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Villa Marioni Pullè

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Villa Marioni Pullè è una villa situata in via Aeroporto Berardi a Chievo (frazione di Verona). È detta anche villa Pullè e quindi talvolta confusa con villa Pullè Monga Galtarossa di San Pietro in Cariano. Si tratta di una villa neoclassica o neopalladiana con palazzina eclettica che unisce il Neorinascimento (nella facciata) con l'esotismo (la parte laterale e retrostante); la veste attuale è dell'architetto Ignazio Pellegrini (XVIII secolo). È patrimonio culturale ed è di proprietà dell'INPS. I terreni della villa nel secondo quarto del secolo XVII appartenevano ad Antonio Fattori, possidente borghese di famiglia di commercianti originaria dalle Fiandre, in Verona attorno al 1600; grazie al commercio acquistò titoli nobiliari. Antonio Fattori era residente in contrada Sant'Eufemia a Verona e sposò Domenica Fracalanza da cui ebbe sedici figli; nel 1653 egli dichiara la proprietà di settantadue campi a Chievo, acquistati dalla Camera Fiscale per cinquemila ducati, dai quali ebbe buone rendite. Il figlio Giacomo Fattori, non lavorò e visse da nobile con le rendite delle proprietà terriere in varie località del veronese; a Chievo possedeva una casa da patron, tre case per lavoranti, centosettantacinque campi arativi e venticinque prativi. Nel 1672 risultano di sua proprietà altri ottantaquattro campi vitati, gelsi, case dominicali e rusticali. Si sommarono negli anni successivi altre proprietà, nella polizza d'estimo del 1694 i campi arativi arrivavano a centonovanta, più altri quattro campi prativi irrigati e tre edifici affittati. Morto Giacomo Fattori nel 1708, i tre figli mantennero salda la proprietà. Nel 1744 diventa padrone il nipote di Giacomo Fattori, omonimo del nonno, che acquisì il blasone nobiliare e rinnovò le abitazioni, investendo ingenti capitali. Trasformò la tenuta di Novare in Valpolicella (poi Mosconi, oggi Bertani) e quella di Chievo di sua proprietà. La villa di Chievo fu incisa in una stampa di Johann Christoph Volkamer. Il primo complesso aveva mura di cinta, brolo, una torre colombara; i campi erano irrigati dall'Adige con una ruota idrovora; nel parco esisteva un piccolo teatro per le rappresentazioni teatrali. Giacomo Fattori fu consigliato dall'amica di famiglia, Angela Marioni Merchenti, nata Pellegrini, a scegliere Ignazio Pellegrini, famoso architetto nonché di lei cugino. La nuova villa fece però perdere il patrimonio a Giacomo Fattori che così fu costretto a vendere la villa di Novare ai Mosconi, anch'essi mercanti di seta. Soggiornarono nella villa Maria Beatrice d'Este e Ferdinando Carlo d'Austria tra il 1774 e il 1776 e anche l'Imperatore Giuseppe II d'Asburgo-Lorena. Giacomo Fattori nel 1778, a causa dei debiti, cedette tutte le sue tenute, inclusa quella di Chievo, a Tommaso Pellegrini, fratello di Angela Merchenti. Tommaso Pellegrini nel 1779 inviò due suppliche al Magistrato veneziano delle acque per una ruota idrovora in riva all'Adige per convogliare le acque in tre vasche nell'orto sul lato nord della proprietà per irrigare i prati della tenuta. Dette così inizio ai lavori di trasformazione della villa che Giacomo Fattori non era riuscito a concludere. Poche furono le variazioni del progetto di Ignazio Pellegrini, che aveva previsto annessi rustici: il parco fu abbellito da numerose sculture e la decorazione interna venne affidata ai migliori artisti disponibili in quel tempo a Verona: Angelo Da Campo, Filippo Maccari, Gian Domenico Cignaroli, Marco Marcola. Il salone fu decorato con affreschi del pittore veronese Angelo Da Campo sul tema “L'accoglienza di Ercole da parte di Minerva”; Angelo Da Campo che era stato allievo di Sante Prunati (anche Giambettino Cignaroli), si occupò anche di salvaguardare il patrimonio artistico veronese durante le soppressioni napoleoniche. Nel 1802-1806 Da Campo insegnò presso l'Accademia Cignaroli, con Luigi Frisono e Saverio Dalla Rosa (noto per aver redatto un catastico in cui elencava tutte le opere pittoriche e scultoree esistenti nelle chiese che dovevano essere soppresse) raccolse e catalogò opere d'arte che costituirono la prima pinacoteca civica veronese. Requisizione napoleonica e lungo abbandono. La villa fu acquistata nel 1873 da Leopoldo Pullè che ripristinò il teatro dove si tenevano anche concerti da camera. Nel luglio del 1887 e nel settembre del 1897 vi venne ospitato Umberto I di Savoia per assistere ad alcune manovre militari; una targa all'interno della villa indica la stanza in cui dormì. La villa fu venduta agli Istituti Ospedalieri di Verona, per un tisicomio diretto da Elvira Ponti, sposata Erizzo Miniscalchi, successa nell'eredità a Erminia Turati, vedova Pullè. La villa fu nuovamente venduta il 1º aprile 1919 per circa duecentomila lire, somma modestissima per volere della proprietaria del tisicomio. La presenza del sanatorio provocò proteste da parte della popolazione che temeva contagi. Su un'area al parco di centoventimila metri quadrati venne costruito il nuovo centro sanatoriale, terminato nel 1937 e inaugurato ufficialmente nel settembre 1938; il centro fu poi trasformato nell'"Istituto professionale di Stato per i servizi alberghieri e della ristorazione Angelo Berti". Dal 1942 i locali della villa vennero adibiti a preventorio per i ragazzi minori di quattordici anni di famiglie disagiate, fino al 1960. Per i costi insostenibili degli impianti di sicurezza anti-incendio, la villa venne chiusa ed abbandonata. Dalla Riforma Ospedaliera del 1968, si aprì una lunga vertenza per stabilire la proprietà del bene; in seguito alla vertenza divenne proprietà all'INPS. Nel 1977 un comitato pro-apertura parco spinge il Comune di Verona a presentare la domanda di utilizzo di una parte del verde. Nel 1979 l'INPS acconsente di rendere pubblica la porzione del parco più vicina alla piazza. In seguito gli edifici, non più recintati, furono oggetto di atti vandalici e parziali distruzioni degli interni e degli affreschi. Nel 1981 vennero così murate le porte e finestre degli edifici per preservare quel che era rimasto. Dal 2013 sono iniziati i nuovi restauri dopo decenni di vandalismo ed abbandono. Dal 2021 le condizioni continuano ad essere pessime. Lo stile neoclassicco o neopalladiano promosso dalle accademie, lo si può notare dal revival degli elementi dell'architettura classica più numerosi nella facciata della villa come il timpano sia arcuato che triangolare (talvolta con lo stemma dei Pullè), galleria ad archi sostenuta da pilastri (come il Teatro alla Scala di Milano per un ingresso agevole con la carrozza in caso di pioggia) con accennate le chiavi di volta e capitelli a dado già tipici nel XVI secolo in Veneto, ordini architettonici come il tuscanico, ionico nel classico ordine di peso, i più pesanti esteticamente alla base per suggerire forza (tuscanico) e slancio nel piano superiore (ionico). La progressione dei piani in facciata mostra i più bassi tuscanici alle ali e maggiormente più alti nel corpo centrale ionico al primo piano che dà un bel slancio alla struttura, qualche chiave di volta a voluta e mascherone localmente detto testa da porton (perché in pietra e si trovano sul portone) le troviamo nel retro della villa e nella facciata della palazzina (che si trova nel retro della villa). Anche se neoclassica la villa ha la pianta delle ali non ad angoli ortogonali, le ali in facciata infatti si aprono decisamente verso l'esterno nella tipica illusione prospettica che dà maggior senso di profondità. Il retro appare più rigido, a causa della maggiore altezza e brevità delle ali, oltre ad una minor varietà di sporgenze e rientranze. La linea di gronda del tetto per ammorbidire la linearità della struttura era adornata da vasi decorativi, visibili nelle fotografie di inizio del XX secolo, poi rimossi forse per timore di possibili cedimenti. Essendo un disimpegno della villa che è residenza ufficiale dei nobili, l'architetto si è preso maggior libertà d'inventiva, infatti è in stile eclettico che unisce più stili anche del passato (storicismo) studiati presso l'Accademia di belle arti, in questo caso unisce lo stile neorinascimentale con l'esotico. La facciata è in stile neorinascimentale o neopalladiano tutte varianti dello stile neoclassicco. Il fianco ha uno stile più orientaleggiante che sul retro è più temperato. Monumenti di Verona Ville di Verona Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sul Villa Pellegrini Marioni Pullè

Estratto dall'articolo di Wikipedia Villa Marioni Pullè (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

Villa Marioni Pullè
Via Monte, Verona Ovest

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Ponte diga del Chievo
Ponte diga del Chievo

Il ponte diga del Chievo è una diga, con anche funzione di ponte ciclo-pedonale, situato lungo il fiume Adige nella città di Verona, nei pressi della frazione di Chievo. La struttura, in cui si fece uso di materiali quali il calcestruzzo e l'acciaio, venne iniziata nel 1920 e inaugurata il 29 marzo 1923. La costruzione fu finanziata da un consorzio formato dal Comune di Verona e da alcune realtà industriali dell'epoca: le Cartiere Fedrigoni, i Mulini Consolaro e il Cotonificio Veneziano. Lo scopo della diga era principalmente quello di elevare il livello dell'acqua dell'Adige per aumentarne l'immissione nell'attiguo canale Camuzzoni, che qui inizia il suo corso. Il canale, realizzato a fine Ottocento, era infatti fondamentale per l'alimentazione delle centrali idroelettriche e delle fabbriche poste in località Basso Acquar, zona industriale sorta a sud di Verona. Il 25 aprile 1945 la diga fu gravemente danneggiata dai soldati tedeschi che si stavano ritirando e quindi ricostruita, rispettando le caratteristiche dell'originale, nel 1946. Il ponte-diga è costituito di otto arcate, in cui nell'ultima, sulla destra, è presente una conca che tramite la gestione dei livelli delle acque consentiva anche la navigazione fluviale, al tempo della costruzione ancora presente. Tutte le fasi della costruzione furono documentate dal fotografo da Gustavo Alfredo Bressanini, titolare di uno studio fotografico presente a Verona e fondato dal padre. A seguire alcune delle foto scattate. AA.VV., Il canale Camuzzoni, Consorzio canale industriale Giulio Camuzzoni. Mario Patuzzo, L'Adige: Verona e i suoi ponti, Vago di Lavagno, Gianni Bussinelli, 2015, ISBN 978-88-6947-129-2. Urbanistica di Verona Monumenti di Verona Storia di Verona Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su ponte Diga Chievo

Forte Chievo
Forte Chievo

Forte Chievo, originariamente Werk Kaiser Franz Josef, è una fortificazione posta a ovest di Verona, parte del complesso sistema difensivo cittadino e più in particolare del primo campo trincerato di pianura, messo in opera tra 1848 e 1856. La struttura fortificata fu realizzata tra 1850 e 1852 e i lavori furono seguiti dal direttore dell'Imperiale Regio Ufficio delle Fortificazioni di Verona, il maggiore Conrad Petrasch. In questo forte ottimamente conservato, dedicato al giovane imperatore Francesco Giuseppe I d'Asburgo, tutto denota l'importanza dell'opera, da osservare come modello di architettura militare absburgica per le successive fortificazioni di Verona e dell'impero asburgico. È ragguardevole la perfezione geometrica dell'impianto planimetrico, la sua simmetria, l'impiego di raccordi curvilinei, la complessa e razionale articolazione delle parti. Nell'insieme e nei particolari, risalta la qualità costruttiva e la bellezza delle opere di pietra, con i paramenti murari a conci di tufo a opus poligonale. Il forte è a tracciato poligonale (un sistema poligonale misto tipico della scuola fortificatoria neotedesca), con ridotto centrale e ridotto di gola e impianto a lunetta simmetrica. Il forte chiudeva il campo trincerato a settentrione, facendo sistema a sinistra con il forte Croce Bianca: batteva il terreno antistante verso le strade per Pescantina e Peschiera, mentre il fianco destro e il fronte di gola battevano l'ansa dell'Adige e prendevano d'infilata la ferrovia per Bolzano. Esso nel 1861 venne inoltre integrato nella linea del successivo ingrandimento del campo trincerato. La ridotta casamattata si compone di due parti: nel centro dell'opera il ridotto principale, a corpo lineare angolato, si eleva su un solo piano, con copertura terrapienata, ordinata per l'artiglieria a cielo aperto, così come il piano terra, con i ricoveri per la guarnigione, è ordinato per l'artiglieria in casamatta; al centro del fronte di gola, si eleva il ridotto di gola, su due piani e copertura con postazioni di artiglieria. La parte sporgente verso l'esterno di questo secondo ridotto è ordinata sui due piani con feritoie per fucilieri e cannoniere, per battere il fronte di gola e per l'azione lontana. Il grande terrapieno a forma di lunetta è ordinato per le artiglierie da fortezza, su postazioni a cielo aperto. Protetta dalla massa coprente di terra, al centro dell'opera, è inserita la polveriera a prova di bomba; altre due polveriere sono infine situate rispettivamente nel ridotto principale e nel ridotto di gola. La scarpata esterna del terrapieno scende sino al livello del fossato asciutto perimetrale, dove è presidiata dal muro distaccato alla Carnot, con feritoie per fucilieri. Ai due angoli, arrotondati, sporgono le caponiere casamattate per il fiancheggiamento del fosso, provviste di cannoniere e fuciliere. La controscarpa del fosso è rivestita dal muro aderente solo in corrispondenza delle caponiere. Due poterne, adiacenti alle ali del fronte di gola, mettono in comunicazione il piazzale interno del forte con il cammino di ronda, lungo il muro alla Carnot, e con le caponiere. Nel fronte di gola, in posizioni simmetriche rispetto al ridotto, sono inseriti due maestosi portali neoclassici architravati, con bugne di pietra da taglio, provvisti di ponte levatoio sul fossato. All'interno, ulteriori portali e ponti levatoi rendono il ridotto isolabile dal resto del forte, per l'ultima difesa dell'opera. L'armamento della fortificazione consisteva in: 2 cannoni rigati da 90 mm a retrocarica 19 cannoni ad anima liscia Riserve di munizioni: 56 000 kg di polveri. Il presidio in caso di guerra della fortificazione consisteva in: 310 fanti 50 artiglieri Era inoltre possibile disporre un presidio di emergenza di 380 uomini. Luigi Battizocco, Forte Chievo, in Verona militare: studio storico militare, Verona, H. F. Münster, 1877, p. 93, SBN IT\ICCU\RML\0110150. Verona Monumenti di Verona Sistema difensivo di Verona Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Forte Chievo

Canale Biffis
Canale Biffis

Il canale Biffis è un canale artificiale per scopi irrigui e idroelettrici che inizia fra i comuni di Ala e Avio e termina in quello di Verona, poco a nord di Chievo. Il canale prende il nome dal suo ideatore, Ferdinando Biffis, che lo progettò nel 1913. Il suo obiettivo era creare un sistema di irrigazione per le pendici delle colline dell'alto veronese che, nonostante il terreno fertile, erano poco produttive a causa della scarsità d'acqua dovuta alla loro posizione rialzata. La soluzione che propose fu quella di sfruttare le acque dell'Adige, captandole molto più a nord ad una quota più alta delle terre da irrigare. Dopo 15 anni di polemiche e discussioni sull'opera, il 9 settembre 1928 vi fu l'inizio ufficiale dei lavori su spinta di Benito Mussolini in persona. Ben presto però, a causa della recessione mondiale del 1929, i lavori rallentarono fino a fermarsi del tutto nel 1930. Ripresero solo 8 anni più tardi per finire nel 1943. Il canale Biffis è lungo 47 km di cui 8,5 in galleria. Per costruirlo fu necessario rimuovere quasi 6 milioni di metri cubi di terreno (650,000 metri cubi solo per le gallerie). Il lavoro di scavo fu svolto soprattutto a mano, con il raro utilizzo di qualche escavatrice meccanica. Durante gli ultimi anni della sua costruzione furono impiegati anche prigionieri di guerra. Per superare i vari ostacoli naturali lungo il suo percorso, oltre alle numerose gallerie fu costruito anche un imponente "ponte canale" che scavalca la valle del torrente Tasso, vicino alla località di Sega di Cavaion. Il canale Biffis alimenta anche due centrali idroelettriche che sfruttano altrettanti salti lungo il suo corso: la prima vicino a Bussolengo, la seconda quasi al suo sbocco nell'Adige a nord dell'abitato di Chievo. La portata del canale è di 135 m³/s, 25 m³/s sono derivati poco prima della centrale di Bussolengo per alimentare il canale Alto Veronese. Claudio Malini, Il canale Biffis, Hydro Dolomiti Enel, 2014. Editoriale Sometti, seconda ed., 2017 Centrale idroelettrica di Bussolengo Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su canale Biffis

Chiesa dei Santi Filippo e Giacomo (Verona)
Chiesa dei Santi Filippo e Giacomo (Verona)

La chiesa dei Santi Filippo e Giacomo è la parrocchiale di Parona, frazione di Verona, in provincia e diocesi di Verona; fa parte del vicariato di Verona Nord Ovest. La prima citazione di una chiesa a Parona, dedicata allora al solo San Giacomo, risale al 1187 ed è contenuta nella bolla di papa Urbano III; il borgo era pertinenza dell'abbazia di San Zeno almeno dal secolo precedente. Nel 1341 la cappella paronese venne affidata a Spinetta Malaspina, che acquisì dunque il giuspatronato; dalla relazione della visita pastorale del 1530 del vescovo Gian Matteo Giberti s'apprende che la comunità dipendeva dalla pieve d'Arbizzano, mentre in altri documenti di poco successivi si legge che il curato veniva scelto dai Malaspina e approvato dall'abate di San Zeno. La chiesetta fu eretta a parrocchiale nel 1600 e ampliata nel 1640; in quest'occasione venne realizzato il coro. Verso la seconda metà del XVIII secolo l'edificio si rivelò insufficiente a soddisfare le esigenze dei fedeli e, così, nel 1762 iniziarono i lavori di costruzione della nuova parrocchiale; la struttura fu terminata nel 1766 e all'inizio dell'Ottocento venne eretto il campanile, disegnato da Giuseppe Barbieri, mentre il 24 settembre 1848 il vescovo titolare di Canopo Ludovico de Besi impartì la consacrazione. La chiesa venne poi interessata da un restauro nel 2006. La facciata a capanna della chiesa, che volge ad occidente, è scandita da quattro paraste, terminanti con capitelli ionici sopra cui si impostano la trabeazione e il frontone triangolare, e presenta al centro il portale d'ingresso, sormontato dal timpano semicircolare e da due raffigurazioni di angeli sorreggenti un medaglione con all'interno un'immagine della Vergine con Bambino, e ai lati due nicchie ospitanti le statue che ritraggono i santi Filippo e Giacomo. Annesso alla parrocchiale è il campanile a pianta quadrata, sulla cui cella si apre una monofora per lato. L'interno dell'edificio si compone di un'unica navata rettangolare, sulla quale si affacciano le quattro cappelle laterali con gli altari minori del Crocifisso, di San Luigi, della Madonna e di San Giovanni e le cui pareti sono scandite da paraste sorreggenti la trabeazione sulla quale s'imposta la volta a botte; al termine dell'aula si sviluppa il presbiterio, sopraelevato di tre gradini e chiuso dall'abside semicircolare, in cui è conservata la pala raffigurante la Madonna col Bambino in gloria e i Santi Filippo e Giacomo, dipinta da Felice Cappelletti nel XVIII secolo. Parrocchie della diocesi di Verona Diocesi di Verona Parona (Verona) Regione ecclesiastica Triveneto Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su chiesa dei Santi Filippo e Giacomo Parrocchia dei Santi Filippo e Giacomo Apostoli, su parrocchiemap.it. URL consultato il 23 luglio 2021.

Ponte della Ferrovia (Parona)
Ponte della Ferrovia (Parona)

Il ponte della Ferrovia è uno dei due ponte ferroviari situati lungo il fiume Adige all'interno del territorio comunale di Verona, più precisamente nella frazione di Parona. L'opera venne realizzata dal Governo austriaco per farvi transitare la ferrovia che doveva collegare la piazzaforte di Verona con la città di Monaco di Baviera; la sua realizzazione fu pertanto sottoscritta dall'Impero austriaco e dal Regno di Baviera nel 1847 e la progettazione e direzione lavori affidata a Luigi Negrelli, ingegnere trentino noto per aver progettato il canale di Suez. La ferrovia del Brennero fu poi inaugurata nel 1858, ma il ponte subì ulteriori lavori negli anni venti del Novecento, quando la linea venne raddoppiata, e nel 1941, quando fu elettrificata. Durante la seconda guerra mondiale fu naturalmente un obiettivo importante per gli alleati, che lo bombardarono in più occasioni per tagliare i collegamenti con la Germania nazista; in particolare, il 9 e il 10 marzo 1945 fu colpito da ben 533 tonnellate di bombe, e pertanto quasi completamente distrutto. Il ponte venne prontamente ripristinato nel 1946, a guerra conclusa, inoltre venne aggiunto un passaggio pedonale sul lato a valle dell'opera. Il ponte ferroviario è lungo 100 metri ed è caratterizzato da cinque campate di 16 metri con pile alte 17 metri; la sede ferroviaria venne realizzata già in origine larga 8 metri, in previsione del futuro possibile raddoppio dei binari. Mario Patuzzo, L'Adige: Verona e i suoi ponti, Vago di Lavagno, Gianni Bussinelli, 2015, ISBN 978-88-6947-129-2. Urbanistica di Verona Monumenti di Verona Storia di Verona

Chiesa di San Massimo (Verona)
Chiesa di San Massimo (Verona)

La chiesa di San Massimo, o più correttamente chiesa di San Massimo Vescovo, è un luogo di culto cattolico che sorge nel omonimo quartiere di Verona; si tratta di una chiesa parrocchiale facente parte del vicariato di Verona Nord Ovest nell'omonima diocesi. Essa venne edificata nel XVIII secolo in stile neoclassico su progetto dell'architetto Luigi Trezza. Il più antico documento in cui viene menzionata la chiesa di San Massimo, con l'attiguo convento, è datato 780, quando era ancora una chiesa sussidiaria a quella parrocchiale di San Procolo. Entrambe le chiese furono distrutte durante le incursioni degli Ungari del IX e X secolo essendo situate al di fuori delle mura di Verona, quindi ricostruite grazie all'azione del vescovo di Verona Milone. La chiesa di San Massimo divenne parrocchia indipendente da quella di San Procolo nel 1459, tuttavia nel 1518 venne abbattuta in quanto la Repubblica di Venezia ordinò la demolizione di tutti gli edifici presenti nel raggio di un miglio dalle mura cittadine di Verona. Due anni più tardi, nel 1520, una nuova chiesetta ad aula unica venne riedificata più a nord, in corrispondenza dell'attuale località di San Massimo, che prese il nome dall'edificio; questo è sopravvissuto quasi integralmente e oggi corrisponde al piccolo oratorio situato a lato dell'imponente tempio neoclassico. Nel 1767, don Giacomo Trevisani, dopo il suo insediamento come nuovo parroco di San Massimo all'Adige, promosse la costruzione di una nuova chiesa per il paese dal momento che quella esistente, ora divenuta oratorio, non risultava più sufficiente per soddisfare i bisogni della comunità. Una nuova chiesa, di dimensioni molto maggiori rispetto a quella precedente, venne così eretta tra il 1780 e il 1786 su progetto dell'architetto Luigi Trezza, che disegnò anche il campanile costruito invece tra il 1819 e il 1829. Il 16 settembre 1791, ultimata la nuova e più grande chiesa dedicata al vescovo veronese, essa venne consacrata solennemente dal vescovo Giovanni Andrea Avogadro. La chiesa fu restaurata fra il 1980 e il 1986, esattamente due secoli dopo la sua costruzione, su progetto dell'architetto Paolo Giacomelli, che nel 2002 progettò anche il restauro delle statue poste in facciata e del portale laterale. La facciata in stile neoclassico della chiesa è orientata verso ovest ed è caratterizzata da quattro paraste di ordine gigante poggianti su alti basamenti e con capitelli corinzi, che sostengono la trabeazione e incorniciano il portale d'ingresso. Sopra il portale con arcata a tutto sesto si trova un grande occhio che illumina lo spazio interno, mentre ai suoi lati si trovano due nicchie entro le quali si trovano le statue di San Massimo e San Zeno. Altre due statue raffiguranti i Santi Pietro e Paolo si trovano su due pinnacoli esterni. Sopra la trabeazione, a concludere la facciata, un timpano con cornice dentata aggettante, sormontato dalle statue raffiguranti le virtù teologali: Fede, Speranza e Carità. La chiesa, sul cui lato meridionale trovano spazio la sagrestia e l'antico oratorio cinquecentesco, è impostata internamente su una pianta ad aula unica rettangolare di grandi dimensioni preceduta da un piccolo vestibolo d'ingresso, dotata di quattro altari laterali e di uno pseudotransetto anche anticipa il presbiterio, questo rialzato di tre gradini rispetto al resto dello spazio e concluso con un'abside semicircolare. I quattro altari, di cui due situati in modesti sfondamenti nella parete dell'aula e due in corrispondenza del transetto, sono dedicati a San Luigi e alla Madonna del Carmine sul lato nord, e all'Adorazione dei Magi e del Sacro Cuore sul lato sud. I prospetti interni sono caratterizzati, oltre che dai quattro altari, da lesene di ordine composito che scandiscono lo spazio e che sorreggono la trabeazione con cornice sorretta da mensoline, su cui si imposta l'ampia volta a botte che copre sia la navata che il presbiterio. La volta a botte, su cui corrono costolonature trasversali e si aprono unghie laterali, si trasforma in volta a crociera all'incrocio con lo pseudotransetto, e in una calotta semisferica presso l'abside. Tra le varie opere d'arte è da citare la pala d'altare opera di Agostino Ugolini e raffigurante la Madonna con Bambino e i santi Massimo, Rocco e Sebastiano. L'organo a canne della chiesa, che sostituì quello originale posizionato sulla balconata sopra la porta di ingresso, fu realizzato nel 1958 dalla ditta organaria Zarantonello e posizionato alle spalle dell'altare maggiore. A trasmissione elettrica, ha due tastiere di 61 note e pedaliera di 31. Il campanile, sempre opera di Luigi Trezza, è frutto di una lunga ricerca e si ispira alla Colonna traiana, come dimostra un primo disegno del 1798 conservato nella Biblioteca civica di Verona, intitolato «Progetto d'un Campanile adattato alla forma e proporzioni della Colonna Traiana in Roma»; del 1812, invece, un suo «Disegno di Campanile relativo al programma proposto dal Signor Francesco Malacarne Ingegnere di Prima Classe, et Architetto, e dall'infrascritto ideato», che dal primo progetto riprende diversi stilemi e che assomiglia molto alla torre effettivamente realizzata. La torre venne realizzata sul retro dell'edificio chiesastico ed è comunicante con esso tramite un edificio secondario. Il basamento della torre è a scarpa mentre il fusto è diviso in due ordini, uno inferiore schiacciato e uno superiore ove si trova una larga apertura ad arco, all'interno della quale si apre una finestra balaustrata sormontata da un orologio (posto su soli tre lati del campanile). A chiudere questa fascia si trova un imponente fregio a metope, su cui si imposta la cella campanaria a edicola di pianta ottagonale, con otto colonne di ordine ionico e con copertura a cupola che raggiunge, con la scultura sommitale, i 50 metri di altezza. Le otto campane originali furono prodotte dalla nota fonderia Cavadini, tuttavia nel corso degli anni dovettero essere rifuse più volte dalla stessa impresa a causa di danni causati dagli agenti atmosferici; nel 1933, inoltre, furono commissionate ai Cavadini ulteriori cinque campane minori per completare il concerto, in modo da rispondere a pieno alle esigenze liturgico-musicali. Bertoni Camilla et al. (a cura di), La Chiesa di San Massimo: i suoi tesori, Verona, Grafiche San Massimo, 1998, SBN IT\ICCU\PUV\1363667. AA. VV., Il campanile di san Massimo, San Giovanni Lupatoto, Megraf, 2002, SBN IT\ICCU\PUV\1363668. Verona Monumenti di Verona Chiese di Verona Diocesi di Verona Parrocchie della diocesi di Verona Wikibooks contiene testi o manuali sulla disposizione fonica dell'organo a canne Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su chiesa di San Massimo Sito ufficiale, su parrocchiasanmassimo.vr.it. URL consultato il 14 aprile 2020.