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Monastero di San Giovanni di Scorzione

Chiese di TeramoPagine con mappe

Il monastero di San Giovanni di Scorzione detto anche "a Scorzone" era un edificio religioso, oggi sconsacrato, situato a Teramo in piazza Giuseppe Verdi, nel rione Santa Maria a Bitetto. Oggi è sede del Liceo musicale "Gaetano Braga".

Estratto dall'articolo di Wikipedia Monastero di San Giovanni di Scorzione (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori).

Monastero di San Giovanni di Scorzione
Via Stazio, Teramo Santa Maria a Bitetto

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Latitudine Longitudine
N 42.657332 ° E 13.705619 °
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Via Stazio 45
64100 Teramo, Santa Maria a Bitetto
Abruzzo, Italia
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Luoghi vicini

Domus e mosaico del Leone
Domus e mosaico del Leone

Il Mosaico del Leone è una decorazione pavimentale del tablino della omonima Domus, sita nel seminterrato di Palazzo Savini a Teramo. Annoverato tra gli emblemi della storia archeologica teramana, il Mosaico del Leone è databile intorno al I secolo a.C., così come quelli, simili nella fattura, rinvenuti a Pompei e nella Villa Adriana a Tivoli. È stato universalmente riconosciuto come uno degli esempi più alti dell'arte del mosaico. La scoperta di questa domus romana risale al giugno del lontano 1891, durante i lavori di ristrutturazione di Palazzo Savini. Il palazzo fu costruito sopra le vecchie carceri penali di Teramo, nel rione San Leonardo (via Antica Cattedrale), non distante dalla Domus romana del I secolo a-C. in Largo Sant'Anna, sopra cui fu costruita la prima cattedrale di Teramo di "Santa Maria Aprutiensis", oggi Sant'Anna dei Pompeti. Oltre al Mosaico del Leone furono rinvenute anche altre ricche decorazioni musive. La domus ha subito molti danni a causa degli interventi edilizi di quell'anno, molte parti della casa sono state prima messe in luce e poi ricoperte o, nella peggiore delle ipotesi, inglobate nelle nuove murature; ad aggravare questa situazione contribuì la forte umidità che ha seriamente lesionato la pavimentazione musiva, tanto da renderla in alcuni punti di difficile lettura. La domus del Leone rientra nella tipologia abitativa cosiddetta greco-romana, che si sviluppa a partire dal II secolo a.C. e di cui si hanno a Pompei numerosissimi esempi. Alla normale disposizione su uno stesso asse di vestibolo - atrio - tablino è aggiunto il peristilio (il giardino porticato), la cui presenza qui è dimostrata dal ritrovamento di numerosi frammenti marmorei di statue e di altri elementi architettonici e decorativi nell'area adiacente alla sala del tablino. Alla casa si accede tramite un ingresso, di cui resta la soglia pavimentata in cocciopesto che immetteva direttamente nell'atrio. Aveva una copertura sostenuta da quattro colonne angolari (tetrastilo). Il pavimento dell'atrio, lungo 10,40 m e largo 6,70 m, è in opus scutulatum, realizzato con scaglie di pietra o marmo, di vario colore e formato, inserite in fondi di vario tipo e disposte sparse o secondo motivi decorativi, secondo modalità utilizzate dal I secolo a.C. Il fondo è in piccole tessere bianche disposte secondo un ordito regolare in cui sono inserite piccole scaglie di diversi tipi di marmi e colori: il tutto è incorniciato da un'ampia fascia di tessere nere e completato da un motivo romboidale di squame allungate, bipartite, adiacenti, in contrasto bianco-nero tra le colonne dell'impluvio. Questo tipo di pavimentazione appare agli inizi del I secolo a.C., perdura nel I secolo d.C. fino all'età giulio-claudia. Al centro dell'atrio si trova l'impluvio, consistente in una grande vasca atta a raccogliere l'acqua piovana, era utile per l'approvvigionamento idrico. L'acqua, attraverso una canaletta sotterranea, confluiva in una cisterna. La vasca, lunga 4,90 m e larga 2,50 m, è pavimentata in opus spicatum, tutt'intorno corre un gradino sagomato su cui si innestano, agli angoli, le basi attiche delle colonne scanalate, che sostenevano il compluvio. Dall'atrio si arriva al tablino attraversando una grande apertura larga 2,50 m, si ipotizza che questo passaggio venisse chiuso con una tenda per impedire la visione interna del tablino stesso; tale tenda era appesa ad un'asta orizzontale sostenuta da piccoli pilastri, dei quali rimangono i piedritti. La soglia dell'ingresso è in mosaico, con il motivo del meandro prospettico a svastiche e quadrati nei colori rossiccio, bianco, nero, ocra, verdastro (motivo tipicamente ellenistico). Il tablino ha la dimensione di un quadrato con lato di 3,80 m, due stretti corridoi larghi 1,15 m (se ne ignora la lunghezza) e davano, probabilmente, accesso al peristilio; a causa della perdita delle strutture murarie non è possibile comprendere appieno la decorazione parietale, eccetto tracce di intonaco rosso nel muro di fondo del tablino. Quest'ambiente è pavimentato da opus tessellatum policromo, costituito da tessere di pietra di forma regolare e grandezza variabile, il tipo decorativo dominante è quello del soffitto piano a cassettoni, entro i quali sono rappresentati motivi naturalistici. Al centro vi è l'emblema rappresentante un leone in lotta con un serpente su uno sfondo naturalistico, contornato da una treccia a due capi, intorno al riquadro del leone girano ricche ghirlande, tenute ai quattro lati da maschere teatrali, e, più all'esterno, un motivo a treccia a calice. L'Emblema del Leone (per emblema si intendeva un pannello musivo che veniva eseguito in bottega con minuscole tessere, disposto su lastre di marmo o travertino o terracotta e successivamente inserito nel tessellato) è inserito entro una cassetta di pietra: la tecnica per un emblema era quella del vermicolato, ciò eseguito con tessere piccolissime e di forma irregolare, tagliate in modo da seguire i contorni della figura, ottenendo un effetto simile alla pittura; nel Mosaico del Leone le tessere dello sfondo sono quadrangolari, allungate quelle dei baffi, tonde quelle della pupilla e dell'iride. Complessivamente qui è applicata la disposizione centripeta, ossia quella in cui la grandezza delle tessere va decrescendo dall'esterno verso l'interno; il perimetro dell'emblema teramano è ornato da un motivo a treccia a due capi con nodi serrati su fondo scuro. I colori impiegati sono due: l'arancio e il grigio verde in diverse gradazioni tonali; quattro file di tessere compongono ogni nastro, che ha una notevole resa plastica ottenuta mediante opportuno utilizzo delle variazioni tonali dei due colori usati. Al centro della scena vi è un leone in posizione di attacco (zampe anteriori divaricate e schiena inarcata) raffigurato leggermente in scorcio, mentre con la zampa anteriore artiglia il serpente, che a sua volta avvinghia la coda attorno alla zampa posteriore sinistra del leone. Quasi ad occupare tutta la scena è la testa con le fauci spalancate e la folta criniera resa con tessere dalle diverse tonalità del giallo oro. La pelle del serpente invece è resa da colori arancio e verde cupo sul dorso, mentre il ventre è realizzato da minuti frammenti beige con macchie scure. L'ambientazione è quella ai margini di una pozza d'acqua azzurra, tutt'intorno vi sono elementi vegetali: due alberi dei quali uno dal fusto nodoso e largo e chioma ampia, l'altro dal fusto sottile e foglie palmate con bacche e frutti. Molto accentuato è l'effetto chiaroscurale: una fonte di luce sembra provenire da destra inondando completamente il muso del leone. Glauco Angeletti, "Il Mosaico Del Leone in Palazzo Savini", Edigrafital S.p.A., Teramo 1997 Teramo Francesco Savini Storia del mosaico La Domus del Leone sul sito di teramomusei.it URL consultato il 29 ottobre 2010

Chiesa di Santa Caterina (Teramo)
Chiesa di Santa Caterina (Teramo)

La chiesa di santa Caterina è un luogo di culto cattolico che si trova nel centro storico della città di Teramo, in Abruzzo, ed apre la sua facciata alla fine d'un vicolo, con omonima denominazione, stretto, appartato e lastricato da ciottoli di fiume, lungo Corso Cerulli. La chiesa è una cappella privata appartenente alla locale famiglia Castelli ed è aperta ai fedeli solo pochi giorni all'anno per la celebrazione dei tridui che precedono il 25 novembre, ricorrenza della festa calendariale della martire d'Alessandria. L'edificio religioso è considerato tra i più antichi e, per le sue modeste dimensioni, è anche annoverato tra le chiese più piccole della cittadina abruzzese. Custodisce al suo interno altari di notevoli dimensioni, rispetto alle proporzioni modeste del vano sacro, arricchiti da opere d'arte di buona fattura. Il culto della santa, decapitata dopo che la ruota dentata che doveva stritolarla si inceppò, è molto sentito e, come scrive Luigi Ponziani: «ancor oggi fa vivere tra i teramani l'antica confidenza con la vergine d'Alessandria». È diffuso e legato principalmente alla devozione popolare delle ragazze in età da marito che fanno "girare la ruota”, compiendo il gesto di percorrere con il dito il cerchio disegnato della ruota scolpita nella lapide posta sul muro a destra dell'ingresso, mentre rivolgono le loro richieste. Altre fanno girare, mediante una manovella, la ruota di legno di noce, ricoperta da un cerchio di ferro dentato, che si trova vicino alla statua che ritrae la martire. Le giovani rivolgendo le loro preghiere chiedono un felice matrimonio, le sterili richiedono la gravidanza, le partorienti un felice esito del parto.

Chiesa di Sant'Antonio (Teramo)
Chiesa di Sant'Antonio (Teramo)

La chiesa di Sant'Antonio, già convento di San Francesco, è una chiesa della città di Teramo. Edificata nel XIII secolo, si trova in corso De Michetti, all'angolo con largo Melatino. Dal 1902 è stata inclusa nell'elenco dei Monumenti nazionali italiani. Sotto il dominio Svevo prima e sotto quello Angioino poi, la città di Teramo si dotò degli edifici più importanti ancora oggi esistenti: nel 1207 il vescovo Sasso concedette la libertà comunale alla città e questa rinnovata fiducia portò ad un periodo di pace e sviluppo economico ed edilizio; proprio in questo periodo verranno costruiti il palazzo vescovile, la chiesa e convento di San Domenico e di San Francesco. Il primo impianto del convento di San Francesco risale al 1227 con caratteristiche simili al contemporaneo convento dei domenicani di Porta Romana (convento di San Domenico) e al convento francescano di Campli: si presentava con una chiesa ad aula unica ed abside rettangolare con alta bifora ogivale trilobata, chiostro porticato, refettorio e celle dormitorie; nel 1309 venne costruito il campanile da mastro Antonio di Florio e poco più tardi, nel 1327, la chiesa venne completata ed ampliata. Nel 1584, mentre si scavava per abbellire il chiostro, furono portati alla luce idoli in bronzo, medaglie, pezzi di colonne, marmi e un pavimento in lastre di porfido di sicura fattura romana. Il fianco della chiesa, ritmato da contrafforti, presenta due finestre, un rosone e un ingresso richiusi; delle arcatelle che formavano la cornice di coronamento, abbattute durante il rifacimento barocco, ne resta un tratto presso il campanile. Sulla facciata principale si scorgono i resti di un affresco raffigurante San Cristoforo, almeno stante alla tradizione popolare, una cornice orizzontale al centro del fronte presenta la stessa fattura del portale con una sequenza di foglie; a monte della cornice si notano due finestroni richiusi e uno più in alto e più grande che illumina la navata. La tipologia del portale rinvia a quelli della cattedrale di Atri e della chiesa di Santa Maria di Propezzano a Morro d'Oro, ma coincide quasi perfettamente con quello di San Francesco a Campli e di Sant'Antonio a Morro D'Oro: è stato realizzato su una grande strombatura del muro e composto con grande armonia degli elementi di intarsio, delle colonne tortili e dei motivi floreali; colonnine a tortiglione o a spina di pesce salgono all'archivolto dove la decorazione si arricchisce con giri di fogliame. I singoli elementi del fogliame sono disposti con l'asse piegato secondo la curvatura del semicerchio in modo da lasciare percepire l'effetto di una foglia nascente dietro l'altra, componendo nella grande varietà un unico elemento. Da notare infine l'uccello scolpito in mezzo alle foglie dei capitelli di sinistra e i due volatili posti al centro e a monte della lunetta e sotto la chiave di volta. Il campanile in laterizio si erge per due piani sopra al tetto, su quello inferiore è applicato l'orologio e sul vano superiore, evidentemente rifatto, sono collocate ben quattro campane. Non si notano segni rivelatori della posizione e delle forme originarie del campanile, non è certa la sua realizzazione, ma si ipotizza che fosse realizzato a vela sulla parete esterna della chiesa. Notevoli le arcatelle di coronamento che un tempo correvano su tutta la lunghezza della chiesa: queste sono realizzate ad archi ogivali con accoltellate di mattoni poggianti su mensoline in pietra e corone di bordo realizzate con filare di mattonelle in laterizio. L'interno si presenta con due chiese, l'una più grande detta di San Francesco e l'altra di Sant'Antonio realizzata nel vecchio refettorio. La chiesa di San Francesco, posta a destra dell'abside, si presenta in stile barocco; nell'intercapedine sono state realizzate delle cappelle laterali dedicate rispettivamente: all'Addolorata, alla Madonna del Rosario, a sant'Antonio, a santa Lucia con quadro del Sacro Cuore. Vi sono, tra queste, anche la cappella Muzi con statua di Santa Maria Assunta e la cappella di San Francesco; sull'abside semicircolare si trovano due tempere ispirate all''Antico Testamento; al centro dello stesso abside troneggia la statua della Madonna e più in alto una tempera rappresenta l'incoronazione della Vergine Maria. La cappella di Sant'Antonio è anch'essa in stile barocco e settecentesco: si presenta a navata unica absidata con affreschi, quadri e una notevole cupola che risulta illuminata da otto finestrelle al cui centro troneggia un sant'Antonio in gloria; ai lati si ergono dieci colonne corinzie addossate alle pareti. Sull'altare c'è la statua della Madonna Immacolata, mentre, nei quattro triangoli di raccordo tra la cupola e la navata della cappella, sono rappresentate le quattro virtù cardinali: giustizia, prudenza, fortezza e temperanza. Presenti notevoli dipinti, tra cui merita menzione il quadro di Vincenzo Baldati, realizzato nel 1792, che rappresenta sant'Antonio in ginocchio che guarda San Bonaventura da Bagnoregio, teologo della chiesa, nel momento in cui, finito di revisionare la regola francescana, rivolge lo sguardo al cielo ed offre il lavoro alla Madonna Immacolata. Nella cantoria principale troneggia un grande organo a tre tastiere. Sul soppalco della capellina è presente un vecchio organo realizzato nel 1862 da Vitale De Luca, restaurato e ricostruito nel 1997. Nell'atrio della cappella è collocato un baldacchino in stile neogotico realizzato in legno dorato nel 1903 da Raffaele De Fabritiis. Domenico Di Baldassarre, Chiesa di Sant'Antonio, già Convento di San Francesco, Edigrafital S.p.A., Teramo 2000. Chiese di Teramo Teramo Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su chiesa di Sant'Antonio

Torre Bruciata (Teramo)
Torre Bruciata (Teramo)

La Torre Bruciata è un bastione romano in opus quadratum risalente al II secolo a.C. Si trova a Teramo, nella centralissima piazza Sant' Anna, contigua all'Antica cattedrale di Santa Maria Aprutiensis (oggi chiamata chiesa di Sant'Anna de' Pompetti). Il corpo della costruzione si sviluppa da una base quadrata ed è alto circa 10 m, con mura spesse 1,30 m e larghe 8 m. Questa possente torre venne eretta nel II secolo a.C. utilizzando grandi blocchi di travertino ben squadrati. L'appellativo "bruciata" deriva dal fatto che ancora oggi il lato meridionale del bastione mostra evidenti tracce del devastante incendio che la città di Teramo subì nel 1156 per mano di Roberto II di Bassavilla Conte di Loretello, ribelle al Re palermitano Guglielmo I verso il quale la città voleva restare fedele. Circa la sua funzione, c'è chi ritiene che potesse essere la torre campanaria della vicina cattedrale di Santa Maria Aprutiensis, ma c'è anche chi suppone, più semplicemente, che fosse un altissimo bastione difensivo che sovrastava la megalitica cinta muraria a nord-ovest della città, prima della nascita di Cristo. Lo storico dell'architettura d'Abruzzo Ignazio Gavini sostiene invece che, in epoche ovviamente diverse, la torre possa aver svolto entrambe le funzioni. Giammario Sgattoni, La torre bruciata fra storia e leggenda, in Notiziario economico della Camera di Commercio Industria e Agricoltura, n. 9, Teramo, tip. Ceti, 1971. Teramo Piazza Sant'Anna Antica cattedrale di Santa Maria Aprutiensis Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Torre Bruciata

Casa dei Melatino
Casa dei Melatino

La Casa del Melatino è uno dei pochi palazzi del medioevo teramano giunti fino a noi. Ha dato il nome al luogo dove sorge: Largo Melatini. Dal 1902 è stata inclusa nell'elenco dei Monumenti nazionali italiani. Fu costruita dai Melatino, una delle nobili famiglie feudali alle quali i vescovi concedevano terre, case e privilegi purché si stabilissero con i propri vassalli a Teramo, per favorire la ricostruzione ed il ripopolamento della città dopo che, a metà del XII secolo, Roberto III di Loritello l'aveva saccheggiata e bruciata. Non è nota la data esatta di costruzione della casa, probabilmente i Melatino si insediarono a Teramo nel 1232; in ogni caso la casa fu comprata o edificata da Matteo I di Melatino prima del 1236, anno di un atto rogato nel suo palazzo di Teramo. Uno stemma che si trovava sulla facciata recava un'iscrizione, ora illeggibile, dalla quale risultava che la casa è stata probabilmente ricostruita nel 1372 da Roberto IV di Melatino. Si tratta di un edificio a tre piani a pianta quadrata, al pianterreno ci sono volte a crociera ed i resti di un antico portico con colonne in muratura, semisepolte, che sostengono arcate ad ogiva. Le finestre sono tipicamente ghibelline (il partito degli antichi proprietari) con architrave e soglie sporgenti ed a guscio, quattro delle finestre che si aprono nella fascia mediana della facciata sono rese bifore da eleganti colonnine divisorie poggianti su basi scolpite, tre delle colonnine sono tortili e, di queste, due presentano un serpente con testa di donna che le avvolge. Oggi sono visibili solo la parte anteriore e quella posteriore, con il giardino, mentre sui lati sono addossate costruzioni meno antiche. Originariamente, invece, il palazzo era isolato, infatti le cronache cittadine riferiscono che fu accerchiato su tre lati durante una sommossa popolare del 1408. L'albero di melo emblema della famiglia è raffigurato sul blasone in pietra sopra la porta. I numerosi rifacimenti hanno lasciato traccia nella varietà dei materiali di costruzione utilizzati. Nel 1996 la famiglia Savini, proprietaria dell'immobile, ha venduto l'edificio alla Fondazione Tercas che ne ha curato il restauro, durante il quale sono emerse importanti vestigia di una domus romana. La struttura attualmente ospita, tra l'altro, una ricca collezione di maioliche antiche abruzzesi di gran pregio e di porcellane europee. Alessandro Mucciante, La domus di Palazzo Melatino a Teramo (TE) (PDF), in The Journal of Fasti Online, n. 344, Roma, Associazione Internazionale di Archeologia Classica, 2015, ISSN 1828-3179. Lapide delle "male lingue" Melatino Torre del Melatino Teramo Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Casa dei Melatino Consalvo Carelli, Teramo (Largo Melatini), in Paesaggio nell'Arte - Provincia di Teramo, Regione Abruzzo. URL consultato il 18 settembre 2012 (archiviato dall'url originale il 7 marzo 2016). La Sede (Palazzo Melatino (XIII sec.), su fondazionetercas.it, Fondazione Tercas. URL consultato il 13 settembre 2015. Casa Melatino, in Punti di Interesse, Comune di Teramo. URL consultato il 13 settembre 2015.

Teatro romano di Teramo
Teatro romano di Teramo

Il Teatro romano di Teramo è situato nel centro storico della città abruzzese, tra via Teatro Antico e via Luigi Paris, nelle vicinanze del Duomo e a pochi metri dall'Anfiteatro romano di Teramo. Il complesso architettonico trovò la sua ubicazione nella porzione del tessuto urbano occidentale dell'antica Interamnia. L'impianto cittadino dell'epoca era, probabilmente, diviso in due settori che si distinguevano tra la parte orientale, di maggiore vetustà, corrispondente alla zona dell'attuale piazza Ercole Vincenzo Orsini, e la parte occidentale dove giungeva il diverticolo d'ingresso della via Caecilia e dove furono costruiti gli edifici pubblici del Teatro e dell'Anfiteatro a cui si ritiene fossero affiancati anche un odeon e un tempio di Priapo. Il sito si mostra nelle migliori condizioni di conservazione delle strutture di epoca romana coeve, sia esistenti nella città, sia se paragonato agli altri impianti presenti del territorio della Regio IV Samnium e della Regio V Picenum, sebbene, nel periodo medioevale, fu utilizzato come cava di materiale lapideo per la costruzione di edifici vicini, in particolare della cattedrale. L'epoca di costruzione del Teatro teramano fu contemporanea a quella di altri edifici simili eretti in città limitrofe come: Amiternum, Peltuinum, Hatria ed Asculum. Edificato in età augustea, presentava nell'alzato del palcoscenico ricche decorazioni realizzate nel 30 a.C., disposte in nicchie alternate di forma rettangolare e semicircolare. Il monumento fu innalzato nel settore occidentale della città, molto probabilmente all’interno delle mura, e fu collocato nel punto d’ingresso alla città a livello del diverticulum (estroflessione) della via Caecilia che collegava Interamnia Praetuttiorum a Roma. Nel Museo Archeologico di Teramo è esposta una statua femminile acefala in marmo greco, rinvenuta nel 1942, facente probabilmente parte di un ciclo statuario dinastico concepito sotto il governo di Augusto il quale fu poi ampliato e implementato probabilmente sotto il governo dell’imperatore Claudio e di cui oltre ad essa sono giunte a noi due iscrizioni che menzionano i figli adottivi di Augusto morti prematuramente Lucio Cesare e Gaio Cesare. Nel medioevo il Teatro subì la stessa sorte di numerose altre opere monumentali romane tra cui anche il vicino Anfiteatro, ovvero fu utilizzato come cava di materiale per la costruzione di vari edifici limitrofi, in particolare per quella del Duomo di Teramo edificato nel XII secolo nell'area nord-occidentale adiacente al sito archeologico del Teatro. Nella parete nord-orientale esterna del Duomo e in alcune parti interne si possono pertanto tuttora osservare alcune pietre scolpite che furono asportate dalle costruzioni romane. Gli scavi nel centro storico di Teramo per il recupero del Teatro romano sono stati oggetto di lunghe vicissitudini. Per molto tempo il palcoscenico rimase nascosto dalla zona urbana sovrastante, comprendente tra gli altri i palazzi Adamoli e Salvoni edificati alla fine dell'Ottocento. Fu lo storico e archeologo teramano Francesco Savini a scoprire, nel corso del XX secolo, che sotto quell'area urbana c’era il Teatro nella sua interezza. Inizialmente l’archeologo pensava di indagare i resti dell’Anfiteatro ma successivamente la scoperta di elementi della scena e dell’orchestra costituirono per lui la prova che l’edificio in corso di esplorazione era un Teatro romano. Egli condusse quattro campagne di scavo partendo inizialmente da progetti a proprie spese. In seguito presentò un progetto presso l'Accademia dei Lincei e nel 1915 ricevette finanziamenti dalla Soprintendenza per le antichità di Marche, Abruzzo e Dalmazia, ma la prima guerra mondiale interruppe bruscamente i lavori che furono eseguiti solo in minor parte dopo il termine di essa. Nel 1934 il podestà Giovanni Lucangeli avviò la demolizione di alcuni degli edifici sorti su parte del Teatro romano, il cui isolamento e recupero era stato progettato dagli ingegneri Sigismondo Montani e Andrea Cardellini. Nel corso dei lavori si arrivò a distinguere il Teatro romano dal limitrofo Anfiteatro che nel Cinquecento, prima della demolizione delle strutture interne avvenuta nel XVIII secolo per fare posto al seminario vescovile aprutino, fu descritto dal vescovo di Teramo Giulio Ricci. Il ministro dell'Educazione Nazionale Giuseppe Bottai si recò a Teramo nel 1937 per un sopralluogo al Teatro e alle prime emergenze dell'Anfiteatro, prendendo la decisione di finanziare il recupero di entrambi i reperti romani. La demolizione fu interrotta nuovamente a causa della guerra e i finanziamenti andarono perduti. Da questo momento in avanti, all’incuria si aggiunsero anche controversie giudiziarie. Nel 1999, l’allora ministro dei beni culturali Giovanna Melandri stanziò 900 milioni di lire per l’acquisto, in vista dell’abbattimento, di palazzo Adamoli. La Soprintendenza tuttavia non esercitò il diritto di prelazione e, in seguito a numerosi atti di vendita tra società private, il palazzo fu infine acquistato dalla Regione Abruzzo per un milione e duecentocinquantamila euro, circa tre volte il prezzo fissato inizialmente dal ministero. Dal 2007 sono in corso i lavori per la demolizione che porteranno alla luce un'ulteriore porzione del monumento. Il cantiere tuttavia rimane inconcluso e palazzo Adamoli, a seguito del terremoto dell'Aquila del 2009, è oggetto di un ulteriore consolidamento delle strutture. Numerose furono inoltre le controversie riguardanti ulteriori atti di speculazione sui due palazzi da abbattere. Fino al 2021 era stato pertanto riportato alla luce solo il tratto orientale del palcoscenico mentre una larga parte dell’orchestra e della cavea rimanevano obliterate dalle costruzioni sovrastanti. Nel dicembre 2021 è stato avviato il cantiere per la realizzare infine la demolizione dei due palazzi, per la "rifunzionalizzazione" del Teatro e per la riqualificazione dell’area circostante. I due palazzi sono quindi oggetto di smontaggio piano per piano per evitare danni alle strutture sottostanti. I resti del complesso architettonico si trovano fra i 2,50 -3,00 metri al di sotto dell'attuale livello stradale e mostrano che la struttura originale poteva ospitare circa tremila spettatori sulle gradinate di forma semicircolare, la cavea, del diametro di 78 metri. La struttura interna si articolava in 21 settori radiali a cuneo dei quali si intuiscono le forme. Il perimetro della facciata esterna era, probabilmente, costituito da due ordini sovrapposti di arcate, poggianti su pilastri in opera quadrata, disposte in successione. Ne rimangono visibili solo due del piano inferiore. Le volte che sorreggevano la cavea erano realizzate in opera cementizia. Rimangono anche quattordici gradini in travertino che facevano parte di una delle gradinate che, attraverso i vomitoria permettevano l'uscita degli spettatori. Andrea Cardellini e Sigismondo Matteo Montani, Alcune considerazioni sul teatro romano di Teramo, Teramo, La Fiorita, 1934; Giammario Sgattoni, Sul teatro d'Interamnia: Discorso pronunciato il 18 giugno 1958 nel quadro delle manifestazioni del Giugno Teramano, Eco, Isola del Gran Sasso, 1960; Giammario Sgattoni, I monumenti scompaiono, in "Il Messaggero", edizione Abruzzo, 10 settembre 1969 (Sgattoni, ispettore onorario ai monumenti e le antichità, invia una lettera che viene pubblicata dal giornale, con la quale intende protestare contro le "ragioni superiori" che hanno sacrificato le bellezze del Teramano alle esigenze della "società dei consumi", impedito di riordinare il museo civico, di aprire un museo d'arte sacra e rovinato il Teatro romano); la lettera è stata ripubblicata in Fare cultura in Provincia. Testimonianza di Pasquale Limoncelli, Teramo, Casa della Cultura Carlo Levi, 1980, p. 47; Gianpiero Castellucci, Sul teatro d'Interamnia lettere aperte. Appunti sulla architettura tecnica. Un contributo per la ricostruzione dell'antico paesaggio urbano, in "Quaderni dell'Archeoclub di Teramo", Teramo, Quaderno n. 3, febbraio 2005; Paola Di Felice, Il Teatro romano di Teramo, in Teramo e la valle del Tordino, Teramo, Fondazione Cassa di Risparmio della Provincia di Teramo, 2006, (Documenti Abruzzo teramano, 7), pp. 137–148; Il recupero del Teatro Romano, in "Teramo Nostra", Teramo, a. I, n. 1, p. 7 (si ripercorre brevemente la storia del recupero del monumento, fino ai giorni nostri); Riccardo Di Cesare, INTERAMNA PRAETUTTIANORUM. Sculture romane e contesto urbano, Edipuglia 2010 Videografia Sandro Melarangelo, Storia del teatro romano di Teramo, Teramo, Pacotvideo, maggio 2007; Anfiteatro romano di Teramo Teatro romano (architettura) Chiesa di San Bartolomeo Duomo di Teramo Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su teatro romano di Teramo Foto del Teatro romano di Teramo, su foto.inabruzzo.it. URL consultato il 22 aprile 2016 (archiviato dall'url originale il 6 maggio 2016). Interamnia Praetutiorum, su cultura.regione.abruzzo.it. URL consultato il 22 aprile 2016.