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Santuario della Madonna delle Grazie (Teramo)

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Il santuario della Madonna delle Grazie è un edificio religioso dedicato alla protettrice della città di Teramo; si trova appena fuori le mura del centro storico della città, nei pressi di Porta Reale (comunemente detta Porta Madonna) e del parco Ivan Graziani. La chiesa si sviluppa da una pianta rettangolare ad una sola navata e tre cappelle per parte. Il soffitto mostra volte a crociera, con una cupola semisferica affrescata da Cesare Mariani. Dietro alla cappella maggiore si trova l'abside. La facciata principale ha un portico con tre ingressi. Il monastero di Sant'Angelo delle Donne è stato un monastero benedettino femminile di Teramo del XII secolo. Sorse come dipendenza del monastero di San Giovanni di Scorzione a Pastignano, a sua volta dipendenza femminile dell'abbazia di Montecassino. L'inizio dei lavori, prima del 1153, fu reso possibile dalla donazione di un certo Todino, come testimonia l'iscrizione su una "pietra-documento". Papa Eugenio IV, forse su richiesta di fra' Giacomo della Marca, ne decise la trasformazione in un convento di frati minori osservanti e il vescovo di Penne, Giovanni da Palena presentò il progetto al papa Niccolò V, che lo approvò con una bolla del 15 febbraio 1449. Il nuovo convento fu intitolato a Santa Maria delle Grazie e le monache benedettine si trasferirono all'interno della città, La predicazione, e l'azione pacificatrice, dei religiosi attirò la devozione di un numero crescente di fedeli, tanto che già negli anni 1465 - 1475 fu necessario ingrandire e modificare il vecchio complesso. Sia il convento che la chiesa furono probabilmente ricostruiti ex novo, quest'ultima con un diverso orientamento della facciata, e fu iniziata la costruzione del campanile (per un quarto). Nel novembre 1521 Teramo fu miracolosamente liberata dall'assedio del duca Andrea Matteo d'Acquaviva, le cui truppe fuggirono precipitosamente alla vista di un'apparizione della vergine. Il vescovo Francesco Chierigatto, un nobile vicentino, consacrò la chiesa un martedì di Quaresima del 1524, il 1º marzo. Nel XVI secolo dinanzi alla chiesa della Madonna delle Grazie, si tenevano cerimonie pubbliche di pacificazione; dal marzo del 1559, ogni Domenica in albis (l'ottava di Pasqua) si celebrò la Festa della Pace. Nella seconda metà del XVII secolo (sulla facciata demolita era inciso l'anno 1687, in grandi numeri romani) la chiesa subì una serie di trasformazioni che seguivano il gusto barocco allora dominante. Si portò anche a termine il campanile, che è sopravvissuto fino ai nostri giorni e mostra ancora la differenza di stile tra la base più antica e lo stile barocco della parte superiore. Tra il 1892 ed il 1900 la chiesa antica in stile romanico fu demolita e ricostruita come oggi la possiamo vedere. L'operazione fu curata da Francesco Savini, su progetto architettonico del professor Cesare Mariani. Dell'antico tempio rimane solo il campanile ed alcuni capitelli rinascimentali nel chiostro attiguo. Il monastero si è salvato quasi integralmente. Il giorno dell'inaugurazione, il 27 settembre 1900, in un'affollata cerimonia l'arcivescovo di Lanciano, monsignor Della Cioppa, consacrò la nuova chiesa e l'altare maggiore. Il giorno seguente vennero consacrati gli altari delle famiglie Palma, Savini, Thaulero e Urbani dai tre vescovi, Russo di Pescina, Pietropaoli di Trivento, e Trotta di Teramo.. Sopra agli altari delle riconsacrate cappelle si possono vedere la grande tela di Pasquale Celommi Le tre Marie alla Croce (donata dal barone Filippone Thaulero), la Sacra famiglia di Vittorino Scarselli (donata dalla nobile famiglia Palma), il Trapasso di san Giuseppe (copia) di Francesco Tartagliozzi (donata da D. Francesco e D. Giuseppe Savini), una Madonna di Giacinto Stroppolatini. Tra il 1968 e il 1972, al tempo del Soprintendente Mario Moretti, vennero eseguiti importanti lavori resi necessari dal crollo di parte della loggia. Oltre agli indispensabili interventi di consolidamento, il chiostro fu restaurato e "liberato" verso la piazza. Sull'esterno del muro del convento, infatti, furono riportati a vista due archi dell'antico portico. Il chiostro, a pianta leggermente trapezoidale, si trova accanto alla chiesa. Su tre lati vi è una loggia doppia di archi a tutto sesto e massicce colonne, in pietra quelle inferiori ed in laterizio quelle superiori, con capitelli in stile lombardo-bizantino risalenti, probabilmente, alla prima metà del XII secolo. Il lato più antico, sopra un loggiato di archi a sesto acuto sorretti da brevi colonne in pietra, mostra ancora taccia delle strette finestre a doppio sguancio, risalenti al convento di Sant'Angelo delle Donne. La parte alta con le finestre rettangolari, è ascrivibile al rifacimento del XV secolo, come pure il loggiato superiore. Sull'altare maggiore vi è la splendida statua in legno policromo, risalente al XV secolo, della Madonna delle Grazie che, coperta da uno splendente manto d'oro, siede con il Bambino disteso in grembo. E un autentico capolavoro dell'arte abruzzese, secondo una tradizione fu donata, approssimativamente tra il 1470 ed il 1476, dallo stesso Giacomo della Marca. La critica lo ha attribuito a Sebastiano di Cola da Casentino, un allievo di quel Silvestro dell'Aquila che pure ne è stato ritenuto l'autore; recenti studi l'hanno ascritto invece allo scultore Giovanni di Biasuccio da Fonteavignone, figura strettamente correlata a Silvestro dell'Aquila con il quale aprì bottega all'Aquila nel 1471. Un abate de XVIII secolo affermò che l'autore era un artista di Frattoli. La statua è da sempre al centro della devozione popolare, di cui è testimonianza la imponente collezione di oltre 800 preziosi ex voto in lamina d'argento. La ricorrenza si festeggia il 2 luglio. C'è una copia di questa statua nella chiesa St. James ubicato a Penns Grove in New Jersey negli Stati Uniti. Nel maggio 2007, dopo circa un trentennio, la Sovrintendenza ha restituito al museo del santuario il suo pezzo più importante. Si tratta di un affresco murale molto rovinato, risalente alla seconda metà del XV secolo, della scuola di Carlo Crivelli. L'opera fu probabilmente commissionata dalla ricca comunità di mercanti albanesi che all'epoca risiedeva a Teramo. Al centro è raffigurata la Madonna delle Grazie in trono con il Bambino, in sacra conversazione con un vescovo alla sua destra, probabilmente san Berardo o san Ludovico di Tolosa, ed una suora a sinistra, la cui figura è avvolta per metà dalle fiamme: forse santa Chiara o la bizantina santa Parasceve. L'immagine della Vergine è una perfetta riproduzione di quella del polittico che Crivelli realizzò per la Chiesa di San Pietro Martire di Ascoli Piceno alla fine del XV secolo. L'affresco fu rinvenuto nel 1892, durante la demolizione del vecchio santuario, nella prima cappella di destra. Francesco Savini lo attribuì allo stesso Carlo Crivelli, ma questo non gli impedì di danneggiarlo gravemente nel distaccarlo. Pietro Alamanno fu successivamente indicato come autore dell'opera dal critico d'arte Ferdinando Bologna. La questione è ancora dibattuta. All'interno oggi si vedono dipinti, tra gli altri, di Giacinto Stroppolatini (I Sacri Cuori, del 1831), Gennaro Della Monica (Martirio di Santa Lucia, del 1898), Vittorino Scarselli (La Sacra Famiglia, del 1899), Pasquale Celommi (Le tre Marie alla Croce, del 1900) ed affreschi di Cesare Mariani, che si raffigurò grande vecchio con barba nell'affresco del Presepio. Guglielmo Aurini, Rassegna artistica (I, Cesare Mariani), in "Corriere Abruzzese", Teramo, 17 luglio 1901 (questo scritto, il primo di una serie di 4 articoli, riguarda la ricostruzione della Chiesa delle Grazie e le opere di Cesare Mariani al suo interno); Francesco Savini, Sulla ricostruzione della Chiesa delle Grazie a Teramo. Memoria letta nella seduta del Consiglio Comunale di Teramo il 29 marzo 1892, (VII) 1892, Fasc. VIII - Luglio - Agosto, p. 315; Francesco Savini, Una preziosa lapide e l'anno della prima edificazione della chiesa ora detta delle Grazie in Teramo, in RASLA, a. VII (1892), fasc.10, Francesco Savini, Pel compimento e per l'apertura al culto della nuova Chiesa delle Grazie in Teramo. Fatti, cifre e documenti, Teramo, Cioschi, 1903, pp. 28. Francesco Savini, Edifizii teramani del medioevo, Roma, Forzani, 1907 e successive edizioni; Mario Chini, Per la Madonna teramana delle Grazie, in «Rivista Abruzzese», a.IV (1951), pp. 65–78; Alberto Riccoboni, Madonna delle Grazie, in "Abruzzo e Molise", Roma, Touring Club, 1965, p. 160; Mario Moretti, Architettura medioevale in Abruzzo : dal 6. al 16. secolo, Roma, De Luca, 1971, pp. XXXVI-XXXVII, 570-575; Mario Moretti, Restauri d'Abruzzo (1966 - 1972), Roma, De Luca, 1972, pp. 294–295; Gaetano Miarelli Mariani, Monumenti nel tempo. Per una storia del restauro in Abruzzo e nel Molise, Roma, Carucci, 1979, ad indicem; Santuario S. Maria delle Grazie Teramo. Guida storico-artistica, Sant'Atto di Teramo, Edigrafital, s.d. [m 1982, per l'ottavo centenario della nascita di San Francesco]; Berardo Marrocco, La statua lignea della "Madonna delle Grazie" nel santuario omonimo di Teramo, in "Aprutium", a. VI (1988), n. 1, pp. 57–62. Chiese di Teramo Teramo Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su santuario della Madonna delle Grazie Santuario della Madonna delle Grazie, su CulturaItalia, Istituto centrale per il catalogo unico.

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Santuario della Madonna delle Grazie (Teramo)
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Fonte della Noce
Fonte della Noce

Fonte della Noce è una fontana storica della città di Teramo in Abruzzo. Il sito che l'accoglie si trova in via Fonte della Noce, all'interno dell'area naturale del Parco fluviale del Vezzola a pochi passi dal centro cittadino. L'impianto della fontana è stato costruito in epoca medievale e destinato alla distribuzione dell'acqua potabile. Nel corso del tempo, fino agli anni Trenta del periodo interbellico, ha contribuito a soddisfare il fabbisogno idrico della zona nord della città, quando l'acqua corrente non era ancora stata condotta all'interno delle abitazioni. È stato utilizzato, inoltre, anche come lavatoio pubblico ed abbeveratoio. La fonte prende la denominazione "della Noce" per la presenza delle innumerevoli piante di noce che vi sono nelle sue vicinanze che, con i loro arbusti e le loro chiome, ne caratterizzano l'ambiente circostante. Si trova notizia di un'opera di restauro della fonte, per assicurarne la conservazione, negli Annali civili del Regno delle due Sicilie dell'anno 1835. Il luogo è noto e ricordato anche nelle vicende storiche teramane poiché fu visitato dalla regina Giovanna di Trastámara, più nota come Giovanna d'Aragona, principessa della corona d'Aragona e regina consorte, poi vedova, del re Ferdinando I di Napoli. La sovrana, nel mese di giugno dell'anno 1514, trascorse cinque giorni nella città di Teramo per acquisirne il possesso. Lo storico Mutio dè Muzji ha narrato, con dovizia di particolari, tutti gli accadimenti del soggiorno della regnante e della sua corte, tra i quali la visita alla Fonte della Noce. Secondo quanto riportato dal Muzji, Giovanna d'Aragona rimase particolarmente colpita da queste acque, limpide e fresche, ed ordinò di allestire il banchetto di una cena, allietata da musici e danzatori, da consumare presso l'area della fontana. «Si trattenne la Regina in questa Città per lo spatio di cinque giorni, dove hebbe grandissimo gusto, e soddisfazione, havendo visitate tutte le Chiese, e Reliquie, che in essa vi sono, et havendo anche per gusto voluto andare a vedere l'Acquaviva luoco di molto spasso in questa Città per li molti herbaggi, et acque limpide, che vi sono, che la regina, e tutti quei Signori, che l'accompagnavano si hebbero gran gusto, le fu anche dalla Città fatta una cena alla fonte della Noce che ricevé gusto mirabile».Mutio dè Muzji, Storia della città di Teramo, 1588 Lo storiografo Niccola Palma, riprendendo dalle parole del Mutji, ha tramandato anch'egli i particolari dell'allestimento per il banchetto voluto dalla regina d'Aragona nel secondo giorno della sua presenza a Teramo. Per accogliere il convivio della sovrana, i Signori del Reggimento composero intorno alla fonte due boschetti di piante e di rami intrecciati di pioppi che ombreggiassero e rendessero più dilettevole lo spazio. Un boschetto fu sistemato tra la fonte e le mura della città, mentre l'altro nell'area più a destra del perimetro. Nei due albereti, così ricostruiti, si nascosero i musici e 12 danzatori, vestiti «alla moresca», che con varie uscite intrattennero i commensali. Furono, inoltre, formate due fonti artificiali, una in cui scorreva copiosamente l'acqua e nella seconda del vino rosso. Giovanna d'Aragona ebbe una tavola separata, rispetto al resto dei cortigiani del suo seguito, in cui desinò con sua figlia. La reale comitiva rimase presso la fonte fino al calar della sera. A ricordo di questo evento, una lapide che reca scolpite le parole della descrizione del Muzji, è stata posta in occasione del quattrocentesimo anno dalla visita della sovrana. Fonte della Noce dispone le sue semplici ed essenziali linee architettoniche su un'ampia ed ariosa area rettangolare delimitata da tre alte pareti in muratura, erette con pietre e laterizi, disposte a " C ". Il quarto lato è perimetrato da un basso muretto dotato di apertura che ne consente l'accesso. La sua struttura, costruita prevalentemente in pietra, è composta complessivamente da due abbeveratoi, un lavatoio e un bacino circolare ornato da una fascia baccellata che prende acqua da un semplice, piccolo rosone. Annali civili del Regno delle Due Sicilie, (Gennaio, Febbraio, Marzo e Aprile 1835), Vol. 7, Napoli, dalla Tipografia del Real Ministero degli Affari Interni, anno 1835, p. 23. Mutio de Mutji, con note ed aggiunte di Giacinto Pannella, Della storia di Teramo: dialoghi sette, (Storia di Teramo dalle origini alla metà del secolo XVI), Teramo, Tipografia del Corriere abruzzese, anno 1893, pp. 236–237. Niccola Palma, Storia della Città e Diocesi di Teramo (“Storia ecclesiastica e civile della Regione più settentrionale del Regno di Napoli), ristampa moderna a cura della Cassa di Risparmio di Teramo, Edigrafital, Sant'Atto di Teramo, anno 1979, Vol. II, pp. 465, 474-475. Fontana Teramo Giovanna di Trastámara Fonte del Latte (Teramo) Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Fonte della Noce Fonte della Noce, su teramoculturale.it. URL consultato il 29 maggio 2016. Fonte della Noce di Teramo, su regione.abruzzo.it. URL consultato il 29 maggio 2016 (archiviato dall'url originale il 16 giugno 2016). M. dè Muzji, Della Storia di Teramo, 1893 - consultazione on line, su abruzzoinmostra.it. URL consultato il 29 maggio 2016.

Chiesa di Sant'Antonio (Teramo)
Chiesa di Sant'Antonio (Teramo)

La chiesa di Sant'Antonio, già convento di San Francesco, è una chiesa della città di Teramo. Edificata nel XIII secolo, si trova in corso De Michetti, all'angolo con largo Melatino. Dal 1902 è stata inclusa nell'elenco dei Monumenti nazionali italiani. Sotto il dominio Svevo prima e sotto quello Angioino poi, la città di Teramo si dotò degli edifici più importanti ancora oggi esistenti: nel 1207 il vescovo Sasso concedette la libertà comunale alla città e questa rinnovata fiducia portò ad un periodo di pace e sviluppo economico ed edilizio; proprio in questo periodo verranno costruiti il palazzo vescovile, la chiesa e convento di San Domenico e di San Francesco. Il primo impianto del convento di San Francesco risale al 1227 con caratteristiche simili al contemporaneo convento dei domenicani di Porta Romana (convento di San Domenico) e al convento francescano di Campli: si presentava con una chiesa ad aula unica ed abside rettangolare con alta bifora ogivale trilobata, chiostro porticato, refettorio e celle dormitorie; nel 1309 venne costruito il campanile da mastro Antonio di Florio e poco più tardi, nel 1327, la chiesa venne completata ed ampliata. Nel 1584, mentre si scavava per abbellire il chiostro, furono portati alla luce idoli in bronzo, medaglie, pezzi di colonne, marmi e un pavimento in lastre di porfido di sicura fattura romana. Il fianco della chiesa, ritmato da contrafforti, presenta due finestre, un rosone e un ingresso richiusi; delle arcatelle che formavano la cornice di coronamento, abbattute durante il rifacimento barocco, ne resta un tratto presso il campanile. Sulla facciata principale si scorgono i resti di un affresco raffigurante San Cristoforo, almeno stante alla tradizione popolare, una cornice orizzontale al centro del fronte presenta la stessa fattura del portale con una sequenza di foglie; a monte della cornice si notano due finestroni richiusi e uno più in alto e più grande che illumina la navata. La tipologia del portale rinvia a quelli della cattedrale di Atri e della chiesa di Santa Maria di Propezzano a Morro d'Oro, ma coincide quasi perfettamente con quello di San Francesco a Campli e di Sant'Antonio a Morro D'Oro: è stato realizzato su una grande strombatura del muro e composto con grande armonia degli elementi di intarsio, delle colonne tortili e dei motivi floreali; colonnine a tortiglione o a spina di pesce salgono all'archivolto dove la decorazione si arricchisce con giri di fogliame. I singoli elementi del fogliame sono disposti con l'asse piegato secondo la curvatura del semicerchio in modo da lasciare percepire l'effetto di una foglia nascente dietro l'altra, componendo nella grande varietà un unico elemento. Da notare infine l'uccello scolpito in mezzo alle foglie dei capitelli di sinistra e i due volatili posti al centro e a monte della lunetta e sotto la chiave di volta. Il campanile in laterizio si erge per due piani sopra al tetto, su quello inferiore è applicato l'orologio e sul vano superiore, evidentemente rifatto, sono collocate ben quattro campane. Non si notano segni rivelatori della posizione e delle forme originarie del campanile, non è certa la sua realizzazione, ma si ipotizza che fosse realizzato a vela sulla parete esterna della chiesa. Notevoli le arcatelle di coronamento che un tempo correvano su tutta la lunghezza della chiesa: queste sono realizzate ad archi ogivali con accoltellate di mattoni poggianti su mensoline in pietra e corone di bordo realizzate con filare di mattonelle in laterizio. L'interno si presenta con due chiese, l'una più grande detta di San Francesco e l'altra di Sant'Antonio realizzata nel vecchio refettorio. La chiesa di San Francesco, posta a destra dell'abside, si presenta in stile barocco; nell'intercapedine sono state realizzate delle cappelle laterali dedicate rispettivamente: all'Addolorata, alla Madonna del Rosario, a sant'Antonio, a santa Lucia con quadro del Sacro Cuore. Vi sono, tra queste, anche la cappella Muzi con statua di Santa Maria Assunta e la cappella di San Francesco; sull'abside semicircolare si trovano due tempere ispirate all''Antico Testamento; al centro dello stesso abside troneggia la statua della Madonna e più in alto una tempera rappresenta l'incoronazione della Vergine Maria. La cappella di Sant'Antonio è anch'essa in stile barocco e settecentesco: si presenta a navata unica absidata con affreschi, quadri e una notevole cupola che risulta illuminata da otto finestrelle al cui centro troneggia un sant'Antonio in gloria; ai lati si ergono dieci colonne corinzie addossate alle pareti. Sull'altare c'è la statua della Madonna Immacolata, mentre, nei quattro triangoli di raccordo tra la cupola e la navata della cappella, sono rappresentate le quattro virtù cardinali: giustizia, prudenza, fortezza e temperanza. Presenti notevoli dipinti, tra cui merita menzione il quadro di Vincenzo Baldati, realizzato nel 1792, che rappresenta sant'Antonio in ginocchio che guarda San Bonaventura da Bagnoregio, teologo della chiesa, nel momento in cui, finito di revisionare la regola francescana, rivolge lo sguardo al cielo ed offre il lavoro alla Madonna Immacolata. Nella cantoria principale troneggia un grande organo a tre tastiere. Sul soppalco della capellina è presente un vecchio organo realizzato nel 1862 da Vitale De Luca, restaurato e ricostruito nel 1997. Nell'atrio della cappella è collocato un baldacchino in stile neogotico realizzato in legno dorato nel 1903 da Raffaele De Fabritiis. Domenico Di Baldassarre, Chiesa di Sant'Antonio, già Convento di San Francesco, Edigrafital S.p.A., Teramo 2000. Chiese di Teramo Teramo Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su chiesa di Sant'Antonio

Stazione di Teramo
Stazione di Teramo

La stazione di Teramo è una stazione ferroviaria, gestita da Rete Ferroviaria Italiana, posta sulla ferrovia Teramo-Giulianova, a servizio del comune di Teramo. La stazione ferroviaria di Teramo, capoluogo dell'omonima provincia, venne costruita sul finire del XIX secolo in una zona della città all'epoca considerata ancora periferica rispetto al centro storico vero e proprio. La gestazione delle fasi progettuali, dal punto di vista burocratico e tecnico, fu notevolmente lunga. La realizzazione del complesso, autorizzata con legge del 29 luglio 1879, venne affidata all'impresa Eugenio Lastrucci, già esecutrice di diversi interventi edilizi presso la città di Pianella. La stazione fu solennemente inaugurata, alla presenza dell'allora Ministro dei Lavori Pubblici Francesco Genala, che giunse a Teramo sul primo treno appena entrato in servizio sulla linea proveniente da Giulianova, il 15 luglio 1884. L'evento fu grandiosamente organizzato nella città di Teramo: la spesa necessaria per i festeggiamenti inaugurali della nuova linea ferroviaria, interamente sostenuta dal comune di Teramo, ammontò a ben 8 499 lire dell'epoca. Il complesso venne inizialmente concepito come passante e non come terminale, dal momento che il progetto originario era quello di far proseguire i convogli provenienti dalla linea adriatica ben oltre la città di Teramo, inoltrandosi verso l'interno montano. Ben sei, difatti, furono gli studi pubblicati per prolungare la linea ferroviaria oltre lo scalo teramano: progetto Garneri (1885); progetto Crugnola (1887); progetto Muzi (1890); progetto Di Vella (1909); progetto Verrua (1927); progetto delle province di Teramo e dell'Aquila (1952). Nessuno di questi progetti vide tuttavia la luce, anche se quello che ebbe una certa parziale esecuzione fu quello del Di Vella, che prevedeva la realizzazione della ferrovia Roma-Giulianova, con Teramo che congiungeva i due capolinea. Si sarebbe così realizzata, attraverso quest'opera, una fondamentale linea di collegamento trasversale est-ovest nel centro Italia. Al completamento definitivo del progetto Di Vella mancò tuttavia il collegamento Teramo-Capitignano, poiché la linea Capitignano-L'Aquila venne invece effettivamente realizzata e messa in esercizio nel 1922, salvo poi essere smantellata nel 1935. L'edificio della stazione, con particolare riferimento al fabbricato viaggiatori, rispecchia totalmente quello dell'epoca umbertina nella quale vide la luce: la struttura è dotata di una certa maestosità, nonostante si tratti di una stazione piuttosto piccola. È costituita da un corpo centrale a doppia elevazione, con copertura a foggia vagamente romanica, affiancato da due corpi laterali ad unica elevazione. Il complesso architettonico, inequivocabilmente pregevole, venne decorato in talune aree interne dal momento che vennero concepiti sin dall'origine ambienti separati per ciascuna delle classi di servizio: trovarono quindi sede le sale d'attesa di prima e di seconda classe. Il piccolo atrio dell'ingresso principale, con volte a crociera, presentava due bei lampadari riccamente decorati, i cui anelli di aggancio sono ancora visibili su entrambi gli archi di sostegno. Sulla banchina principale, la sala posta all'estremità ovest ospita la sala d'attesa di prima classe. Seguivano quindi la sala d'attesa di seconda classe (corrispondente alla sala d'attesa in uso), l'ufficio del telegrafo e dei biglietti, un ufficio e il locale riservato al capostazione. La biglietteria, nel corso degli anni settanta, venne trasferita direttamente nell'atrio dell'ingresso principale. La sala d'attesa, un tempo corrispondente alla sala d'attesa di seconda classe, presenta sul soffitto un grazioso affresco raffigurante in due distinti riquadri i diversi mezzi di trasporto: stradale, ferroviario, aereo e navale. L'opera fu inequivocabilmente realizzata copiando l'immagine di copertina del numero 47 del periodico La Domenica del Corriere del 25 novembre 1923, nel quale venne riportata la notizia di una competizione sportiva avvenuta da Parma a Roma nel corso di quello stesso anno tra un'automobile del tempo e una locomotiva. L'immagine della competizione, vinta dall'automobile ed evidentemente di ampio interesse e diffusione nazionale, venne realizzata da Achille Beltrame sulla copertina del popolare settimanale e fu dunque replicata in maniera accurata nell'affresco presente nella stazione di Teramo. Dal lato dei binari, il fabbricato viaggiatori venne tardivamente dotato, intorno agli anni venti del XX secolo di una elegante pensilina in ferro in stile Liberty, con colonne portanti in ghisa e capitelli corinzi. La pensilina fu realizzata dalla società anonima L'Avvenire di Teramo, che nel 1934 sarà incaricata altresì di edificare l'edificio sede del convitto nazionale Melchiorre Delfico a Teramo. Del medesimo periodo è peraltro la fontana di acqua potabile, posta sul lato destro della banchina principale, anch'essa in ghisa e realizzata dalla società anonima L'Avvenire. Sino alla fine del XIX secolo, nell'oculo circolare posto sul timpano della facciata esterna del fabbricato viaggiatori era installato un orologio monumentale, non più presente. Il giardino della stazione era assai curato ed era altresì dotato di una piccola fontana ornamentale con vasca circolare e getto d'acqua centrale, attualmente non più in funzione, situata al di là del limite sinistro della banchina principale. Il complesso della stazione vede la presenza, oltre al sopra citato fabbricato viaggiatori, anche di altri edifici accessori al servizio ferroviario: la palazzina che ospita la sala relè, il magazzino per lo scalo merci (dismesso nel luglio 1993), il deposito locomotive e un ulteriore padiglione per l'alloggio degli uffici e del personale. I binari della stazione di Teramo, un tempo in numero di quattro, sono stati ridotti a due, tutti tronchi, di cui solo il primo è riservato stabilmente all'esercizio ferroviario mentre l'altro costituisce un'asta di manovra e, solo occasionalmente, adibito all'esercizio. Dopo l'ultimo scambio, sul lato ovest, sono poste i relativi paraurti ferroviari. Originariamente, il paraurti ferroviario del binario 1 era posto al km 25+226, in corrispondenza della fine del tronchino di raccordo con il binario 2. Dal quel punto esatto sarebbe dovuto nascere, secondo il progetto originario, il prolungamento della linea ferroviaria, trasformando così finalmente la stazione di Teramo da terminale a passante, ma non si pervenne mai a questo risultato. Nel corso del tempo i binari sono stati sostituiti due volte: nel 1974 sono stati smantellati i binari originali del 1884, dopo novant'anni di esercizio, e da ultimo, nel 2000, in previsione degli interventi per l'elettrificazione dell'intera linea ferroviaria avvenuta nel 2003. Il 30 marzo 2017 è stato soppresso il terzo binario. La stazione è servita ordinariamente da treni regionali a orario cadenzato espletati da Trenitalia e Ferrovia Adriatico Sangritana, nel rispetto del contratto stipulato con la Regione Abruzzo, e svolti prevalentemente con elettrotreni Jazz e Minuetto. La stazione dispone di: Biglietteria automatica Sala d'attesa Servizi igienici Bar Ristorante La stazione è connessa con: Fermata autobus urbani, suburbani ed extraurbani Adriano Cioci, La ferrovia Teramo-Giulianova, Cortona, Calosci, 1994, ISBN 88-7785-094-9. Rete Ferroviaria Italiana – Direzione Circolazione, Fascicolo Linea 103, su normativaesercizio.rfi.it, ed. dicembre 2003, Direzione Territoriale Produzione di Ancona. Teramo Ferrovia Teramo-Giulianova Ferrovia Adriatica Ferrovia L'Aquila-Capitignano Ferrovia Roma-Giulianova Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Stazione di Teramo Teramo, su rfi.it.

Casa dei Melatino
Casa dei Melatino

La Casa del Melatino è uno dei pochi palazzi del medioevo teramano giunti fino a noi. Ha dato il nome al luogo dove sorge: Largo Melatini. Dal 1902 è stata inclusa nell'elenco dei Monumenti nazionali italiani. Fu costruita dai Melatino, una delle nobili famiglie feudali alle quali i vescovi concedevano terre, case e privilegi purché si stabilissero con i propri vassalli a Teramo, per favorire la ricostruzione ed il ripopolamento della città dopo che, a metà del XII secolo, Roberto III di Loritello l'aveva saccheggiata e bruciata. Non è nota la data esatta di costruzione della casa, probabilmente i Melatino si insediarono a Teramo nel 1232; in ogni caso la casa fu comprata o edificata da Matteo I di Melatino prima del 1236, anno di un atto rogato nel suo palazzo di Teramo. Uno stemma che si trovava sulla facciata recava un'iscrizione, ora illeggibile, dalla quale risultava che la casa è stata probabilmente ricostruita nel 1372 da Roberto IV di Melatino. Si tratta di un edificio a tre piani a pianta quadrata, al pianterreno ci sono volte a crociera ed i resti di un antico portico con colonne in muratura, semisepolte, che sostengono arcate ad ogiva. Le finestre sono tipicamente ghibelline (il partito degli antichi proprietari) con architrave e soglie sporgenti ed a guscio, quattro delle finestre che si aprono nella fascia mediana della facciata sono rese bifore da eleganti colonnine divisorie poggianti su basi scolpite, tre delle colonnine sono tortili e, di queste, due presentano un serpente con testa di donna che le avvolge. Oggi sono visibili solo la parte anteriore e quella posteriore, con il giardino, mentre sui lati sono addossate costruzioni meno antiche. Originariamente, invece, il palazzo era isolato, infatti le cronache cittadine riferiscono che fu accerchiato su tre lati durante una sommossa popolare del 1408. L'albero di melo emblema della famiglia è raffigurato sul blasone in pietra sopra la porta. I numerosi rifacimenti hanno lasciato traccia nella varietà dei materiali di costruzione utilizzati. Nel 1996 la famiglia Savini, proprietaria dell'immobile, ha venduto l'edificio alla Fondazione Tercas che ne ha curato il restauro, durante il quale sono emerse importanti vestigia di una domus romana. La struttura attualmente ospita, tra l'altro, una ricca collezione di maioliche antiche abruzzesi di gran pregio e di porcellane europee. Alessandro Mucciante, La domus di Palazzo Melatino a Teramo (TE) (PDF), in The Journal of Fasti Online, n. 344, Roma, Associazione Internazionale di Archeologia Classica, 2015, ISSN 1828-3179. Lapide delle "male lingue" Melatino Torre del Melatino Teramo Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Casa dei Melatino Consalvo Carelli, Teramo (Largo Melatini), in Paesaggio nell'Arte - Provincia di Teramo, Regione Abruzzo. URL consultato il 18 settembre 2012 (archiviato dall'url originale il 7 marzo 2016). La Sede (Palazzo Melatino (XIII sec.), su fondazionetercas.it, Fondazione Tercas. URL consultato il 13 settembre 2015. Casa Melatino, in Punti di Interesse, Comune di Teramo. URL consultato il 13 settembre 2015.

Domus e mosaico del Leone
Domus e mosaico del Leone

Il Mosaico del Leone è una decorazione pavimentale del tablino della omonima Domus, sita nel seminterrato di Palazzo Savini a Teramo. Annoverato tra gli emblemi della storia archeologica teramana, il Mosaico del Leone è databile intorno al I secolo a.C., così come quelli, simili nella fattura, rinvenuti a Pompei e nella Villa Adriana a Tivoli. È stato universalmente riconosciuto come uno degli esempi più alti dell'arte del mosaico. La scoperta di questa domus romana risale al giugno del lontano 1891, durante i lavori di ristrutturazione di Palazzo Savini. Il palazzo fu costruito sopra le vecchie carceri penali di Teramo, nel rione San Leonardo (via Antica Cattedrale), non distante dalla Domus romana del I secolo a-C. in Largo Sant'Anna, sopra cui fu costruita la prima cattedrale di Teramo di "Santa Maria Aprutiensis", oggi Sant'Anna dei Pompeti. Oltre al Mosaico del Leone furono rinvenute anche altre ricche decorazioni musive. La domus ha subito molti danni a causa degli interventi edilizi di quell'anno, molte parti della casa sono state prima messe in luce e poi ricoperte o, nella peggiore delle ipotesi, inglobate nelle nuove murature; ad aggravare questa situazione contribuì la forte umidità che ha seriamente lesionato la pavimentazione musiva, tanto da renderla in alcuni punti di difficile lettura. La domus del Leone rientra nella tipologia abitativa cosiddetta greco-romana, che si sviluppa a partire dal II secolo a.C. e di cui si hanno a Pompei numerosissimi esempi. Alla normale disposizione su uno stesso asse di vestibolo - atrio - tablino è aggiunto il peristilio (il giardino porticato), la cui presenza qui è dimostrata dal ritrovamento di numerosi frammenti marmorei di statue e di altri elementi architettonici e decorativi nell'area adiacente alla sala del tablino. Alla casa si accede tramite un ingresso, di cui resta la soglia pavimentata in cocciopesto che immetteva direttamente nell'atrio. Aveva una copertura sostenuta da quattro colonne angolari (tetrastilo). Il pavimento dell'atrio, lungo 10,40 m e largo 6,70 m, è in opus scutulatum, realizzato con scaglie di pietra o marmo, di vario colore e formato, inserite in fondi di vario tipo e disposte sparse o secondo motivi decorativi, secondo modalità utilizzate dal I secolo a.C. Il fondo è in piccole tessere bianche disposte secondo un ordito regolare in cui sono inserite piccole scaglie di diversi tipi di marmi e colori: il tutto è incorniciato da un'ampia fascia di tessere nere e completato da un motivo romboidale di squame allungate, bipartite, adiacenti, in contrasto bianco-nero tra le colonne dell'impluvio. Questo tipo di pavimentazione appare agli inizi del I secolo a.C., perdura nel I secolo d.C. fino all'età giulio-claudia. Al centro dell'atrio si trova l'impluvio, consistente in una grande vasca atta a raccogliere l'acqua piovana, era utile per l'approvvigionamento idrico. L'acqua, attraverso una canaletta sotterranea, confluiva in una cisterna. La vasca, lunga 4,90 m e larga 2,50 m, è pavimentata in opus spicatum, tutt'intorno corre un gradino sagomato su cui si innestano, agli angoli, le basi attiche delle colonne scanalate, che sostenevano il compluvio. Dall'atrio si arriva al tablino attraversando una grande apertura larga 2,50 m, si ipotizza che questo passaggio venisse chiuso con una tenda per impedire la visione interna del tablino stesso; tale tenda era appesa ad un'asta orizzontale sostenuta da piccoli pilastri, dei quali rimangono i piedritti. La soglia dell'ingresso è in mosaico, con il motivo del meandro prospettico a svastiche e quadrati nei colori rossiccio, bianco, nero, ocra, verdastro (motivo tipicamente ellenistico). Il tablino ha la dimensione di un quadrato con lato di 3,80 m, due stretti corridoi larghi 1,15 m (se ne ignora la lunghezza) e davano, probabilmente, accesso al peristilio; a causa della perdita delle strutture murarie non è possibile comprendere appieno la decorazione parietale, eccetto tracce di intonaco rosso nel muro di fondo del tablino. Quest'ambiente è pavimentato da opus tessellatum policromo, costituito da tessere di pietra di forma regolare e grandezza variabile, il tipo decorativo dominante è quello del soffitto piano a cassettoni, entro i quali sono rappresentati motivi naturalistici. Al centro vi è l'emblema rappresentante un leone in lotta con un serpente su uno sfondo naturalistico, contornato da una treccia a due capi, intorno al riquadro del leone girano ricche ghirlande, tenute ai quattro lati da maschere teatrali, e, più all'esterno, un motivo a treccia a calice. L'Emblema del Leone (per emblema si intendeva un pannello musivo che veniva eseguito in bottega con minuscole tessere, disposto su lastre di marmo o travertino o terracotta e successivamente inserito nel tessellato) è inserito entro una cassetta di pietra: la tecnica per un emblema era quella del vermicolato, ciò eseguito con tessere piccolissime e di forma irregolare, tagliate in modo da seguire i contorni della figura, ottenendo un effetto simile alla pittura; nel Mosaico del Leone le tessere dello sfondo sono quadrangolari, allungate quelle dei baffi, tonde quelle della pupilla e dell'iride. Complessivamente qui è applicata la disposizione centripeta, ossia quella in cui la grandezza delle tessere va decrescendo dall'esterno verso l'interno; il perimetro dell'emblema teramano è ornato da un motivo a treccia a due capi con nodi serrati su fondo scuro. I colori impiegati sono due: l'arancio e il grigio verde in diverse gradazioni tonali; quattro file di tessere compongono ogni nastro, che ha una notevole resa plastica ottenuta mediante opportuno utilizzo delle variazioni tonali dei due colori usati. Al centro della scena vi è un leone in posizione di attacco (zampe anteriori divaricate e schiena inarcata) raffigurato leggermente in scorcio, mentre con la zampa anteriore artiglia il serpente, che a sua volta avvinghia la coda attorno alla zampa posteriore sinistra del leone. Quasi ad occupare tutta la scena è la testa con le fauci spalancate e la folta criniera resa con tessere dalle diverse tonalità del giallo oro. La pelle del serpente invece è resa da colori arancio e verde cupo sul dorso, mentre il ventre è realizzato da minuti frammenti beige con macchie scure. L'ambientazione è quella ai margini di una pozza d'acqua azzurra, tutt'intorno vi sono elementi vegetali: due alberi dei quali uno dal fusto nodoso e largo e chioma ampia, l'altro dal fusto sottile e foglie palmate con bacche e frutti. Molto accentuato è l'effetto chiaroscurale: una fonte di luce sembra provenire da destra inondando completamente il muso del leone. Glauco Angeletti, "Il Mosaico Del Leone in Palazzo Savini", Edigrafital S.p.A., Teramo 1997 Teramo Francesco Savini Storia del mosaico La Domus del Leone sul sito di teramomusei.it URL consultato il 29 ottobre 2010

Torre Bruciata (Teramo)
Torre Bruciata (Teramo)

La Torre Bruciata è un bastione romano in opus quadratum risalente al II secolo a.C. Si trova a Teramo, nella centralissima piazza Sant' Anna, contigua all'Antica cattedrale di Santa Maria Aprutiensis (oggi chiamata chiesa di Sant'Anna de' Pompetti). Il corpo della costruzione si sviluppa da una base quadrata ed è alto circa 10 m, con mura spesse 1,30 m e larghe 8 m. Questa possente torre venne eretta nel II secolo a.C. utilizzando grandi blocchi di travertino ben squadrati. L'appellativo "bruciata" deriva dal fatto che ancora oggi il lato meridionale del bastione mostra evidenti tracce del devastante incendio che la città di Teramo subì nel 1156 per mano di Roberto II di Bassavilla Conte di Loretello, ribelle al Re palermitano Guglielmo I verso il quale la città voleva restare fedele. Circa la sua funzione, c'è chi ritiene che potesse essere la torre campanaria della vicina cattedrale di Santa Maria Aprutiensis, ma c'è anche chi suppone, più semplicemente, che fosse un altissimo bastione difensivo che sovrastava la megalitica cinta muraria a nord-ovest della città, prima della nascita di Cristo. Lo storico dell'architettura d'Abruzzo Ignazio Gavini sostiene invece che, in epoche ovviamente diverse, la torre possa aver svolto entrambe le funzioni. Giammario Sgattoni, La torre bruciata fra storia e leggenda, in Notiziario economico della Camera di Commercio Industria e Agricoltura, n. 9, Teramo, tip. Ceti, 1971. Teramo Piazza Sant'Anna Antica cattedrale di Santa Maria Aprutiensis Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Torre Bruciata