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Catacomba dei Santi Gordiano ed Epimaco

Catacombe di RomaPagine con mappeRoma Q. IX Appio-Latino
CatacombViaLatina Resurrection of Lazarus
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La catacomba dei Santi Gordiano e Epimaco è una catacomba di Roma, sull'antica via Latina, oggi nei pressi di piazza Galeria, nel quartiere Appio-Latino. La catacomba, intitolata ai due martiri ivi sepolti, al momento della sua scoperta fu chiamata "catacomba dell'Acqua Mariana", finché l'archeologo Enrico Josi, nel corso di una campagna di scavi organizzata durante l'ultima guerra mondiale (1940-1941), non la identificò con la catacomba di Gordiano ed Epimaco. Una scoperta casuale fu fatta nel 1955: durante gli scavi per un edificio in superficie fu ritrovato, e in parte abbattuto, un cubicolo affrescato, che fu salvato dalla distruzione totale per l'intervento di padre Antonio Ferrua, all'epoca direttore della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra. Solo alcune delle gallerie di questo cimitero ipogeo sono state scoperte e in parte scavate; gli archeologi ritengono che si tratti di una necropoli molto vasta, disposta su più livelli, ancora utilizzata, come dimostrano alcune iscrizioni datate trovate sul luogo, durante l'impero di Flavio Claudio Giuliano (361-363). Le fonti antiche ricordano la sepoltura nel cimitero ipogeo sulla via Latina nei pressi delle mura Aureliane di questi martiri: Gordiano, Epimaco, Quarto, Quinto. Questi santi sono tutti menzionati nel martirologio geronimiano alla data del 10 maggio. Secondo la tradizione cristiana, Gordiano subì il martirio durante la persecuzione dell'imperatore Giuliano, mentre Epimaco morì un secolo prima, durante la persecuzione dell'imperatore Decio (249-251). Dei martiri Quarto e Quinto non si ha nessuna notizia. La sepoltura di questi martiri nella catacomba è poi confermata dall'itinerario per pellegrini del VII secolo, la Notitia ecclesiarum urbis Romae, la quale aggiunge la presenza di un altro santo, Trofimo. Altri itinerari, oltre ai cinque già nominati, ricordano altri martiri sepolti: Sofia, Sulpicio e Serviliano. Le notizie su questi ultimi quattro martiri sono confuse e frammentarie. Gli itinerari altomedievali menzionano la presenza, nel sopraterra, di una basilica, dedicata ai santi Gordiano ed Epimaco, e di un mausoleo dedicato a Trofimo. Non esistono tracce archeologiche di questi monumenti. Il monumento più interessante di questa catacomba è quello scoperto nel 1955 e battezzato col nome di "cubicolo D". Esso è a forma quadrata con tre arcosoli. Gli affreschi delle pareti sono databili alla seconda metà del IV secolo. Quello più importante raffigura Cristo seduto nelle vesti di "maestro", con due figure ai lati, identificabili con i martiri Gordiano ed Epimaco, che hanno tra le mani una corona, simbolo del martirio. Altri affreschi raffigurano Mosè che riceve le tavole della legge, la risurrezione di Lazzaro, il peccato originale e l'episodio veterotestamentario della "casta Susanna" (rappresentata nuda in una vasca da bagno). De Santis L. - Biamonte G., Le catacombe di Roma, Newton & Compton Editori, Roma 1997, 271-274 Ferrua A., Un nuovo cubicolo dipinto della via Latina, in Rendiconti della Pontificia Accademia Romana di Archeologia 45 (1972-73) 171-187 Josi E., Di un nuovo cimitero sulla via Latina, in Rivista di Archeologia Cristiana 16 (1939) 197-2003, 17 (1940) 31-39 e 20 (1943) 9-45

Estratto dall'articolo di Wikipedia Catacomba dei Santi Gordiano ed Epimaco (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

Catacomba dei Santi Gordiano ed Epimaco
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Porta Latina
Porta Latina

Porta Latina è una delle porte che si aprono nelle Mura Aureliane di Roma. È tra le più imponenti e meglio conservate tra le porte originali dell'intera cerchia muraria e il suo nome deriva da quello dell'omonima via che la attraversa e che, in epoca romana, era la strada per giungere fino a Capua. All'interno della città iniziava dall'antica Porta Capena delle mura serviane, e subito dopo si divideva, appunto, in via Latina e via Appia, per ricongiungersi di nuovo dopo Capua. I filologi del XIV secolo riferiscono di una leggenda (il cui elemento più evidente è l'anacronismo della stessa) secondo la quale il nome deriverebbe dal fatto che qui si sarebbe nascosto (latens, appunto) il dio Saturno, in fuga dopo essere stato detronizzato dal figlio Giove. Dal XIII secolo è attestato anche il nome di Porta Libera, di cui però non si ha più traccia dal XVIII secolo a favore della definizione “classica” di Porta Latina. La struttura della porta, che non ha subito interventi tali da alterare sensibilmente l'aspetto originario, è probabilmente sempre stata ad una sola arcata, che all'epoca della ristrutturazione della cerchia cittadina operata dall'imperatore Onorio nel 401-403 venne sensibilmente ridotta, unica tra le porte aureliane, da circa 4,20 m di larghezza per 6,55 di altezza (la traccia della dimensione originale è ancora visibile) agli attuali 3,73 per 5,65, probabilmente per motivi difensivi. Al centro dell'arco, sul lato esterno, è tuttora visibile il monogramma di Costantino, mentre sul lato opposto è incisa una croce di San Giovanni o di Malta. Questi due simboli, unitamente all'assoluta mancanza di resti di iscrizioni di epoca onoriana, inducono alcuni studiosi a propendere per l'ipotesi che il restauro possa essere di epoca successiva. L'intero edificio, merlato, è affiancato da due torri a pianta semicircolare fornite di feritoie; quella sul lato Ovest fu però interamente riedificata da Onorio e in seguito restaurata in epoca medievale. Ma anche l'altra subì un rimaneggiamento di un certo rilievo: lo dimostra la presenza delle feritoie per gli arcieri anziché i finestroni per le baliste, come nelle torri originarie di Aureliano, e in più, la base della torre ha una pianta diversa dall'alzato. All'epoca onoriana risale anche il rifacimento in travertino della facciata, nella quale vennero aperte, in corrispondenza della camera di manovra, cinque finestre ad arco, che furono però di nuovo chiuse abbastanza presto, già nel VI secolo. L'accesso alla camera di manovra era consentito attraverso una porticina, tuttora esistente e funzionante, sul lato interno della torre di destra. Come era consueto per le porte di una certa importanza, la chiusura esterna era a saracinesca, mentre quella interna a due battenti. Il cortile fortificato interno, con la relativa controporta, non esiste più. Già dal V secolo e almeno fino al XV, è attestato come prassi normale l'istituto della concessione in appalto o della vendita a privati delle porte cittadine e della riscossione del pedaggio per il relativo transito. È del 1217 (quando i pontefici, in pieno contrasto col Comune di Roma, avevano ormai il controllo amministrativo sulle gabelle di quasi tutte le porte) una bolla di papa Onorio III con la quale veniamo informati che i proventi del pedaggio della porta erano devoluti alla chiesa di San Tommaso in Formis. In un documento del 1467 è riportato un bando che specifica le modalità di vendita all'asta delle porte cittadine per un periodo di un anno. Da un documento del 1474 apprendiamo che il prezzo d'appalto per le porte Latina e Appia insieme era pari a ”fiorini 39, sollidi 31, den. 4 per sextaria” (“rata semestrale”); si trattava di un prezzo non altissimo, e non eccessivo doveva essere quindi anche il traffico cittadino per le due porte, sufficiente comunque per poter assicurare un congruo guadagno al compratore. Guadagno che era regolamentato da precise tabelle che riguardavano la tariffa di ogni tipo di merce, ma che era abbondantemente arrotondato da abusi di vario genere, a giudicare dalla quantità di gride, editti e minacce che venivano emessi. L'importanza dell'accesso dovette però crescere sensibilmente in quell'epoca, se nel 1532 il prezzo della sola porta Latina era salito a ”centoventi fiorini, dieci salme di legna e dieci di fieno”, come stabilito in un documento in cui il papa Clemente VII la concede in appalto a tal Innocenzo Mancini. Non molto fortunata, la porta fu chiusa per interramento prima dal re Ladislao di Napoli nel 1408, insieme alla Porta Asinaria, durante l'occupazione della città (ma fu riaperta dopo solo quattro mesi), poi nel 1576 e nel 1656 in occasione, per entrambe le circostanze, di una pestilenza (grave in quasi tutta Italia la seconda). In quest'ultima circostanza trascuratezza o lungaggini burocratiche la tennero chiusa per ben 13 anni, fino all'intervento risolutore del cardinal Giulio Gabrielli che il 5 maggio 1669 la fece riaprire con una solenne cerimonia. Ma a parte le epidemie, un valido motivo del declino della porta fu la progressiva perdita d'importanza della via Latina a favore della vicina via Appia, né la vicinanza dell'importante Chiesa di San Giovanni a Porta Latina riuscì a frenarne la crisi. Restauri del XVII secolo, testimoniati dagli stemmi dei papi Pio II, Urbano VIII e Alessandro VII posti nelle immediate vicinanze, non risollevarono le sorti della porta, che rimase definitivamente chiusa per quasi tutto l'800 (dal 1808, tranne alcuni mesi nel 1827) e venne riaperta solo nel 1911, dopo essere riuscita a bloccare anche le truppe italiane che, nel settembre 1870, avevano tentato di aprire qui, prima ancora che a Porta Pia, una breccia. Filippo Coarelli, Guida archeologica di Roma, A.Mondadori Ed., Verona 1984. Mauro Quercioli, Le mura e le porte di Roma, Newton Compton Ed., Roma 1982. Laura G. Cozzi, Le porte di Roma, F.Spinosi Ed., Roma 1968. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Porta Latina Storia, Foto e Stampe antiche, su info.roma.it. Roma segreta, su romasegreta.it. URL consultato il 12 novembre 2011 (archiviato dall'url originale il 19 ottobre 2011).

Chiesa di San Giovanni in Oleo
Chiesa di San Giovanni in Oleo

San Giovanni in Oleo è una chiesa di Roma, sita a Porta Latina. Il tempietto - piuttosto un oratorio che una vera e propria chiesa - è dedicato a san Giovanni Evangelista, nel luogo tradizionalmente indicato come quello del suo tentato martirio. Secondo la tradizione, nel 92 san Giovanni sopravvisse al tentato martirio per immersione in una vasca di olio bollente, per ordine dell'imperatore romano Domiziano, come riportato nella Legenda Aurea: L'anziano apostolo avrebbe resistito così a lungo senza essere bruciato, che gli astanti, convinti di avere di fronte un potente mago, lo avrebbero liberato, per poi inviarlo in esilio a Patmo, dove avrebbe scritto l'Apocalisse di Giovanni. Sul luogo in cui secondo un'antica tradizione avvenne tale episodio furono erette in epoca paleocristiana, intorno al V secolo, la basilica di San Giovanni a Porta Latina ed un martyrion di forma circolare conosciuto con il nome di San Giovanni in Oleo cioè "nell'olio" con riferimento al supplizio del santo. La costruzione giunse fino al XVI secolo, evidentemente in cattive condizioni, quando ne venne decisa la ricostruzione. La struttura attuale è una cappella rinascimentale realizzata all'inizio del XVI secolo, intorno al 1509 su commissione del prelato francese Benoît Adam, ricordato in un'iscrizione sul portale occidentale. Il progetto è genericamente attribuito a Donato Bramante o ad Antonio da Sangallo il Giovane senza elementi documentali. La piccola costruzione ha una pianta ottagonale con lesene doriche piegate sugli angoli che sorreggono una trabeazione molto semplice. San Giovanni in Oleo fu poi restaurata da Francesco Borromini, intorno al 1657, su commissione del cardinale Francesco Paolucci che intendeva trasformarla in cappella di famiglia. Borromini riedificò o modificò la copertura, costituita da una cupola a padiglione con costoloni, sovrapponendovi un tamburo con un alto fregio a stucco, una copertura conica ed un fastigio terminale in stucco con foglie di palma e gigli, globo di rose (emblema del committente) e croce e aggiungendo alla trabeazione esistente un'alta fascia decorata con festoni di rose e palme. La natura e la cronologia dell'intervento di Borromini è controverso. Secondo alcuni dopo aver realizzato una copertura a costoloni, intervenne anni dopo innalzando il tamburo e nascondendola. È stato ipotizzato anche che la modifica sia stato un intervento settecentesco di completamento su disegni di Borromini stesso. Contemporaneamente al restauro di Borromini, le pareti del piccolo sacello furono adornate da stucchi e affrescate da Lazzaro Baldi con la raffigurazione di storie dell'evangelista tra cui la Visione di San Giovanni ed il tentato martirio. Chiesa di San Giovanni a Porta Latina Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla chiesa di San Giovanni in Oleo Storia, Foto e Stampe antiche

Porta San Sebastiano
Porta San Sebastiano

Porta San Sebastiano è la più grande e tra le meglio conservate delle porte nella cinta difensiva delle Mura Aureliane di Roma. Il nome originario era Porta Appia perché da lì passava la via Appia, la regina viarum che cominciava poco più indietro, dalla Porta Capena delle mura serviane, e lo conservò a lungo. Nel medioevo sembra fosse chiamata anche “Accia” (o “Dazza” o “Datia”), la cui etimologia, alquanto incerta, sembra però legata al fatto che lì vicino scorresse il fiumicello Almone, chiamato “acqua Accia”. Un documento del 1434 la menziona come “Porta Domine quo vadis”. Solo dopo la metà del XV secolo è finalmente attestato il nome che conserva ancora oggi, dovuto alla vicinanza alla basilica e alle catacombe di San Sebastiano. La struttura originaria d'epoca aureliana, edificata quindi verso il 275, prevedeva un'apertura con due fornici sormontati da finestre ad arco, compreso tra due torri semicilindriche. La copertura della facciata era in travertino. In seguito ad un successivo restauro le due torri furono ampliate, rialzate e collegate, con due muri paralleli, al preesistente arco di Druso, distante pochi metri verso l'interno, in modo da formare un cortile interno in cui l'arco aveva la funzione di controporta. In occasione del rifacimento operato nel 401-402 dall'imperatore Onorio la porta fu ridisegnata con un solo fornice, con un attico rialzato nel quale si aprono due file di sei finestre ad arco e venne fornita di un camminamento di ronda scoperto e merlato. La base delle due torri fu inglobata in due basamenti a pianta quadrata, rivestiti di marmo. Un successivo rifacimento le conferì l'aspetto attuale, in cui tutta la struttura, torri comprese, venne rialzata di un piano. La mancanza della solita lapide commemorativa dei lavori fa dubitare qualche studioso che l'intervento possa essere opera di Onorio, che invece ha lasciato epigrafi laudative su ogni altro intervento effettuato sulle mura o sulle porte. La chiusura era realizzata da due battenti in legno e da una saracinesca che scendeva, entro scanalature tuttora visibili, dalla sovrastante camera di manovra, in cui ancora esistono le mensole in travertino che la sostenevano. Alcune tacche sugli stipiti possono indurre a ritenere che si usassero anche delle travi a rinforzo delle chiusure. Data l'importanza della via Appia che da qui usciva dalla città, soprattutto in epoca romana tutta l'area era interessata da grossi movimenti di traffico cittadino. Nelle vicinanze della porta sembra esistesse un'area destinata al parcheggio dei mezzi di trasporto privati di coloro (ovviamente personaggi di un certo rango che potevano permetterselo) che da qui entravano in Roma. Si trattava di quello che oggi si definirebbe un “parcheggio di scambio”, visto che il traffico in città non era infatti consentito, in genere, ai mezzi privati. A questa regola sembra non dovessero sfuggire neanche i membri della casa imperiale, i cui mezzi privati venivano parcheggiati in un'area riservata (chiamata mutatorium Caesaris) poco distante, verso l'inizio della via Appia. Di notevole interesse alcune bozze visibili sul rivestimento in travertino della base del monumento; potrebbe trattarsi di indicazioni per la misurazione del lavoro degli scalpellini. Sul lato interno, scolpita sulla chiave di volta del fornice, vi una croce greca inscritta in una circonferenza, con un'iscrizione, in greco, dedicata a San Conone e San Giorgio, risalente al VI-VII secolo. Ancora, sullo stipite destro della porta è incisa la figura dell'Arcangelo Michele mentre uccide un drago, a fianco della quale si trova un'iscrizione, in un latino medievale in caratteri gotici, in cui viene ricordata la battaglia combattuta il 29 settembre 1327 (giorno di San Michele, appunto) dalle milizie romane ghibelline dei Colonna guidate da Giacomo Ponziani (o de' Pontani) contro l'esercito guelfo del re di Napoli Roberto d'Angiò, guidato da Giovanni e Gaetano Orsini: Ma oltre alle testimonianze di un certo valore storico, l'intero monumento è interessante anche per la ricchezza di graffiti e tracce certamente non ufficiali, ma che documentano la vita quotidiana che intorno alla porta si è svolta nei secoli. Sono probabilmente opera di pellegrini le varie croci incise nei muri ed il monogramma di Cristo (JHS con la croce sopra l'H) visibile sullo stipite sinistro, di fronte all'Arcangelo Michele; sono leggibili molti nomi italiani e stranieri (un certo Giuseppe Albani ha scritto tre volte il suo nome) e varie date, che si possono decifrare fino al 1622; ad uso di viandanti forestieri qualcuno ha anche inciso una sorta di indicazione stradale per la porta o la basilica di San Giovanni in Laterano, visibile appena fuori della porta, sulla sinistra: “DI QUA SI VA A S. GIO…”, interrotto da qualcosa o qualcuno; ed altre indicazioni e scritte di difficile decifrazione, come l'incisione “LXXV (sottolineata tre volte) DE L”, sulla torre di destra. Scrivere sui muri è evidentemente abitudine radicata nei secoli. Il 5 aprile 1536, in occasione dell'ingresso in Roma dell'imperatore Carlo V, Antonio da Sangallo trasformò la porta in un vero e proprio arco di trionfo, ornandola di statue, colonne e fregi, e predisponendo, anche con l'abbattimento di edifici preesistenti, una via trionfale fino al Foro Romano. L'avvenimento è ricordato in un'iscrizione sopra l'arco che, con un'adulazione un po' eccessiva, paragona Carlo V a Scipione: “CARLO V ROM. IMP. AUG. III. AFRICANO”. Sempre da qui passò anche, il 4 dicembre 1571, il corteo trionfale in onore di Marcantonio Colonna, il vincitore della battaglia di Lepanto. L'elemento che di tale corteo suscitò maggior curiosità ed interesse fu certamente la sfilata dei centosettanta prigionieri turchi in catene. Per l'occasione Pasquino, la famosa statua parlante di Roma, volle dire la sua, ma stavolta senza parlare: fu vista con una testa di turco sanguinante ed una spada. Già dal V secolo e almeno fino al XV, è attestato come prassi normale l'istituto della concessione in appalto o della vendita a privati delle porte cittadine e della riscossione del pedaggio per il relativo transito. In un documento del 1467 è riportato un bando che specifica le modalità di vendita all'asta delle porte cittadine per un periodo di un anno. Da un documento del 1474 apprendiamo che il prezzo d'appalto per le porte Latina e Appia insieme era pari a ”fiorini 39, sollidi 31, den. 4 per sextaria” (“rata semestrale”); si trattava di un prezzo non altissimo, e non eccessivo doveva essere quindi anche il traffico cittadino per le due porte, sufficiente comunque per poter assicurare un congruo guadagno al compratore. Guadagno che era regolamentato da precise tabelle che riguardavano la tariffa di ogni tipo di merce, ma che era abbondantemente arrotondato da abusi di vario genere, a giudicare dalla quantità di gride, editti e minacce che venivano emessi. A fianco della torre occidentale ci sono tracce di una posterula murata, posta ad una certa altezza sul piano stradale, la cui peculiarità è quella di non presentare, sugli stipiti, segni di usura, come se fosse stata chiusa poco dopo averla aperta. Per ciò che riguarda l'interno le trasformazioni di maggior rilievo sono recenti e risalgono agli anni 1942-1943, quando l'intera struttura venne occupata e utilizzata da Ettore Muti, allora segretario del PNF. Sono infatti di quegli anni i mosaici bicromatici in bianco e nero situati in vari ambienti. Attualmente le torri ospitano il Museo delle Mura, nel quale sono tra l'altro visibili modelli della costruzione delle mura e delle porte nelle varie fasi. La figura stilizzata della Porta compare nello stemma ufficiale del Quartiere Appio Latino. Laura G. Cozzi, Le porte di Roma, Roma, F. Spinosi Ed., 1968. Mauro Quercioli, Le mura e le porte di Roma, Roma, Newton Compton Ed., 1982. Filippo Coarelli, Guida archeologica di Roma, Verona, A. Mondadori Ed., 1984. Lucos Cozza, Sulla Porta Appia, JRA 3, pp. 169–171, 1990 Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Porta San Sebastiano Storia, Foto e Stampe antiche, su info.roma.it. Roma segreta, su romasegreta.it. URL consultato il 12 novembre 2011 (archiviato dall'url originale il 9 novembre 2011).