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Soave

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Soave panorama castello
Soave panorama castello

Soave (Soàve in veneto) è un comune italiano di 7 188 abitanti della provincia di Verona in Veneto, Bandiera arancione del Touring Club Italiano. È noto per il castello Scaligero e il tipico vino che porta il suo nome. Soave dista circa 20 chilometri (in linea d'aria) da Verona. Rispetto al capoluogo è in posizione est. È facilmente raggiungibile prendendo l'autostrada A4 (uscita Soave-San Bonifacio), mentre la stazione ferroviaria più vicina è quella di San Bonifacio. Il territorio comunale ha un'altitudine che varia dai 25 metri della Bassa agli oltre 400 dell'area collinare vinicola ai piedi dei Monti Lessini, mentre il capoluogo comunale sorge a 40 m s.l.m. Si trova allo sbocco della Val Tramigna e poco distante dalla Val d'Alpone. Dalle sue colline si possono osservare i profili dei Monti Berici e dei Colli Euganei. Come giurisdizione ecclesiastica il Comune di Soave comprende le parrocchie di Soave, Castelcerino, Fittà, Castelletto e Costeggiola. La derivazione del toponimo del paese è oscura: alcuni sostengono che derivi dai Suaves (citati da Paolo Diacono nella celebre Historia Langobardorum) ovvero gli Svevi (nell'italiano medievale sono scritti come Soavi), popolazione che, con le invasioni barbariche, si stanziò nell'Italia settentrionale e che venne sottomessa dai Longobardi. Una bolla di Papa Eugenio III (1145) chiama il paese Suavium ovvero terra dei Soavi (a sua volta leggibile come terra degli Svevi). Per l'epoca romana abbiamo, come testimonianza, i sepolcreti della frazione Castelletto, quello di contrada Cernìga, quello nei pressi della chiesetta della Bassanella ed altri. Inoltre alcune lapidi vennero studiate dal Mommsen. Probabilmente, vista la vicinanza, Soave era un pagus importante nei pressi della Via Postumia. Nel 932, un diacono, tale Dagilberto, fa testamento e dispone in eredità beni posti in Soave. Documento più importante è quello che attesta per la prima volta l'esistenza del castello (934), in un secolo dove gli Ungari penetrano nell'Europa Occidentale. In realtà è probabile che il castello sorga su un antico fortilizio romano. Nel 1029 abbiamo la Pieve di San Lorenzo segnalata tra le 48 Vicarie Foranee della Diocesi di Verona.Tutt'oggi è rimasta solo la muratura perimetrale della chiesa trasformata in abitazioni ubicata nel Borgo San Lorenzo, sulla vecchia strada per Villanova. Con il trattato di Campoformio (1797) cadeva la Serenissima e iniziava la dominazione austriaca che, nel 1805, ritornò francese; Soave divenne centro del Distretto della Tramigna comprendente anche Caldiero, Colognola ai Colli e Illasi. Nel 1809 ci furono scontri tra austriaci e francesi in un'area tra Cazzano di Tramigna e Soave. Con il Congresso di Vienna (1815), il Veneto passò nel Regno Lombardo Veneto fino a quando, nel 1866, anche Soave entrò a far parte del Regno d'Italia. Lo stemma del Comune di Soave è stato concesso con decreto firmato dal Capo del Governo il 1º febbraio 1931. Santuario di Santa Maria della Bassanella - XI secolo Duomo di San Lorenzo - XIII secolo Chiesa di San Giorgio - XIII secolo. Situata in Borgo Covergnino (sulla strada per Monteforte d'Alpone si vedono le indicazioni), quasi sicuramente diede il nome al borgo in quanto Covergnino non è altro che la deformazione linguistica di conventino (ovvero piccolo convento, quello che esisteva a fianco della chiesa). Venne edificata nel Duecento per volontà dei Francescani. In facciata c'è un bassorilievo con san Giorgio a cavallo che uccide il drago. Lo stile semplice con cui venne costruita la chiesa è confermato dal rozzo campanile. Gli affreschi interni son andati irrimediabilmente perduti in quanto distrutti al tempo della peste del 1630; restano alcune tracce che si possono attribuire al Giolfino (tra fine Quattrocento e metà Cinquecento). Dal centro del soffitto della chiesa pende la coda di un animale preistorico. Chiesa di Santa Maria dei Domenicani (o Santa Maria di Monte Santo) - XV secolo. Il tempio che sorge a pochi passi da piazza Antenna, sulla strada che porta al castello, venne edificato nel 1443 inizialmente in stile romanico. Fu riedificata nello stesso secolo per consiglio e sotto la direzione di fra' Giocondo, soavese d'origine secondo la tradizione e autore della loggia che porta il suo nome in piazza dei Signori a Verona. L'interno è ad unica navata con cappelle dedicate a santa Lucia e sant'Apollonia, sante presenti anche in altri cicli pittorici della Val Tramigna. Attualmente la chiesa è usata per mostre e manifestazioni mentre l'attiguo convento ospita la biblioteca civica di Soave. Chiesa di Sant'Antonio - XVII secolo. In via San Matteo, venne fatta costruire nel 1677 da Matteo Cusani, di nobile famiglia che aveva ricchi possedimenti a Soave e in altre località della provincia veronese. L'interno presenta un altare, in stile barocco, e pregevoli quadri della Via Crucis. Chiesa di San Rocco - XV secolo. Usciti da porta Aquila, sulla strada che va a Castelcerino, venne eretta nel XV secolo sull'area di un antico cimitero romano. Nel XIX secolo, l'architetto Gottardi (quello che lavorò anche sulla chiesa parrocchiale soavese) fece voltare la facciata da ovest ad est. Qui si trovava la pala di San Rocco del Morone, portata nella parrocchiale per paura che potesse venire rubata. Attualmente la chiesa viene usata in occasione di mostre e concerti, è di proprietà del Comune soavese ed è stata da poco restaurata. Palazzo Sambonifacio - XIII secolo Palazzo di Giustizia - XIV secolo. Sorge in piazza Antenna, in pieno centro del paese. Edificato nel 1375 per volere di Cansignorio della Scala che vi insediò come rettore, governatore e giudice Pietro della famiglia Montagna (come si legge da un'iscrizione in versi sotto il poggiolo). Alla sua costruzione contribuirono i ventidue paesi sottoposti al Capitaniato soavese (tra i quali Soave, Colognola ai Colli, San Bonifacio, Monteforte d'Alpone e Bolca), elencati in una lapide (la più grande tra quelle scaligere) in facciata. È un edificio con loggia a quattro arcate; nel mezzo della facciata c'è un poggiolo sovrastato da una statua della Vergine col Bambino sulle ginocchia. Oggi il palazzo ospita un'enoteca al piano terra e ai piani superiori la sezione staccata del tribunale di Verona, con i vari uffici e la grande storica aula d'udienza. Palazzo Scaligero - XIV secolo. Costruito per volontà di Cansignorio della Scala nei pressi di Porta Aquila, era l'antica residenza dei Pretori e Governatori di Soave; successivamente, in epoca veneziana, divenne residenza dei Capitani della Serenissima. Il vicino giardino, molto suggestivo, venne donato dalla famiglia Zanella al Comune di Soave. Restaurato nel XX secolo, l'edificio ospita attualmente la sede municipale. Palazzo Cavalli - XV secolo. Edificio che sorge a lato di piazza Antenna, venne costruito nel 1411 per volontà di Nicolò Cavalli, capitano di Soave, in stile gotico – veneziano. La facciata era un tempo decorata da affreschi quattrocenteschi a soggetto mitologico attribuiti a Giovanni Maria Falconetto da Verona. Oggi il palazzo è proprietà della famiglia Pomini. Palazzo Moscardo - XVII secolo. Vennero costruite nel 1369 per volontà di Cansignorio della Scala e raccolgono al loro interno il nucleo storico di Soave. Anticamente solo tre porte si aprivano nella cinta: Porta Aquila (ora Porta Bassano) a nord, Porta Vicentina ad est e Porta Verona a sud (recentemente restaurata). Per due lati (ovest e sud) le mura sono accompagnate dal fossato naturale formato dal Tramigna. Il comune fa parte dell'associazione città del vino (ha temporaneamente sospeso l'adesione). Fa parte della zona di produzione dei vini Soave DOC e Arcole DOC. CameraSoave - Rassegna di Collezionismo e Cultura Fotografica Mostra-Scambio di Antiquariato e Modernariato Fotografico che si svolge la seconda domenica di marzo. Soave Guitar Festival Rassegna Nazionale della Chitarra Elettrica ed Acustica da Collezione che si svolge a fine aprile, in memoria di Marcel Dadi Festa medioevale del vino bianco Soave Giochi medievali e rassegna dei mestieri antichi e la caratteristica cerimonia d'investitura delle "Castellane di Suavia". Terza domenica di maggio. Soave Versus Manifestazione culturale vestita da gioco, per renderla accessibile a tutti, con contenuti specifici sul Vino: la sua storia, la degustazione, l'abbinamento gastronomico, la socializzazione. La festa dell'uva Dal 1929, è la più antica in Veneto, la terza domenica di settembre. Alla festa sono associate numerose attività di contorno. Sagra di S. Maria Maddalena Terza settimana di luglio a Castelcerino. Venerdì serata giovani con musica dal vivo mentre Sabato, Domenica e Lunedì ballo liscio. Tutte le serate saranno accompagnate da un'ottima cucina con piatti tipici. BaccoVolley Secondo fine settimana di luglio presso gli impianti sportivi. Torneo di pallavolo che coinvolge 70 squadre provenienti da tutto il nord Italia Il Chocolando in tour. Una festa in cui vengono alcuni produttori artigiani di cioccolato. Lo scambio culturale on la Germania e Francia per i ragazzi di 3ª media. La società Basket Est Veronese (ex Soave Basket) milita nel campionato regionale di Promozione (pallacanestro maschile). La principale squadra di calcio della città è l'A.S.D. Borgo Scaligero Soave che milita nel girone C di Seconda Categoria. Sorge a circa 3,5 km dal capoluogo comunale. Probabilmente prende il nome da un piccolo castello dell'Alto Medioevo. In epoca romana Castelletto fu forse un “pagus”; è stata ritrovata una vasta necropoli in cui sono stati rinvenuti molti oggetti funerari. Questa necropoli occupava l'area del cosiddetto “Cumuletto”, area su cui sorgono la vecchia chiesa parrocchiale di San Girolamo e quella nuova (XX secolo) dedicata al Sacro Cuore di Maria. Raggiungibile sia da Costeggiola che da Soave (grazie alla strada provinciale per Montecchia di Crosara), Castelcerino domina sia la vallata del Tramigna che quella dell'Alpone. Provenendo da Soave sulla provinciale per Montecchia di Crosara, ad un chilometro circa dal centro di Castelcerino, s'incontra, a destra, il bivio per Fittà (coordinate N45°27'13' ' E11°15'9' '), frazione di Soave dalla quale si gode una superba vista della Val d'Alpone (il paese è nel crinale del monte di questa valle) e della Pianura Padana. Nel piccolo centro sorge la chiesa parrocchiale dedicata a San Vincenzo Ferrer. Posta lungo la strada regionale 11 e servita da un'uscita dedicata dell'autostrada A4, Soave ospitava fra il 1881 e il 1957 una stazione della tranvia Verona-Caldiero-San Bonifacio, che rappresentò in quel periodo un'infrastruttura fondamentale per l'economia della zona. La tranvia fu sostituita nel 1959 da una filovia, soppressa nel 1981. Claye-Souilly, dal 1999 Kelheim Il comune fa parte del movimento patto dei sindaci Abitanti censiti Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Soave Wikivoyage contiene informazioni turistiche su Soave Sito ufficiale, su comunesoave.it. Soave, su sapere.it, De Agostini.

Estratto dall'articolo di Wikipedia Soave (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

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N 45.41955 ° E 11.24594 °
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37038
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Soave panorama castello
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Chiesa di San Lorenzo (Soave)
Chiesa di San Lorenzo (Soave)

La chiesa di San Lorenzo, denominata anche Duomo di San Lorenzo è la parrocchiale di Soave, in provincia e diocesi di Verona; fa parte del vicariato dell'Est Veronese, precisamente dell'Unità Pastorale Soave - Monteforte. Soave fu sede plebana fin dal X secolo ed è documentata a partire dal 1029, nonché presente nel la bolla di Papa Eugenio III del 1145 che elenca tutte le pievi della Diocesi di Verona. La pieve originaria si trovava nel borgo di San Lorenzo, sulla strada per Monteforte d'Alpone, ma sappiamo che già nei primi anni del XIV secolo l'edificio era in condizioni precarie e fu abbandonato per costruire un nuovo luogo di culto all'interno della cinta muraria voluta da Cansignorio della Scala ed eretta nel 1369. Nel 1744 si decise di demolire parzialmente l'edificio trecentesco, che aveva l'ingresso ad occidente, per ampliarlo visto l'aumento della popolazione e il desiderio da parte del parroco, don Giovanni Zanetti (fondatore dell'ospedale locale), di erigere un edificio che rispondesse nelle sue forme all'importanza che richiedeva la fede. Se non è accertata a livello archivistico la presenza nel cantiere dell'architetto Alessandro Pompei come estensore del progetto, sappiamo che a dirigere i lavori furono il proto Bernardo Avogari e il tagliapietre Carlo Valle. I lavori terminarono nel 1758, anno in cui, il 19 novembre, venne consacrata la chiesa dal Vescovo di Verona (nominato proprio in quell'anno Patriarca di Venezia dal Consiglio dei Pregadi della Serenissima) mons. Giovanni Bragadin (o Bragadino). Tra il 1820 e il 1821 fu restaurato il soffitto della chiesa, mentre nel 1884 il tempio assume l'attuale aspetto con l'ampliamento progettato da don Angelo Gottardi. L'unica navata fu allungata, incorporato il campanile al lato meridionale del presbiterio e ultimata la facciata, eliminando qualsiasi elemento barocco. Infine, fu realizzata la scalinata d'accesso in marmo Rosso Verona, compensando il dislivello tra il portale d'ingresso e la strada. La facciata a capanna è in stile neoclassico e rivolta verso oriente. La scalinata in marmo bianco, delimitata ai lati da una balaustra in marmo Rosso Verona porta al portale d'ingresso, rettangolare, sormontato da un timpano semicircolare, mentre più sopra trova posto un grande oculo. Ai lati del portale due coppie di semicolonne, poggianti su alte zoccolature, sorreggono la trabeazione, su cui s'imposta il timpano con cornice decorata a denti di sega, mentre una croce in ferro si trova sulla sommità. L'interno della chiesa si presenta come un'ampia aula rettangolare che conduce verso il presbiterio a pianta quadrangolare, rialzato di tre gradini e meno ampio rispetto alla navata e chiuso da un abside semicircolare L'aula, a cui danno luce oculi su ambo i lati, è coperta da un ampio controsoffitto che presenta le prime opere ad affresco del pittore soavese Adolfo Mattielli, tra cui il grande tondo, in corrispondenza del pseudo-transetto, con La presentazione delle ricchezze di San Lorenzo, mentre la specchiatura maggiore sovrastante la navata contiene il dipinto del pittore Pietro Nalin raffigurante San Lorenzo in gloria (1841), da cui si intuisce la grandezza della navata precedente all'ampliamento del Gottardi. Sempre del Mattielli sono le figure dell'Arcangelo Gabriele e della Vergine Maria nel momento dell'Annunciazione nei due pennacchi adiacenti all'arco trionfale del presbiterio. Posizionato nella parte alta della navata, sotto il cornicione, è presente un ciclo pittorico con Storie dei Santi Lorenzo e Giovanni Battista, opera dei pittori Zangrossi e Scabari, risalenti alla metà del Settecento, mentre in alcune nicchie troviamo le statue dei Santi Agostino, Luigi Gonzaga, Lorenzo, Zeno, Sebastiano, Carlo Borromeo, Giovanni Battista, nonché una Pietà, la Fortezza e la Giustizia. Sopra la bussola della porta principale è stata collocata la pala del pittore veronese Bartolomeo Scolari raffigurante La Vergine Maria col Bambino tra le Sante Lucia e Apollonia, proveniente dalla chiesa di Santa Maria dei Domenicani e realizzata con le offerte dei fedeli soavesi nel 1718. Lungo la navata sono presenti otto cappelle laterali, quattro per lato e prospicienti tra loro, mentre quelle più vicine al presbiterio (del Sacro Cuore di Gesù e del Redentore, più profonde rispetto alle altre, formano una sorta di transetto. Negli anni Settanta del Novecento fu aggiunto, all'inizio del lato sinistro della navata un piccolo altare che ospita una statua settecentesca di Sant'Antonio di Padova. Questo precede la prima cappella, che presenta un altare marmoreo, proveniente dalla chiesa precedente, con il dipinto La Vergine e i Santi Luigi Gonzaga e Girolamo, opera del pittore veronese Agostino Ugolini e attestata nella chiesa fin dal 1805, ma collocata qui durante i lavori del Gottardi assieme alle reliquie di San Quirino ottenute nel 1813 dall'Arciprete Cortese. L'altare dell'Annunciazione proviene anch'esso dalla chiesa precedente ed è così denominato dal soggetto del gruppo ligneo, di autore ignoto, databile al Seicento, raffigurante la scena evangelica. L'altare del Crocifisso, come i precedenti proveniente dalla chiesa precedente, fu eretto come altare del Corpus Domini in seguito al testamento di don Bartolomeo Fuini, sacerdote soavese morto a Roma nel 1675, che nominava erede la Compagnia del Corpo di Cristo in Soave. Nella nicchia ospitava la statua del Redentore, oggi collocata nella quarta cappella sul lato destro.. Il grandioso altare del Sacro Cuore di Gesù è opera dell'architetto Franco Spelta e fu inaugurato il 23 novembre 1946. Risulta essere lo scioglimento di una promessa fatta dall'arciprete, mons. Lodovico Aldrighetti, nel maggio 1943 se Soave sarebbe stata preservata dagli orrori della Seconda Guerra Mondiale. La statua del Sacro Cuore di Gesù è opera dello scultore veronese Nereo Costantini. La prima cappella che incontriamo sul lato destro dell'ampia navata presenta, su altare della chiesa precedente, la tela del pittore veronese Paolo Farinati (siglata dal suo simbolo autografo della chiocciola e riadattata nella parte inseriore per essere inserita nell'altare barocco) con i Santi Bovo, Francesco e Antonio Abate del 1595, commissionata da Geronimo e Camillo Marogna. Tra la prima e seconda cappella è collocato il pulpito ligneo. Nel secondo altare, sempre proveniente dalla chiesa trecentesca, vi è una bella tela del pittore Antonio Giarola, detto il "Cavalier Coppa", raffigurante la Vergine col Bambino e i Santi Giovanni della Croce, Carlo Borromeo e Caterina d'Alessandria, successivo al 1630. L’altare dell’Addolorata risale al 1722, voluto dal Monte di Pietà locale. Ai due lati, nelle basi, vi sono due scudi in marmo di Carrara raffiguranti lo stemma di Soave sormontato dal leone alato della Repubblica Veneta, e. nel parapetto, il gruppo dell'Addolorata in bassorilievo. La tela dell'altare, il Compianto sul Cristo morto, è un'opera di difficile lettura a causa dei numerosi rifacimenti. Attribuita da Edoardo Arslan al pittore Giuseppe Lonardi detto lo Zangara, vissuto nel Seicento, non ha sciolto i dubbi l'ultimo restauro, vista la mancanza di tracce dell'originale. Nella cappella del pseudo-transetto dedicata al Redentore trova oggi posto il fonte battesimale, originariamente collocato all'ingresso della chiesa, sul lato sinistro. Risalente al 1430, come inciso sul manufatto, è ottagonale e in pietra dura di Sant'Ambrogio di Valpolicella. La parte superiore del fonte presenta otto quadrati e, inscritti in essi, a bassorilievo, dei rosoni, delle croci greche, la figura di San Lorenzo con la palma e la graticola, nonché lo stemma di Soave Anche qui troviamo, come nello spazio prospiciente, un grandioso altare, anche questo progettato dall'architetto Franco Spelta e inaugurato il 23 novembre 1946, in quanto scioglimento della promessa fatta dall'arciprete mons. Lodovico Aldrighetti nel maggio 1943 di erigerlo se Soave fosse stata preservata dagli orrori della Seconda Guerra Mondiale. Al centro dell'altare, in alto, una statua lignea del Redentore, dello scultore Paolo Campsa, datata 1533, in precedenza collocata nell'attuale altare del Crocifisso. Con l'adeguamento liturgico in seguito al Concilio Vaticano II il presbiterio, tra il 1973 ed il 1974, subì alcune trasformazioni come la rimozione delle balaustre, il rinnovo della pavimentazione, il parziale smembramento dell'altare maggiore preconciliare, disegnato dal viadanese mons. Antonio Parazzi, di cui è stato mantenuto il contraltare in marmi policromi con il tabernacolo, lavorato dallo scultore veronese Grazioso Spiazzi, sovrastato dal Crocifisso cinquecentesco, e la realizzazione dei nuovi poli liturgici: ambone, altare e sede. Il nuovo altare con cui poter celebrare verso l'assemblea è in pietra bianca, rialzato su un basamento marmoreo e ornato sul fronte da una scultura a bassorilievo della chiesa precedente (ma che era stata posta nel Santuario della Madonna della Bassanella, risalente tra il XIV e il XV secolo, raffigurante la Madonna in trono con il Bambino e Santi, tutti racchiusi in cinque nicchie in stile gotico culminanti da archetti a tutto sesto ed intervallate da colonne tortili. Non mancano tracce di policromia e di doratura. Sul retro abbiamo altre due formelle con santi, di cui San Lorenzo riconoscibile per la graticola e una Santa. Anche l'ambone è in pietra bianca, sul lato sinistro dei gradini del presbiterio, e riporta sul fronte una scultura a bassorilievo della stessa epoca di quella dell'altare, con la Madonna in trono con il Bambino, delimitata da colonne tortili che reggono un arco trilobato, tra i Santi Lorenzo e Giovanni Battista, patroni della comunità soavese, raffigurati all'interno di formelle cuspidate. Anche qua non mancano tracce di policromia e doratura. La sede del celebrante è costituita da tre stalli lignei, in asse con l'altare post-conciliare, rialzata su un basamento marmoreo e con un dossale, sempre in marmo, che presenta una scultura a bassorilievo del 1883 che riproduce l'Ultima Cena di Leonardo da Vinci, opera di Grazioso Spiazzi. Sul lato sinistro del presbiterio è collocata una pala di Francesco Morone, con cornice lignea intagliata a candelabre dorate su sfondo azzurro, che presenta in alto una lunetta con l'Eterno in gloria e nel riquadro sottostante la Madonna col Bambino in trono e i Santi Rocco e Gioacchino. Nella predella sottostante, con stemmi, tra cui quello di Soave, sono raffigurate Scene della vita di San Rocco. Questa pala fu commissionata da "Miser Hieronimo da Soave", probabilmente il reggente della locale Confraternita di San Rocco, e collocata nella chiesa di San Rocco il 24 marzo 1529, quasi due mesi prima della morte del pittore veronese. Fu trasferita nella parrocchiale nel 1883. Sul lato destro del presbiterio vi è una vetrata artistica raffigurante San Zeno, patrono della Diocesi di Verona, e San Lorenzo, con alle spalle il castello di Soave. Il presbiterio è chiuso, in alto da una cupola emisferica su pennacchi sferici e oculo sommitale con vetrata collocata nel 1998 e raffigurante la Madonna della Bassanella, a ricordo del nono centenario dell'apparizione della Vergine Maria in località Ponsara. Il catino absidale è decorato da un affresco raffigurante Gesù Buon Pastore, opera del Mattielli. Ai lati dell'organo sono collocate due tele. Quella a sinistra, originariamente posizionata sopra la bussola d'entrata fino agli anni Settanta del XX secolo ma originaria della chiesa di Santa Maria dei Domenicani, raffigura San Pietro Martire inginocchiato di fronte alla Vergine e con due Santi Martiri. L'opera è datata 1540 e riporta la seguente iscrizione RVGERIVS - ORELANVS - RAVENA - PINXIT MDXXXX. La tela sulla destra dell'organo raffigura La Vergine Maria col Bambino tra i Santi Lorenzo e Rocco, proveniente dalla chiesa di San Rocco. Nell'abside sono visibili, dietro l'altare maggiore, alcune delle canne dell'organo dell'inglese William George Trice (1889), in origine collocato in una nicchia a sinistra del presbiterio, non racchiuso in una cassa lignea. L'organo, a due tastiere di 58 tasti ciascuna, con una pedaliera di 30 note reali, fu successivamente posto nella posizione attuale nel 1912 dal veronese Domenico Farinati, che lo modificò parzialmente, costruendo il somiere principale. Al 1944 risale l'intervento sullo strumento di Tamburini, mentre l'ultimo restauro risale al 1995, opera di Diego Bonato. Viene oggi utilizzato anche per festival organistici. Disposizione fonica dell'organo: In sacrestia è collocato l'altare di San Quirino, originariamente in chiesa, con la tela dell'Ugolini raffigurante I Santi Gaetano e Quirino con la Beata Vergine del Buon Consiglio. Altri elementi presenti nella sacrestia sono il ritratto dell'arciprete Zanetti, che volle la nuova chiesa, con epigrafe, il busto dell'arciprete don Antonio Locatelli, i quadri della Confraternita della Morte (collocati sul soppalco della chiesa di Santa Maria dei Domenicani, con soggetti Madonna con Gesù Bambino, San Pietro, San Carlo Borromeo e un membro della Confraternita, Madonna con San Giuseppe e un membro della Confraternita, Sacra Famiglia, Sant'Antonio di Padova e un membro della Confraternita, Madonna con Sant'Antonio di Padova e Gesù Bambino, tutte di autore ignoto e datate 1601), i due affreschi del Mattielli (la lunetta sopra la porta con Dio Padre e il tondo sul soffitto con Due angeli che portano la Croce. Con la demolizione parziale della vecchia chiesa, si atterrò anche il campanile e tra il 1750 ed il 1760 furono ultimati i lavori della nuova torre campanaria, l’attuale. Originariamente isolato rispetto alla chiesa, con l’ampliamento del Gottardi il campanile si trovò addossata alla parete sinistra del presbiterio. Presenta un basamento a pianta quadrangolare, con un fusto interamente intonacato. La cella campanaria presenta aperture a serliana su ogni lato, mentre sopra un tamburo a sezione ottagonale è impostata una copertura a padiglione. Il concerto campanario collocato nella torre risulta composto da 9 campane in REb3 montate alla veronese e suonabili a doppio sistema (manuale e automatizzato). Questi i dati del concerto: 1 – REb3 - diametro 1407 mm - peso 1653 kg - Fusa nel 1921 da Cavadini di Verona 2 - MIb3 - diametro 1260 mm - peso 1143 kg - Fusa nel 1904 da Cavadini di Verona 3 – FA3 - diametro 1128 mm - peso 824 kg - Fusa nel 1904 da Cavadini di Verona 4 - SOLb3 - diametro 1040 mm - peso 668 kg - Fusa nel 1904 da Cavadini di Verona 5 - LAb3 - diametro 932 mm - peso 484 kg - Fusa nel 1904 da Cavadini di Verona 6 - SIb3 - diametro 829 mm - peso 343 kg - Fusa nel 1904 da Cavadini di Verona 7 – DO4 - diametro 740 mm - peso 244 kg - Fusa nel 1904 da Cavadini di Verona 8 – REb4 - diametro 686 mm - peso 194 kg - Fusa nel 1942 da Cavadini di Verona 9 – MIb4 – diametro 619 mm - peso 136 kg - Fusa nel 1904 da Cavadini di Verona. In precedenza vi erano otto campane del fonditore veronese Selegari, rinnovate poi da Cavadini nel 1837, prima del concerto attuale, salvo rifusioni successive delle campane 1 e 8, fuso nel 1904 e installato su un castello in ferro Giuseppe Franco Viviani (a cura di), Chiese nel veronese, Verona, Vago di Lavagno, Società Cattolica di Assicurazione - La Grafica Editrice, 2004. Sancassani Pietro, Le mie campane. Storia di un’arte e di una tradizione del Millenovecento, a cura di Rognini Luciano, Sancassani Laura, Tommasi Giancarlo, Verona, Offset Print Veneta, 2001. Luigi Gardoni, Diario Veronese (1826-1850), a cura di Nicola Patria, Verona, Archivio Storico Curia Diocesana, 2010. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su chiesa parrocchiale di Soave Riprese dell'interno della chiesa con in sottofondo l'organo Trice., su youtube.com. Concerto alla veronese (automatico) delle campane della chiesa parrocchiale di Soave., su youtube.com.

Palazzo di Giustizia (Soave)
Palazzo di Giustizia (Soave)

Il Palazzo di Giustizia sorge in piazza dell'Antenna in pieno centro a Soave (VR). Ospita un'enoteca al piano terra, mentre ai piani superiori fino al 2013 ha ospitato la sezione staccata del tribunale di Verona con i vari uffici giudiziari e l'aula delle udienze. Fu edificato nei mesi di aprile, maggio, giugno, luglio dell'anno 1375, per opera di Cansignorio della Scala che vi insediò come rettore, governatore e giudice Pietro della famiglia Montagna (come si legge da un'iscrizione in versi sotto il poggiolo). Alle spese di costruzione vi concorsero i ventidue paesi, soggetti al Capitaniate di Soave, ed elencati nella lapide che si trova sotto la loggia. Vi è inciso a caratteri gotici: Sulla lapide i ventidue paesi sono incisi su tre colonne parallele. È un edificio con loggia e quattro portoni ad arco acuto di pietra sagomata, con finestre ogivali e davanzali con semplici lavori d'ornato ed armi gentilizie scolpite. Uno scalone dava accesso al piano superiore, dove si trovano gli uffici del capitano e rettore, nonché quelli del Comune per tutta la durata della Repubblica di Venezia; successivamente la sede comunale si trasferì, nel 1853, nell'edificio che ne ospita attualmente la sede. Nel mezzo della facciata è presente un poggiolo con rozza ringhiera, e sopra di esso una statua della Vergine col Bambino sulle ginocchia, scolpita in tufo ad alto rilievo, contornata da un affresco rappresentante San Lorenzo e San Giovanni Battista. In una nota presso l'archivio comunale di Soave si legge: Sotto il poggiolo è presente un'altra iscrizione di alto valore storico, come la precedente, la quale, a caratteri gotici, dice: Sotto il poggiolo della facciata vi è infissa una pietra rotonda, incorniciata, con arma scalpellata dai francesi nel 1797, e recante la dicitura: 14 B G 52 È simbolo di memoria del paese a Giovanni Bembo, capitano di Soave nel 1452. Sulla facciata si trova un'altra iscrizione per ricordare le benemerenze di Michele Battaglia, capitano nel 1538. Col passar del tempo, l'edificio subì varie modificazioni, specialmente durante il dominio dei Visconti, dei quali si può vedere sotto due bancali delle finestre il loro stemma, e nel lungo periodo della Signoria di Venezia. Un importante restauro dell'edificio venne compiuto nel 1528, sotto la reggenza del capitano Girolamo Gelsi. Sulla fine del secolo scorso, il Comune fece eseguire il restauro della facciata, manomettendo la precedente forma; ma l'opera, già avanzata nel lavoro, fu interrotta dalla Sopraintendenza dei monumenti. Il vecchio scalone, che dalla loggia portava al piano superiore, nel 1850 venne sostituito da uno con piccole colonne di stile moderno. Nel piano della loggia, fino a poco tempo fa, vi era l'ufficio del Monte di Pietà, fondato dall'Arciprete Lazzaro Dal Fior nel 1542, per salvare i bisognosi dall'usura degli Ebrei, portati in paese dopo la loro espulsione da Verona. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Palazzo di Giustizia

Chiesa di Santa Maria dei Domenicani
Chiesa di Santa Maria dei Domenicani

La chiesa di Santa Maria dei Domenicani a Soave è un edificio quattrocentesco collocato entro le mura scaligere, a dominare la piazza dell'Antenna al centro della città. La chiesa fu voluta nel 1443 dai padri domenicani, che appellandosi alla Santa Sede ottennero il consenso da papa Eugenio IV di poter edificare una chiesa con annesso convento. Queste informazioni ci giungono da Giambattista Biancolini, storico medievalista veronese. A metà del XVII secolo il convento domenicano attraversò un periodo buio a causa della soppressione, voluta da papa Innocenzo III, dei conventi degli ordini mendicanti e non mendicanti, di congregazioni e società che contavano un numero scarso di religiosi. Così, nel 1659 gli abitanti della comunità soavese chiesero e ottennero l'autorizzazione a Venezia di prendere possesso del conventino e di tutte le stanze annesse, impegnandosi inoltre a far celebrare ogni anno centodue messe. Questo avvenne anche grazie al Comune stesso e alle due Confraternite, della Buona Morte e del Rosario, che continuarono a riunirsi nella chiesa fino alla soppressione voluta da Napoleone Bonaparte. Nel 1871 il convento fu venduto dal Comune e in seguito andò distrutto. La chiesetta divenne nel frattempo oratorio pubblico, la cui manutenzione venne assunta dalla parrocchia di Soave che vi tenne il catechismo e sante messe per i giovani. Nel tempo però l'edificio, che non aveva subito alcun restauro, sembrò destinato ad un totale abbandono. A metà del XX secolo ben due parroci di Soave chiesero sussidi per ridare vigore a questo spazio architettonico caduto in disuso, senza però ottenere riscontri, fino al 5 marzo 1985, data in cui venne approvata l'iniziativa del restauro finanziato dalla Banca Popolare di Verona su richiesta del Comune. È stato compiuto un autentico salvataggio dal valore inestimabile. Il suo patrimonio artistico, con le sue pareti affrescate è stato recuperato e quella che era una vecchia costruzione quattrocentesca che versava in pessime condizioni di estremo degrado e totale fatiscenza è oggi sede di mostre d'arte, rassegne, esposizioni e concerti. Grazie al lavoro di progettisti, architetti e restauratori e naturalmente anche grazie all'esborso economico dell'istituto di credito veronese, la comunità soavese si è potuta riappropriare di uno spazio architettonico storicamente significativo. Seppur svolgendo una funzione diversa da quella sacra originaria di un tempo, la chiesa Santa Maria dei padri domenicani gode di nuova fruibilità e quindi di nuova vita. L'edificio quattrocentesco presenta forme semplici e una pianta schematica. Ciò nonostante la chiesa è insignita secondo gli storici di una bellezza antica ed elegante. Le linee, tranquille e dolcemente severe rappresentano il momento di transizione tra due stili: il gotico e il rinascimentale. Le sfumature del verde, del bianco e dell'ocra si alternano in una particolare armonia architettonica. La facciata, rivolta a nord ed abside quadrata, è caratterizzata dalla leggiadria del protiro pensile con volta a tutto sesto e dal rosone finestra contemporaneo del protiro. Di particolare interesse sono le elaborate cornici di gronda in cotto, tipiche della seconda metà del XV secolo. L'interno della chiesa, a navata unica con copertura a capriate lignee, è illuminato da alte e slanciate finestre monofore e bifore in stile gotico. Sullo sfondo sta il bell'altare maggiore, marmoreo, fiancheggiato da due porticine barocche. Al centro ha un grande supporto, per l'esposizione del santissimo, mentre alle sue spalle sorge una cornice di pietra bianca risalente al Cinquecento, formata da una base ai limiti della quale si innalzano due colonne tuscaniche che reggono un timpano triangolare. Altri tre altari sono disposti nelle cappelle situate nella parete sinistra della chiesa. Tutte le cappellette, aperte a fine '400 per motivi devozionali, risultano particolarmente interessanti, con i loro archi di tufo a tutto sesto, le lesene finemente scolpite, gli ornamenti, gli affreschi e i loro altari dai marmi policromi. La prima, che si trova entrando sulla sinistra, è dedicata alle Sante Lucia ed Apollonia, come testimonianza di una locale devozione assai diffusa. L'altare, nella sua forma attuale, fu eretto grazie alle offerte degli abitanti soavesi. La seconda cappella, dedicata alla Beata Vergine del Rosario, contiene un altare splendido, elaborato e sfarzoso, senza dubbio opera degli stessi autori della balaustra, che chiude appunto la cappelletta. L'ultima invece era dedicata al Cristo crocefisso. Una riproduzione del Cristo in croce completamente in legno troneggiava sull'altare. La terza cappelletta doveva essere stata di proprietà di due illustri famiglie, probabilmente di Illasi, che a Soave possedevano terreni. A rivelarlo, gli stemmi alla base delle arcate della cappella e le lapidi sepolcrali poste davanti ad essa. Qui non restano affreschi, ma i colori restaurati delle parti lignee originali, un vivido turchese ed un oro satinato saltano evidenti per la loro sontuosa e padronale brillantezza. Nel complesso, le tre cappelle colpiscono per gli ornamenti a basso rilievo e per gli altri elementi decorativi: il tutto in un'armonia architettonica particolare. Tre altari sono presenti anche nelle cappellette che si aprono sulla parete sinistra della navata. Gli affreschi visibili nella prima (quella dedicata alle sante Lucia ed Apollonia), entro due riquadri votivi dai decori classicheggianti, raffigurano le sante titolari: quello di santa Apollonia è estremamente abraso e risulta incompiuto, ben leggibile invece quello raffigurante l'altra Santa. Il ciclo pittorico è dedicato ai Misteri del Rosario, affrescati da ignoto pennello nel 1502, nella seconda cappella a sinistra della navata, dedicata alla beata Vergine del Rosario, è leggibile solo in modo frammentario. La distribuzione dei riquadri superstiti è la seguente: sulla parete sinistra, in lunetta l'Annunciazione e, sotto, la Visitazione; la Natività. la Presentazione al tempio, la Disputa fra i dottori; sulla parete destra, in lunetta: Cristo deriso e, sotto, la Salita al Calvario, la Crocifissione, la Resurrezione, l' Ascensione. Il restauro ha fatto affiorare con evidenza, sullo sfondo del riquadro della Disputa fra i dottori la datazione, tracciata in numeri romani, dell'esecuzione degli affreschi: MCCCCCII (1502). La terza cappella, quella dedicata al Cristo Crocefisso, vede quest'ultimo troneggiare sull'altare grazie ad un'opera interamente intagliata nel legno a grandezza maggiore che al naturale ed attira l'attenzione per l'ottima fattura e per la sua struggente espressione di dolorosa pietà. Negli spazi che separano la cappella del Rosario da quelle dedicate rispettivamente al Crocifisso e alle SS. Lucia e Apollonia, sono venuti alla luce brani di affreschi riferibili a mani e a momenti diversi. I riquadri votivi affioranti rappresentano: un San Sebastiano attribuibile all'autore degli affreschi della parete destra della navata (Il Maestro di S. Lazzaro), un Santo Vescovo, in buona parte incompiuto, un Santo, non bene identificabile, parzialmente coperto da ciò che resta della sagoma di un altro santo. Tralasciando il piccolo affresco centrale in alto, sopra l'altare maggiore, merita un cenno particolare l'affresco collocato anch'esso in alto sulla parete di fondo, a sinistra rispetto al presbiterio. Vi è raffigurato il Compianto sul Cristo morto. Entro un arco a tutto sesto che si rifà evidentemente, per il tipo di decorazione classicheggiante, ai rilievi lapidei delle tre cappelle a sinistra della navata, è raffigurata la scena del Compianto. Forte è il suo impatto drammatico: la croce, di cui non si vedono i limiti, incombe sulla scena e assurge a simbolo del dolore. I personaggi, plasmati in un'immobilità quasi scultorea, sono però immersi in uno spazio nuovo, suggerito dallo scorcio dell'arco che provoca un'illusione di sfondamento della parete reale. Adiacente a tale affresco vi è un piccolo riquadro con i devoti ed una scritta: "DA/ BARDI/ O PECHADORI. MI AFLITA. ET. AMGUSTIO XA. PIANXETI. VOI PUPILI". La parete destra è interamente decorata dalle Storie di San Lazzaro. Non è dato sapere, a causa della perdita di uno degli episodi, per l'aggiunta settecentesca di un pulpito con baldacchino, la precisa sequenza delle Storie. È comunque evidente che viene rappresentato Lazzaro nella contaminazione che si ebbe nel medioevo fra Lazzaro risorto, amico di Cristo, e la parabola di Lazzaro e il ricco Epulone. Pertanto Lazzaro viene spesso rappresentato nelle vesti di mendicante e lebbroso e perciò divenne patrono, oltre che dei becchini, anche dei mendicanti e dei lebbrosi. La lettura iconografica dell'opera prende l'avvio dalla scena centrale della Morte di Lazzaro mendico, la cui anima viene portata in cielo da angeli. Ai lati di questo episodio, Lazzaro e Giobbe assunti a modello rispettivamente di povertà e pazienza, essendo rifiutati dagli uomini, si rifugiano nella chiesa di Dio, simboleggiata dai vescovi. Lazzaro compare in alto nel giudizio finale accanto ai progenitori Adamo e Eva e al profeta Mosè, mentre l'Arcangelo Michele si appresta ad allontanare i dannati che già stanno per essere afferrati dai demoni. Nei riquadri inferiori si vede il ricco Epulone portato via dai diavoli e quindi dannato fra le fiamme dell'inferno. Al di sotto delle Storie di Lazzaro, entro cornici architettoniche, sono dipinte al centro un Santo penitente, a sinistra San Domenico reggente il modellino di una chiesa, a destra San Francesco, simboli di fede, sottomissione e umiltà. Il tutto è suggellato da uno stemma, purtroppo frammentario, in cui è riconoscibile la parziale sagoma di un leopardo. A destra e a sinistra del ciclo delle Storie di S. Lazzaro sono visibili altre due raffigurazioni riferibili ad identica mano, inserite entro cornici architettoniche classicheggianti. Raffigurano entrambe la Madonna in trono con bambino attorniata da veri santi fra i quali si riconoscono, per l'affresco di destra Santa Lucia, San Sebastiano e Sant'Antonio abate. Quest'affresco, contrariamente all'altro a sinistra deturpato e lacunoso, si presta ad una più agevole lettura: riporta infatti, anche se parzialmente abrasa, la datazione, riconoscibile con tutta probabilità come 1474. Questa data è elemento cardine per la collocazione storica dell'ignoto maestro delle Storie di S. Lazzaro. Infine alle Storie e ai riquadri votivi, si ricollega anche la Santa Martire col piccolo crocifisso che compare in fondo alla navata, sulla destra. Brugnoli Pierpaolo (a cura di), La chiesa di Santa Maria dei Padri Domenicani a Soave. Un recupero e una valorizzazione, Banca Popolare di Verona, Verona, 1992 Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su chiesa di Santa Maria dei Domenicani

Castello Scaligero (Soave)
Castello Scaligero (Soave)

Il castello scaligero di Soave, già appartenuto al casato dei Della Scala, è una fortificazione che ha segnato la storia della cittadina della provincia di Verona. Caduto in stato di abbandono, dopo essere stato ridotto a fattoria, è stato sottoposto a restauro nel 1890 dal senatore del Regno Giulio Camuzzoni - sindaco di Verona dal 1867 al 1883 - che ne divenne proprietario. È raggiungibile a piedi da piazza Antenna oppure percorrendo la strada asfaltata che sale a nord del paese. Un diploma di Federico Barbarossa attesta che il castello era un tempo in mano ai conti Sambonifacio di Verona. L'ascesa di Ezzelino III da Romano come podestà del Comune veronese (1226) portò al possesso del maniero da parte dei conti Greppi, i quali, nel 1270, lo cedettero al Comune di Verona che vi installò un suo capitano. La contemporanea ascesa dei Della Scala portò ad una nuova fase della vita del paese (che divenne sede di capitaniato con 22 paesi sottoposti a tale giurisdizione) e del suo simbolo più importante. Il castello venne restaurato e rinnovato mentre, nel 1379, Cansignorio dotò il paese della cinta di mura ancor oggi visibile. La fine della dinastia scaligera portò nuovi padroni al castello: prima i Visconti milanesi e poi i Carraresi padovani. Questi ultimi lo perderanno (1405) a causa dell'arrivo delle truppe della Repubblica di Venezia, appoggiate dagli abitanti soavesi. Nel 1439, le truppe viscontee del condottiero Niccolò Piccinino s'impadronirono di Soave ma la vittoria di Giovanni Pompei sul monte Bastia (odierno confine tra Cazzano di Tramigna e Montecchia di Crosara) permise all'esercito veneziano di tornare a possedere la zona. Pericolo maggiore ci fu quando Venezia si trovò contro la Lega di Cambrai (1508): il castello e il paese di Soave vennero incendiati (con 366 soavesi passati a fil di spada); anche in questa occasione la Repubblica della città lagunare però riuscì ad avere la meglio (1516). A causa dell'eroismo del capitano Rangone e dei soavesi che, nel 1511, liberarono il castello, Venezia donò l'Antenna (un grande pennone) e lo stendardo di San Marco. Iniziò un periodo di pace però il castello era ormai superato per le tecniche di guerra (armi da fuoco) che si stavano affermando; la Repubblica veneziana, che aveva bisogno di denaro per sostenere la guerra contro i Turchi, cedette il castello prima in affitto e poi in proprietà alla famiglia nobile dei Gritti (che a sua volta lo subaffittarono a privati che trasformarono il castello in fattoria). Il castello è un tipico manufatto militare del Medioevo che sorge sul monte Tenda dominando la pianura sottostante. È costituito da un mastio e da tre cortili con dimensioni differenti. Il primo cortile (su cui si apre una porta con ponte levatoio), misurante 1163,90 m², fu l'ultimo in ordine di costruzione, opera della Repubblica di Venezia nel XV secolo. Nel cortile si scorgono i resti di una chiesetta a tre absidi probabilmente risalente al X secolo, il tempo delle scorrerie degli Ungari (e, dunque, probabile luogo di rifugio per la popolazione anche se fuori dalle mura dell'originario castello) Attraverso una porta con saracinesca si passa al secondo cortile (il primo dell'antico castello), il più grande (2921,60 m²), detto della Madonna per un affresco (Vergine che protegge i fedeli inginocchiati) del 1321 presente sopra la porta d'ingresso ad occidente. Nello stesso cortile è presente una porta di soccorso in quanto destinata al rifornimento degli occupanti il castello in caso di difficoltà. Inoltre s'intravedono tracce di edifici (alloggi per i soldati) nei lati ovest e sud. Il terzo e ultimo cortile, il più piccolo (972,18 m²) e il più elevato, si raggiunge tramite una scaletta di legno: la soglia della porta è così elevata per ostacolare i nemici in caso di attacco. Oltrepassata la porta s'intravede un affresco del 1340 raffigurante un soldato scaligero (affresco che documenta come era armato un soldato degli Scaligeri a quei tempi); la scritta Cicogna (o Cigogna) se si riferisce al pittore richiama affreschi dello stesso presenti a San Pietro in Briano e a San Felice di Cazzano di Tramigna. Al grande mastio si accede tramite un'apertura nel basamento; era il luogo di estrema difesa ma il mucchio di ossa trovate in questo luogo fa immaginare che sia stato anche luogo di tortura e prigione. Al centro della corte si trova una vera da pozzo antica (si vedono i segni dell'usura delle corde) mentre un po' a destra abbiamo la stanza destinata al corpo di guardia dove troviamo armi di offesa e difesa usate dai soldati scaligeri. Anche nel cortile interno si ritrovano resti di caserme. Una scala esterna permette di entrare in quella che era l'abitazione del signore o del suo rappresentante (il Capitano, in epoca scaligera). La stanza centrale è detta Caminata per via del grande camino presente. Sulla tavola son presenti (in alcune cassette) oggetti trovati nel restauro (o prima) del castello come monete romane e veneziane , frammenti di armi ma anche strumenti di guerra provenienti da altri castelli e monete e medaglie ritrovate in più tempi a Soave. Dalla Caminata si accede ad un cortile piccolo aperto in epoca veneziana. La stanza centrale comunica poi con la camera da letto (in cui è da notare l'affresco duecentesco del crocefisso tra la Madonna e la Maddalena) e con la sala da pranzo con tavola imbandita con stoviglie riproducenti quelle dell'epoca. Da questa sala si giunge ad una stanza di dimensioni ridotte in cui sono custoditi cinque ritratti che raffigurano rispettivamente Mastino I della Scala, il fondatore della fortuna e della potenza scaligera; Dante Alighieri (di cui si presume un soggiorno nel castello); Cangrande, il più importante tra gli Scaligeri; Cansignorio della Scala, il quale restaurò ed ampliò il castello, fece circondare Soave dalla cinta muraria e fece costruire il palazzo di Giustizia e quello Scaligero; Taddea da Carrara, moglie di Mastino II. Castelli degli Scaligeri Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sul castello scaligero di Soave Galleria di immagini, su magicoveneto.it. URL consultato il 19 dicembre 2005 (archiviato dall'url originale il 3 giugno 2006).

Santuario di Santa Maria della Bassanella
Santuario di Santa Maria della Bassanella

Il santuario di Santa Maria della Bassanella è un santuario mariano risalente all'XI secolo che sorge a Soave, eretta nel Borgo Bassano, da cui prende il nome. Il tempio venne consacrato nel 1098 ed è legato ad un'apparizione mariana avvenuta nella Valle Ponsara, luogo dove sarebbe stata rinvenuta la statua della Vergine col Bambino venerata nel santuario. La chiesa era soggetta prima ai Benedettini del monastero dei santi Nazaro e Celso di Verona e poi agli Olivetani di Santa Giustina di Padova; alla caduta della Repubblica di Venezia (1797), la giurisdizione della chiesa passò al Vescovo di Verona. Nell'Ottocento l'ingegnere Zanella trasformò la chiesa rinnovandola stilisticamente e portando la facciata da ovest a nord, di fronte ad una piazza con panorama sulla bassa Val Tramigna. All'interno della chiesa abbiamo affreschi pregevoli (XIV secolo) raffiguranti San Benedetto e Santa Scolastica (segno della giurisdizione benedettina) ma anche altri santi tra cui San Cristoforo, soggetto tipico dell'iconografia della Val Tramigna in quanto legato all'acqua, e il patrono di Soave, San Lorenzo. Nel XX secolo il pittore soavese Mattielli decorò con tele ed affreschi l'interno della piccola chiesa. Ogni anno, dal 15 agosto, viene organizzato un Ottavario in onore della Madonna che vede, tra le varie celebrazioni, una fiaccolata fino al luogo dell'apparizione, in Valle Ponsara; sul percorso santuario – Ponsara sono state erette le 15 stazioni della Via Crucis (stele in pietra con bassorilievi) in occasione del IX centenario (1998). Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su santuario di Santa Maria della Bassanella Santuario di Santa Maria della Bassanella, su BeWeB, Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici della Conferenza Episcopale Italiana.

Abbazia di San Pietro (San Bonifacio)
Abbazia di San Pietro (San Bonifacio)

L'abbazia di San Pietro è un edificio religioso nonché chiesa parrocchiale di Villanova, frazione del Comune di San Bonifacio, in provincia di Verona e diocesi di Vicenza; fa parte del vicariato di San Bonifacio-Montecchia di Crosara, più precisamente dell'Unità Pastorale San Bonifacio. Edificata lungo l’antica Via Postumia e oggi stretta tra la Strada Regionale 11 e la linea ferroviaria Milano-Venezia, l’Abbazia di San Pietro in Villanova fu uno degli insediamenti monastici benedettini più importanti della regione. Non sono giunti a noi documenti antecedenti al 1134, ma l’analisi delle strutture di alcune parti dell’edificio ecclesiale fanno ritenere che la costruzione può essere avvenuta nella seconda metà dell’XI secolo, con una ricostruzione avvenuta dopo il terremoto di Verona del 1117. Alberto Sambonifacio, con il suo testamento del 1135, dotò il monastero di estese proprietà, le quali furono fondamentali per l’ascesa dello stesso nel XII secolo. Sulla vita del monastero ai suoi inizi si sa poco. Inizialmente vi erano i benedettini neri, poi quelli cluniacensi, ma sempre in piccolo numero. Il primo abate di cui ci è giunto il nome è Uberto, della famiglia Sambonifacio, che nel 1140 è presente alla consacrazione della chiesa di Sant’Elena a Verona e nel 1149 è citato sull’iscrizione del campanile. Verso la fine del XII sia il Vescovo di Verona sia quello di Vicenza concessero all’abbazia i diritti di decima in un territorio che va da Caldiero a Locara. Questa nuova realtà ecclesiale portò al sorgere di contrasti con la pieve di Sant’Abbondio, nei pressi del castello della Motta, ma i privilegi furono confermati dai pontefici Alessandro III nel 1169 e Lucio III nel 1185. Successivamente un diploma dell’imperatore Enrico VI di Svevia del 1193 diede all’abbazia la giurisdizione su Villanova e Locara. Alla fine del XII secolo l’abbazia raggiunse il suo apice, visti i possedimenti in varie località del veronese e anche nel ferrarese e la giurisdizione ecclesiastica sulle chiese di San Nicola, San Vito, San Zeno e San Giovanni di Locara, di San Nicola a Bardolino e Chiesa di San Tomaso Cantuariense a Verona. Fa riflettere che proprio in quel periodo, nel 1195, il monastero avesse solamente dieci monaci. Nel XIII secolo l’abbazia si trovò coinvolta negli scontri tra i Sambonifacio ed Ezzelino III da Romano. Non sembra casuale la mancanza di documenti sul monastero dal 1204 al 1263 e il bando dal territorio veronese dei Sambonifacio nel 1239 tolse all’abbazia i suoi storici protettori. Con la salita al potere degli Scaligeri, desiderosi di espandersi nel vicentino, la torre campanaria, come ai tempi dei Sambonifacio, tornò ad essere strumento di controllo sul territorio. I lavori realizzati in quel periodo indicano un uso prettamente militare del campanile. In quegli anni, e pure successivamente, a gestire i beni abbaziali e a usarli a loro piacimento fu la famiglia Cavalli, vicina ai Della Scala. In compenso due abati di Villanova salirono di grado: prima Sperandio, divenuto Vescovo di Vicenza nel 1315 dopo essere stato per un anno abate di San Zeno in Verona; poi Nicolò, Vescovo di Verona nel 1332. Durante il dominio visconteo la situazione materiale e spirituale dell’abbazia ebbe nuova vita anche grazie all’abate Guglielmo da Modena, che completò il campanile, fece ricostruire il chiostro in forme gotiche, rifece il tetto della chiesa, che dotò del rosone in facciata e di altre opere d'arte. Nonostante questo periodo felice, pochi anni dopo, causa la carenza di monaci, l’abbazia diventò una commenda, con l’abate commendatario, nominato dal Papa, che gestiva i beni monastici solo come fonte di reddito e senza essere obbligato a risiedere nell’abbazia. Tra gli abati commendatari di Villanova vi furono importanti personalità, ma la più famosa è certamente quella dell’umanista e cardinale Pietro Bembo, abate commendatario dal 1517 al 1547, che, prima delle nomine alle sedi episcopali di Gubbio e di Bergamo e l'ascesa al cardinalato, si diede da fare per ricostruire e abbellire l’abbazia nonché nella gestione dei terreni. Dopo il Concilio di Trento e l’abolizione delle commende, a Villanova arrivarono i benedettini Olivetani dell’Abbazia di Santa Maria in Organo di Verona. Alla fine del XVI secolo erano presenti solo sei monaci, che cominciarono a recuperare terreni e affitti usurpati per poi vendere le proprietà lontane e scomode da gestire in cambio di altre vicine. Queste azioni portano all’inizio del XVII all’ampliamento della corte rurale e alla ristrutturazione degli edifici monastici, mentre al XVII secolo risalgono altre migliorie e opere d’arte, come la sopraelevazione del monastero, le volte del chiostro, gli altari e la scalinata che conduce al presbiterio. Il 12 settembre 1771, in applicazione del decreto della Serenissima del 7 settembre 1768 che stabiliva l’abolizione dei monasteri con meno di dodici religiosi e la conseguente confisca di tutti i beni e rendite, il monastero fu soppresso. I monaci rimasti furono trasferiti e già il 21 settembre arrivò un sacerdote a dirigere la parrocchia, mentre al 20 luglio 1772 risale la stima dei beni abbaziali. La chiesa diventò così solo sede parrocchiale e fu privata delle proprietà terriere, del complesso monastico, della corte rurale e pure della cripta, acquistati dalla famiglia Erizzo, che ebbe anche il giuspatronato sulla parrocchia, con diritto di nomina del parroco fino alla fine del XIX secolo. Don Gaetano Martinelli, parroco dal 1901 al 1939, riuscirà, nel 1925, a riunire nuovamente la cripta alla chiesa e far tornare visibile, nel 1934, gli affreschi sulla vita di San Benedetto da Norcia. Il suo successore, don Giuseppe Dalla Tomba, parroco dal 1939 al 1985, continuò l’opera di rinascita dell’abbazia con scoperte e recuperi, ottenendo da Papa Pio XII il titolo di abate – parroco pro-tempore di Villanova nel 1949. Nel 1994 la parrocchia ha acquisito l’ex monastero e cominciato i lavori di restauro, terminati nel 2001. Al 2016, con parroco don Giorgio Derna, risale il restauro esterno e interno del campanile. La facciata, rivolta ad ovest, fu ricostruita dopo il terremoto del 1117 ed è a salienti, con lesene di sagoma triangolare che denunciano la divisione interna in tre navate, mentre sul loro vertice è evidente lo stemma olivetano. Nella parte inferiore sono collocati grandi blocchi squadrati di pietra mentre in quella superiore vi è la muratura caratteristica del romanico veronese con fasce alternate di pietra e mattoni e il coronamento di archetti pensili e cornice a dente di sega. Sopra il portale rettangolare, a cui si accede salendo alcuni gradini, è ancora presente la traccia del protiro pensile, mentre oggi, sopra di esso, vi è una finestra rettangolare, che assieme alle due finestre rettangolari sui lati risale al XVIII secolo. Il rosone quattrocentesco, oggi murato in seguito all’abbassamento del soffitto della chiesa, fu probabilmente costruito dove era collocata una piccola bifora. Anche le statue ai vertici della facciata sono un'aggiunta settecentesca. La parete settentrionale è composta da blocchetti di pietra squadrati in maniera grezza ed è quanto rimane della costruzione originaria pre-sisma del 1117. Verso la facciata la linea di giunzione obliqua tradisce la ricostruzione post-sisma. Le tre absidi, rivolte ad oriente, presentano anch’esse le forme del romanico veronese, seppur ognuna presenti una lavorazione diversa dall’altra, testimoni di ricostruzioni ed aggiunte. La più antica è quella meridionale, ipoteticamente pre-sisma del 1117, costruita come la muratura arcaica della parete settentrionale. L’abside centrale e quella a nord sono, in basso, formate da conci di pietra calcarea intervallati da un unico corso di mattoni romani, tecnica utilizzata all’inizio del XII secolo. Nella parte superiore la muratura è totalmente in pietra che si conclude, nell’abside centrale, con degli archetti a doppia ghiera e denti di sega. L’attuale chiostro monastico non ha nulla di quello primitivo, segnalato per la prima volta nel 1199. Rimaneggiato nel XVIII secolo, conserva nei lati meridionale e occidentale, all’interno della muratura, le arcate gotiche dei lavori voluti dall’abate Guglielmo da Modena nel XV secolo. Nella sala capitolare, prima stanza nel lato orientale verso la chiesa, sono emerse due bifore datata alla fine dell’XI secolo. Nel lato meridionale si trovano il refettorio con annesso lavatoio, mentre nell’angolo sud-ovest la cucina. Nel piano terra del lato occidentale vi era il deposito dei prodotti alimentari (cellario) e, sopra questo, la foresteria. Su questo lato si trovava anche il dormitorio dei monaci. Tutto il complesso è stato recentemente restaurato ed ospita, tra l'altro, il Museo geopaleontologico "Giuseppe Dalla Tomba", il Museo storico-archeologico e d'arte sacra, il Museo reperti bellici e delle Guerre Mondiali e il Museo arti e mestieri della Civiltà Contadina. L’interno della chiesa si presenta a tre navate, con pilastri e colonne alternati, come in molte chiese romaniche veronesi dei primi decenni del XII secolo. La copertura originale a capriate è stata coperta, nel XVII secolo, dalle volte ancora esistenti. I capitelli del lato meridionale sono di recupero. Il primo risale al X secolo, mentre il secondo è di epoca romana (II secolo). Quelli del lato settentrionale sono tutti di epoca romanica. Verso la fine del XVII secolo e l’inizio del XVIII secolo furono aggiunte alcune opere di gusto barocco come gli angeli, la scalinata che conduce al presbiterio e gli otto angeli con cornucopia in pietra di Nanto, opera della bottega vicentina dei due scultori, fratelli, Angelo e Francesco Marinali. Su una colonna della navata centrale della chiesa (la prima a sinistra, entrando dall'ingresso) è incisa una figura a forma di sandalo: è il "sandalo del pellegrino". Partendo da sinistra rispetto all’ingresso troviamo la pala d’altare raffigurante San Bernardo Tolomei, il fondatore degli Olivetani, a cui appare la Beata Vergine Maria col Bambino, opera risalente alla fine del XVII secolo ed attribuita al pittore veronese Giovanni Murari. Lo segue un altare risalente all’inizio del Settecento, opera probabile della bottega veronese di Giovanni Battista Ranghieri. Vi è conservata una Pietà di scuola tedesca, datata 1430, attribuibile allo scultore Egidio da Wiener Neustadt. Nella navata destra, subito dopo l’ingresso, vi è un ciclo di affreschi, rimesso in luce nel 1935, raffigurante la Vita di San Benedetto secondo i Dialoghi di San Gregorio Magno, sicuramente una delle rappresentazioni d’epoca medievali più complete della vita del Santo di Norcia. I diciotto riquadri si sviluppano dall’alto verso il basso e da sinistra verso destra e rappresentano i miracoli di San Benedetto, la sua morte e i solenni funerali. Il ciclo è stato attribuito alla bottega di Martino da Verona e fu realizzato all’inizio del XV secolo mentre era abate Guglielmo da Modena. Segue l’altare di Sant'Agata, coevo a quello della Pietà e sempre opera della bottega del Ranghieri, che custodisce la pala raffigurante il martirio della Santa catanese, di recente attribuito al pittore Simone Brentana. Subito dopo un dipinto murale con Santa Caterina e Sant'Agostino, risalente all’inizio del XV secolo. Nella fiancata meridionale della navata centrale si apriva una serie di finestre romaniche che, oggi scomparse, hanno lasciato il posto a tre finestre a lunetta barocche. Salendo la scala settecentesca che conduce nel presbiterio sono visibili tre quadri, di cui due i due alle estremità raffigurano L’apparizione di Cristo a Santa Brigida di Svezia e Sant'Antonio di Padova al cospetto della Madonna col Bambino, attribuiti a Biagio Falcieri, pittore veronese della seconda metà del Seicento. Il quadro centrale è una delle opere d’arte più importanti dell’abbazia, cioè la Pala di Santa Francesca Romana del Guercino. Per anni ritenuta una copia del dipinto oggi presente alla Galleria Sabauda, oggi la si ritiene un originale uscito dalla bottega del Guercino. Il piano del presbiterio è molto più alto rispetto alla navata e gli arconi ribassati del presbiterio sono un intervento post-sisma del 1117 per ampliare lo spazio eliminando una colonna intermedia e liberando da sostegni la cripta sottostante. Le tre absidi, internamente, sono divise da due semicolonne con capitello a cubo risalenti alla chiesa pre-sisma. Dal presbiterio si accede a settentrione al campanile e a meridione alla sacrestia Nell’abside centrale vi è un coro ligneo del Seicento. Lo sovrasta, con due monofore che la affiancano (e una retrostante), la grande ancona attribuita allo scultore Antonio da Mestre risalente all’inizio del Quattrocento. Essa è suddivisa in tre registri. Nel primo, in cinque nicchie, vi sono, partendo da sinistra, i Santi Paolo, Benedetto, Pietro in cattedra, Andrea e Nicola. Nel secondo registro vi sono, sempre partendo da sinistra, alcune formelle: la Pesca miracolosa, la Tempesta sedata, la Crocifissione, il Processo di Sant’Agata e il Martirio di Sant’Agata. Nei pinnacoli sono inseriti i simboli dei Quattro Evangelisti e, al centro, Cristo in mandorla. Probabilmente il piccolo monaco che San Benedetto presenta a San Pietro è l’abate Guglielmo da Modena. Nel catino absidale vi è il grande affresco, risalente al 1703, con San Benedetto in gloria, raffigurazione che presenta le figure principali dell’Ordine Olivetano (San Bernardo Tolomei e Santa Francesca Romana). L’autore è stato recentemente riconosciuto nel pittore Giovanni Murari. Nel muro nord del presbiterio vi sono frammenti di una vasta scena affrescata con al centro una Madonna col Bambino in trono affiancata da una serie di santi. La decorazione dell’area presbiterale è incorniciata da un disegno a quadri concentrici scalinati che continua fino alle capriate lignee sopra la volta. Tali affreschi, datati al secondo-terzo decennio del Trecento, hanno somiglianze con quelli presenti nelle chiese di San Fermo Maggiore e della Santissima Trinità a Verona e può essere identificato nel Maestro del Redentore. Nell’abside destra, in alto, vi è un’Annunciazione sempre della scuola del Maestro del Redentore, databile all’inizio del Trecento, mentre sul lato meridionale del presbiterio vi sono tre piccoli quadri. San Giuseppe col Bambino e la Madonna col Bambino sono riconducibili all’ambito del francese Louis Dorigny, mentre un altro ‘’San Giuseppe col Bambino’’ è stato recentemente attribuito al pittore Antonio Zanchi. Accanto ai tre piccoli quadri vi è una tempera su tavola raffigurante San Michele Arcangelo che conduce un gruppo di Santi verso il Paradiso. Per anni attribuita alla bottega veneziana dei Vivarini, si è potuto stabilire che l’autore è il cretese Theodoros Poulakis. Sottostante al presbiterio e raggiungibile da due scale nelle navate laterali, l’ampia cripta è sorretta da colonne e da un sistema di volte a crociera. I capitelli sono quasi tutti a otto spicchi, di influenza bizantini, simili alla colonna presente nella navata. Anche la cripta fu, assieme alle absidi, ricostruita subito dopo il sisma del 1117, consentendo di utilizzare la chiesa almeno in parte. Con la costruzione della scalinata d’accesso al presbiterio nel Settecento i due accessi centrali furono chiusi e aperti gli altri due all’estremità, ma solo nel 1927 la cripta tornò a far parte del luogo di culto (da segnalare come in passato la cripta fosse stata parzialmente murata ed usata come cantina). Sulla parete sinistra della cripta sono affrescate le Storie di Sant’Agata, anche se piuttosto rovinate. Il fatto che Sant’Agata sia raffigurata più volte nell’Abbazia di Villanova risale alla presunta scoperta dei resti della santa catanese da parte del Vescovo di Verona Pietro della Scala e collocati nell’arca nella navata destra della Cattedrale di Verona nel 1353. Nel piccolo altare all’interno dell’abside di sinistra vi è una delle sculture più preziose e antiche dell’Abbazia, un paliotto scolpito con una coppia di pavoni che bevono al kantharos alla base della croce con intrecci di vimini, fiori, tralci e grappoli d’uva che ricordano sculture di epoca longobarda. La datazione va dalla fine dell’VIII secolo e l'inizio del IX. Nell’abside destra vi è un'"Annunciazione" formata da due pezzi in altorilievo, attribuiti allo scultore Antonio da Mestre, risalenti agli anni Venti del Quattrocento e qualitativamente superiori all’ancona presente nel presbiterio della chiesa. Nel pavimento vi sono reperti della prima epoca romana come una lapide funeraria (usata come base di una colonna) e un vaso cinerario. Nella cripta si trova un sarcofago nel quale riposa il corpo del venerabile don Giuseppe Ambrosini (del quale è in corso la causa di beatificazione). Il campanile è addossato alla parete settentrionale della chiesa, precisamente all’area presbiterale, è di base quadrata e misura 8,7 metri di lato, con lo spessore dei muri che raggiunge i 2,5 metri. Nella parete orientale un’iscrizione ricorda come l’edificazione della torre sia iniziata nel 1149 grazie all’abate Uberto di Sambonifacio. Del campanile romanico è rimasta solo la base, fino a 14 metri d’altezza, costituita da grandi blocchi di pietra. La parte terminale della torre fu completata in epoca scaligera per un uso militare, mentre fu intorno al 1400 che l’abate Guglielmo da Modena fece erigere l’attuale cella campanaria con trifore gotiche ad arco acuto e la grande cuspide conica, con al culmine una croce metallica e con quattro pinnacoli agli angoli. Restaurato internamente ed esternamente nel 2016, è possibile oggi ai visitatori salire dalla scala romanica fino alla cella campanaria. Il concerto campanario collocato nella torre risulta composto da 6 campane in FA3 montate alla veronese ed elettrificate. Questi i dati del concerto: 1 – FA3 - diametro 1060 mm - peso 676 kg - Fusa nel 1930 da Cavadini di Verona 2 – SOL3 - diametro 947 mm - peso 482 kg – Fusa nel 1930 da Cavadini di Verona 3 – LA3 – diametro 865 mm - peso 345 kg - Fusa nel 1930 da Cavadini di Verona 4 – SIb3 – diametro 800 mm - peso 287 kg - Fusa nel 1871 da Cavadini di Verona 5 – DO4 – diametro 703 mm - peso 190 kg - Fusa nel 1871 da Cavadini di Verona 6 – RE4 – diametro 630 mm - peso 140 kg - Fusa nel 1871 da Cavadini di Verona. Come ricorda il suonatore di campane Pietro Sancassani, al concerto del 1871 furono aggiunte altre tre campane più grandi e un nuovo castello per sostenere il concerto. Gecchele Mario, Bruni Dario, De Marchi Irnerio (a cura di), Luoghi di culto in Val d'Alpone. Fra storia e arte, Lonigo, Associazione Culturale Le Ariele - Riccardo Contro Editore, 2022. Sancassani Pietro, Le mie campane. Storia di un'arte e di una tradizione del Millenovecento, a cura di Rognini Luciano, Sancassani Laura, Tommasi Giancarlo, Verona, Offset Print Veneta, 2001. Veneto, collana Guide verdi d'Italia, Milano, Touring editore, 2015, p. 185. S.Bonifacio (Vr) - Abbazia di S.Pietro di Villanova - La Chiesa Costruita Su Una Quercia Celtica, su Luoghi Misteriosi. URL consultato il 7 aprile 2015. Angelo Passuello, L'abbazia di S. Pietro Apostolo a Villanova presso San Bonifacio (VR) in periodo olivetano (1562-1771), in Benedictina, LIX, n. 1, 2013, pp. 107-135. URL consultato il 1º giugno 2015. San Bonifacio (Italia) Diocesi di Vicenza Parrocchie della diocesi di Vicenza Regione ecclesiastica Triveneto Ordine di San Benedetto Congregazione olivetana Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su abbazia di San Pietro Sito ufficiale, su abbaziavillanova.org. Abbazia di S. Pietro, su Comune di San Bonifacio, 13 marzo 2013. URL consultato il 2 dicembre 2019. Anna Roda, L'abbazia di San Pietro a Villanova. Un gioiello sulla via Postumia, su Don Gabriele Mangiarotti (a cura di), CulturaCattolica, 5 giugno 2015. URL consultato il 2 dicembre 2019 (archiviato dall'url originale il 18 gennaio 2021).

Chiesa di Santa Maria Fossa Dragone

La chiesa di Santa Maria Fossa Dragone o chiesa dei Cappuccini è una chiesa sussidiaria della parrocchia di Santa Maria Maggiore in Monteforte d’Alpone; fa parte del vicariato dell'Est Veronese, precisamente dell'Unità Pastorale Soave - Monteforte. Della chiesa, oggi all’interno del cimitero di Monteforte, non si è a conoscenza dell’anno di costruzione, mentre è certo che è sempre stata una proprietà comunale. Il primo documento che ne parla è un atto del 1383 in cui il Vescovo di Verona Pietro della Scala assegna a ser Fermo detto Cleregino, a nome di Zampietro di Giovanni, nativo di Isola della Scala, ma abitante a Verona, riceve un terreno. In tale atto compare la denominazione di Santa Maria, la stessa della chiesa parrocchiale di Monteforte, già esistente nel Duecento. La denominazione con cui è conosciuta oggi, Santa Maria di Fossa Dragone, appare la prima volta nel testamento di Bona Femmina, vedova di un notaio montefortiano, nel 1410. Essa dona una somma per la sistemazione del tetto della chiesa. A metà del Quattrocento è attestata la presenza di un eremita, il quale godeva dell’usufrutto di alcuni terreni, mentre da un testamento coevo si apprende l’esistenza di un cimitero attiguo al luogo di culto. Al 1473 risale l’assegnazione da parte di Antonio de Rexanis, arciprete di Santa Maria Maggiore, al custode della chiesa, fra’ Agostino da Pisa, di quattro pezze di terra. Lui e i suoi successori avrebbero potuto dimorare nel romitorio solo con il consenso della comunità di Monteforte. Nel XV secolo la chiesa venne ampliata e riqualificata in quanto aveva assunto una certa importanza e frequentazione come santuario mariano. Conclusi i lavori, fu consacrata, come attestano le croci alle pareti ed un’iscrizione, il 21 settembre 1489 da Marco Cattaneo, Arcivescovo di Durazzo e vicario di Giovanni Michiel, Vescovo di Verona. Nella prima metà del Cinquecento, per iniziativa del Vescovo di Verona Gian Matteo Giberti arrivarono nel territorio diocesano i Cappuccini, che presero il posto dell’eremita custode della chiesa. Risale al gennaio 1568 la convenzione tra i frati e la comunità di Monteforte con cui ai religiosi veniva assegnata la chiesa, il romitorio, l’orto e i terreni del beneficio. Questo comportò la costruzione di un convento a sud della chiesa, con diciotto celle per i frati, tre per gli infermi e due per i laici, nonché l’edificazione del coro, a nord della navata. Nel 1769 la Repubblica di Venezia soppresse il convento e l’anno successivo Alessandro Duodo, aggiunto sopra i monasteri, ripristinò la comunità religiosa nel diritto di patronato sulla chiesa con obbligo della Santa Messa festiva e uso e usufrutto dei beni parrocchiali. Nel 1789 tutta la struttura divenne temporaneamente un ospedale, mentre al 1817 risale l’uso di seppellire i morti di Monteforte nell’area antistante la chiesa, vista la dismissione del vecchio cimitero a fianco della parrocchiale. Il convento fu completamente abbattuto nella seconda metà dell’Ottocento e al 1884 risale la proibizione di celebrare l’Eucarestia all’interno del luogo di culto da parte del Vescovo di Verona, il Cardinale Luigi di Canossa in quanto inservibile al culto divino. Nel 1950 fu abbattuta la sacrestia, dietro al presbiterio, e nel 1954 fu la volta del coro a favore delle tombe dei sacerdoti. Tra il 2003 e il 2004 grazie a vari entri, la chiesa fu restaurata La facciata a capanna, rivolta ad ovest, presenta un portale rettangolare marmoreo sovrastato da una lunetta con arco a sesto acuto. Ai lati, a metà della lunetta, troviamo due grandi finestre rettangolari mentre in asse con il portale vi è un oculo. L’interno è un’aula a pianta rettangolare, con copertura a capriate lignee sostenute da modiglioni in pietra nella parte riservata ai fedeli. Alla sinistra della porta, un affresco trecentesco con la Madonna allattante tra i santi Giovanni e Pietro. Sulla parete sinistra vi è un arco del XVII secolo, oggi murato, attraverso cui si entrava nel coro fatto erigere dai Cappuccini. Sulla chiave di volta vi è lo stemma dell’ordine. Ai lati dell’arco trionfale vi sono due altari in muratura, entrambi privati delle pale su di essi collocate, oggi in altri edifici: l’Adorazione dei Magi, del 1623, nel palazzo municipale; la Madonna e i santi Anna, Francesco d'Assisi, Carlo Borromeo e Chiara, del 1622, oggi nella cappella del Palazzo vescovile montefortiano. Entrambe sono opera del pittore Giovanni Camozzoni. Era presente anche L’Assunta con i santi Francesco e Domenico, attribuita a Felice Riccio detto Brusasorzi, oggi in municipio. Il presbiterio, elevato di un gradino rispetto all’aula, ha una volta a crociera ed è sorto dopo la demolizione della preesistente piccola abside. Al centro è presente l’altare maggiore ligneo del Quattrocento, di autore ignoto, staccato da terra e ancorato alla parete. Composto da due colonne con capitelli corinzi e timpano, al suo interno contiene una struttura più ridotta, con un trittico ed una predella, sovrastati da una lunetta. Nella parte mediana, divisa da lesene vi sono scolpiti in altorilievo i santi Giovanni Battista e Andrea. La nicchia centrale, oggi vuota, accoglieva fino al 1970 la statua della ‘’Madonna del drago, custodita attualmente nell’oratorio di San Luigi Gonzaga, adiacente alla parrocchiale di S. Maria Maggiore. La Vergine, seduta, a mani giunte, con una lunga veste gialla e un velo rosso, tiene sulle ginocchia il Bambino Gesù, contemplato con sguardo amoroso. Sotto i piedi della Madonna un drago (interpretato come il vicino torrente Alpone, spesso devastatore delle zone circostanti alla chiesa con le sue piene) dalla pelle verdastra, con ali di pipistrello, zampe di leone, testa canina e coda di serpente sollevata, a farlo apparire domato, ma ancora fremente. Databile alla seconda metà del Quattrocento, è attribuita alla scuola di Giovanni Zebellana. Nella seconda metà del Quattrocento il presbiterio fu decorato dalle pitture di Pietro di Marino, rimesse in luce e restaurate recentemente. A sinistra la Madonna in trono tra i santi Antonio Abate e Bernardino da Siena, con l’anacoreta egiziano a sfiorare la testa di un uomo canuto affiancato dalla moglie, sicuramente i committenti del dipinto, raffiguranti con le mani giunte. Tra la Vergine e San Bernardino vi è un castello su un colle, mentre sulla pedana del trono è riportato l’anno 1488. Sul lato destro del presbiterio vi è un affresco, sempre del 1488, composto da due riquadri: nel primo San Bovo, mentre nel secondo una ‘’Madonna in trono col Bambino’’ e un orante inginocchiato ai suoi piedi, probabilmente il committente. Un’altra opera d’arte che era presente nella chiesa, oggi in una cornice in municipio, risale al 1669, quando la comunità di Monteforte commissionò alla suora di clausura veneziana Elisabetta Piccini una lastra di rame incisa con l’immagine della Madonna miracolosa del drago, come riportato sul cartiglio dell’opera, con la presenza dello stemma dei Vescovi di Verona Sebastiano Pisani I e II, zio e nipote. In basso vi sono i Cappuccini, i miracolati, il paese di Monteforte, Sant’Antonio Abate, il Palazzo vescovile e la processione verso la chiesa, mentre in alto San Pietro pesca spade, archi e frecce a ricordare la guerra contro i Turchi. Gecchele Mario, Bruni Dario, De Marchi Irnerio (a cura di), Luoghi di culto in Val d'Alpone. Fra storia e arte, Lonigo, Associazione Culturale Le Ariele - Riccardo Contro Editore, 2022. Monteforte d'Alpone Parrocchie della diocesi di Verona Diocesi di Verona Regione ecclesiastica Triveneto Puntata di Imago Ecclesiae in cui si parla anche della chiesa di Santa Maria Fossa Dragone, su youtube.com.

Chiesa dei Santi Vittore e Corona (Colognola ai Colli)
Chiesa dei Santi Vittore e Corona (Colognola ai Colli)

La chiesa dei Santi Vittore e Corona è la parrocchiale di San Vittore, frazione del comune sparso di Colognola ai Colli, in provincia di Verona. Fa parte dell'unità pastorale di Soave-Monteforte del vicariato dell'Est Veronese nella diocesi di Verona. La prima cappella nella località di San Vittore con dedicazione ai santi Vittore e Corona fu costruita a partire dal X secolo. Un atto scritto risalente al 1350 testimonia che il piccolo luogo di culto in quel periodo rientrava tra le disponibilità dei monaci cluniacensi del monastero maschile di San Gabriele di Cremona. La chiesa, costruita su uno sperone roccioso, è ben visibile all'interno della Val Tramigna. Nella visita pastorale del vescovo Ermolao Barbaro il Vecchio viene descritta una chiesa dipendente dalla chiesa parrocchiale di Monte di Colognola. I rapporti con la chiesa madre non furono mai buoni e, nel 1921, il vescovo Bartolomeo Bacilieri eresse la parrocchia di San Vittore. Nel 1927 iniziarono i lavori per la chiesa recente, inaugurata il 7 settembre 1930 da Giuseppe Manzini, un edificio molto più grande rispetto al precedente con pianta cruciforme, di cui è ancora visibile l'abside sul lato orientale. L'orientamento venne modificato da ovest-est a nord-sud, in modo che si potesse sia affacciare sulla piccola piazza sia mantenere il presbiterio preesistente per utilizzarlo fino al termine dei lavori. Poiché la chiesa precedente era collocata sul colmo dello sperone roccioso fu necessario erigere un imponente contrafforte sotto l'abside del nuovo edificio.. La facciata, rivolta a sud, a doppio ordine di lesene ioniche, con fronte triangolare, presenta quattro nicchie, rimaste vuote, mentre una monofora, al centro, è simmetrica al portale sottostante. Forse il modello di tale prospetto è quello della San Paolo in Campo Marzio a Verona. L’interno, a navata unica e copertura a botte, presenta quattro altari sulle pareti laterali, di cui i due più vicini provengono dalla chiesa sconsacrata di Santa Maria Maddalena di Dossobuono. Quello dedicato al Sacro Cuore è della prima metà del Settecento, mentre quello dedicato a Santa Teresa del Bambino Gesù, il primo a destra, è della seconda metà del Settecento, ma presenta la data del 1950, anno in cui fu ricollocato. Il secondo altare a sinistra, dedicato alla Madonna Addolorata, in marmi policromi, è del 1660, è contiene una Pietà in gesso dipinto e legno della seconda metà dell’Ottocento. Il secondo altare a destra, dedicato alla Madonna del Rosario, risale al 1700. L’altare maggiore presenta un paliotto della prima metà del Settecento. Interessante è la presenza, sulle alte pareti, di otto tele, quasi tutte in deposito temporaneo (alcune dal 1939) dal Museo di Castelvecchio di Verona e provenienti per buona parte da chiese veronesi soppresse. La Madonna in gloria e santi (prima cappella a sinistra), opera giovanile di Bernardino India, proviene dalla chiesa di San Donato alla Colomba ed è databile al settimo decennio del Cinquecento. Dello stesso autore, ma opera della maturità, è l'Annunciazione (lato destro, prima dell’abside), datata 1575, a suo tempo in San Domenico dell’Acquatraversa. La Pentecoste, parete sinistra prima dell’abside, proviene dalla chiesa dello Spirito Santo ed è attribuita a Francesco Badile, opera che ricalca i modi manieristici della metà del Cinquecento. Nella chiesa sono poi presenti tre dipinti di Sante Creara: l’Incoronazione della Vergine con santi (nel presbiterio, a sinistra, dalla chiesa di Santa Caterina da Siena, datata tra fine Cinquecento e inizio Seicento; Madonna Assunta e santi (presbiterio, a destra), dalla chiesa di Santa Margherita, con gestualità già barocca, è del primo Seicento; lAnnunciazione, nella chiesa di Santa Maria del Giglio, poi in Sant'Orsola, è arrivata nel 1979, sempre databile al primo Seicento. Il dipinto nell'abside, Quattro santi in adorazione della Croce, sorretta da Sant'Elena è opera tarda di Anselmo Canera, in origine nella chiesa di Santa Croce di Cittadella. Vicina all’entrata, a destra, è posta la tela di Pasquale Ottino, lo Sposalizio mistico di Santa Caterina, che, affine stilisticamente al San Gioacchino e San Giuseppe della cappella Pellegrini, è databile ai primi anni del terzo decennio del Seicento. La torre campanaria è antecedente alla chiesa attuale, essendo stato costruito nel 1911 in stile neo-romanico. Staccata dal corpo principale, mostra una struttura robusta, in pietra a vista chiara con inserimenti orizzontali in laterizio rosso. La cella campanaria, aperta con monofore, ospita 10 campane montate alla veronese, suonabili anche manualmente per la presenza del doppio sistema. Questi i dati del concerto: 1 – REb3 - diametro 1270 mm - peso 1121 kg - Fusa nel 1925 da Cavadini di Verona 2 – MIb3 - diametro 1135 mm - peso 775 kg - Fusa nel 1911 da Cavadini di Verona 3 – FA3 - diametro 1015 mm - peso 559 kg - Fusa nel 1911 da Cavadini di Verona 4 - SOLb3 - diametro 950 mm - peso 457 kg - Fusa nel 1911 da Cavadini di Verona 5 - LAb3 - diametro 840 mm - peso 321 kg - Fusa nel 1911 da Cavadini di Verona 6 - SIb3 - diametro 750 mm - peso 232 kg - Fusa nel 1923 da Cavadini di Verona 7 – DO4 - diametro 688 mm - peso 205 kg - Fusa nel 2003 da De Poli di Vittorio Veneto 8 – REb4 - diametro 663 mm - peso 176 kg - Fusa nel 2003 da De Poli di Vittorio Veneto 9 – MIb4 - diametro 600 mm - peso 135 kg - Fusa nel 2003 da De Poli di Vittorio Veneto 10 - FA4 - diametro 536 mm - peso 89 kg - Fusa nel 2003 da De Poli di Vittorio Veneto. Angelo Chiarello (a cura di), Le visite pastorali di P. A. Mutti (1842-46) e di B. De Riccabona (1858) nella Diocesi di Verona, Roma; Vicenza, Edizioni di storia e letteratura; Istituto per le ricerche di storia sociale e di storia religiosa, 1977, SBN IT\ICCU\VEA\0044149. Giuseppe Franco Viviani (a cura di), Chiese nel veronese, Verona, Vago di Lavagno, Società Cattolica di Assicurazione - La Grafica Editrice, 2004. Congregazione cluniacense Colognola ai Colli Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla chiesa dei Santi Vittore e Corona Chiesa dei Santi Vittore e Corona - San Vittore, Colognola ai Colli, su BeWeb. URL consultato il 19 aprile 2020. Colognola ai Colli , su pedemontanaveronese.it. URL consultato il 20 aprile 2020.

Oratorio di San Giovanni Bosco

L’oratorio di San Giovanni Bosco è una chiesa sussidiaria della parrocchia di Sant’Abbondio a San Bonifacio in provincia di Verona e diocesi di Vicenza; fa parte del vicariato di San Bonifacio-Montecchia di Crosara, più precisamente dell'Unità Pastorale San Bonifacio. Nel 1906 la parrocchia di Sant’Abbondio acquistò un terreno per far sorgere un oratorio per i ragazzi. Successivamente gli spazi aumentarono grazie all’acquisto di altro terreno. Furono costruiti un teatro, una scuola e sistemato un campetto da calcio. Quando Papa Pio XI, nel 1934, beatificò don Giovanni Bosco, fu posta la prima pietra di questo oratorio dedicato a lui, primo edificio in Veneto con tale intitolazione. Il progetto della chiesa è dell’ingegnere (ex salesiano) Livio Martinelli con la partecipazione di Giuseppe Lussana, Pietro Zanella, Nello Bertagnin (che realizzò anche gli affreschi con il professor Albertini) e Nello Sofia. L’edificio fu inaugurato l’8 settembre 1935. La facciata a capanna, in pietra bianca lungo i contorni e a mattoni a vista nella parte centrale, presenta un portale con protiro e lunetta con l’immagine di San Giovanni Bosco. Ai fianchi del portale due finestre allungate, mentre in alto vi è un rosone. Sopra, una cornice di archetti pensili, mentre sul vertice della facciata sorge una croce. La chiesa si presenta a navata unica, con varie aperture su entrambi le pareti e copertura a capriate lignee. Delimitato da una balaustra vi è il presbiterio con l’altare maggiore e, in una nicchia, la statua di San Giovanni Bosco. Sulla parete retrostante il presbiterio vi sono degli affreschi di Nello Bertagnin, realizzati con la collaborazione del professor Albertini, con scene di vita del santo di Castelnuovo Don Bosco, attorniato dai ragazzi. Risulta presente anche lo stesso oratorio e il Santuario di Maria Ausiliatrice in Torino. Gecchele Mario, Bruni Dario, De Marchi Irnerio (a cura di), Luoghi di culto in Val d'Alpone. Fra storia e arte, Lonigo, Associazione Culturale Le Ariele - Riccardo Contro Editore, 2022. San Bonifacio Parrocchie della diocesi di Vicenza Diocesi di Vicenza Regione ecclesiastica Triveneto Oratorio di San Giovanni Bosco, su BeWeB, Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici della Conferenza Episcopale Italiana.

Chiesa di Sant'Abbondio alla Motta

La chiesa di Sant’Abbondio alla Motta è una chiesa sussidiaria della parrocchia di Sant’Abbondio in San Bonifacio, in provincia e diocesi di Vicenza; fa parte del vicariato di San Bonifacio-Montecchia di Crosara, più precisamente dell'Unità Pastorale San Bonifacio. Sede plebana, la chiesa di Sant’Abbondio sorge sulle propaggini della Motta, una modesta altura separata dal centro attuale di San Bonifacio dal torrente Alpone dove sorgeva il castello, documentato per la prima volta nel 955 nel testamento del conte Milone. Nel castello era presente una cappella gentilizia dedicata a San Bonifacio, oggi scomparsa, che diede il nome sia alla località sia alla famiglia dei Conti e che probabilmente fu in origine il luogo di culto cristiano della prima comunità residente nel castello. Con la pace di Fontaniva del 1147 i vicentini, per l’aiuto ricevuto nella guerra contro i padovani, ricevettero un esteso territorio, modificando il confine fino ad allora segnato dall’Alpone dal punto di vista politico. Questo non ebbe valore a livello diocesano, con Sant’Abbondio pieve appartenente a Vicenza. Quando Alberto Sambonifacio fece testamento il 15 febbraio 1135 lasciò tutti i suoi beni nel veronese e nel vicentino all’Abbazia di Villanova, ignorando la pieve di Sant’Abbondio, probabilmente perché quest’ultima non esisteva ancora. In ogni caso tale lascito da parte di Alberto fu motivo di una lite tra parrocchia e abbazia che si concluse solo alla chiusura del monastero di Villanova nel 1771. Il primo documento che parla della pieve di Sant’Abbondio risale al 30 agosto 1177 e, nel 1208, si cita la chiesa e le mura che proteggevano l’abitato, costituitosi in libero comune, con la vicinia, l’assemblea degli abitanti che si radunava nella piazza di fronte all’edificio ecclesiastico. Se la comunità era riuscita ad ottenere una certa autonomia dai Conti, fa invece pensare la dedicazione del luogo di culto ad un santo lombardo. Si può spiegare come un’ingerenza dei Sambonifacio, visti i loro antichi legami con la Lombardia. La pieve, in quegli anni, era una collegiata, cioè con un certo numero di presbiteri che vivevano in comune in un edificio annesso alla chiesa, forse collegato dalla porta visibile sul lato meridionale, oggi murata. Gli inizi del XIII secolo furono un periodo difficile, tanto che nel 1207 il castello fu assediato dai Montecchi, nemici dei Conti, e la situazione per il borgo fu più difficile. A questo periodo risale lo spostamento della sede parrocchiale al di là dell’Alpone, nella più grande Santa Maria. Nonostante l’abbandono del castello da parte dei Sambonifacio nel 1243, la chiesa continuò ad essere frequentata come dimostrano gli affreschi che vanno dalla fine del XIV secolo al 1526. Per salvaguardare la chiesa, intorno al 1500 fu creata la Confraternita di Sant’Abbondio, che vi mantenne un cappellano fino alla fine del XVII secolo. Successivamente la chiesa fu pian piano abbandonata, salvo una Messa che veniva celebrata dall’arciprete il 31 agosto, festa del santo comasco, oltre alla tradizione di compiere una processione che partiva dall’antica pieve per dirigersi verso Santa Maria Maggiore all’insediamento del nuovo parroco. Solo nel 1900 iniziarono dei lavori di restauro, progettati dall’ingegnere Antenore Mazzotto, che diedero alla chiesa l’attuale aspetto medievale, eliminando aggiunte successive come le due finestre ai lati dell’ingresso e aggiungendo nuovi elementi come il protiro all’ingresso, il rosone a raggiera, gli archetti pensili e la porta sul lato nord. Il tetto a capriate fu ricostruito in questo periodo, mentre il pavimento fu portato alla quota originale. Il 20 settembre 1903 il Vescovo di Vicenza Antonio Feruglio consacrò il nuovo altare maggiore. Da allora la chiesa è stata utilizzata salutariamente La facciata, rivolta ad ovest, originariamente, doveva essere a capanna, con protiro pensile, una bifora al posto del rosone e archetti rampanti, forse come nella chiesa parrocchiale di Scardevara. La muratura è ancora quella originaria, con corsi orizzontali di mattoni alternati da filari di blocchi squadrati di pietra calcarea, come nell’Abbazia di Vilanova, al Santuario della Madonna della Strà in Belfiore o nella già citata chiesa dei Santi Filippo e Giacomo in Scardevara, tipica del romanico veronese del XII secolo. Il lato sud, adiacente alla corte di palazzo Scudellari, è rimasto com’era, con corsi paralleli di blocchi calcarei squadrati in maniera grossolana e tre finestrelle a doppia strombatura. Una finestra dello stesso tipo è l’unica a nord. I grandi blocchi angolari sembrano poi essere simili a quelli del campanile di Villanova, costruito nel 1149. Questo fa ipotizzare che la chiesa sia stata costruita da maestranze attive in quegli anni nella vicina Abbazia e nell’antica chiesa belfiorese. L’interno, a navata unica, presenta numerosi affreschi. A sinistra dell’ingresso vi sono, su due livelli, degli ex voto databili tra il 1491 e il 1526 raffiguranti varie Madonne in trono con il Bambino Gesù, vari Sant’Abbondio, Santa Lucia, Sant'Antonio Abate, Sant'Antonio di Padova, Sant'Agata (senza testa) e San Bartolomeo. Spesso vi è il nome del donatore, che in alcuni dipinti è presentato al santo. Sopra l’arco trionfale vi è il dipinto più antico, una Annunciazione risalente tra la fine del XIV secolo e l’inizio del XV secolo, mentre nel catino absidale è raffigurante la Santissima Trinità con fasci di luce, angeli e i simboli dei Quattro Evangelisti. Al di sotto vi sono alcuni santi in riquadri incorniciati, come Santa Lucia, Sant’Antonio Abate, Sant'Agapito, San Bovo, San Francesco d'Assisi, Santa Caterina, San Bartolomeo, datati 1491. Vi è anche una Madonna col Bambino, che risulta, da un’iscrizione, dipinta da Pietro di Marino. Secondo il Simeoni l’autore di questa e altre pitture nell’edificio sacro e lo stesso che lasciò altre sue opere in chiese della zona, tra cui Santa Maria Fossa Dragone in Monteforte. Risalente al Quattrocento è anche Sant’Agata sul lato destro dell’arco trionfale, mentre, sempre di Pietro di Marino, sulla parete meridionale, è una scena molto rovinata con soldati e San Pietro Martire. Sulla controfacciata vi sono due statue lignee policrome risalenti al XVIII secolo raffiguranti San Bonifacio e San Tommaso d'Aquino, recentemente restaurate. La statua lignea nella nicchia sul lato meridionale rappresenta il titolare della chiesa, Sant’Abbondio. Nel tempo era stato aggiunto un campanile a vela, rimosso nei lavori di restauro del 1900. In quell’occasione, a nord della chiesa, verso la zona absidale, fu eretto nel 1903 un nuovo campanile, progettato dall’ingegnere Antenore Mazzotto. A base quadrata, presenta file di mattoni alternati a blocchi bianchi in pietra. La cella campanaria, contraddistinta da una cornice marcapiano, vede la presenza di bifore e presenta archetti rampanti al coronamento. La copertura è a pigna, circondata da quattro pinnacoli e coronata da una croce metallica. Gecchele Mario, Bruni Dario, De Marchi Irnerio (a cura di), Luoghi di culto in Val d'Alpone. Fra storia e arte, Lonigo, Associazione Culturale Le Ariele - Riccardo Contro Editore, 2022. San Bonifacio Parrocchie della diocesi di Vicenza Diocesi di Vicenza Regione ecclesiastica Triveneto Chiesa di Sant'Abbondio alla Motta, su BeWeB, Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici della Conferenza Episcopale Italiana.

Chiesa di Santa Maria Maggiore (San Bonifacio)
Chiesa di Santa Maria Maggiore (San Bonifacio)

La chiesa di Santa Maria Maggiore, nota anche come duomo o come chiesa di Sant'Abbondio, è una chiesa parrocchiale di San Bonifacio, in provincia di Verona e diocesi di Vicenza; fa parte del vicariato di San Bonifacio-Montecchia di Crosara, più precisamente dell'Unità Pastorale San Bonifacio. Il primo documento che cita la chiesa di Santa Maria è un atto del 1222. Essa si trovava dove sorge l’attuale luogo di culto, fuori dal castello dei Sambonifacio, in località Corubio. La chiesa, probabilmente di dimensioni simili a quella plebana di Sant’Abbondio, fu edificata a causa delle vicende del castello dei Sambonifacio, obiettivo militare che non garantiva come in passato protezione alla popolazione. Infatti, nel XIII secolo, prima i Montecchi e poi Ezzelino III da Romano assediarono più volte il castello, devastando i dintorni. Al 1241 risale la notizia di un cimitero attorno alla chiesa e di scolari istruiti dall’arciprete in modo che potessero diventare chierici per il servizio liturgico. Nel XIV secolo le notizie sono scarse, ad eccezione della questione della divisione delle decime con l’Abbazia di Villanova. Nella mappa del territorio sambonifacese del 1452 è raffigurata la chiesa di Santa Maria Maggiore, con un oculo in facciata, rivolta ad ovest, due cappelle per lato, e il campanile addossato al lato nord del presbiterio. Proprio agli inizi del Quattrocento, in quanto incapace di contenere i fedeli in seguito alla crescita del centro abitato, era stata ampliata. Per ottenere i fondi necessari il Comune, ottenuta l’autorizzazione del doge Tommaso Mocenigo nel 1417, obbligò i residenti abbienti a contribuire alla costruzione. Successivamente il titolo plebano passò alla chiesa di Santa Maria Maggiore anche se le visite pastorali antecedenti al Concilio di Trento ricordano che l’antica pieve era Sant’Abbondio alla Motta. La chiesa quattrocentesca, ampliata con cappelle sia nel XVI secolo sia nel XVII, risultò nel Settecento inadeguata a contenere i fedeli. Inoltre, la visita pastorale del Vescovo di Vicenza Antonio Marino Priuli del 1745 denunciò il cattivo stato dell’edificio, nonché la volontà della comunità sambonifacese di costruire una chiesa più grande, seppur mancando un'area dove costruirla accanto all’antica. L’unica soluzione che fu trovata per evitare di non avere un luogo di culto per un lungo periodo fu quella di costruire la nuova chiesa attorno alla vecchia, in modo che avrebbe potuto continuare ad essere officiata. Il disegno dell’edificio da costruire fu presentato alla comunità nel 1752 dall’arciprete e la Vicinia diede parere favorevole. Il 22 marzo 1753 l’arciprete Gio. Batta Sgreva, autorizzato dal Vescovo Priuli, benedì la prima pietra della nuova chiesa. La facciata fu la prima parte ad essere completata. Seguirono quasi dieci anni di attività ridotta, a causa della scarsità di risorse, ma probabilmente anche per l’incertezza su come procedere con la costruzione, visto che, per l’avanzamento dei lavori, bisognava demolire parti importanti della vecchia chiesa come la cappella settentrionale della crociera, la sacrestia e il campanile. Solo dopo la morte di don Carlo Cegani, nel 1778, e il conseguente arrivo del nuovo arciprete, don Bernardino Piperata, la costruzione riprese con slancio. Nel 1780, per costruire la cappella di sinistra, si decise di abbattere la parete sinistra della vecchia chiesa e, nel 1784, il campanile cinquecentesco tinto di rosso. Nel 1803 fu completata la nuova sacrestia a nord del presbiterio e nel 1825 l’attuale edificio si può dire completato nelle strutture murarie. Rimanevano da completare gli altari (erano stati riutilizzati quelli della chiesa vecchia) e ci si vide costretti ad ulteriori ampliamenti e aggiunte. Sicuramente nel 1822 la vecchia chiesa esisteva ancora, come testimonia la visita pastorale del Vescovo di Vicenza Giuseppe Maria Peruzzi, seppur fosse stata gradualmente rimossa la copertura e il nuovo luogo di culto era in avanzata fase di costruzione. Nel 1883, dopo 130 anni dall’inizio dei lavori (inizialmente ne erano stati preventivati una ventina), la chiesa fu consacrata alla presenza del Patriarca di Venezia e Cardinale Domenico Agostini. Tra il 1887 e il 1895 sorse la nuova sacrestia sul lato sud del presbiterio, trasformando quella sul lato nord in un Oratorio. Il 21 gennaio 1995 la chiesa ottenne il titolo di duomo, mentre l’ultimo restauro risale tra il 2002 e il 2003. La facciata della chiesa è divisa in due ordini, come capita nelle chiese di impostazione tardo rinascimentale e barocca. Nel primo ordine sei lesene ioniche, poggianti su basamenti, reggono l’architrave, ma solo quattro sostengono il timpano, ai cui lati e sul cui culmine trovano posto tre statue acroteriali raffiguranti a sinistra San Pietro, a destra San Giovanni Battista e al centro la Beata Vergine Maria. La parte superiore della facciata, al cui centro è presente una finestra rettangolare culminata da un timpano, risulta accordata a quella inferiore sui lati tramite delle forme curvilinee. Nel livello inferiore vi è, al centro, la grande porta d’ingresso rettangolare, sormontata da un timpano sostenuto da mensole, mentre ai lati tra due lesene, vi sono due nicchie con le statue di Sant’Abbondio e San Bonifacio, risalenti al XVIII secolo. Sono opera di uno scultore anonimo e collocate intorno al 1769, anno di completamento della facciata, come riportato nella lapide commemorativa posta sopra il timpano del portale. La facciata è ispirata alla tradizione delle chiese della Controriforma e un’opera molto simile è il prospetto della chiesa veronese di San Paolo in Campo Marzio, opera di Alessandro Pompei, antecedente di qualche anno, seppur con degli errori (disegno delle lesene, capitelli dalle forme poco “classiche”) dovute alla modesta preparazione dell’autore. Per queste mancanze e per il gusto cambiato nel frattempo fu nominato nel 1779 il veronese Pietro Maderna come progettista della chiesa e del campanile, ma, per non cadere negli errori compiuti in precedenza, la committenza interpellò due tra i più importanti architetti veronesi del tempo: il conte Ignazio Pellegrini e Adriano Cristofali. Sarà il primo ad apportare le modifiche per aggiornare e adattare il progetto del Maderna. La chiesa presenta una pianta a croce latina con tre cappelle per lato: due a pianta rettangolare e una absidata nel transetto. Evidente è la differenza di stile tra la facciata e l’interno, che richiama l’architettura di Andrea Palladio, in particolare la veneziana Basilica del Redentore molto ampio e luminoso, ad aula unica. Su tutto il perimetro della chiesa si presentano colonne slanciate e semicolonne composite alternate a lesene, che sostengono una trabeazione elaborata. Il pavimento è a scacchiera nella navata e nelle cappelle, con rombi in marmo rosso e bianco su progetto dell’ingegnere Antonio Zanella. Nella parte alta della navata sono presenti delle finestre rettangolari, due per lato, nelle cappelle a base rettangolare delle finestre a lunetta e nelle grandi cappelle del transetto le finestre termali a introdurre la luce naturale nel tempio cattolico. Nel 1834 l’ingegnere Ernesto Vanzetti progettò l’ampliamento e l’innalzamento delle quattro cappelle a base rettangolare. Per esse l’architetto Antonio Diedo progettò i quattro altari, tutti uguali, con due colonne corinzie che vanno a reggere un timpano. Nelle due grandi cappelle del transetto in origine erano stati collocati gli altari più grandi della vecchia chiesa, quello del Salvatore (1687) e della Madonna del Santo Rosario, ma nel 1841 furono venduti alla parrocchia di Brognoligo. Nel 1843 fu sempre l’architetto Diedo a progettare i due nuovi altari, simili a quelli delle cappelle, ma più grandi. Entrando dall’ingresso in facciata, sul lato sinistro abbiamo il primo altare con la Pala di Sant'Antonio Abate e San Pietro Martire di pittore ignoto, probabilmente della seconda metà del Seicento. Il secondo altare presenta la Pala del Sacro Cuore di Gesù, eseguita intorno al 1925 dal pittore veronese di origine trentina Carlo Donati. Interessante come sia raffigurata nella parte inferiore dell’opera sia rappresentato l’insediamento di un nuovo arciprete dalla chiesa di Sant’Abbondio alla Motta a Santa Maria Maggiore. Nell’altare del transetto sinistro è collocato un altorilievo ligneo del 1982, La Chiamata, opera di Nello Sofia, e una statua in pietra di Vicenza di scultore ignoto raffigurante Sant’Abbondio, risalente alla metà del Quattrocento, un tempo nella chiesa dedicata al santo comasco e che prima del restauro del 1997 era coperta da due strati di colore marrone che ne alteravano l’aspetto. In prossimità dell’altare del transetto sinistro è stata collocata la Pala di Sant’Abbondio, attribuita al pittore veronese Marcantonio Bassetti e restaurata nel 1982, mentre tra questa cappella e il presbiterio vi è una statua lignea di San Cristoforo. Nel primo altare sul lato destro è custodita la Pala di San Rocco, opera attribuita a Bonifacio Veronese, forse la più importante opera d’arte della chiesa. Viene citata per la prima volta nelle fonti nel 1535, quando viene affidata la doratura della cornice a Francesco Badile. Il dipinto fu commissionato dalla Confraternita di San Rocco dopo la peste del 1527 e fu restaurato nel 1988. Nel secondo altare è collocata la Pala della Madonna della Salute, opera del 1837 del pittore Domenico Vicari. Nella cappella del transetto destro l’altare custodisce la Pala dell’Assunta, opera di Aurelio Fabi, commissionata nel 1674 per essere collocata sull’altare maggiore della vecchia chiesa. Fu restaurata nel 2000. Sempre nella cappella del transetto, sull’altare, è posta una statua lignea della Madonna del Rosario, di autore ignoto, eseguita all’inizio del Novecento. Tra la cappella del transetto e il presbiterio vi è un’edicola in legno che contiene una piccola scultura, la ‘’Pietà’’, di autore ignoto e della prima metà del Quattrocento. Nell’ambito delle Pietà di scuola tedesca, una simile, datata 1430, è conservata nell’abbazia di Villanova. Nel 1793 furono erette le due isolate colonne che reggono l’arco trionfale a serliana e la copertura del presbiterio, ma per completare quest’ultima fu richiesta la consulenza dell’architetto veronese Luigi Trezza. Il presbiterio, delimitato dalle già citate due colonne e rialzato di alcuni gradini rispetto alla navata, ha base quadrata, su cui si affacciano quattro archi identici, tra cui quello dell’abside, soluzione che si trova in altre chiese del territorio come quelle di Monteforte (1804), Caldiero (1831) e Montecchia di Crosara (1840). Il pavimento è in marmo bianco, rosso e nero, posati con motivi geometrici tridimensionali, mentre sulla volta a crociera sovrastante sono dipinti i Quattro Evangelisti e al centro lo Spirito Santo, opera del pittore Silvio Alberto Albertini (1944). Due finestre termali e altre due monofore introducono la luce naturale nel presbiterio. Sulla balaustra sono collocati i due leggii, di cui quello a sinistra funge da ambone, mentre al centro vi è l’altare ligneo posto dopo l’adeguamento liturgico provvisorio postconciliare. Sul paliotto presenta Gesù fra i dottori nel Tempio. L’altare maggiore preconciliare, posto oggi dietro la sede del celebrante, fu progettato dall’architetto Diedo nel 1847, anno della sua morte. A portare a compimento l’opera fu l’ingegnere soavese Antonio Zanella, che terminò i lavori nel 1852, come inciso sul retro dell’altare. Le due statue degli angeli oranti e quella del Cristo Salvatore (in origine all’apice del frontone dell’edicola) furono realizzate nel 1848 dallo scultore veronese Innocenzo Fraccaroli. Nell’abside a base semicircolare è posta un’altra Pala di Sant’Abbondio, opera del pittore soavese Adolfo Mattielli (XX secolo), con la parte inferiore raffigurante la chiesa di Santa Maria Maggiore, quella di Sant’Abbondio alla Motta e una fantasiosa ricostruzione del castello di San Bonifacio. Inoltre, riporta i nomi di Antonio e Maria Scudellari, forse i committenti dell’opera. Sopra la tela del Mattielli vi è un tondo in pietra di Vicenza al cui interno è scolpita una Madonna col Bambino, attribuito ad Antonio da Mestre, databile alla prima metà del XV secolo. Nel catino absidale trova posto la prima opera d’arte che arricchì la chiesa ancora in costruzione, la Cacciata degli angeli, affrescata tra il 1802 e il 1803 dal pittore veronese Pio Piatti, allievo di Giambettino e Felice Cignaroli. L'organo presente all'interno della chiesa, con due corpi contrapposti nell'abside, è il Mascioni opus 799, costruito nel 1960. Questo strumento dispone di 31 registri, tra cui una percussione (campane) al pedale. L'organo, da fonti, ha subito un restauro con l'aggiunto degli annullatori. La chiesa quattrocentesca disponeva di un campanile che, dalla mappa del territorio sambonifacese del 1452 risulta a pianta quadrata, addossato al presbiterio, con cella campanaria aperta da bifore e copertura conica, con pinnacoli agli angoli, su cui svetta la croce. Si sa che tale torre era stata dipinta di rosso nel XVI secolo e fu abbattuta nel 1780 per costruire la cappella di sinistra del transetto. Un campanile provvisorio in legno, con basamento murario, alto circa 9-10 metri (dalla documentazione si apprende che arrivava al primo cornicione della facciata) fu costruito nel 1784, capace di ospitare le campane e l’orologio. Svolse la sua funzione fino al 1826. Per la costruzione della nuova torre campanaria, che oggi svetta a nord rispetto alla chiesa, di qualche metro arretrata rispetto alla facciata, si decise di non utilizzare il progetto del Maderna, in quanto ritenuto superato, e fu richiesto l’intervento dell’architetto Carlo Barrera. I lavori iniziarono nel 1812, come riportato anche sulla porta d’accesso, e si conclusero nel 1826. Il campanile, alto 64 metri, una base in pietra a pianta quadrata, il fusto in mattoni incorniciato, come l’orologio, da fasce di pietra. La cella campanaria presenta una monofora per lato a tutto sesto, chiusa da balaustra, e la trabeazione è sostenuta da due coppie per lato di paraste ioniche. Su un basamento a pianta ottagonale si eleva la cuspide conica, a suo tempo rivestita in rame, rifatta in cemento nel 1951, alla cui sommità vi è la croce con banderuola segnavento Sul basamento della torre è inserita un’ara romana, probabilmente recuperata durante la demolizione della chiesa quattrocentesca. Dedicata a Mercurio, nella parte superiore presenta un kantharos, una coppetta a destra e a sinistra una daga, mentre un festone superiore separa dalla parte inferiore. L’ara fu voluta da Iuvenzia, madre di Vittorio Festo e Vittorio Severo come scioglimento di un voto. Questi due fratelli sono citati anche in un’epigrafe scoperta a Soave, dalla quale si apprende che erano seviri augustali. Il concerto campanario oggi collocato nella torre risulta composto da 8 campane in DO3 montate alla veronese ed elettrificate. Questi i dati del concerto: 1 – DO3 - diametro 1390 mm - peso 1550 kg - Fusa nel 1927 da Colbachini di Angarano (Bassano del Grappa, VI) 2 – RE3 - diametro 1231 mm - peso 1080 kg – Fusa nel 1927 da Colbachini di Angarano (Bassano del Grappa, VI) 3 – MI3 – diametro 1083 mm - peso 730 kg - Fusa nel 1927 da Colbachini di Angarano (Bassano del Grappa, VI) 4 – FA3 – diametro 1011 mm - peso 600 kg - Fusa nel 1935 da Colbachini di Angarano (Bassano del Grappa, VI) 5 – SOL3 – diametro 904 mm - peso 430 kg - Fusa nel 1927 da Colbachini di Angarano (Bassano del Grappa, VI) 6 – LA3 – diametro 812 mm - peso 310 kg - Fusa nel 1927 da Colbachini di Angarano (Bassano del Grappa, VI) 7 – SI3 – diametro 767 mm - peso 260 kg - Fusa nel 1964 da Colbachini di Angarano (Bassano del Grappa, VI) 8 – DO4 – diametro 717 mm - peso 210 kg - Fusa nel 1964 da Colbachini di Angarano (Bassano del Grappa, VI). Nel 1829 le campane erano cinque in MI3, fuse da Cavadini di Verona, che le rifuse successivamente in RE3 Gecchele Mario, Bruni Dario, De Marchi Irnerio (a cura di), Luoghi di culto in Val d'Alpone. Fra storia e arte, Lonigo, Associazione Culturale Le Ariele - Riccardo Contro Editore, 2022. Sancassani Pietro, Le mie campane. Storia di un’arte e di una tradizione del Millenovecento, a cura di Rognini Luciano, Sancassani Laura, Tommasi Giancarlo, Verona, Offset Print Veneta, 2001. Luigi Gardoni, Diario Veronese (1826-1850), a cura di Nicola Patria, Verona, Archivio Storico Curia Diocesana, 2010. San Bonifacio (Italia) Diocesi di Vicenza Parrocchie della diocesi di Vicenza Regione ecclesiastica Triveneto Wikibooks contiene testi o manuali sulla disposizione fonica dell'organo a canne Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla chiesa di Santa Maria Maggiore Parrocchia di S.BONIFACIO-S.ABBONDIO, su pmap.it. URL consultato il 20 luglio 2020.