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Stazione di Gavignano Sabino

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La stazione di Gavignano Sabino è una fermata ferroviaria posta sulla linea Firenze–Roma; si trova nel territorio di Forano, nella frazione di Gavignano Sabino. È servita dai treni della FL1, che collegano la città con Orte, Roma e Fiumicino Aeroporto. La fermata venne attivata il 4 maggio 1942. Il fabbricato passeggeri dell'attuale stazione ospita un Bar. Biglietteria automatica Bar e tabacchi Sottopassaggio Parcheggio di scambio Distributori automatici di snack e bevande Fermata autolinee COTRAL

Estratto dall'articolo di Wikipedia Stazione di Gavignano Sabino (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori).

Stazione di Gavignano Sabino
Strada Regionale 657 Sabina,

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Gavignano Sabino

Strada Regionale 657 Sabina
02048
Lazio, Italia
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Gavignano Sabino
Gavignano Sabino

Gavignano Sabino è una frazione del comune di Forano nella provincia di Rieti, nella regione del Lazio. Gavignano sorge nella valle del Tevere, sopra una bassa collina sulla sponda sinistra del fiume. Si trova 3 km a sud di Forano. Il paese fortificato medievale, detto anche "Gavignano Alto", si è oggi espanso a valle della collina con il paese di "Gavignano Basso", sorto in tempi recenti attorno alla stazione ferroviaria. La leggenda vuole che Gavignano (nota anticamente anche come Sabinianum o Gabinianum) sia stata costruita là dove si trovava una villa della Gens Gabinia e che il paese abbia tratto il nome dal console romano Sabiniano o Gabiniano. Secondo altri sarebbe invece stata fondata sulle rovine di Gabiniano o Gabio in Sabina, città fondata dal console Aulo Gabinio. Il paese era comunque popolato già in età romana, come testimoniano le tracce di muri in opera reticolata. La prima menzione del paese nei documenti d'archivio risale al 1097. Nel medioevo il castello di Gavignano fu possesso dell'abbazia di Farfa, degli Orsini, dei conti di Ravenna, poi della famiglia Cesi di Acquasparta, dei principi Vaini, dei marchesi Simonetti e infine dei Pellegrini e dei De Somma. Il borgo di Gavignano mantiene ancora oggi la sua fisionomia di castello medievale. La parte frontale del castello è andata distrutta, mentre si conservano ancora il palazzo di piazza Pellegrini e l'arco quattrocentesco che costituiva la porta di ingresso al paese, munito di un orologio e di una campana che scandisce le ore. La chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta (seconda metà dell'XI secolo); fu completamente restaurata nel 1775 dal cardinale Rezzonico. Al suo interno si trova un quadro di San Filippo Neri. Il paese è attraversato dalla strada regionale 657 Sabina, che lo collega con Civita Castellana (VT) e Poggio Mirteto. Sull'altra sponda del Tevere, nel territorio comunale di Ponzano Romano, è facilmente accessibile l'Autostrada del Sole con il casello di Ponzano Romano-Soratte. Il paese è attraversato dalla ferrovia Roma-Orte (linea lenta) ed è servito dalla stazione di Gavignano Sabino. Sulla linea si svolge il servizio della linea regionale FL1, con treni ogni ora verso Poggio Mirteto, Fara in Sabina, Roma Tiburtina e l'aeroporto di Roma-Fiumicino.

Filacciano
Filacciano

Filacciano è un comune italiano di 440 abitanti distribuiti su 5,7 km². della città metropolitana di Roma Capitale nel Lazio. L'area del Comune, scarsamente popolato e pertanto rurale, appartiene alla zona altimetrica denominata collina interna. Il territorio comunale, che si estende per circa 6 km², è in gran parte collinare, con altitudini che si aggirano intorno ai 200 m s.l.m., tranne che nella parte dove si trova l'ansa del Tevere, del tutto pianeggiante (32 metri s.l.m.) e coltivata. Il paese stesso si trova su uno sperone tufaceo che raggiunge nel punto più alto, i 247 metri di altitudine dominando la sottostante Valle del Tevere. Il borgo aderisce all’Associazione Nazionale Piccoli Comuni Italiani. L’economia è prevalentemente agricola. Filacciano confina con Torrita Tiberina, Nazzano Romano e Ponzano Romano della provincia di Roma e con Poggio Mirteto e Forano della provincia di Rieti. Classificazione climatica: zona D, 1814 GR/G Alcune fonti fanno provenire il nome Filacciano da Faliscanum o Faliscianum, mentre altri sostengono che provenga da Flaccianum, nome che designava la proprietà del ricco possidente romano Flacco. Questa tesi, proposta dal celebre archeologo Antonio Nibby, si fonda su un documento di donazione dell'VII secolo, che attribuisce il possesso del fondo Flaccianus all'Abbazia di Farfa, possesso poi confermato da una bolla del papa Stefano IV dell'817. Nel territorio del comune di Filacciano sono stati rinvenuti reperti archeologici che attestano la presenza di una necropoli preromana in località Marisano, di cultura affine a quella Falisca-Capenate nella valle del Tevere. I reperti sono conservati nei magazzini del Museo archeologico di Capena. Dopo la conquista di Veio, Capena, Poggio Sommavilla e Faleri Veteres (Civita Castellana) da parte dei romani in epoca repubblicana guidati dal tribuno militare Marco Furio Camillo, l'area dell'odierno comune di Filacciano fu introdotta probabilmente nell'Ager Faliscum o Capenate, in epoca romana imperiale parte della Regio VII Etruria. Il comune di Filacciano occupa la parte orientale dell’antico “Ager Capenas” e sorge su una collina che domina la valle del Tevere offrendo uno splendido panorama dei monti della Sabina. Sull’origine del nome esistono tesi contrastanti: Filacciano sembrerebbe derivare o da “Felicianus”, imperatore o console romano che ne iniziò la costruzione, o da “Fiscon”, “Faliscanum”, “Faliscianum” che indurrebbe a ritenere i primi insediamenti di origine falisca, o, ipotesi più probabile e condivisa sia dal Nibby che dal Tomassetti, da “Fundus Flaccus” ovvero “Fondo di Flaccus”, antico proprietario romano di un appezzamento terriero situato in questa zona. A conferma di questa tesi molte terre circostanti traggono il loro nome dalle antiche famiglie romane proprietarie: così come dalla “gens Flavia” deriva Fiano e dalla “gens Pontia” deriva Ponzano, da “Fundus Flaccus” per corruzione derivererebbe “Flaccianus” oggi Filacciano. La prima notizia di un “fondus Flacciano” che ci giunge è del 779 e la si trova in una donazione fatta da un certo Zaro all’abbazia di Farfa. Si può ipotizzare che nell’ager Capenas già in questo periodo ci fossero insediamenti e villaggi nati a partire dall’inizio del medioevo, cioè da quando, a causa delle invasioni barbariche, abitanti di antichi siti furono costretti a spostarsi in luoghi più sicuri dando origine a nuovi centri fortificati sorti in posizioni strategiche di difesa. Nell’817 il pontefice Stefano IV riconosce e conferma all’abbazia di Farfa il possesso di un “casalis Flaccianus”. Il casale doveva essere stato costruito tra il 790 e l’817 ad opera di monaci e doveva avere funzione di eremo e dimensioni modeste come si legge nell’inventario dei beni della Confraternita di Sant’Egidio. Successivamente (nel 980 circa) fu edificata la chiesa dedicata a Sant’Egidio Abate, eremita vissuto nell’osservanza degli insegnamenti di san Benedetto e per questo scelto dai monaci benedettini che vivevano a Filacciano. Nel 1300 Filacciano conta circa 400 abitanti, conteggio desunto dal consumo di sale. Nel 1344 Filacciano apparteneva alla nobile famiglia degli Orsini. Se ne trova notizia nel testamento di Bertoldo Orsini del 17 marzo 1344 che lasciò alla figlia Palozza e alla moglie Giacoma delle rendite di Torrita e quattromila fiorini d’oro, di cui parte ipotecati sul castello di Filacciano che apparteneva evidentemente alla famiglia. Sotto gli Orsini Filacciano ed i suoi abitanti conobbero una sanguinosa guerra che distrusse la torre, il castello e devastò i terreni circostanti. Nel 1485 Ferrante d’Aragona, Re di Napoli, cercò di usare il suo potere militare per troncare il vincolo feudale che legava il Regno di Napoli alla Santa Sede. Re Ferrante, alleato di Firenze e di Milano, rispose con l'assunzione al proprio servizio degli Orsini, allora Signori di Filacciano, in qualità di condottieri. Nell'inverno 1485 l'armata napoletana, guidata da Alfonso, figlio di Ferrante, e rafforzata dalle truppe di Virginio Orsini, penetrò nel Lazio da Vicovaro e dai monti Sabini, ma non riuscì a raggiungere l'Urbe a causa della resistenza delle milizie pontificie. Il Sanseverino ordinò il contrattacco il 24 dicembre del 1485 quando giunse a Roma. Nel gennaio del 1486 il contrattacco fu coronato dalla conquista di Filacciano, Torrita, Mentana e ponte Nomentano. Il Cardinale Battista Orsini si distaccò dalla famiglia e consegnò al Papa il feudo di Monterotondo mentre Alfonso Orsini d'Aragona fu costretto a riparare a Pitigliano, una roccaforte degli Orsini nella Toscana meridionale. Lo stallo durò fino ai primi di maggio. Gli aragonesi si riorganizzarono e quindi sconfissero il Sanseverino a Montorio Romano riconquistando Filacciano, Fara Sabina e Torrita, riunendo il "castrum Philassani nunc diritum" a quello di Torrita, ugualmente incamerato. Innocenzo VIII capì che le prospettive di vittoria erano svanite e iniziò a preparare la pace. Finita la guerra gli Orsini tornarono in possesso di Filacciano e il castello e la sua torre furono prontamente riedificati. A quel tempo Filacciano era sotto i possedimenti di Franciotto Orsini, figlio di Orso Orsini e di Costanza Savelli (1473 - 1533), Signore di Monterotondo, San Polo, Stimigliano, Collevecchio e Fianello. Fu in quel periodo che iniziarono i lavori per la costruzione di un palazzo-castello che inglobasse l'antica torre. Nel 1515 Ludovico Orsini, Conte di Pitigliano, promette di osservare la dichiarazione di controversia con il fratello Aldobrandino, relativa ai castelli di Fiano, Filacciano e Morlupo. Nel 1528 Elena Orsini, figlia spuria di Aldobrandino, riceve il possesso del feudo di Filacciano con il titolo di Baronessa dal cugino Arrigo, conte di Nola ed erede di Aldobrandino, morto prima di rispettare un accordo, in sostituzione di una dote in denaro a lei promessa. Gli Orsini furono signori di Filacciano per duecento anni, cioè fino al 1544, anno in cui Giovanni Francesco Orsini vendette il feudo, ormai incastellato, al nobile Antimo Savelli, allora IX signore di Albano. Antimo purtroppo morì nello stesso anno lasciando in eredità torre e castello al figlio Antonello, X signore di Albano e coniugato con Virginia Orsini (figlia del Conte di Pitigliano, Giovanfrancesco Orsini) dalla quale ebbe Cristoforo, XI signore di Albano. Filacciano tornò quindi nelle mani di una Orsini, in questo caso Virginia, madre di Cristoforo. Nel 1593 Cinzia D’Alessandro Crescenzi, rimasta vedova di Fabrizio Orsini che aveva ricevuto quale dono di nozze il feudo dalla nonna Elena Orsini (prima moglie di Niccolò II - VI Conte di Pitigliano), vendette a Filiberto e Filippo Naldi della Bardosiera il feudo di Filacciano per ventotto fiorini d’oro riservandosene però il titolo. I Naldi governarono su Filacciano finché il figlio di Filiberto, Ottavio, lo lasciò in eredità alla moglie Caterina Nunez Sanchez. Ressero il borgo con una certa asprezza che gli valse il l'ostilità della comunità locale. Una lettera della Communitas Feliciani indirizzata alla Congregazione del Buon Governo riferisce della protesta per una tassazione dei beni stabili che Ottaviano Naldi della Bardosiera si rifiutava di corrispondere gravando il popolo del relativo pagamento "senza alcun riguardo per i poveri" imponendo una colletta di 6 giulii a fuoco che eseguì con la forza. Per tali gravi motivi la Congregazione dei Baroni si pronunciò con un comandamento contro la casa della Bardosiera. questo costrinse Caterina Nunez Sanchez a cedere il feudo per non incappare in una liquidazione forzata a basso prezzo per i crediti pendenti. Ottenuto il consenso dei Baroni ed il beneplacito di Papa Clemente X, il 2 settembre 1674, con atto del notaio Malvezzi, i fratelli Giovanni, Pompeo, Scipione e Curzio dell'antica famiglia patrizia dei Muti Papazzurri acquistarono il feudo e tutte le proprietà esistenti. La popolazione, i servitori e gli ufficiali furono espressamente richiamati al loro obbligo di prestare atto di vassallaggio.. In tal modo i Muti Papazzurri entrarono in possesso del feudo e del relativo titolo marchionale di cui si fregiarono da quel momento in poi in tutti gli atti e i documenti da loro emessi. Il simbolo araldico dei Muti Papazzurri, la mezzaluna, campeggia ancora sulla facciata principale del palazzo ed è ancora ben visibile sui cippi di pietra innanzi all’arco d’ingresso della piazza, innanzi all’arco del palazzo Del Drago e innanzi al portone della chiesa parrocchiale. Pompeo Muti Papazzurri assunse quindi il titolo di Marchese di Filacciano. Sotto il governo dei Muti Papazzurri Filacciano conobbe una rinascita. I Muti Papazzurri completarono il restauro del palazzo trasformando il castello esistente "...dando alla facciata l'aspetto di palazzo secondo la moda di quell'epoca...", aggiunsero una piazza ed intervennero pesantemente sullo sviluppo del borgo. Tanto che nel 1704 arrivò a contare circa 600 abitanti. Per sviluppare il paese si servirono delle opere dell'architetto Matthia de' Rossi, allievo prediletto della bottega del Bernini. Matthia de' Rossi progettò la piazza allineando lungo un unico asse l'arco di ingresso del palazzo con l'arco di ingresso alla piazza e con la fontana del Mascherone. Un asse che secondo il De' Rossi avrebbe dovuto guidare il futuro sviluppo del borgo. Il De Rossi contribuì alla costruzione del Palazzo Muti Papazzurri a Roma in piazza della Pilotta. Durante queste modifiche urbane il 13 settembre 1706 morì il monsignore Giovanni Muti Papazzurri, fratello maggiore di Pompeo. Questo lutto innescò una guerra fratricida tra Pompeo e il fratello Scipione, che richiesero la successione legittima per via giudiziaria presso il Tribunale della Curia Capitolina. La famiglia crollò rapidamente in una fase di crisi economica e scarso impegno pubblico Da Girolamo il feudo passò nelle mani del figlio Curzio. La situazione economica molto pesante a causa dei debiti contratti per mantenere il cospicuo patrimonio edilizio spinse Curzio a scelte economiche drastiche, che portarono gran parte del vasto patrimonio artistico ed edilizio posseduto dalla famiglia a un destino precario per l'assenza di manutenzione. Durante il periodo francese Filacciano fece parte del Dipartimento del Tevere. A seguito del cosiddetto Editto di Saint Cloud emanato da Napoleone nel 1804 nacque l'attuale cimitero di Filacciano in prossimità dell'antica chiesa di Sant'Egidio. Nel 1803 Filacciano, che appartiene ancora al Marchese Muti Papazzurri, conta 445 abitanti Nel 1810, sotto il pontificato di Pio VII, Girolamo, figlio di Curzio, pressato dai debiti, arrivò a disfarsi del feudo di Filacciano e, gravemente malato, si ritirò in Marino. Filacciano diviene di proprietà del monsignore Carlo Mauri, originario di Filacciano e sostituto della segreteria di Stato all’epoca del cardinale Consalvi, che provvide al restauro del castello. Carlo Mauri era discendente da una famiglia originaria di Parma da tempo residente a Filacciano. Dalla Collezione di pubbliche disposizioni emanate in seguito al motu proprio di N.S. papa Pio VII in data 6 luglio 1816 sulla organizzazione della amministrazione pubblica relativa al riparto dei governi e delle comunità dello Stato pontificio con i loro rispettivi appodiati risulta che Filacciano faceva parte della Delegazione di Viterbo, che il comune di residenza del governatore era Civita Castellana e che i comuni uniti ai diversi luoghi di residenza erano Castel Sant’Elia, Filacciano con Torrita e Stabbia (antico nome dell'attuale Faleria). Nel 1830 Carlo Mauri passò a miglior vita e quindi, nel 1833, Filacciano passa per enfiteusi ai Franci, parenti della famiglia Mauri. Nel 1843 Francesco Mauri decise di vendere il palazzo al principe Domenico Orsini ed il titolo nobiliare al Cavalier Giuseppe Ferrajoli. Nel 1852 il Pontefice Pio IX conferma il titolo nobiliare di Marchese al Cav.Giuseppe Ferrajoli. Nello stesso anno Domenico Orsini vendette il palazzo al cavaliere Giuseppe Ferrajoli che diviene così Marchese di Filacciano con i relativi diritti e onorificenze compresa la nomina dell'Arciprete. Subito dopo, nel 1853, poiché generavano un modesto guadagno, il Marchese Ferrajoli decide di vendere il feudo ed il palazzo tenendo però per sé il titolo nobiliare di Marchese di Filacciano (titolo ancora in uso a tale Giuseppe Ferrajoli). Con atto di vendita del 1853, Filacciano diviene possedimento del Principe di Mazzano ed Antuni, don Filippo Massimiliano Del Drago. Nel 1870 Filacciano entra a far parte del Regno d’Italia fino al giugno 1946 quando, a seguito delle votazioni referendarie, fu proclamata la Repubblica italiana. Nel 1911 la popolazione di Filacciano raggiunge i 705 abitanti, numero che costituisce il valore massimo raggiunto dall'unità d'Italia in poi. A don Filippo succedette il figlio don Francesco che provvide al restauro del palazzo. Don Francesco non ebbe figli ed i possedimenti di Filacciano passarono al nipote Clemente che sposò Giacinta Ruspoli. Nel 1930 un incendio danneggiò gravemente l’edificio; una lapide posta nel sottopasso del palazzo ricorda il pericolo scampato dai tre figli del principe don Clemente Del Drago, Milagros, Francesco ed Alessandro, salvati dalla popolazione. Alla morte di Clemente, i due figli si dividono i possedimenti di Filacciano. Don Francesco sposa Maria Piacitelli in prime nozze e Anna Maria in seconde mentre don Alessandro sposa Laura Lancellotti. Da quest'ultimi discende l'attuale proprietario del palazzo, don Clemente Del Drago, principe di Mazzano e Antuni, Marchese di Riofreddo, di Ronciglianello, di Castel Diruto e di Sant'Agnese. Le ultime due tappe importanti per la storia di Filacciano sono l’approvazione del regolamento edilizio e del programma di fabbricazione (decreto provveditoriale del 20 gennaio 1971, n. 6360) nel 1971 e l’adozione del piano regolatore generale (delibera del Consiglio comunale del 7 maggio 1988, n. 29 nel 1988. Belvedere panoramico sulla Valle del Tevere, dal centro storico. Chiesa di Sant'Egidio Palazzo Del Drago Oratorio di Sant'Egidio, edificato dai Muti Papazzurri Palazzo Mauri edificato dal Marchese Gianbattista Mauri in via Filocastello nelle adiacenze del palazzo Del Drago Palazzo Arcangeli: l'attuale palazzo risale al 1500 circa ma venne edificato su preesistenti abitazioni. È ubicato in via Filocastello con un edificio ed un mulino (inattivo dal 1876) ad esso collegati tramite un percorso sopralevato in contrada Borgo (via Borgo di Sotto) Palazzo Leoni: posto a cavallo di Via Filocastello e dotato di sottopasso a livello stradale presumibilmente realizzato dalla famiglia Leoni intorno al XVII secolo su strutture preesistenti. Filacciano nonostante le ridotte dimensioni del territorio ha tre chiese, e due cappelle private: CHIESA DI SANT'EGIDIO : è la seconda costruzione del futuro borgo. Sorge su una collina che domina la valle del Tevere. Fu edificata dai monaci di Farfa proprietarí di Filacciano intorno l anno 1.000 d.C. È ricca di preziosi affreschi del XIII secolo che si sono mantenuti e in buono stato di conservazione anche il dopo il crollo del tetto la notte tra il 16 e il 17 del 1968. Gli affreschi sono stati commissionati dai coniugi Marocce nel 1228 e sono stati realizzati dal "maestro di Filacciano". Molti anni dopo viene aggiunta alla struttura di base della chiesa una cappella dedicata a San Filippo Neri, dove viene sepolto Carlo Mauri, nel 1821 cardinale della curia Romana e sostituto segretario di stato. CHIESA DI SANTA MARIA ASSUNTA: È ubicata all'interno del borgo e si può accedere da via Filocastello. Non si ha una datazione di quando fu costruita e neanche per volere di chi, ma possiamo ipotizzare che fu costruita nel XV/XVI dopo la ricostruzione del castello da parte della famiglia Orsini. La struttura ricorda molto quella della chiesa di Sant'Egidio. La chiesa è strutturata su una navata e lateralmente due absidi dedicate a santa Maria assunta ed al Salvatore. Sulle pareti laterali all'altare sono state ricavate due nicchie dove sono esposte le statue di san Valentino e sant'egidio abate. La luce entra dalle cinque finestre che ricordano lo stile gotico ed il soffitto è adornato dalle Capriate lignee Parte del comune di Filacciano è compresa nella zona di produzione della denominazione di origine protetta DOP Soratte Olio extravergine di oliva Soratte . Altri prodotti tipici sono il famoso “Pecorino Romano”, il “fico bianco di Filacciano”, le pizze fritte, i “falloni” (rustici nato dalla tradizione contadina, preparato seguendo ancora oggi un'antica ricetta a base di pasta di pane e verdure ripassate) e le classiche “fettuccine” di pasta all’uovo. Il paese è raggiunto dalla Strada Provinciale 20/a che si sovrappone alla 15/A Tiberina il cui percorso coincide con l'antica omonima strada romana, che dalla zona nord di Roma (Prima Porta), risalendo la sponda destra della valle del Tevere, attraversava l'antico agro falisco-capenate per raggiungere la sabina e proseguiva fin verso Otriculum in Umbria. Oggi, nella Città metropolitana di Roma Capitale, il suo percorso attraversa il territorio di Filacciano, si dirige sempre costeggiando il Tevere, verso la zona di Ponzano Romano fino ad oltrepassare il fiume Treja in località Borghetto (Civita Castellana). A circa 3 chilometri, nel territorio comunale di Ponzano Romano, è facilmente accessibile l'Autostrada del Sole, che per un breve tratto attraversa il territorio di Filacciano, con il casello di Ponzano Romano-Soratte. Il territorio di Filacciano è servito dalla ferrovia Roma Firenze linea metropolitana regionale FL1 Orte-Fiumicino aeroporto, dalla stazione di Poggio Mirteto Scalo, a sud e a nord dalla stazione di Stimigliano, più o meno equidistanti da Filacciano. Abitanti censiti Tra il 1816 e il 1870, faceva riferimento al distretto di Castelnuovo di Porto all'interno della Comarca di Roma, entità amministrativa dello Stato Pontificio. Iași, dal 1999 Fa parte dell'unione di comuni Unione Valle del Tevere - Soratte. Dal 2013 ha aderito alla Conferenza dei sindaci dell'area Tiberina/Flaminia/Cassia. Dal 2015 fa parte del Consorzio intercomunale dei servizi e interventi sociali Valle del Tevere insieme ad altri 16 comuni ricandenti nel distretto socio-sanitario 4 della ASL Roma 4. Filacciano e il suo territorio, Elisabetta Calabri, Dedalo, 1995. Valle del Tevere Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Filacciano Filacciano su Tiscali, su web.tiscali.it.

Ponzano Romano
Ponzano Romano

Ponzano Romano è un comune italiano di 1 179 abitanti della città metropolitana di Roma Capitale nel Lazio. Il territorio comunale di Ponzano si trova nella valle del Tevere, dove il fiume forma ampie anse e suggestivi paesaggi tra cui la caratteristica forma di un "fiasco" creato dai meandri del Tevere. Il centro storico è stato edificato su un terrazzo fluviale del Tevere, la restante parte del territorio comunale ha un andamento collinare verso occidente. Una parte del territorio comunale di Ponzano romano, costituisce un'isola amministrativa che si trova in area golenale del Tevere ed è circoscritta tra i comuni di Sant'Oreste, Civita Castellana e Poggio Sommavilla, frazione di Collevecchio. Classificazione climatica: zona D, 1828 GR/G Pare che la sua origine sia proprio collegata al fiume. Il nome del paese deriverebbe secondo alcuni da "pons Jani", ponte di Giano o forse dalla "gens Pontia", famiglia romana proprietaria di una villa e di terreni nella zona. A partire dall'VIII secolo troviamo i Benedettini insediati nell'Abbazia di S. Andrea in flumine, i quali presero possesso nella metà dell'XI secolo, del "fundus" di Ponzano. Se le prime notizie di Ponzano risalgono all'VIII secolo, epoca in cui tale località appartenne all'Abbazia di Farfa, sempre attraverso le fonti storiche, il primitivo nucleo abitativo risulta già costituito prima della fine del XIII secolo. Tuttavia all'interno del borgo le tracce monumentali più antiche non sono anteriori al secolo XIV, mentre alcune di esse lasciano intravedere un sistema difensivo di abitazioni fortificate disposte a chiusura dell'abitato. È possibile infatti individuare l'originario borgo di Ponzano, nel periodo etrusco, come un'area con nuclei abitati posti a controllare, sulla sponda destra, l'attività sul fiume acquisito come linea di confine con i Sabini insediati sulla sponda sinistra. La chiesa sarebbe stata fondata nel VI secolo da Galla figlia di Simmaco, il patrizio ucciso per ordine di Teodorico di cui era stato consigliere. Il monastero sarebbe stato edificato nell'VIII secolo da Carlomanno, fratello di Pipino il Breve e dal 747 monaco del Soratte, ove si era rifugiato dopo aver abbandonato la vita politica. Sicuramente, dall'VIII secolo i benedettini avviarono un’opera di rinnovamento e valorizzazione del territorio agricolo, rendendo il loro insediamento, in posizione strategica, un punto di riferimento produttivo agevolato dalla presenza di uno scalo fluviale - ora totalmente inagibile - che fece del sito un importante snodo per il controllo dei traffici con la città di Roma. Nel IX secolo, Sant'Andrea era una delle abbazie imperiali insieme a Santa Maria di Farfa, San Salvatore Maggiore di Rieti e Montecassino. Nel IX secolo il monastero subì forti danni in seguito alle incursioni saracene e, successivamente, nel 946, fu fortificato con la costruzione delle mura di cinta e di tre torri di difesa, ad opera di Alberico II, una delle quali fu trasformata, all'inizio del XIII secolo, in torre campanaria; il tracciato delle mura è ancora visibile. Nel 1074, il complesso monastico, insieme ad altre chiese, cenobi, castelli e borghi, divenne proprietà dell'Abbazia di San Paolo fuori le Mura di Roma, a cui tornò dopo un periodo di tempo dal 1285 al 1443, durante il quale fu amministrata da abati commendatari. Dal 1546 fu di nuovo sottoposta al regime della commenda dei Farnese, finché, dopo un nuovo periodo di autonomia nel XVII secolo, iniziò una fase irreversibile di profonda crisi economica e spirituale del monastero. Tra la fine del XVIII e l'inizio del XIX secolo, a seguito della soppressione di alcuni ordini religiosi e monasteri, l'abbazia divenne fattoria: il degrado e l'incuria provocarono il crollo delle volte di vari ambienti del cenobio, in parte adibiti a stalla. Nel 1959 fu sottoposta ad un primo restauro che salvò la chiesa ed in minima parte le antiche strutture in gran parte crollate. L'intero complesso monumentale è stato restaurato in occasione del Giubileo del 2000; i lavori sono terminati nel 2004. L'abbazia attualmente è sede dell’International Institute of Communication Onlus, ente di formazione che promuove le attività culturali del territorio. Monastero benedettino di Sant'Andrea in Flumine, dove avrebbe vissuto Benedetto di Sant'Andrea. Chiesa e convento di San Sebastiano. Chiesa di San Nicola di Bari. Chiesa di Santa Maria ad Nives. Monte Ramiano, sito archeologico. Località S. Lorenzo, muro in opera reticolata. Il "Fiasco", meandro del Fiume Tevere. Sorgente minerale dell'Acqua Forte. Il comune di Ponzano Romano è zona di produzione della denominazione di origine protetta DOP Soratte Olio extravergine di oliva Soratte Abitanti censiti Festa della Zitella. Il territorio comunale è attraversato dall'autostrada A1, la SP 20/a collega Ponzano a Filacciano (via tiberina), mentre la SP 30/b collega Ponzano a Sant'Oreste. Fra il 1906 e il 1932 la località era servita da una fermata, posta in località Cave, della tranvia Roma-Civita Castellana, gestita dalla Società Romana per le Ferrovie del Nord (SRFN). Dopo il 1932 la tramvia divenne ferrovia, mantenendo la fermata di Ponzano che, a causa della notevole distanza, ebbe sempre un traffico scarso, fino alla soppressione avvenuta negli ultimi anni. Dal 1816 al 1870 fece parte della Comarca di Roma, una suddivisione amministrativa dello Stato Pontificio. Nel 1872 Ponzano cambia denominazione in Ponzano Romano. Dal 2013 ha aderito alla Conferenza dei sindaci dell'area Tiberina/Flaminia/Cassia. Dal 2015 fa parte del Consorzio intercomunale dei servizi e interventi sociali Valle del Tevere insieme ad altri 16 comuni ricandenti nel distretto socio-sanitario 4 della ASL Roma 4. Valle del Tevere Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Ponzano Romano Abbazia di Sant'Andrea in Flumine, su abbaziadisantandrea.com.

Farfa

Il Farfa è un fiume, affluente della riva sinistra del fiume Tevere. Nasce nei Monti Lucretili, originato dalla confluenza del Fosso della Mola (o Rumeano), del Fosso delle Mole e dal contributo delle copiose sorgenti dette "Le Capore", situate nel territorio comunale di Frasso Sabino, in realtà quasi totalmente convogliate dall'ACEA nell'acquedotto del Peschiera-Capore che alimenta Roma. È un affluente del fiume Tevere a regime quasi torrentizio con alveo la cui componente sassi-ciottoli è preponderante. Il Farfa bagna i comuni di Monteleone Sabino, Frasso Sabino, Casaprota, Poggio Nativo, Mompeo, Salisano, Castelnuovo di Farfa, Fara in Sabina e Montopoli di Sabina dove segna il confine tra i due comuni e dove, nel territorio di Montopoli scavò nei secoli un ponte naturale nei depositi fluvio-lacustri quaternari (sabbioso-conglomeratici), ora distrutto (vedi Ponte Sfondato). Il Farfa continua nella Valle del Tevere nei comuni di Torrita Tiberina e Nazzano nella Città Metropolitana di Roma, dove, alla confluenza del Farfa col fiume Tevere, nel 1979 dopo la costruzione della diga di Meana e la formazione del Lago di Nazzano è stata istituita una riserva naturale gestita dalla Regione Lazio: la Riserva naturale di Nazzano, Tevere-Farfa. Le acque del Farfa sono particolarmente fredde. Per via del suo letto, costituito essenzialmente da ciottoli, e per via della notevole impetuosità, le acque del torrente, in particolari circostanze, possono assumere una colorazione quasi bianca, dovuta all'effervescente spumosità che vi si crea, tale da sembrare un vero e proprio fiume di latte. Per la sua frescura, e per la presenza di ampie sponde a ciottoli, in estate il torrente diviene anche un luogo di balneazione. Con la costruzione di una diga a Salisano che ne capta l'acqua quasi alla fonte, la sua portata è di molto inferiore a quella originale. La sua acqua, infatti, viene prelevata e convogliata nell'Acquedotto del Peschiera-Capore (il cui nome deriva da quello della sorgente del Farfa) che rifornisce la Capitale. A maggio del 2008, l'associazione ONLUS Giardino faunistico di Piano dell'Abatino, della provincia di Rieti, ha presentato alla Regione Lazio una proposta per la creazione di un Monumento naturale sul corso inferiore del fiume. È un tratto del fiume che, al di là delle leggi nazionali di tutela, non gode di particolari protezioni ed è sottoposto a gravi rischi di inquinamento causato da impianti di lavorazioni di inerti, di produzioni di materiali bituminosi, e da scarichi fognari non depurati. Nell'insieme, le acque del Farfa sono particolarmente pulite, soprattutto nel tratto iniziale, con presenze faunistiche e floristiche di un certo pregio. Ma più a valle, mano a mano che ci si avvicina alle foci, la qualità decade e le specie faunistiche si impoveriscono anche per la forte pressione antropica dovuta all'esercizio venatorio. Questa proposta di area protetta risponde, quindi, all'esigenza di tutelare un corso d'acqua di pregio costantemente utilizzato, dalle popolazioni locali, per la balneazione e lo svago, durante l'estate, ma anche per attività alieutiche nei laghetti presenti sul territorio di Castelnuovo di Farfa, dove si potrebbero realizzare programmi di ripopolamento di specie autoctone di salmonidi, di altre specie ittiche, e di crostacei. La proposta intende fermare il degrado cui andrebbe incontro l'intero corso del fiume e valorizzarne sia gli aspetti naturalistici sia la pubblica fruizione compatibilmente con un ecosistema fragile e sottoposto a forte pressione antropica. Grazie alla Legge Regionale del 22 ottobre 2018, n.7 (pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione Lazio del 23 ottobre 2018, n.86) il tratto finale del fiume che va dalla località Granica (frazione di Montopoli di Sabina) alla confluenza con il fiume Tevere, è stato incluso nella Riserva naturale di Nazzano, Tevere-Farfa. Il Farfa è citato da Ovidio, nelle Metamorfosi, col nome di Farfarus: Le acque limpide del Farfa sono oggetto di una citazione di Sidonio Apollinare, poeta e santo, in viaggio da Ravenna a Roma nel 467: Valle del Tevere Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Farfa Wikivoyage contiene informazioni turistiche su Farfa