place

Stazione di Milano Lambrate (1906)

LambratePagine con mappeStazioni ferroviarie attivate nel 1906Stazioni ferroviarie di MilanoStazioni ferroviarie soppresse d'Italia
Stazioni ferroviarie soppresse nel 1931
Lambrate former railway station
Lambrate former railway station

La prima stazione di Milano Lambrate, in esercizio dal 1906 al 1931, era una stazione ferroviaria posta sulla linea Milano-Venezia. Sorgeva in località Ortica, allora frazione del comune di Lambrate (annesso nel 1923 a Milano). La ferrovia segnava il primo isolamento della località Cavriano dal successivo sviluppo dell'Ortica e di Milano. La stazione, sita alla progressiva chilometrica 3+686 della linea Milano-Venezia, fra le stazioni di Milano Centrale e di Limito, venne attivata il 27 agosto 1906, e inizialmente abilitata al solo traffico merci. Il 18 novembre successivo venne abilitata anche al traffico passeggeri. La stazione fu dismessa nel 1931 col riassetto totale del nodo ferroviario di Milano e con l'attivazione al traffico passeggeri della seconda stazione. Il fabbricato viaggiatori, al 2021 ancora esistente ed utilizzato come circolo ricreativo dai ferrovieri, sorge vicino alla chiesa dei Santi Faustino e Giovita, nel quartiere Ortica. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla vecchia stazione di Milano Lambrate

Estratto dall'articolo di Wikipedia Stazione di Milano Lambrate (1906) (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

Stazione di Milano Lambrate (1906)
Via Giovanni Antonio Amadeo, Milano Municipio 3

Coordinate geografiche (GPS) Indirizzo Luoghi vicini
placeMostra sulla mappa

Wikipedia: Stazione di Milano Lambrate (1906)Continua a leggere su Wikipedia

Coordinate geografiche (GPS)

Latitudine Longitudine
N 45.4704 ° E 9.24066 °
placeMostra sulla mappa

Indirizzo

La Balera dell'Ortica

Via Giovanni Antonio Amadeo
20059 Milano, Municipio 3
Lombardia, Italia
mapAprire su Google Maps

Lambrate former railway station
Lambrate former railway station
Condividere l'esperienza

Luoghi vicini

Ortica (Milano)
Ortica (Milano)

L'Ortica (Urtiga in dialetto milanese, AFI: [yr'ti:ɡa]) è un quartiere di Milano, appartenente al Municipio 3. Ortica era una frazione del comune di Lambrate (annesso a Milano nel 1923). Il nome deriva dal fatto che originariamente sui suoi campi era molto diffusa l'ortica. La località è stata resa celebre in una canzone di Enzo Jannacci, dedicata a una locale banda criminale. Nonostante la presenza di testimonianze risalenti ai secoli VI e VII secolo d.C, la prima attestazione del nome Ortica risale soltanto al 1696, in un documento conservato all'Archivio di Stato. Decisamente più antica è invece l'attestazione della vicina località Cavriano, appena a sud dell'Ortica, storicamente appartenuta al monastero cittadino di Santa Maria Valle: essa risulta infatti già attestata in un documento del 1014 ed è anche riportata in una carta secentesca del Claricio, oltre che rilevata nel Catasto Teresiano del (1760), occupando una vasta zona tra Lambrate e Monluè, all'interno della quale si trovava anche l'Ortica. Il toponimo Ortica infatti - e la stessa località - cominciarono ad affermarsi soltanto nei decenni successivi alla costruzione della strada ferrata per Treviglio, che avrebbe costituito un elemento di cesura netto tra la zona a nord, che avrebbe vissuto un rapido sviluppo industriale, e quella a sud, che sarebbe rimasta agricola. Dal 1896 al 1931 fu attiva nel quartiere la Stazione di Lambrate; il fabbricato viaggiatori è ancor oggi esistente, adibito ad altri usi. Il progressivo sviluppo ferroviario della città pose l'Ortica in un punto di snodo tra le diverse linee. A est del quartiere sorse inoltre il deposito delle locomotive. Il centro storico e civile dell'Ortica è rappresentato dall'antica chiesetta dedicata ai santi Faustino e Giovita, martiri della prima età cristiana divenuti patroni di Brescia, che sorge sull'antica strada consolare romana che raggiungeva Aquileia, passando naturalmente per Brescia. La deindustrializzazione iniziata negli Anni Novanta del Novecento ha profondamente trasformato il quartiere operaio, che tuttavia è riuscito a conservare vitalità alla propria identità popolare. Questa resilienza si è manifestata, ad esempio, nella trasformazione del dismesso stabilimento Ginori di via Tucidide in un megacondominio di circa 500 loft ad uso residenziale, di studi di artisti, musicisti, o anche di cucina e gastronomia. Un altro grande progetto è quello iniziato nel 2015 che si concreta nella realizzazione dei 20 grandi murales del progetto Or.Me. realizzati sui muri del quartiere a raccontarne la memoria e la storia. Progetto che continua, si va ampliando e richiama anche l'autonoma attività di altri artisti di strada. Uno degli ultimi murales realizzati, nel 2023, è stato il "murales dei diritti", in via San Faustino, omaggio a 200 persone straordinarie, visionarie che hanno avuto il coraggio di sfidare le convenzioni sociali e che, con passione, impegno e determinazione, hanno fatto la storia dei diritti umani e civili. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Ortica Storia di Tucidide, un microcosmo creativo alla periferia est di Milano Stret art a Milano: Or.Me., Ortica Memoria Sito di OrMe - Ortica Memoria Vecchio e nuovo si incontrano all’Ortica: il quartiere museo (Passipermilano)

Cavriano
Cavriano

Cavriano (Cavrian in dialetto milanese, AFI: [kaˈvrjãː]) è un antico borgo agricolo, già frazione di Lambrate, incluso nel territorio comunale di Milano a partire dal 1923 e facente parte del Municipio 4. Si sviluppava lungo l'antica strada che portava da Monluè a Lambrate, che prende il nome nell'unico tratto sopravvissuto di via Cavriana. Le prime tracce attestate di un insediamento agricolo in nell'area di Cavriano risalgono al 1014, e si fa più consistente nel secolo successivo, con la fuoriuscita di molti milanesi dalla città dopo l'arrivo del Barbarossa, che trovarono rifugio qui, all'Ortica e nella vicina Lambrate. Fra il XVI e il XVII secolo la peste raggiunge anche il piccolo borgo, e Carlo Borromeo dispone la costruzione in loco di capanne per ospitare coloro che erano in esubero nel Lazzaretto. Raggiunto forse l'apice della prosperità nel corso della prima metà del Settecento il borgo, cui le riforme dell'imperatrice Maria Teresa tolsero il rango di comune annettendolo a Lambrate nel 1757, iniziò un lento inesorabile declino, che proseguì per tutto il secolo successivo, quando la Ferrovia Ferdinandea – così chiamata in onore dell'Imperatore d'Austria Ferdinando I – la separò fisicamente dall'Ortica, dando inizio ad un lungo periodo d'isolamento che – in parte – continua tuttora. L'antico borgo sopravvive oggi negli appezzamenti agricoli e nelle due cascine che si affacciano lungo la via Cavriana, una stradina di campagna stretta e irregolare che da viale Forlanini termina in via Tucidide, sotto al cavalcavia Buccari. Il tratto iniziale della via Cavriana, venendo da viale Forlanini, appare come un qualcosa di radicalmente diverso rispetto alle forme di quella strada di campagna che assume poco più avanti. La via è infatti chiusa da entrambi i lati da palazzine residenziali (sulla sinistra) e da imponenti complessi di uffici (sulla destra). Comincia ad assumere una forma più agreste poco prima dell'imbocco della via Gatto (che riporta in viale Forlanini), dove palazzine e uffici sono sostituite da piccoli capannoni e aree dismesse, circondate da lamiere. In una di queste si trova anche il deposito comunale in cui viene custodito il pavé, utilizzato dagli zingari come rifugio. L'area è infatti caratterizzata dalla forte presenza di accampamenti abusivi, abitati sia da zingari che da stranieri senzatetto. La parte superiore di Cavriano è invece occupata da attrezzature sportive e da un vivaio. Da segnalare inoltre la presenza dello scheletro di un vecchio gasometro, attualmente facente parte della centrale di cogenerazione "Canavese" della A2A, laddove sorgeva l'antica Cascina Canavese. L'area di Cavriano è fisicamente delimitata ad ovest dalla presenza del rilevato ferroviario della Cintura di Milano (già attiva dal 1914), che sovrappassava la vecchia Milano – Venezia coi ponti attualmente utilizzati dalla via Marescalchi che prosegue sul cavalcavia Buccari. Appena sotto quest'ultimo si apriva un tempo il piazzale della prima stazione di Lambrate all'Ortica (dismessa nel 1931), di cui rimane oggi soltanto il vecchio fabbricato viaggiatori, utilizzato come centro ricreativo per i ferrovieri. Poco più spostato corre il nuovo tracciato della Milano – Venezia. La Cascina Cavriano, che risale addirittura al Seicento, si estende sui due lati della strada, dividendosi nel corpo principale, quello padronale, e nei corpi aggiunti, tuttora in stato d'abbandono. Fra i beni dell'Ospedale Maggiore fino al 1967, passò poi al Comune di Milano che ne è tuttora il proprietario. La famiglia Colombo da quasi tre secoli si tramanda di padre in figlio la conduzione del podere, unica cascina all'interno del Comune di Milano ancora in attività e riconosciuta come agriturismo. Posta sulla via Cavriana, appena sotto l'omonima Cascina, la Cascina Sant'Ambrogio sorse dall'accorpamento dei resti di una piccola chiesa romanica tardo trecentesca, dedicata appunto al santo da cui ha poi preso il nome la cascina. Facente parte della Pieve di Segrate, era di proprietà delle monache di Santa Radegonda, che probabilmente qui vi avevano retto anche un piccolo complesso monastico. Risale alla seconda metà dell'Ottocento la demolizione di queste strutture, delle quali sopravvive esclusivamente l'abside. La cascina nelle sue forme attuali risale ad allora, e si compone di un corpo principale sul quale si innestano due rustici adibiti a stalla e deposito. Pur privata del resto della chiesa, l'abside conservava ancora agli inizi del Novecento alcuni affreschi interni, andati in seguito perduti per via del prolungato uso di questa come ghiacciaia. Il primo piano regolatore a contemplare le sorti del borgo agricolo di Cavriano è stato nel 1934 il Piano Albertini. Coerentemente con l'urbanizzazione forzata che portava avanti per tutta la superficie del Comune di Milano, la nuova maglia viabilistica che lottizza i territori ivi compresi calò indistintamente su tutta l'area, incurante della preesistenza della Cascina Cavriano e della Cascina Sant'Ambrogio, che sarebbero state spazzate via secondo quest'ipotesi dalla successiva speculazione. La nuova maglia viabilistica riprendeva il disegno della città presente all'interno della Cintura ferroviaria (che risaliva al piano Pavia-Masera, del 1912), con strade larghe 15, 30 e 60 m. La via Pannonia avrebbe costituito lo sbocco verso l'esterno dell'asse di viale Argonne: scavalcando infatti la ferrovia si sarebbe poi biforcata su due assi, uno in direzione dell'Aeroporto di Linate, l'altro che si sarebbe immesso sulla vecchia strada per Limito. Significativa la presenza del grande Canale Navigabile, che avrebbe attraversato l'area da nord a sud, in direzione del Porto di Mare. Attorno a questo era prevista un'ampia area industriale, propriamente detta “del Porto”. Tuttavia già nella seconda metà degli anni trenta, si procedette alla realizzazione dell'attuale Cavalcavia Buccari, alzando il livello stradale e chiudendo i due fornici laterali (adibiti a garage), contrariamente a quanto previsto dal Piano che prevedeva lo scavalco col prolungamento della via Pannonia. Curiosa l'intitolazione della struttura alla cittadina croata celebre per la cosiddetta “beffa” fra il 10 e l'11 febbraio 1918, intotolazione tipica dell'era fascista, sopravvissuta fino ai nostri giorni. Col Dopoguerra scomparve definitivamente ogni progetto di lottizzazione (e di estensione della maglia viaria) nelle aree poste ad est della ferrovia, in favore molto probabilmente di una saturazione dei territori ad ovest, in larghissima parte ancora inedificati. L'inquadramento del Piano di Ricostruzione del 1946 mostra bene la sostanziale differenza fra i terreni posti ad est della ferrovia – rimasti totalmente agricoli – e quelli ad ovest – in parte ancora agricoli, ma caratterizzati da un disegno urbano. Curiosamente rimane il progetto del Canale, che seguirà qualche anno più tardi le stesse sorti del Porto di Mare. Il nuovo PGT contempla un'ambigua valorizzazione dell'area, che prevede la totale edificazione lungo i suoi margini (viale Forlanini e via Tucidide) e la realizzazione di un corridoio verde che dal Parco Forlanini inglobi i terreni agricoli residuali. Secondo quest'ipotesi, comunque piuttosto discussa, le cascine scomparirebbero lasciando posto alle nuove edificazioni e all'area verde. Fondamentale per la nuova spinta edilizia l'arrivo della M4, che dal 26 novembre 2022 effettua le fermate Repetti e Stazione Forlanini su aree poste ai margini sud ed ovest di Cavriano. Inoltre in corrispondenza di Stazione Forlanini è presente la fermata ferroviaria di Milano Forlanini, servita dalle linee S5, S6, S9 del servizio ferroviario suburbano di Milano. Municipio 4 di Milano Ortica (Milano) Lambrate Viale Forlanini Linea M4 (metropolitana di Milano) Stazione di Milano Forlanini Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Cavriano

Omicidio di Sergio Ramelli
Omicidio di Sergio Ramelli

L'omicidio di Sergio Ramelli (nato il 6 luglio 1956) fu un crimine commesso a Milano nel 1975 durante gli anni di piombo. La vittima fu uno studente milanese di diciannove anni militante del Fronte della Gioventù, formazione politica di destra, aggredito il 13 marzo da un gruppo di militanti della sinistra extraparlamentare legati ad Avanguardia operaia formato da: Marco Costa, Giuseppe Ferrari Bravo, Claudio Colosio, Antonio Belpiede, Brunella Colombelli, Franco Castelli, Claudio Scazza e Luigi Montinari. Il giovane, a causa dei traumi riportati, morì il 29 aprile, oltre un mese e mezzo dopo l’aggressione. I responsabili furono identificati dieci anni dopo l'accaduto e, dopo un'iniziale condanna per omicidio preterintenzionale in primo grado, furono riconosciuti colpevoli di omicidio volontario al termine dei tre gradi di giudizio del processo, durato dal 1987 al 1990. Nei primi mesi del 1975 l'ITIS "Ettore Molinari" di Milano, presso il quale Ramelli studiava chimica industriale, era teatro di accesi scontri politici tra studenti estremisti di destra e di sinistra, situazione comune a molte scuole superiori e università italiane. L'edificio, risalente ai primi anni sessanta, non permetteva un adeguato controllo dell'ordine pubblico interno e per questo si era guadagnato la reputazione di luogo a rischio. Le posizioni politiche di Sergio Ramelli, fiduciario del Fronte della Gioventù, erano ben note nell'istituto in quanto da lui stesso più volte professate in pubblico e gli procurarono due aggressioni in un breve lasso di tempo che lo spinsero, nel febbraio 1975, a lasciare il “Molinari” per proseguire l'anno scolastico in un istituto privato. Secondo quanto reso noto in seguito da sua madre, Sergio in un tema scolastico aveva espresso posizioni di condanna delle Brigate Rosse, aggiungendovi una nota di biasimo verso il mondo politico per il mancato cordoglio istituzionale di fronte alla morte di due militanti del MSI, Giuseppe Mazzola e Graziano Giralucci, uccisi durante l'assalto alla sede del MSI di Padova avvenuto l'anno precedente (17 giugno 1974). Il tema, dopo essere stato sottratto al professore, che ne aveva data pubblica lettura in classe, fu affisso in una bacheca scolastica e usato come “capo d'accusa” in una sorta di “processo politico” scolastico, istituito contro Ramelli da studenti che lo accusavano di essere fascista. Il 13 marzo 1975, Ramelli stava ritornando a casa, in via Amadeo a Milano; parcheggiato il suo motorino poco distante, in via Paladini, si incamminò verso casa. All'altezza del civico 15 di via Paladini, fu assalito da un gruppo di extraparlamentari comunisti di Avanguardia operaia armati di chiavi inglesi, e con queste colpito più volte al capo; a seguito dei colpi, Ramelli perse i sensi e fu lasciato esangue al suolo. La testimonianza resa da Marco Costa durante il processo fu la seguente: A sua volta, Giuseppe Ferrari Bravo rese la seguente testimonianza: Pochi minuti dopo l'aggressione, un commesso vide il corpo coperto di sangue e allertò la portinaia del palazzo di via Amadeo, dove il giovane abitava. La portinaia, riconosciutolo, avvertì la polizia e i soccorsi medici; un'ambulanza lo portò all'Ospedale Maggiore, precisamente all'ex padiglione «Beretta» specializzato in neurochirurgia, dove il ragazzo fu sottoposto a un intervento chirurgico della durata di circa cinque ore, nel tentativo di ridurre i danni causati dai colpi inferti alla calotta cranica. Il decorso post-operatorio fu caratterizzato da periodi di coma alternati ad altri di lucidità; le complicazioni cerebrali indotte dall'aggressione lasciavano i sanitari dubbiosi sul recupero delle piene funzionalità fisiche. Nel corso dell'assemblea consiliare al Comune che fece seguito all'aggressione, l'allora sindaco Aldo Aniasi dovette fronteggiare una turbolenta seduta nel corso della quale, a fronte della condanna istituzionale dell'aggressione e alle risentite stigmatizzazioni dell'accaduto dei partiti di destra, vi fu, tra il pubblico presente, chi applaudì alla notizia del fatto e rivolse fischi al rappresentante del MSI Tomaso Staiti di Cuddia delle Chiuse che aveva in quel momento la parola. All'applauso presero parte anche diversi consiglieri comunali di sinistra. Mentre Ramelli era ancora in coma, a Milano seguirono altre aggressioni a esponenti della destra. Il 16 aprile un gruppo di estremisti di sinistra assalì tre giovani del FUAN che stavano effettuando un volantinaggio. Antonio Braggion, iscritto anche ad Avanguardia Nazionale, sparò contro gli aggressori con la pistola, detenuta illegalmente, che aveva in auto, uccidendo con un colpo alla schiena lo studente Claudio Varalli. Il 17 aprile fu aggredito l'avvocato Cesare Biglia, allora consigliere provinciale del MSI, che per questo subì un delicato intervento chirurgico. La moglie, che era con lui, fu ferita a una gamba. Il 18 aprile il sindacalista della CISNAL Francesco Moratti, ex combattente della RSI e invalido di guerra, fu anch'egli ricoverato in ospedale dopo essere stato picchiato e lasciato in terra mentre i locali in cui si trovava venivano dati alle fiamme. Anche il cameriere Rodolfo Mersi, il panettiere Rinaldo Guffanti e il giovane liberale Pietro Pizzorno furono ricoverati in ospedale, al reparto craniolesi, dopo aver subito aggressioni con chiavi inglesi. Il 28 aprile, un giorno prima che Sergio morisse, un gruppetto staccatosi da un corteo della sinistra si recò presso la casa della famiglia Ramelli, dove lasciò scritte sui muri e affisse un manifesto nel quale si minacciava il fratello Luigi di morte se non fosse sparito entro quarantotto ore. Subito dopo aver saputo che Ramelli era in coma, alcuni membri del commando – tra cui Montinari, principale pentito al processo – smisero la militanza. Altri invece, l'anno seguente, Il 31 marzo 1976 avrebbero assaltato il bar Porto di Classe, ritenuto un abituale ritrovo della destra. Per l'occasione, al servizio d'ordine di Avanguardia Operaia si aggregarono anche i Comitati antifascisti. Il locale fu devastato e incendiato, tutte le vetrine infrante e feriti sette avventori, tre dei quali furono ridotti in gravi condizioni: uno di loro restò invalido per tutta la vita. All'assalto parteciparono anche Marco Costa e Giuseppe Ferrari Bravo. Ramelli morì il 29 aprile 1975, quarantasette giorni dopo l'aggressione. I funerali ebbero luogo nella chiesa dei Santi Nereo e Achilleo: il feretro giunse in chiesa quasi di soppiatto poiché le autorità locali avevano vietato il corteo funebre e gli estremisti di sinistra avevano minacciato di usare chiavi inglesi contro eventuali partecipanti. Il presidente della Repubblica Giovanni Leone inviò una corona di fiori e alle esequie presenziò l'allora segretario del MSI Giorgio Almirante. Nel corso della celebrazione, quattro militanti di destra furono denunciati per apologia del fascismo in ragione di saluti romani rivolti al feretro e a cerimonia conclusa circa trenta giovani, inneggiando alla figura del Duce, cercarono di raggiungere una vicina sede del PCI, ma furono dispersi dalla polizia. A seguito degli scontri con le forze dell'ordine, altri tre militanti furono incriminati per manifestazione sediziosa e apologia del fascismo. Nel frattempo, dalle finestre delle aule della facoltà di Medicina che davano su piazzale Gorini, alcuni giovani con i volti coperti da fazzoletti rossi avevano fotografato i partecipanti al funerale: molte delle foto scattate quel giorno sarebbero poi state ritrovate nel cosiddetto "covo di viale Bligny". Ramelli fu inumato nella tomba di famiglia presso il Cimitero maggiore di Lodi. Le deposizioni dei testimoni, Ernesto De Martini, che aveva inseguito alcuni membri del gruppo per qualche centinaio di metri, e una donna anziana che aveva assistito alla scena, portarono a dedurre che l'aggressione fosse stata compiuta da due persone, di cui una con una sciarpa bianca, entrambe sui 18-20 anni, col sostegno di un gruppo più numeroso (8 o 10 persone). Il commando aveva agito a piedi ed era fuggito verso via Venezian, in Città Studi. Le prime indagini portarono a ipotizzare che gli esecutori dell'azione fossero studenti dell'Istituto Molinari, che la mattina prima avevano tenuto una manifestazione politica al provveditorato di Milano. Furono fermati una decina di giovani e furono identificati tre studenti che avevano frequentato la stessa classe di Ramelli prima che quest'ultimo si trasferisse in un altro istituto scolastico. I tre studenti furono sospettati perché non erano rientrati dopo la manifestazione. Come s'è detto, Ramelli aveva avuto problemi per la sua militanza, fino a essere stato "condannato" da un'assemblea studentesca, e, all'atto della rinuncia agli studi presso l'istituto, anche verso i genitori vi era stato un atto d'intolleranza da parte di alcuni studenti. Nel quartiere, era noto come fascista. La questura, dopo alcuni accertamenti, ritenne gli studenti del Molinari estranei ai fatti e continuò le indagini nell'ambito dei gruppi dell'estrema sinistra attivi nel quartiere di Città Studi, una zona in cui Ramelli era stato visto effettuare affissioni abusive di manifesti del Fronte della Gioventù. Inoltre, il commando era stato seguito fino alla zona dove probabilmente il gruppo aveva un sostegno o una base. Le indagini negli ambienti della sinistra più estrema portarono a una debole pista, che indicava negli assassini dei membri del "collettivo del Casoretto", una piccola e poco rilevante organizzazione locale legata a Lotta Continua. Durante un colloquio informativo con gli inquirenti il 3 novembre 1982, il militante di destra Walter Sordi (già noto alle forze dell'ordine per altri fatti) affermò che l'omicidio di Ramelli era stato considerato riconducibile al gruppo di sinistra noto col nome di Collettivo "Casoretto". Pertanto un commando dei NAR guidato da Gilberto Cavallini aveva deciso di ucciderne il capo, Andrea Bellini. Secondo le testimonianze di Sordi, il commando dei NAR era effettivamente giunto a Milano, ma il progetto non era stato portato a termine per mancanza di tempo. Altre testimonianze, di persone vicine al collettivo Casoretto, riconducono invece la mancata vendetta del NAR sul Bellini al fatto che la vittima designata si presentò con estremo ritardo sul luogo dell'agguato. Sordi non portò prove a sostegno della colpevolezza del "collettivo Casoretto" e la pista fu subito abbandonata. Già dalle prime indagini emerse come vi fosse dell'antagonismo tra gli informatori della polizia e i membri del collettivo, e la pista fu classificata come un vago tentativo di depistaggio. Alcuni membri del collettivo tuttavia sostennero la tesi fornendo informazioni imprecise o false. Anche l'alibi del principale indiziato del gruppo, Francesco Grasso, apparve agli inquirenti come un alibi di comodo per coprire qualcuno. Due giovani, i fratelli Bellini, furono interrogati senza risultati dai magistrati inquirenti. Solo anni dopo, durante l'interrogatorio a Mario Ferrandi e Ciro Paparo, militanti di gruppi armati transitati per il "Casoretto", emerse un'ulteriore pista che indicava come mandante la formazione di Avanguardia Operaia. I due non escludevano vi potessero essere uomini interni al collettivo, ma sostenevano che la matrice ideologica fosse legata ad Avanguardia Operaia. La tesi fu confermata da colloqui con altri esponenti di movimenti minori. Le indagini rimasero quiescenti finché non vennero prese in carico dai giudici istruttori Maurizio Grigo e Guido Salvini. Intanto, il giudice Guido Viola istruì alcune indagini per appurare le responsabilità di Avanguardia Operaia in altri fatti di violenza. Nel dicembre 1985, durante le indagini che avevano fatto seguito alle confessioni di tre pentiti legati alla colonna bergamasca di Prima Linea, gli inquirenti rinvennero in un appartamento di viale Bligny uno schedario contenente dati di oltre 10.000 persone considerate militanti neofascisti, di organizzazioni rivali o comunque in qualche modo potenziali obiettivi di attentati. In particolare si ritrovano molte fotografie delle persone presenti al funerale di Sergio Ramelli, corredate da schede personali sugli amici dello stesso e indicazioni circa il bar Porto di Classe. Oltre alle schede complete di descrizioni, abitudini, relazioni e contatti, furono rinvenute 5.000 fotografie. Insieme a questo materiale, vi erano numerosi documenti relativi alle Brigate Rosse e materiale per l'addestramento militare. Lo schedario, nato nei primi anni settanta a opera di Avanguardia Operaia e poi passato ad altre organizzazioni tra cui Democrazia Proletaria, era in possesso di due militanti della sinistra extraparlamentare, Marco Costa e Giuseppe Ferrari Bravo al quale l'appartamento era intestato. Intanto stavano emergendo le deposizioni dei pentiti di Prima Linea Sergio Martinelli, Michele Viscardi e Maurizio Lombino. Martinelli, in carcere coi due, aveva saputo da Lombino che l'omicidio di Ramelli era stato voluto da militanti di Avanguardia Operaia e che una ragazza conosciuta da Lombino e all'epoca studentessa a Milano vi era coinvolta; rilasciò in merito una deposizione a metà del 1985. Viscardi confermò la deposizione e ricordò che la ragazza, nota solo col nome di "Brunella", risiedeva in Svizzera. Lombino infine confermò di aver saputo del fatto direttamente da esponenti del movimento e di averne avuto un'ulteriore prova dalle parole di una studentessa di biologia con cui aveva una relazione all'epoca dei fatti. Lombino confermò il nome, ma non diede un cognome. La donna fu infine identificata in Brunella Colombelli la quale, dopo la laurea, era andata a lavorare come ricercatrice universitaria a Ginevra; tuttavia, a metà del 1985, la donna si trovava in Nicaragua per le ferie estive, il che ne rendeva impossibile il fermo e l'interrogatorio. Le indagini proseguirono all'interno del gruppo che costituiva le file di Avanguardia Operaia nel 1975: un esponente del movimento, Francesco Cremonese, confermò la struttura dell'organizzazione, che nell'Università degli Studi di Milano vedeva come capi: Giovanni "Gioele" Di Domenico per la facoltà di agraria, Roberto Grassi a fisica e Marco Costa a medicina, tutti sottoposti a Giuseppe Ferrari Bravo che teneva le redini dell'organizzazione. Il Cremonese affermò che la squadra di agraria era la più attiva, ma che Ramelli era stato aggredito da un nucleo di studenti di medicina per ordine dei capi delle altre sezioni che volevano incoraggiare una maggiore partecipazione del gruppo di quella facoltà, appena ristrutturato e ingrandito. Approfittando di un rientro dalla Svizzera della Colombelli, Grigo e Salvini ne disposero il fermo il 14 settembre 1985: dopo un primo interrogatorio, la donna fu accusata di favoreggiamento e falsa testimonianza e trattenuta in Italia; in un secondo momento, affermò di aver assistito a una conversazione riguardante il pestaggio del giovane ma di non avervi partecipato. Il 16 settembre, dopo una serie di sue deposizioni, diversi ex-militanti di Avanguardia Operaia furono arrestati. Il 16 marzo 1987 prese avvio il processo per gli accusati del crimine: Claudio Colosio, Franco Castelli, Giuseppe Ferrari Bravo, Luigi Montinari, Walter Cavallari, Claudio Scazza, medici praticanti in varie discipline e studenti all'epoca dei fatti; cui si aggiunsero: Marco Costa, che con Ferrari Bravo gestiva l'archivio segreto; Brunella Colombelli, ricercatrice, unica donna tra gli accusati; Giovanni Di Domenico, al momento dell'arresto consigliere di Democrazia Proletaria a Gorgonzola (MI); Antonio Belpiede, capogruppo del PCI a Cerignola (FG). Il gruppo era una parte del servizio d'ordine di Avanguardia Operaia nella facoltà milanese di medicina. Alcuni degli imputati vennero processati anche per altri tentati omicidi e violenze. Secondo la ricostruzione operata dagli inquirenti, i due aggressori sarebbero stati Marco Costa e Giuseppe Ferrari Bravo, che avrebbero colpito il giovane con chiavi inglesi. I due all'epoca appartenevano ad un ristretto gruppo noto come "gli idraulici" proprio per via dei pesanti utensili usati per le aggressioni. Di Domenico sarebbe stato il mandante e il pianificatore dell'azione, mentre Colombelli avrebbe avuto il ruolo di sorvegliante della vittima. Castelli, Colosio e Montinari avrebbero dovuto sorvegliare la zona e dare l'allarme in caso di pericolo. Gli altri avrebbero avuto ruoli variabili nella preparazione dell'azione e in altre violenze.Le accuse comprendevano omicidio volontario, tentato omicidio, sequestro di persona, associazione sovversiva, danneggiamento. In tutto, per il caso di Ramelli, per la faccenda di viale Bligny e per l'assalto al bar Porto di Classe, vennero imputate 25 persone. Il ruolo di avvocato per la famiglia della vittima fu sostenuto da Ignazio La Russa, avvocato ed esponente di destra e all'epoca segretario provinciale missino. Durante il processo, svoltosi regolarmente nonostante alcuni rinvii per questioni di salute del presidente della Corte d'Assise Antonino Cusmano e per disguidi tecnici, Democrazia Proletaria istituì un piccolo presidio presso Piazza Fontana, raccogliendo circa cento persone, mentre i vertici del partito presenziavano al processo. Nel 1987 il MSI organizzò un corteo di circa 500 partecipanti conclusosi sotto casa di Ramelli, nel corso del quale, secondo il quotidiano comunista L'Unità, vi furono intimidazioni e saluti romani che attirarono l'attenzione della stampa e di rappresentanti politici. Agli imputati, vista la loro posizione, fu concesso di recarsi in tribunale con mezzi propri e senza scorta delle forze dell'ordine, e di uscire per lavorare durante i giorni di arresti domiciliari. L'atipicità degli imputati suscitò molto interesse per la stampa tanto che, per consentire a tutti i giornalisti di presenziare, ad alcuni venne concesso di seguire il processo dall'interno di una delle celle presenti nell'aula. Belpiede, Ferrari Bravo e Di Domenico si dichiararono estranei ai fatti, mentre Brunella Colombelli ammise di aver fatto parte della struttura del movimento ma affermò di non essere stata a conoscenza né dei piani dell'aggressione né della sua organizzazione. Castelli, Montinari, Colosio, Scazza e Cavallari invece, confessarono l'operato scrivendo alla madre del giovane, chiedendo il perdono e offrendo e depositando presso un notaio un risarcimento di 200 milioni di lire, che la donna rifiutò. Al processo gli aggressori dichiararono che intendevano causare a Ramelli, scelto a caso tra i militanti della zona, ferite lievi con qualche giorno di prognosi, ma che la situazione era sfuggita di mano, il che contrasta con il fatto che il ragazzo fu colpito ripetutamente al cranio con chiavi inglesi Hazet da 36 mm del peso di 3,5 kg l'una. Gli imputati affermarono inoltre che a portarli a Ramelli era stata la sua notorietà quale simpatizzante di destra e che a richiedere espressamente l'azione era stato Roberto Grassi, responsabile del servizio d'ordine della colonna di Avanguardia Operaia legata a Città Studi e morto suicida nel 1981. Degli aderenti ad Avanguardia Operaia scelti per comporre il commando, alcuni nemmeno conoscevano la vittima designata. Il 16 maggio 1987 la II Corte d'assise di Milano assolse Di Domenico per insufficienza di prove e dichiarò Cavallari estraneo ai fatti. Tutti gli altri imputati furono ritenuti colpevoli di omicidio preterintenzionale in quanto venne di fatto riconosciuta l'accettazione del rischio di uccidere insito nell'atto di violenza, ma non la volontarietà dell'atto. Marco Costa ricevette 15 anni e 6 mesi di reclusione; Giuseppe Ferrari Bravo 15, entrambi per aver materialmente colpito Ramelli. Claudio Colosio ricevette 15 anni; Antonio Belpiede 13 anni; Brunella Colombelli 12 anni per aver indicato al commando di Avanguardia Operaia il luogo e l'ora in cui colpire; Franco Castelli, Claudio Scazza e Luigi Montinari 11 anni. Per le schedature ritrovate nel covo di viale Bligny e per l'assalto al bar di largo Porto di Classe avvenuto pochi giorni dopo, Ferrari Bravo e Di Domenico ricevettero rispettivamente ancora 11 e 10 anni. La condanna non soddisfece il Pubblico Ministero, che contestò il rigetto del ben più grave omicidio volontario in favore dell'omicidio preterintenzionale e depositò ricorso.Il 2 marzo 1989 la II sezione della Corte d'assise d'appello presieduta da Renato Cavazzoni accolse le richieste del pubblico ministero ma, benché l'accusa fosse mutata in omicidio volontario, riconobbe l'attenuante del concorso anomalo, che ridusse sensibilmente le pene: Costa passò da 15 anni a 11 e 4 mesi; Ferrari Bravo da 15 a 10 e 10 mesi; 7 anni e 9 mesi a Colosio invece che 15; 7 anni invece di 13 a Belpiede; 6 anni e 3 mesi a Castelli, Colombelli, Montinari e Scazza in luogo degli 11-12 iniziali. Insoddisfatta, la parte civile ricorse in Cassazione per ottenere il riconoscimento della premeditazione e il conseguente aggravio delle pene. Il 23 gennaio 1990 la I sezione della Corte di Cassazione presieduta da Corrado Carnevale rigettò la richiesta e i ricorsi della difesa confermando le sentenze di secondo grado. Costa e Ferrari Bravo tornarono in carcere, anche per via delle condanne aggiuntive, mentre gli altri imputati poterono usufruire di un condono e di pene alternative per via della loro condizione sociale e della loro ridotta pericolosità. Alcuni degli allora studenti di medicina condannati hanno successivamente fatto carriera sino a ricoprire prestigiosi incarichi ospedalieri. La ricorrenza della morte di Ramelli è occasione di manifestazioni commemorative da parte di gruppi di estrema destra e neofascisti sul luogo dell'omicidio. Il 29 aprile 1976, nello stesso giorno in cui era prevista una commemorazione organizzata dal MSI per ricordare il primo anniversario dell'omicidio Ramelli, un commando dei Comitati Comunisti Rivoluzionari uccise l'avvocato Enrico Pedenovi, consigliere provinciale milanese dell'MSI. Nel 2020 uno dei responsabili, Claudio Colosio, nel frattempo diventato medico, è stato inserito nella task force lombarda contro il coronavirus, suscitando polemiche da parte di alcuni consiglieri regionali, a causa delle quali è stato quindi rimosso. Nel 2023 la commemorazione di Sergio Ramelli all'Istituto Molinari, scuola frequentata dalla giovane vittima, alla presenza della sottosegretaria all'Istruzione Paola Frassinetti è stata occasione di polemiche. Guido Giraudo, Andrea Arbizzoni, Giovanni Buttini, Francesco Grillo e Paolo Severgnini, Sergio Ramelli, una storia che fa ancora paura, EFFEDIEFFE edizioni, 1997. ISBN 88-85223-14-1 Luca Telese, Cuori neri. Dal rogo di Primavalle alla morte di Ramelli, Sperling & Kupfer, 2006. Le Vere Ragioni, 1968/1976: atti di un convegno organizzato da Democrazia Proletaria nel 1985. Giorgio Melitton, Per memoria di Sergio Ramelli, 1995: il racconto di un suo professore. Neofascismo Avanguardia Operaia Guido Salvini (giudice) Giardino Sergio Ramelli Fronte della Gioventù Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Sergio Ramelli "Archivio Ramelli" raccolta di documenti e articoli di giornale sul caso Sito ufficiale delle commemorazioni, con storia e documenti archivistici

Chiesa dei Santi Nereo e Achilleo (Milano)
Chiesa dei Santi Nereo e Achilleo (Milano)

La Basilica dei Santi Nereo e Achilleo è un luogo di culto cattolico di Milano, situato in viale Argonne 56, nella zona dell'Acquabella. La nuova chiesa venne progettata come una basilica, con una navata centrale e due laterali. Le dimensioni complessive del corpo dovevano essere di 65 metri in lunghezza, e di 28 metri in larghezza (di cui 18 per la navata centrale e 5 per ciascuna delle navate laterali). I lavori di costruzione iniziati nel 1937, ad opera dell'architetto Giovanni Maria Maggi, procedettero a rilento per varie ragioni; la consacrazione dell'edificio avvenne soltanto il 6 dicembre 1940 ad opera del cardinale Schuster, che fu l'ispiratore della nuova chiesa. Il 17 gennaio 1990 la chiesa parrocchiale è stata elevata a basilica minore da papa Giovanni Paolo II. All'interno della chiesa sono conservati: il ciclo di affreschi del battistero dipinti da Piero Fornari, il solenne battistero voluto dal cardinale Schuster nell'ottica di un recupero delle consuetudini della prima Chiesa ambrosiana, il ciborio, ricostruito nel 1966, a imitazione di quello della basilica madre di Roma e l'abside affrescato da Vanni Rossi raffigurante Cristo re in gloria fra angeli, evangelisti e apostoli e la grande vetrata della facciata che riporta l'angelo Mistico. Card. Alfredo Ildefonso Schuster, Il battistero della Basilica dei SS. Achilleo e Nereo in Milano, Milano, Edizioni Ancora, 1942, p. 18, OCLC 886519496. Ospitato su archive.is. Chiese di Milano Nereo e Achilleo Parrocchie dell'arcidiocesi di Milano Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su basilica dei Santi Nereo e Achilleo Sito ufficiale, su lnx.nereoachilleo.it. Chiesa dei Santi Nereo e Achilleo, su BeWeB, Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici della Conferenza Episcopale Italiana. Chiesa dei Santi Nereo e Achilleo, su LombardiaBeniCulturali, Regione Lombardia.