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Ex-convento di San Biagio

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L'ex-convento di san Biagio è un ex monastero risalente alla fine del XIV secolo sito nel centro storico della città di Cesena; inizialmente era sede di un ordine monastico che vi permase fino alla sua soppressione nel 1810; da allora ebbe diverse utilizzazioni fino a quando, dopo il restauro del 1975, divenne definitivamente sede di alcune istituzioni comunali come, dal 1984, la Pinacoteca comunale di Cesena.

Estratto dall'articolo di Wikipedia Ex-convento di San Biagio (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori).

Ex-convento di San Biagio
Vicolo Morsiani, Unione dei comuni Valle del Savio

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Ex convento di San Biagio

Vicolo Morsiani
47023 Unione dei comuni Valle del Savio, Quartiere Centro Urbano
Emilia-Romagna, Italia
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Luoghi vicini

Pinacoteca comunale di Cesena
Pinacoteca comunale di Cesena

La Pinacoteca comunale di Cesena è una galleria d'arte antica, moderna e contemporanea. Ha sede dal 1984 nell'Ex-convento di San Biagio. La collezione dei dipinti di proprietà del comune di Cesena si venne formando fra il XIX secolo e il XX secolo a seguito delle soppressioni napoleoniche e post-unitarie e, successivamente, vi furono altre acquisizioni di dipinti provenienti dalla Congregazione di Carità e da collezioni private. Dopo un primo allestimento in alcune stanze della Biblioteca Malatestiana nel 1883, si ebbero sistemazioni provvisorie e, solo dal 1984, la collezione è stabilmente raccolta ed esposta presso l'ex-convento di San Biagio. Le opere esposte coprono un arco di tempo compreso tra il XV secolo e l'età contemporanea, offrendo anche una panoramica della produzione di dipinti locali e arricchita da alcune importanti presenze di rilevanza nazionale. Il museo espone opere di: Gino Barbieri, Guercino, Corrado Cagli, Antonio Cardile, Vittorio Matteo Corcos, Girolamo Forabosco, Bartolomeo Gennari, Renato Guttuso, Maestro dei Baldraccani, Giannetto Malmerendi, Pompilio Mandelli, Roberto Melli, Sante Monachesi, Bartolomeo Passarotti, Giovanni Battista Piazzetta, Francesco Francia, Scipione Sacco, Giovanni Battista Salvi, Cristoforo Serra, Mario Schifano, Alberto Sughi, Giulio Turcato, Luigi Veronesi e altri. L'ambiente centrale: la Sala 1, ospita i dipinti più antichi che vanno dal XV secolo fino al XVII secolo; la sala a sinistra: la Sala 2, le tele sono del XVIII secolo e del XIX secolo e quella a destra: la Sala 3, è la sezione dedicata all'arte contemporanea, intitolata a Luigi Veronesi, costituita da opere lasciate da artisti e da recenti acquisizioni. Denis Capellini, Guida di Cesena, Città Malatestiana, Cesena, Il Ponte Vecchio, 2001, ISBN 88-8312-175-9. Romina Rossi, Cesena: Lo scorpione e l'elefante., Città di Castello, Edimond, 2007. Galleria dei dipinti antichi della Cassa di risparmio di Cesena Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Pinacoteca comunale di Cesena (IT, EN) Sito ufficiale della pinacoteca, su servizi.comune.cesena.fc.it.

Chiesa di Santa Maria dei Servi (Cesena)
Chiesa di Santa Maria dei Servi (Cesena)

La chiesa di Santa Maria dei Servi è un edificio di culto cattolico situato in piazzetta Ravaglia, nel centro storico di Cesena. Un preesistente complesso religioso venne probabilmente ricostruito nel 1240, e nel 1367, vi si insediarono i "Servi di Maria". Come per molti degli edifici sacri di Cesena, a fine del ’400 si procedette a una ricostruzione dell'intero complesso. Tra il 1756 e il 1765, la chiesa assunse le forme attuali su progetto di Pietro Carlo Borboni, mentre il convento, ricostruito tra il 1776 e il 1797 da Azzoli, venne poi lasciato incompiuto per l'arrivo dei francesi. Soppresso l'ordine dei Serviti, dal 1834 si insediarono nel complesso i "Missionari del Preziosissimo Sangue". La chiesa costituisce la "fabbrica" dove il talento del Ticino Pietro Carlo Borboni (massimo architetto sia civile che religioso della città a metà Settecento) poté esprimersi più compitamente. Sua è la facciata, sobria, con portale e finestre di gusto borromiano e timpano triangolare; suo il campanile, del tutto simile a quello di Sant'Agostino; suo il progetto dell'interno, ad un'unica navata e sei cappelle con pregevoli stucchi e confessionali. In controfacciata, a sinistra Madonna con Bambino di un autore ignoto; a destra Monumento funebre a Margherita Tiberti (XVI secolo) e Madonna col Bambino, anch'esso di un autore ignoto. Nel presbiterio, Annunciazione del pittore di scuola forlivese Livio Modigliani, eseguita col figlio Gianfrancesco, del 1602; una Pietà; l'altare sormontato do un Crocifisso; quadri conIrene che soccorre San Sebastiano e Gesù crocifisso con San Giovanni Evangelista, Vergine e Maddalena del 1514. L'organo muto (le canne sono state rubate durante la seconda guerra mondiale), con solo le canne di facciata, occupa il transetto sinistro La prima cappella a destra reca Gesù guarisce San Pellegrino Laziosi (XVIII secolo. La successiva presenta, in preziosa ancona lignea, una scultura de La Vergine addolorata con Cristo morto di Giovan Battista Ballanti Graziani . Un dipinto con Gloria di San Filippo Benizi del Lascari (fine Seicento) occupa la terza cappella di destra. A sinistra nella terza cappella si trova un dipinto con San Gaspare del Bufalo fondatore dei Missionari del Preziosissimo Sangue. Segue, in preziosa ancona lignea, il notevole San Carlo Borromeo comunica un appestato di Carlo Saraceni del 1618, donato alla chiesa nel 1676 dal cardinale cesenate Francesco Albizzi; nella cimasa, Assunzione della Vergine di un autore incerto. Infine, nella prima cappella di sinistra si trova una scultura con Angelo e Santa Rita. Denis Capellini, Guida di Cesena, Città Malatestiana, Cesena, Il Ponte Vecchio, 2001, ISBN 88-8312-175-9. Chiesa di Santa Maria dei Servi sul sito del Comune di Cesena, su comune.cesena.fc.it.

Teatro Alessandro Bonci
Teatro Alessandro Bonci

Il Teatro Alessandro Bonci (Teatro Comunale fino al 1927) è un teatro di Cesena. Venne inaugurato il 15 agosto del 1846, tre anni dopo l'inizio dei lavori progettati dall'architetto Vincenzo Ghinelli, e si affaccia su Piazza Guidazzi, all'interno della cinta muraria del centro storico cittadino, vicino ai Giardini Pubblici. Dagli esordi si distinse per la rappresentazione di importanti produzioni drammatiche e liriche, con la presenza di noti interpreti italiani del periodo. Il teatro fu poi dedicato nel 1927 al tenore cesenate Alessandro Bonci che qui si esibì più volte. Fa parte del circuito italiano delle Strade Europee dei Teatri Storici. A Cesena le prime notizie di rappresentazioni teatrali risalgono alla fine del 1400, tenute presso alcuni palazzi cittadini come il Palazzo Alidosi (qui Giacomo Casanova, nel 1748 di passaggio a Cesena, vi assistette a un'opera); una parte del palazzo fu acquistato dall'aristocrazia cesenate e qui, dal 1796 al 1797, fu costruito in legno il primo teatro cittadino che chiamarono "Teatro Spada". Col tempo le dimensioni anguste resero necessario costruirne uno più adatto e si decise di abbattere il teatro e ricostruirne uno nuovo. I lavori, su progetto di Vincenzo Ghinelli (ammiratore del Giuseppe Piermarini e delle linee neoclassiche del nuovo Teatro alla Scala di Milano), si protrassero dal 1843 al 1846. L'inaugurazione avvenne il 15 agosto 1846 con la Maria di Rohan di Gaetano Donizetti, con Teresa De Giuli Borsi (soprano) e Gaetano Fraschini (tenore), e con il balletto Beatrice di Gand, con la famosa Fanny Elssler come protagonista. Negli anni seguenti e per tutto il primo novecento, il teatro mantenne un posto di assoluto rilievo nazionale nel campo dell'opera lirica e del melodramma. Nel 1891 il giovane e promettente Alessandro Bonci vi eseguì un'accademia per pagarsi gli studi di canto a Pesaro. Trascorsi pochi anni, Bonci divenne uno dei migliori interpreti italiani, conosciuto e apprezzato all'estero. Nel 1904 Bonci tornò a Cesena per interpretare un Faust di Charles Gounod e poi nel 1927, al ritiro dalle scene, un Requiem e nella occasione gli venne intitolato il teatro. In occasione del 150º anniversario della sua inaugurazione, il 25 gennaio 1996, fu riaperto al pubblico dopo un restauro. Dal 2001 è una delle sedi principali di produzione teatrale dell'Emilia Romagna Teatro. Nell'ultimo dopoguerra, la prosa, già in cartellone del 1862, sostituì poco a poco l'opera nei gusti degli spettatori. Gli anni cinquanta e sessanta sono quelli dei “tutto esaurito” in serie, dei record d'incassi frantumati. Si dà qui di seguito un breve resoconto cronologico di quegli anni: 1952 – Vittorio Gassman esordisce al Bonci con un Amleto. 1954 – Torna a Cesena Peppino De Filippo con compagnia propria e, nella stessa stagione, Nino Taranto. 1956 – Grande successo per Wanda Osiris con La granduchessa e i camerieri. 1957 – Due commedie decretano il successo di Ugo Tognazzi. 1958 – Vittorio Gassman dirige Irma la dolce, il Comune gli conferisce una medaglia d'oro. 1959 – Torna a Cesena Eduardo; Sandra Mondaini, Raimondo Vianello e Gino Bramieri interpretano la commedia musicale Sayonara Butterfly; infine Delia Scala, Nino Manfredi, Mario Carotenuto, Paolo Panelli e il Quartetto Cetra presentano Un trapezio per Lisistrata. 1961 – Rinaldo in campo, regia di Garinei e Giovannini, interpretato da Domenico Modugno, Delia Scala, Franco Franchi e Ciccio Ingrassia. 1962 – La Compagnia Mediterranea di Vittorio De Sica e Eduardo De Filippo presenta Liolà, nella stessa stagione Renzo Ricci recita nel Cardinale di Spagna e, infine, Carlo Dapporto in Babilonia. 1964 – Nuova comicità di Walter Chiari in Buonanotte Bettina, nello stesso anno anche Rugantino con Aldo Fabrizi e regia di Garinei e Giovannini. 1965 – Erminio Macario stabilisce il nuovo record di incasso con Febbre Azzurra. 1966 – In questa stagione: un nuovo successo per Renzo Ricci in Tutto per bene (il Comune gli dona una medaglia d'oro), Romolo Valli ne Il gioco delle parti, Renato Rascel ne Il giorno della tartaruga con la regia di Garinei e Giovannini ed infine, sempre per la regia di questi ultimi, lo spettacolo La voce dei padroni stabilisce un nuovo record al botteghino, con Alighiero Noschese. 1967 – Grande successo per l'attore cinematografico Gino Cervi. 1967 – Prima assoluta de La monaca di Monza di Giovanni Testori, con la regia di Luchino Visconti. 1968 – Grazie a Natale in casa Cupiello e Filumena Marturano Eduardo riscuote nuovamente un grande successo. L'edificio è di chiara derivazione "piermariniana": la facciata presenta un portico in bugnato al primo ordine, colonnato ionico al secondo ordine e una ricca decorazione ad opera del bolognese Gaetano Bernasconi. Sulla facciata si trovano sette figure mitologiche racchiuse in riquadri: Ercole dio della forza, Calliope musa del poema eroico, Venere dea dell'amore, Apollo dio delle arti, Talia musa della commedia, Melpomene musa della tragedia, Clio musa della storia, e un timpano triangolare con l'allegoria del Savio e del Rubicone, e lo stemma della città al centro. Sul fianco destro sono poste due formelle con Tersicore e Bacco, così come su quello sinistro con Polinnia e, di nuovo, Bacco. Entrati dal portale principale ci accoglie un vestibolo con, da un lato, il busto di Alessandro Bonci, dopo si passa al foyer dove possiamo trovare un grande lampadario e delle iscrizioni a ricordo delle esibizioni di celebri esecutori, come Marietta Alboni, Luciano Pavarotti, Giuseppe Verdi e Richard Wagner. La struttura interna del teatro è a ferro di cavallo, con una platea, quattro ordini di palchi e un loggione; il totale è di circa 800 posti a sedere. Il sipario e il bellissimo lampadario sono copie degli originali. Le decorazioni all'interno sono opera del ferrarese Francesco Migliari. Sul soffitto si possono ammirare quattro riquadri con scene della Divina Commedia (L'incontro di Dante e Virgilio con le Furie, Il Conte Ugolino che vede morire i figli, Dante e Virgilio al Purgatorio e L'apparizione del Padre Eterno) intervallate da quattro medaglioni che rappresentano la musa del melodramma, della tragedia, della musica e della poesia; gli stucchi si devono a Mirotti e gli intagli a Giuseppe Casalini. I particolari del Bonci che lo fanno uno dei più apprezzati d'Italia sono: l'acustica e il palcoscenico, la cui ampiezza e profondità lo collocano tra i più ampi nel panorama internazionale. All'interno, in un archivio, si conserva la documentazione della storia secolare del teatro e della musica a Cesena di cui sono testimonianze locandine, manifesti e programmi di sala, fotografie e disegni, costumi e scenografie. La storia del Teatro sul sito ufficiale, su teatrobonci.it. Teatro Comunale Alessandro Bonci su homolaicus.com, su homolaicus.com. Teatro Comunale Alessandro Bonci su queen.it, su queen.it. Denis Capellini, Guida di Cesena, Città Malatestiana, Cesena, Il Ponte Vecchio, 2001, ISBN 88-8312-175-9. G. Azzaroni, F. Dell'Amore, Pier Giovanni Fabbri, Romano Pieri, A. Maraldi, (a cura di), Un palcoscenico per Cesena. Storia del Teatro Comunale, Società Editrice "Il Ponte Vecchio", Cesena 1997. F. Battaglia, M. Gradara, G. Conti, G. Foschi, Il Teatro Comunale "Bonci" e la Musica a Cesena, Cesena 1992 D. Dell'Amore (a cura di), La scena variabile. Teatro e musica a Cesena dal Medioevo all'Ottocento, Comune di Cesena - Teatro Alessandro Bonci, Cesena 1995. Immagini di teatro, Anni Ottanta a Cesena, fotografie di G. P. Senni, testi di F. Pollini, Cesena 1991. F. Pollini (a cua di), Il teatro di Luigi Veronesi, Società editrice "Il Ponte Vecchio", Cesena 1998. F. Pollini (a cura di), Museo del Teatro, Cesena 1998 F. Pollini (a cura di), Il Suono della Scena, Marco Facondini, Società editrice "Il Ponte Vecchio", Cesena 1999. Teatro Giuseppe Verdi (Cesena) Emilia Romagna Teatro Alessandro Bonci Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su teatro Alessandro Bonci Sito ufficiale, su cesena.emiliaromagnateatro.com.

Palazzo Ghini
Palazzo Ghini

Il Palazzo Ghini si trova nel centro storico di Cesena in corso Sozzi, su un'area nella quale i ritrovamenti effettuati accertano la presenza di edifici romani del I secolo a.C. Fu per oltre un secolo la residenza dei marchesi Ghini. Esiste un secondo palazzo omonimo nella vicina via Chiaramonti. La famiglia Ghini nel 1654 acquistò dei terreni per trasferirsi in città. Il palazzo venne commissionato nel 1680 dai fratelli Giacomo Francesco e Alessandro Bruno Ghini all'architetto cesenate Pier Mattia Angeloni; venne costruito all'incrocio dell'antica strada Cervese e la contrada S. Zenone. Inizialmente il progetto prevedeva una pianta ad "U" ma poi furono realizzati solo i corpi di fabbrica su corso Sozzi e, parzialmente, su via Uberti; la facciata su corso Sozzi rimase incompiuta nelle finiture lapidee. All'interno, nel salone d’onore, vennero eseguite intorno al 1720 delle pitture con soggetti storico-mitologici tipiche del tardo barocco. In seguito ad una divisione tra eredi, Monsignor Ghino Ghini riuscì ad acquistare l'intera proprietà del palazzo dando poi al palazzo la connotazione di residenza ecclesiastica per poi donarlo all'Ordine dei Gesuiti cesenati, che, secondo la sua volontà, vi stabilì la propria sede dal 1942 al 1962 e vi aprì una scuola apostolica. Divenne poi proprietà della curia. Sugli spigoli in pietra d'Istria si trovano le insegne pontificie di Papa Pio VI. La facciata interna del cortile presenta uno degli squarci più suggestivi di tutta la Romagna: si tratta di uno splendido loggiato a tre ordini, con colonne in pietra bianca ai due inferiori, dal quale è possibile godere di una delle visioni frontali della Biblioteca Malatestiana. Dallo scalone si accede a una loggia ornata da quattro statue di Francesco Calligari (Minerva, Cerere, Gloria e Marte); da qui si accede al grande salone d'onore, caratterizzato dal ciclo pittorico di Giacomo Bolognini, realizzato tra il 1719 e il 1721. Sono presenti tuttora, dono ufficiale e personale dei Papi Pio VI e Pio VII parenti stretti della famiglia, i busti marmorei raffiguranti gli stessi Papi e per cui i due Sommi Pontefici avevano posato. Denis Capellini, Guida di Cesena, Città Malatestiana, Cesena, Il Ponte Vecchio, 2001, ISBN 88-8312-175-9. Curzio Maria Ghini, I Ghini di Roccabernarda. Baldoni, Daniela (a cura di), Scavi archeologici a Cesena: storia di un quartiere urbano, Ravenna, Essegi, 1998, ISBN 978-88-7189-260-3. Denis Capellini, Guida di Cesena, Città Malatestiana, Cesena, Il Ponte Vecchio, 2001, ISBN 88-8312-175-9. Curzio Maria Ghini, I dipinti di palazzo Ghini a Cesena, Forlì, 1977. Archeologia dell'Emilia-Romagna 1/2, 1997. Palazzi di Cesena Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Palazzo Ghini

Barriera Cavour
Barriera Cavour

La Barriera Cavour è una porta cittadina di Cesena costituita ai lati da due padiglioni e chiusa, fino agli inizi del XX secolo, da un cancello in ferro. Venne costruita in sostituzione della precedente Porta Cervese di origine malatestiana della quale rimangono visibili i resti di un barbacane. L'abbattimento dell'antica Porta Cervese, risalente al XIV secolo, e l'edificazione di questa costruzione, nel 1864, su progetto di Davide Angeli, costituiscono uno degli interventi di maggior rilievo tra i tanti che, dopo l'Unità d'Italia e in nome della modernità, intesero dare alla città un indiscutibile aspetto "borghese". In questo caso la porta, che segnava da secoli il punto in cui la romana Via del Sale, oggi Corso Cavour, usciva dalla città in direzione di Cervia, venne sostituita da due neoclassici padiglioni a lesene doriche, chiusi da una robusta cancellata. Negli intendimenti il risultato era quello di offrire, a chi entrasse in città provenendo dalla stazione ferroviaria, la miglior immagine di Cesena. I due padiglioni ottocenteschi speculari ai lati fungevano da barriera daziaria. Sono entrambi porticati su di un lato e ornati da lesene doriche e da un fregio con triglifi. Nel 2002 un'opera di restauro ha restituito alla città l'originale cancello che oggi si trova all'ingresso dei Giardini Pubblici. Gianfranco Lauretano, Cesena, nello sguardo, nella mente, nel cuore, a cura di Marisa Zattini, Cesena, Il Vicolo, 2010, ISBN 978-88-96431-15-3. Pierluigi Moressa, Guida storico-artistica di Cesena e del suo comprensorio. Il monte, il ponte, il fonte, Forlì, Foschi, 2008, ISBN 978-88-89325-43-8. Denis Capellini, Guida di Cesena, Città Malatestiana, Cesena, Il Ponte Vecchio, 2001, ISBN 88-8312-175-9. Mura di Cesena Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Barriera Cavour Le Mura di Cesena, su homolaicus.com.

Duomo di Cesena
Duomo di Cesena

Il Duomo di Cesena è la cattedrale di San Giovanni Battista; i lavori iniziarono nel 1385; è il principale luogo di culto cattolico di Cesena, in Romagna, sede vescovile della diocesi di Cesena-Sarsina. Il Duomo non è sempre stato ubicato nella sua attuale posizione. Infatti, prima della signoria Malatestiana esso era collocato all'interno della cittadella rialzata (detta Murata), nell'area oggi occupata dallo Sferisterio di Cesena. Nel 1385 iniziò, per volere di Andrea Malatesta, la ricostruzione in stile romanico-gotico del duomo, che subì col passare dei secoli diverse trasformazioni, ritornando quindi alle sue forme originarie con l'ultimo restauro della seconda metà del XX secolo. Nel luglio del 1960 papa Giovanni XXIII elevò la cattedrale alla dignità di basilica minore. Nel 1378 Galeotto I Malatesta, appena divenuto signore, aveva stabilito che la cattedrale fosse ricostruita nella contrada Croce di Marmo (dove un tempo sorgeva la chiesa di Sant'Antonio Abate), all'incrocio tra la Via Emilia e l'antica Via del Sale per Cervia (oggi corso Gastone Sozzi). I lavori, iniziati nel 1385, si protrassero per circa un ventennio seguendo il progetto iniziale di un architetto originario di Untervaldo (Svizzera) - per questo conosciuto genericamente con il nome di Maestro Underwalden - che lo ideò secondo lo schema ad Hallenkirche (chiesa a sala), tipico del gotico di area germanica. La chiesa tra il 1443 e il 1456 fu dotata di un campanile su progetto del maestro Maso di Pietro di Lugano e per volontà del vescovo Antonio Malatesta da Fossombrone; quest'ultimo fu una figura centrale nello sviluppo della cattedrale e il suo aspetto generale odierno si deve alle sue sistemazioni. Alla sua morte, lo scultore fiorentino Ottaviano di Antonio di Duccio scolpì la sua arcata sepolcrale e diede inizio a un periodo prospero per l'arte della chiesa, che vide impegnati scultori celebri come i fratelli Giovanni Battista e Lorenzo Bregno da Osteno. A cavallo tra '400 e '500 fu poi completata la parte superiore della facciata, su progetto di Mario Codussi. A fine ’500 il vescovo Gualandi rivide la struttura globale della cattedrale e dedicò il piccolo dipinto di Bartolomeo Ramenghi detto il Bagnacavallo alla Madonna del Popolo. Successivi rifacimenti barocchi caratterizzarono il XVII secolo, mentre a metà '700 la Madonna del Popolo fu definitivamente collocata nella nuova cappella dedicata appunto alla Madonna del Popolo, edificata tra il 1746 e il 1748 su progetto di Pietro Carlo Borboni e affrescata da Corrado Giaquinto tra il 1750 e il 1751. Dopo un ritorno alle origini con l'eliminazione delle aggiunte barocche, tra il 1886 e il 1892 l'architetto Gualandi conferì alla cattedrale un nuovo volto falso gotico. Infine, nel triennio 1957-1960 il restauro definitivo: l'eliminazione delle volte interne neogotiche, un nuovo soffitto, l'eliminazione degli altari ottocenteschi, una nuova cripta e la muratura delle finestre sulla facciata portarono la chiesa all'aspetto attuale, del tutto simile a quello originale. L'esterno dell'edificio colpisce per la sobrietà tipicamente romanica, in laterizio, con otto lesene a interrompere la piatta uniformità della facciata. La parte superiore, progettata da Mario Codussi e di ascendenza veneta, presenta un frontone triangolare, due timpani semicircolari e due pilastrini; al centro si trova una coppia di lesene ornate con un occhio ornato di fregio a serafini. La rimanente decorazione della facciata si limita ad un'iscrizione (a destra del portale) con indulgenza plenaria concessa alla città da papa Pio VI, del 9 luglio 1793, e una nicchia con Madonna col Bambino di Vincenzo Gottardi del 1510. A sinistra della cattedrale, infine, troviamo una statua in bronzo di San Giovanni Battista degli anni ottanta, dello scultore Leonardo Lucchi. Il portale in pietra strombato, a tutto sesto, conferisce maestosità e grazia alla facciata; la tradizione lo vorrebbe proveniente dall'antica chiesa di San Lorenzo e qui posto per volontà di Antonio Malatesta, ma vi sono possibilità che sia originale della fabbrica del Duomo. La porta in bronzo (2000) è opera dello scultore cesenate Ilario Fioravanti e illustra le virtù di San Giovanni Battista: nell'arco sono presenti la Madonna del Popolo con san Mauro e san Vicinio, sotto sono illustrati i Quattro Evangelisti e la glorificazione del Cristo, sui battenti Episodi della vita del santo con incontro col Cristo, nella parte interna delle maniglie troviamo i Santi Francesco d'Assisi, Chiara, Ambrogio e Carlo. Il campanile è situato sul fianco posteriore sinistro del Duomo. Esso fu eretto tra il 1443 e il 1456 su progetto di Maso di Pietro della Val Lugano, venne dotato di una cella campanaria nel 1741 e dell'originale cupoletta nel 1753, fino a raggiungere l'altezza di 72 metri. La struttura interna è a tre navate, con capriate lignee per la centrale e soffitto a crociera per le laterali. In controfacciata, sopra l'ingresso, si può ammirare La Beata Vergine col Bambino, gli angeli, i Santi Mauro e Severo, la città di Cesena e i martiri Eugario, Firmio, Genesio e Concordia di Girolamo Cialdieri (1625, proveniente dalla distrutta chiesa di San Severo), e sopra troviamo una lapide del 1650 con ovale contenente La Vergine e il Bambino e un'iscrizione a ricordo di Pier Giacomo Beccarini, benefattore della Compagnia della Madonna del Popolo; seguono un'Urna di san Mauro in rame del 1645 e, sopra, la Scultura di sant'Antonio Abate della bottega del Bregno (XVI secolo). Nella navata di destra è presente il Crocifisso, in legno, detto di "San Zenone" del XV secolo; poi un'arca sepolcrale, in pietra d'Istria, del vescovo Antonio Malatesta da Fossombrone del 1467 di Ottaviano di Antonio di Duccio; quindi il celebre Altare del Corpus Domini del 1494 di Giovanni Battista Bregno: è questa la massima scultura conservata nella Cattedrale e raffigura il Cristo, San Giovanni Battista, San Giovanni Evangelista, l'Arcangelo Gabriele, l'arcidiacono Carlo Verardi (il committente dell'opera) e il nipote Camillo (un cavaliere pontificio). Continuando, sopra la porta laterale, ammiriamo San Girolamo di Livio Modigliani, segue un paliotto commemorativo del vescovo Augusto Gianfranceschi e i resti della cappella di San Tobia, che oggi è sede del Museo della Cattedrale. Nell'abside sono presenti due grandi quadri di Giuseppe Milani dipinti nel 1782 in onore di papa Pio VI (Nascita e Martirio di san Giovanni Battista); le vetrate, di Nicola Sebastio (1981), effigiano il Magnificat, il Battesimo di Cristo e il Martirio di san Giovanni Battista. La nicchia che introduce nella navata sinistra presenta il frammento di affresco della Santissima Trinità adorata da San Francesco e dal canonico Cesare Isolani, di Antonio Aleotti del 1509, e il sarcofago di San Severo (1644-1645); seguono l'antichissima Meridiana di Marinace Vescovo, del 1022 proveniente dal vecchio Duomo, e la porta d'accesso alle sacrestie: nella prima sono presenti degli armadi di Fabio Urbino e soffitto a cassettoni del XV secolo, nella seconda si ammira un prezioso lavabo rinascimentale. Ancora sulla navata sinistra troviamo: San Severo venerato da Carlo e Camillo Verardi del Gottardi del 1490, un bassorilievo con Compatrono, i due committenti, due angeli e folla di fedeli, infine segue una porta laterale con un quadro raffigurante la Madonna e Bambino con Sant'Antonio da Padova. Proseguendo troviamo la Cappella della Madonna del Popolo e successivamente un trittico scultoreo con i Santi Cristoforo, Leonardo e Eustachio di Lorenzo Bregno (1514-1517); il battistero infine presenta degli affreschi risalenti al XVI secolo con San Vincenzo Ferreri e San Rocco, infine, il fonte battesimale è del 1541. Nella cripta sono custodite le spoglie di San Mauro, vescovo e patrono della città. A metà navata (in perfetta corrispondenza con l’Altare del Corpus Domini) scorgiamo la Cappella della Madonna del Popolo di Pietro Carlo Borboni (1746-1748): essa è a pianta quadrata con colonne, agli angoli, in stile corinzio e marmi policromi; sono presenti gli affreschi di Corrado Giaquinto del 1750, nella calotta semisferica c'è La genealogia della Vergine, raffigurante il Paradiso con la Vergine, il bambino Gesù e i personaggi dell'Antico Testamento; nei pennacchi I profeti Baruc, Ezechiele, Isaia e Geremia. L'altare presente del 1882 è stato fabbricato su progetto di Francesco Vespignani e Filippo Viti. Nell'ancona veneriamo La Madonna del Popolo (di Bartolomeo Ramenghi detto il Bagnacavallo, 1520), centro di culto popolare, così denominata dal 1599 per volere del vescovo Camillo Gualandi e del cappuccino Padre Girolamo da Forlì, dove qui fu collocata nel 1683. Gli stucchi della cappella sono di Pietro Martinetti, i preziosi marmi di Giovanni Fabbri (1753-1759), mentre gli angeli in stucco sulle porte laterali sono di Antonio Trentanove (1795-1796). Alcune iscrizioni completano il ricco apparato: due ricordano la visita di Papa Pio VI avvenuta nel 1782, una rammenta la visita di Papa Giovanni Paolo II dell'8 maggio 1986, un'altra la visita di Papa Francesco del 1º ottobre 2017, un'altra ancora un episodio miracoloso durante la seconda guerra mondiale con protagonista il vescovo Beniamino Socche. In fondo alla navata di destra su una pensilina, si trova l'organo costruito nel 1962 dalla Famiglia Artigiana Fratelli Ruffatti di Padova, che per quanto possibile, curò di utilizzare materiale derivante dal vecchio organo “Laudani e Giudici” del 1898, danneggiato da eventi bellici e posto originariamente in cantoria sopra il portale d'ingresso. La stessa nel 1985 revisionò lo strumento migliorandone il quadro fonico, in modo da aumentare le possibilità espressive dell’organo. Lo strumento possiede N° 2121 canne, 2 tastiere di 61 note ciascuna, pedaliera concavo radiale di 32 note e N° 34 registri (tra cui 26 reali e 8 trasmessi, derivati o prolungati). La trasmissione degli impulsi tra consolle e organo avviene col sistema elettronico multiplex, su un singolo cavo coassiale, che dà, tra l’altro, la possibilità all’organista di memorizzare ben 64 combinazioni diverse di registri. Il 1º giugno 2008, in base a un'antica norma di diritto canonico, l'ex-vescovo di Cesena Antonio Lanfranchi dispose la celebrazione di una messa "riparatrice", a seguito dello scandalo suscitato da una coppia sorpresa in un confessionale della cattedrale nell'atto di consumare un rapporto sessuale. Pierluigi Moressa, Guida storico-artistica di Cesena e del suo comprensorio. Il monte, il ponte, il fonte, Forlì, Foschi, 2008, ISBN 978-88-89325-43-8. Touring Club Italiano, La provincià di Forlì-Cesena: Terra del Sole, Bertinoro, Longiano, Cesenatico, Milano, Touring Editore, 2003, ISBN 88-365-2908-9. Denis Capellini, Guida di Cesena, Città Malatestiana, Cesena, Il Ponte Vecchio, 2001, ISBN 88-8312-175-9. Marino Mengozzi, Storia della Chiesa di Cesena, Cesena, Stilgraf, 1998. Diocesi di Cesena-Sarsina Museo diocesano e della cattedrale di Cesena Wikibooks contiene testi o manuali sulla disposizione fonica dell'organo a canne Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla cattedrale di San Giovanni Battista a Cesena Duomo di San Giovanni Battista sul sito del Comune di Cesena, su comune.cesena.fc.it. URL consultato il 18 aprile 2011 (archiviato dall'url originale il 9 marzo 2012). La cattedrale: storia e descrizione (PDF), su chieseinsieme.it (archiviato dall'url originale il 24 luglio 2019). Chiesa di San Giovanni Battista (Cesena) su BeWeB - Beni ecclesiastici in web

Mura di Cesena
Mura di Cesena

Le mura di Cesena sono una cinta muraria a protezione della città risalenti al periodo intorno all'anno Mille. La signoria cittadina dei Malatesta racchiuse la cittadina con una cinta muraria dalla forma "a scorpione" della quale si conservano ampi tratti. Delle antiche porte ne rimangono solo tre: Porta Montanara, Porta Santi e Porta Fiume. Un'altra porta (detta Cervese) venne sostituita nell'800 dalla Barriera Cavour; delle altre due porte, Porta Figarola e Porta Trova, non rimane traccia. Di tre antiche porte ci è stata tramandata l'esistenza: Porta Ravegnana all'incrocio tra le attuali Via Boccaquattro e Via Chiaramonti; Porta dei Leoni all'incrocio fra le attuali Via Beccaria e Via Fra' Michelino; Porta Sapigna davanti al Teatro La relazione del cardinale Anglico de Grimoard del 1371 (Descriptio Romandiole) descrive circa 1660 fuochi (famiglie) dentro le mura e un castello (la Rocca Vecchia, ormai diruta) di otto porte. Alla cittadella fortificata detta "Murata" si accedeva attraverso tre varchi: Porta Montanara, fino al 1625 posta sulla cortina dello Sferisterio, poi nell'attuale posizione; una seconda porta, detta più tardi Porta del Leone, che può essere identificata con l'attuale arco su Piazza del Popolo; una terza porta, detta più tardi Porta del Soccorso, ubicata all'inizio dell'odierna via Fattiboni, venne poi demolita del XVIII secolo. Cinque erano, poi, le apertura della cinta muraria principale: Porta Figarola, dal 1684 Porta di Santa Maria, venne demolita intorno al 1867; Porta Santi o Porta Romana, trasformata nella attuali forme da Curzio Brunelli nel 1819; Porta Cervese, abbattuta nel 1864, venne sostituita dalla Barriera Cavour; Porta Trova, abbattuta nel 1867; e infine Porta del Ponte o Porta Fiume, che con l'annesso Ponte di San Martino costituiva l'unico punto d'accesso alla città da Forlì, prima dell'apertura dell'attuale Via Canonico Lugaresi; venne restaurata nel 1822 da Curzio Brunelli. Fu l'ultimo signore di Cesena, Novello Malatesta, a dare alla città, nel XIV secolo, il volto che conserva ancora oggi. Le modifiche e gli ampliamenti apportati ai quartieri "Chiesa Nuova" e "Strada Fuori" portarono la cinta muraria, circondata dal fossato (oggi non più), ad assumere la caratteristica forma a scorpione che la contraddistingue. Il numero di quartieri raggiunge il totale di dieci (San Giovanni, Porta Ravegnana, Porta Trova, San Zenone, Croce di Marmo, Talamello, San Severo, Strada Dentro, Strada Fuori, Chiesa Nuova). Sempre sotto Novello, in corrispondenza del torrente Cesuola, vennero aperte due porte, denominate Portacce. Dopo l'Unità d'Italia, dei sette varchi nelle mura medievali alcuni furono abbattuti, altri modificati. Alcuni tratti di mura, in special modo lungo l'odierna Via Padre Vicinio da Sarsina, vennero rasi al suolo, altri accorpati ad abitazioni, mentre il fossato veniva riempito dalla perforazione del Tunnel (1882-1892). Oggi la compagine muraria risulta ancora per la maggior parte intatta e ben individuabile nel tessuto urbanistico, anche se l'altezza della cortina è in certi parti alquanto inferiore all'originale. Quattro infine le porte superstiti tra quelle menzionate: Porta Santi, Porta Fiume, una delle due Portacce e Porta Montanara. Denis Capellini, Guida di Cesena, Città Malatestiana, Cesena, Il Ponte Vecchio, 2001, ISBN 88-8312-175-9. Barriera Cavour Cesena Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su mura di Cesena Le Mura di Cesena, su homolaicus.com.