravvissuti all'Olocausto verso la Palestina, reclutare soldati, impegnarsi in sabotaggi contro il Regno Unito e coordinare le attività tra le organizzazioni sioniste solidali con la causa. Eli Tavin, soprannominato Pesach, fu nominato capo delle operazioni nella diaspora ed allestì la prima base logistica del gruppo in Italia. Tavin trovò un forte sostegno tra i gruppi italiani della resistenza antifascista e, reclutando molti membri dell'organizzazione Betar tra i rifugiati molti dei quali residenti nei campi gestiti dall'UNRRA ed ansiosi di partecipare, istituirono cellule in tutto il Paese, mentre venivano create due scuole per addestrare i commando per le operazioni a Tricase (LE) e Ladispoli (RM). Già nel marzo 1946, diversi rifugiati, tra cui Dov Gurwitz (romeno), Aba Churman (polacco), Natan Rzepkowicz (polacco), Tiburzio Deitel (italiano), Chono Steingarten (polacco) e Girsh Guta (polacco), avevano stabilito un ufficio di corrispondenza ebraica in via Sicilia 135, vicino agli uffici dei servizi segreti alleati, e questo fu scelto per diventare l'ufficio centrale per le operazioni dell'Irgun in Italia. L'ambasciata britannica in Italia era considerata dall'Irgun un centro di operazioni che ostacolavano la migrazione ebraica in Palestina, e quindi fu scelta come obiettivo. La pianificazione dell'operazione fu completata all'inizio di ottobre. Prima della guerra, il movimento Betar di Vladimir Žabotinskij aveva ottenuto da Benito Mussolini il permesso di addestrare militanti presso un Collegio navale stabilito a Civitavecchia (RM) sotto gli auspici delle autorità fasciste italiane. Secondo lo storico del fascismo Giuseppe Parlato, nel dopoguerra l'Irgun aveva acquistato dai Fasci di Azione Rivoluzionaria (FAR) gli esplosivi utilizzati per l'attentato tramite gli uffici del suo co-fondatore Pino Romualdi, un fascista che aveva allestito un deposito segreto di munizioni dell'esercito ed esplosivi dopo la fine della guerra. Furio Biagini afferma che il materiale è stato prelevato da depositi situati in un centro amministrato dall'UNRRA. La notte del 31 ottobre 1946, gli agenti dell'Irgun si divisero in due squadre: una imbrattò una grande svastica sulla parete anteriore dell'ambasciata e l'altra piazzò due esplosivi temporizzati, per un totale di 40 kg di TNT, sui gradini dell'ingresso principale dell'ambasciata in via XX Settembre. Un autista che lavorava per l'ambasciata notò le valigie ed entrò nel retro dell'edificio per denunciare la loro presenza. Pochi istanti dopo, alle 02:43, le bombe furono fatte esplodere. Il boato dell'esplosione echeggiò in tutta la città e fu sufficientemente potente da frantumare tutte le finestre delle case e degli appartamenti nel raggio di un chilometro. La sezione residenziale dell'ambasciata è stata distrutta dall'esplosione che creò un buco nell'ingresso. Noel Charles, l'ambasciatore britannico e principale obiettivo dell'attacco, era via in licenza anche se i suoi alloggi furono gravemente danneggiati. Nessun membro del personale britannico è stato ferito ma due italiani, un soldato di passaggio ed un portiere dell'ambasciata, subirono gravi ferite e rimasero in condizioni critiche. L'attentato fu il primo attacco dell'Irgun in Europa contro il personale britannico, provocando sia una battuta d'arresto per l'immigrazione ebraica illegale in Palestina sia un grave danno per le pubbliche relazioni del sionismo. Il capo della polizia italiana dichiarò il giorno seguente che nessun cittadino italiano era stato coinvolto, che l'incidente portava i segni distintivi di operazioni simili contro i Britannici in Palestina e che i responsabili erano Ebrei dalla Palestina, respingendo le voci secondo cui i fascisti italiani sarebbero stati i responsabili. La Polizia di Stato avviò un'indagine con l'assistenza britannica e statunitense. Il 4 novembre 1946 l'Irgun imbrattò le strade di molte città italiane con avvisi che rivendicavano l'attentato e rilasciò ad un giornalista americano una rivendicazione ufficiale che venne riportata su The Times il 6 novembre. L'Irgun minacciò anche attacchi più coordinati contro il Regno Unito. e giustificò le proprie azioni accusando la Gran Bretagna di essere impegnata in una "guerra di sterminio" contro gli Ebrei in tutto il mondo. Ben presto tre rifugiati furono rapidamente arrestati perché sospettati ed altri due furono detenuti il 4 novembre. In seguito fu scoperta la scuola di sabotaggio dell'Irgun Zvai Leumi a Roma, dove furono trovate pistole, munizioni, bombe a mano e materiale per l'addestramento. Altri quattro sospettati furono arrestati a Genova ed Eli Tavin venne arrestato a dicembre. Tra gli arrestati vi erano Dow Gurwitz, Tiburzio Deitel, Michael Braun e David Viten. Molti di loro erano membri del Betar. Le autorità inglesi chiesero che gli arrestati fossero consegnati a loro per il trasferimento nei campi di prigionia britannici in Eritrea. Uno degli arrestati, Israel Zeev Epstein, un amico d'infanzia del leader dell'Irgun Menachem Begin, tentò di fuggire dalla sua prigionia il 27 dicembre 1946. Aveva ricevuto assistenza dalla sionista Lega americana per una Palestina libera, che fornì coperte, cibo e denaro ma negò di avergli inviato la corda con cui era scappato. Fu colpito allo stomaco dopo che un ufficiale italiano sul posto sparò un colpo di avvertimento e gli intimò di fermarsi. Morì per le ferite in quello stesso giorno. Alla fine, dopo le pressioni del Comando Alleato, i sospetti furono rilasciati. L'avvocato penalista e politico italiano Giovanni Persico, amico di Žabotinskij, assunse la difesa dei sospetti. A novembre, i media britannici iniziarono a diffondere l'idea che il terrorismo ebraico fosse una minaccia per la stessa Gran Bretagna, creando resoconti spesso infondati di altri presunti complotti ed attività terroristiche. Tuttavia, sia la Lega americana per la Palestina libera per conto dell'Irgun e sia lo stesso Irgun fecero concrete minacce. Di conseguenza, i sentimenti antisemiti aumentarono nel Regno Unito. Sebbene la leadership ebraica dei campi dei rifugiati abbia condannato i bombardamenti, l'attacco ebbe un effetto negativo sui rifugiati in Italia. Su pressioni del Regno Unito, il governo italiano promulgò diversi atti legislativi per riformare la politica sull'immigrazione: Il governo fissò una scadenza per il registro per il 31 marzo 1947 ed impose severi requisiti per il rilascio del visto d'ingresso. Le basi operative dell'Irgun in Italia furono chiuse e spostate in altre capitali europee dove i militanti continuarono a colpire obiettivi britannici. Il Lehi intraprese operazioni simili contro il Colonial Office di Londra, portando il Metropolitan Police Service a collegarlo con l'attentato all'ambasciata, e rinunciò solo ad un piano per liberare un ceppo batteri del colera nel sistema di approvvigionamento idrico sotterraneo di Londra alla notizia che il governo britannico aveva annunciato l'intenzione di lasciare la Palestina. Cinque anni dopo l'attentato all'ambasciata, lo Stato di Israele esortò il Regno Unito a fare pressioni sull'Italia per non perseguire gli otto sospettati autori dei bombardamenti che risiedevano in Israele. Cinque di loro erano stati arrestati a Roma ma riuscirono a scappare, mentre altri tre non furono mai arrestati. Il 17 aprile 1952, il governo italiano fece processare Moshe Deitel in contumacia per il suo ruolo guida nei bombardamenti ed il tribunale lo giudicò colpevole, condannandolo a 16 mesi di reclusione. Anche gli altri sette sospettati furono condannati a 8 mesi per aver preso parte all'attentato. Le condanne, però, furono immediatamente annullate dalle amnistie. Furio Biagini, L'Irgun e la resistenza ebraica in Palestina. L'attentato all'ambasciata britannica di Roma (ottobre 1946), in Nuova Storia Contemporanea, vol. 8, n. 5, 2004, pp. 75-92. Roberto Gremmo, L'ebraismo armato. L'"Irgun Zvai Leumi" e gli attentati antibritannici in Italia (1946-1948), Biella, Storia Ribelle, 2009. Paolo Mieli, Il caos italiano: Alle radici del nostro dissesto, Rizzoli. Giuseppe Parlato, Fascisti senza Mussolini: le origini del neofascismo in Italia, 1943-1948, Il Mulino, 2006. Giuseppe Parlato, Neofascismo italiano e questione razziale, in Giorgio Resta e Vincenzo Zeno-Zencovich (a cura di), Le leggi razziali: Passato/Presente, RomaTrE-Press, 2015, pp. 147-180. Federazione italiana delle associazioni partigiane, Quaderni della FIAP, vol. 50, Bastogi, 1987. Mario Toscano, L'Italia e l'Aliyà Bet, in Marco Paganoni (a cura di), Per ricostruire e ricostruirsi. Astorre Mayer e la rinascita ebraica tra Italia ed Israele, Franco Angeli, 2010, pp. 75-88. Paul Bagon, The Impact of the Jewish Underground on Anglo Jewry (PDF), su users.ox.ac.uk, University of Oxford. J. Bowyer Bell, Terror Out of Zion: Fight for Israeli Independence, Transaction Publishers, 1976, pp. 178-181. Joseph Heller, The Stern Gang: Ideology, Politics and Terror, 1940-1949, Routledge, 2012. Bruce Hoffman, Anonymous Soldiers: The Struggle for Israel, 1917-1947, Knopf Doubleday Publishing Group, 2015. F. Liebreich, Britain's Naval and Political Reaction to the Illegal Immigration of Jews to Palestine, 1945-1949, Taylor & Francis, 2004, ISBN 978-1-135-76694-8. Rafael Medoff e Chaim I. Waxman, Historical Dictionary of Zionism, Routledge, 2013. Calder Walton, British Intelligence and the Mandate of Palestine: Threats to British National Security Immediately After the Second World War, in Intelligence and National Security, vol. 23, n. 4, 2008, pp. 435-462. Calder Walton, British Intelligence and Threats to British National Security After the Second World War, in Matthew Grant (a cura di), The British Way in Cold Warfare: Intelligence, Diplomacy and the Bomb 1945-1975, A&C Black, 2011, pp. 141-158. Henry Laurens, La Question de Palestine: 2,1922-1947, Fayard, 2002. Ambasciata del Regno Unito in Italia Irgun Zvai Leumi Lohamei Herut Israel Sionismo Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Attentato all'ambasciata del Regno Unito in Italia del 1946 (EN) La settimana Incom, Inquieto dopoguerra: dopo l'attentato all'ambasciata inglese, su YouTube, 11 agosto 1946. URL consultato il 30 aprile 2021. Ospitato su Istituto Luce. (EN) British Pathé, Rome British Embassy Bombed (1946), su YouTube.

Caserma Castro Pretorio
Caserma Castro Pretorio

La Caserma Castro Pretorio (anche detta Caserma "Macao") è una caserma di Roma, situata nel Rione Castro Pretorio. La storia della caserma inizia e coincide con quella dei Castra Praetoria stessi nel 23 d.c., divenendo nel corso dei secoli il quartier generale delle truppe scelte per la protezione anche personale di chi comandava la città di volta in volta: dai pretoriani ai tempi dello Stato romano agli zuavi della Roma papalina di metà Ottocento. Dopo l'8 settembre 1943, la caserma fu protagonista del disarmo dei carabinieri della capitale dal 6 ottobre in poi: i carabinieri furono intimati quel giorno di portare le proprie armi presso tale caserma. Essa divenne inoltre la sede delle autorità tedesche. Nel giugno 2021 viene annunciato che la caserma sarà parte del primo Smart Military District d'Italia. Oggi la caserma, molto importante dal punto di vista logistico per l'intero esercito italiano, è la sede anche di diverse strutture fisiche e logistiche: Raggruppamento Logistico Centrale (RA.LO.CE.) Comando Unità Servizi Comando Trasporti e Materiali A sud della caserma e confinante con essa vi è la Biblioteca Nazionale Centrale e poi ancora la Caserma "Pio IX": tutti questi edifici hanno la propria entrata principale su Viale Castro Pretorio, a distanza di poche decine di metri l'uno dall'altro. Nella zona sud dei Castra Praetoria vi è la Foresteria Militare di Roma (anche nota come Caserma "Pio IX", "Caserma degli Zuavi" o "Circolo Ufficiali Pio IX"), che fornisce, tra i vari servizi, un hotel e ristorante destinato esclusivamente agli appartenenti alle forze armate e ai loro familiari. Castra Praetoria Biblioteca Nazionale Centrale di Roma Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Caserma Castro Pretorio

Castro Pretorio (metropolitana di Roma)
Castro Pretorio (metropolitana di Roma)

Castro Pretorio è una stazione di profondità della linea B della metropolitana di Roma realizzata a foro cieco. Si trova nel rione Castro Pretorio su viale Castro Pretorio all'incrocio con via San Martino della Battaglia. La fermata fu inaugurata l'8 dicembre 1990 col prolungamento della linea B da Termini a Rebibbia. Il 5 ottobre 2020 è stata chiusa per permettere la sostituzione trentennale degli impianti di traslazione e la realizzazione di minori lavori infrastrutturali per eliminare le infiltrazioni d'acqua e adeguare la stazione alle norme antincendio. È stata riaperta il 13 ottobre 2021. La stazione dispone di: Biglietteria automatica Servizi igienici Fermata autobus ATAC Biblioteca Nazionale Centrale di Roma Castra Praetoria Città universitaria di Roma (Università degli Studi di Roma "La Sapienza") Porta Pia Porta Nomentana Piazza dell'Indipendenza (sede centrale del Consiglio superiore della magistratura) Piazza della Croce Rossa Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (sede centrale) Ferrovie dello Stato Italiane (sede centrale) Marcello Cruciani, Linea B fino a Rebibbia, in I Treni Oggi n. 112 (febbraio 1991), pp. 12–15. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Castro Pretorio Wikinotizie contiene l'articolo Roma: dal 13 ottobre riapre la fermata Castro Pretorio Wikinotizie contiene l'articolo Roma: proseguono i lavori a Policlinico e Castro Pretorio Wikinotizie contiene l'articolo Roma: chiusure in arrivo per la metropolitana

Biblioteca Nazionale Centrale di Roma
Biblioteca Nazionale Centrale di Roma

La Biblioteca nazionale centrale di Roma (BNCR) è, insieme alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze (BNCF) una delle due biblioteche nazionali italiane che hanno il compito principale di raccogliere e conservare tutte le pubblicazioni italiane. Si trova in viale Castro Pretorio, nei pressi della Stazione Termini, a Roma. La biblioteca è anche conosciuta col nome di "Vittorio Emanuele II", dal nome del Re d'Italia cui fu intitolata al momento della sua istituzione (1875). La BNCR è una delle più grandi biblioteche d’Italia. Al 31 dicembre 2022, risultano sono custoditi circa 7.500.000 volumi, 9.000 manoscritti, 160.000 autografi, 2.000 incunaboli, 25.000 edizioni del XVI secolo, 22.578 carte geografiche, 42.598 fra stampe, disegni e fotografie, 2.175.458 fascicoli di periodici, 42.000 tesi di dottorato, 131.568 audiovisivi e 1.070 spartiti. Inoltre, sono disponibili sulla Teca Digitale della Biblioteca circa 19.000.000 di immagini. Le scaffalature dei depositi librari coprono attualmente 112 Km lineari. La Biblioteca romana raccoglie e conserva, alla pari di quella fiorentina, tutta la produzione editoriale italiana, in base alla legge 15 aprile 2004, n. 106 e al successivo regolamento attuativo (D.P.R. 3 maggio 2006, n. 252) inerente al deposito legale. Nell'atrio dell’edificio, sono aperte al pubblico tre aree espositive: la prima ospita il Museo Spazi900 che nasce dalla consapevolezza di una precisa vocazione verso la cultura contemporanea: grazie a un’ingente raccolta di fondi pubblici e privati cominciata nel 1969 dall’allora direttore Emidio Cerulli, la BNCR ha accolto negli ultimi decenni sempre più materiali di autori del Novecento. Il suo fulcro permanente è La stanza di Elsa, dove vengono ricreate le suggestioni del laboratorio di scrittura di Elsa Morante attraverso gli arredi originari che componevano il suo studio. Sono inoltre presenti mobili, ritratti, archivi e carte autografe di Gabriele d'Annunzio, Umberto Saba, Grazia Deledda, Carlo Levi, Pier Paolo Pasolini e tanti altri. Il risultato è un excursus didattico capace di valorizzare la Storia del Novecento e al contempo fornire uno spazio creativo indirizzato agli scrittori dei nostri giorni per continuare la tradizione letteraria italiana. Nella seconda è possibile visitare La grande "Biblioteca d’Italia: bibliotecari, architetti e artisti all’opera: 1975-2015", una mostra permanente nata per celebrare i quarant'anni anni dalla riapertura della biblioteca e i cinquant'anni dall'inizio dei lavori di costruzione della sede di Castro Pretorio. La terza area accoglie mostre temporanee dedicate alla valorizzazione dei tesori custoditi dalla Biblioteca. Da luglio 2021 è visitabile su prenotazione la Sala Italo Calvino, all'interno dell’area “Biblioteca del Novecento letterario italiano Enrico Falqui" in cui sono esposti arredi, oggetti, quadri, presenti nell'abitazione di piazza di Campo Marzio 5, dove lo scrittore visse gli ultimi anni della sua vita.