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Villa York

Giardini di RomaPagine con collegamenti non funzionantiPagine con mappeRoma S. VIII GianicolenseVille di Roma
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Villa duca di york
Villa duca di york

Villa York è una villa romana immersa nella Valle dei Casali, nel suburbio S.VIII Gianicolense, nel territorio del Municipio Roma XII. Non è lontana da Villa Doria Pamphilj, Complesso del Buon Pastore, Casal Ninfeo e con vista sulla cupola di S. Pietro. Prende il nome dal cardinale Enrico Benedetto Stuart, duca di York, nipote di Giacomo II d'Inghilterra, del ramo cattolico degli Stuart che, alla fine del XVII secolo, in seguito alla Gloriosa rivoluzione, era stato escluso dal trono inglese. Precedentemente la villa era nota come Villa Baldinotti o Bichi Ruspoli. Nel 1647 Zenobio Baldinotti acquistò un fondo, prima proprietà ecclesiastica denominata Casal di Marcello, e iniziò la costruzione di una villa barocca e della Chiesa di Santa Chiara a Villa York, avvalendosi dell'opera di Pietro Paolo Drei. Nel 1697 la villa divenne di proprietà della marchesa Girolama Bichi Ruspoli, che si avvalse del pittore Giovanni Ulisse Cariaci per le decorazioni. Passata al principe Benedetto Giustiniani fino al 1804, divenne poi proprietà appunto del duca di York, fino al 1808, ed infine dei Silvestri e dei Troiani. La villa divenne una tipica azienda agricola e per questo pervenne in proprietà della Federconsorzi; fu poi coinvolta nella complessa vicenda della procedura concorsuale di quest'ente pubblico, con proposte di scambio da parte di immobiliaristi. La tenuta denominata "Villa York" è stata venduta a privati nel febbraio 2017. Nel 2022 sono iniziati imponenti lavori di restauro, che dovrebbero concludersi nel 2024, al fine di rendere la villa una location per eventi di lusso. Riserva naturale della Valle dei Casali Chiesa di Santa Chiara a Villa York Roma Beni culturali, su romabeniculturali.it. URL consultato il 10 maggio 2007 (archiviato dall'url originale il 4 maggio 2007). Comune di Roma (PDF) , su 62.149.226.249. Architetti Roma, su architettiroma.it. Esproprio 2009 (PDF) , su campotrinceratoroma.it.

Estratto dall'articolo di Wikipedia Villa York (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

Villa York
Via del Forte Bravetta, Roma Municipio Roma XII

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Via del Forte Bravetta
00164 Roma, Municipio Roma XII
Lazio, Italia
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Villa duca di york
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Luoghi vicini

Riserva naturale della Valle dei Casali
Riserva naturale della Valle dei Casali

La riserva naturale della Valle dei Casali è un'area naturale protetta nella città metropolitana di Roma Capitale istituita nel 1997. Incastonata nel quadrante ovest della città di Roma compresa nei quartieri Gianicolense e Portuense, delimitata da via del Casaletto, via dei Silvestri, via di Bravetta e via Portuense. È la prosecuzione ideale di villa Doria Pamphilj, grande parco storico da cui dista solo pochi metri. Il suo nome deriva dalla presenza nella città di Roma, della storica famiglia Casali. Il paesaggio è costituito da un altipiano che digrada verso il Tevere con una serie di colline e fossi. La flora è caratterizzata da pini mediterranei, aceri, palme, pioppi, salici e ginestre. Lungo i percorsi si incontrano ulivi e gelsi, a testimonianza della vocazione agricola della zona. La fauna è costituita da ricci, volpi, donnole, gheppi, poiane, cornacchie, fagiani, storni, merli, passeriformi e negli ultimi anni si è notata la presenza di diverse colonie di pappagalli nidificanti, esattamente il parrocchetto dal collare e il parrocchetto monaco. Dal punto di vista storico sono da ricordare nell'area del S.VIII Gianicolense la settecentesca villa York, appartenuta al cardinale Duca Clemente di York (tipico esempio di vigna romana realizzata secondo la concezione inglese del paesaggio naturale), villa Consorti recentemente identificata come il "casino Lanfranco" edificio progettato ed affrescato dal grande pittore Giovanni Lanfranco, il Complesso del Buon Pastore opera eccelsa di Armando Brasini, Forte Bravetta; Casal Ninfeo storico ninfeo monumentale. Mentre nell'area del S.VII Portuense la Torre Righetti, belvedere o casino di caccia sulla cima della collina di Monte Cucco, da cui si domina la valle del Tevere. Aree naturali protette del Lazio Villa York Complesso del Buon Pastore Casal Ninfeo R.N. Valle dei Casali, su RomaNatura. URL consultato l'11 settembre 2014 (archiviato dall'url originale il 27 agosto 2014). Riserva Naturale della Valle dei Casali, su Parks.it.

Forte Bravetta
Forte Bravetta

Il Forte Bravetta è uno dei 15 forti di Roma, edificati nel periodo compreso fra gli anni 1877 e 1891. Si trova nel suburbio S. VIII Gianicolense, nel territorio del Municipio Roma XII. Fu costruito a partire dal 1877 e terminato nel 1883, su una superficie di 10,6 ha, verso la fine di via di Bravetta, dalla quale prende il nome, fra la via Aurelia e la via Portuense, a poca distanza da Villa York e Casal Ninfeo nella Riserva naturale della Valle dei Casali, sui resti della villa romana di L. Fabio Pollione. Durante il periodo fascista fu adibito a luogo di esecuzione delle sentenze di morte del Tribunale speciale per la difesa dello Stato. Il 17 giugno 1932 vi vennero fucilati il repubblicano Domenico Bovone e l'anarchico Angelo Sbardellotto, rei di aver progettato attentati alla vita di Mussolini. Fra l'11 ottobre 1943 e il 3 giugno 1944, nel periodo dell'occupazione tedesca di Roma furono eseguite, per ordine del Tribunale militare di Guerra germanico e per mano della Gestapo di Herbert Kappler le fucilazioni di settantasette partigiani. Un monumento, posto accanto l'ingresso del forte, ricorda i martiri della Resistenza. Tra il 1944 e il 1945 vi furono fucilati anche dei fascisti condannati a morte dall'Alta corte di giustizia per le sanzioni contro il fascismo. In data 9 settembre 2009 il sindaco di Roma Gianni Alemanno ha inaugurato in questo luogo il "Parco dei Martiri", un nuovo giardino comunale di dieci ettari aperti al pubblico, consacrato alle vittime del nazifascismo. Nel corso della cerimonia è stato piantato un ulivo simbolo di pace donato dal Fondo Nazionale Ebraico e proveniente da Gerusalemme. In occasione della riapertura al pubblico avvenuta nel giugno 2011, si è ricordata la decisione di instaurare negli edifici del forte un "Museo della Memoria". Autori vari (a cura di), Operare i forti. Per un progetto di riconversione dei forti militari di Roma, Roma, Gangemi Editore, 2010, ISBN 978-88-492-1777-3. Elvira Cajano, Il sistema dei forti militari a Roma, Roma, Gangemi Editore, 2006, ISBN 978-88-492-1057-6. Michele Carcani, I forti di Roma, Roma, Voghera Carlo tipografo di S.M., 1883. Giorgio Giannini, I forti di Roma, Roma, Newton Compton Editori, 1998, ISBN 978-88-8183-895-0. Augusto Pompeo (a cura di), Forte Bravetta 1932-1945. Storie memorie territorio (RTF), Roma, 2000. Augusto Pompeo, Forte Bravetta. Una fabbrica di morte dal fascismo al primo dopoguerra, Roma, Odradek, 2012, ISBN 978-88-96487-21-1. Pablo Dell'Osa, Il tribunale speciale e la presidenza di Guido Cristini 1928-1932), Milano, Mursia, 2017, ISBN 978-88-425-5162-1. Martiri di Forte Bravetta Occupazione tedesca di Roma Resistenza italiana Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Forte Bravetta Forte Bravetta, su Progetto Forti. Francesca d'Angelo, I Forti Trionfale, Monte Mario, Braschi, Bravetta, su RomaNatura. URL consultato il 10 aprile 2020. Augusto Pompeo, I campi italiani - Le esecuzioni capitali a Roma e la frontiera orientale (1939 – 1943), su Storia XXI secolo. Augusto Pompeo, I campi italiani - Elenco dei caduti a Forte Bravetta durante la II guerra mondiale, su Storia XXI secolo.

Gianicolense (suburbio di Roma)
Gianicolense (suburbio di Roma)

Gianicolense è l'ottavo suburbio di Roma, indicato con S. VIII. Il nome è associato anche all'omonimo quartiere e deriva dal colle del Gianicolo. Si trova nell'area sud-ovest della città, fra la via Aurelia a nord e la via via Portuense a sud. Il suburbio confina: a nord con il suburbio S. IX Aurelio ed il quartiere Q. XIII Aurelio a est con il quartiere Q. XII Gianicolense a sud con il suburbio S. VII Portuense a ovest con le zone Z. XLIV La Pisana e Z. XLV Castel di Guido Il suburbio viene definito con deliberazione del Governatore n. 1222 del 27 febbraio 1932 con numerazione S. IX, quindi assunse l'attuale numerazione e codice in concomitanza della soppressione del suburbio S. VII Ostiense, avvenuta con variazione del dizionario toponomastico del 1º marzo 1954. Torretta dei Massimi, su via della Pisana. Torre del XII secolo. 41.868662°N 12.405292°E41°52′07.18″N, 12°24′19.05″E Torre a pianta quadrata eretta sopra i resti di una lussuosa villa romana del I secolo a.C. Casetta Mattei, su via della Casetta Mattei. Casale del XVI secolo. 41.851141°N 12.42305°E41°51′04.11″N, 12°25′22.98″E Villa York, sul vicolo di Forte Bravetta. Edificio del XVII secolo. Casal Ninfeo, su via dei Gattilusio. Casale del XVII secolo. Casino Consorti o Casino Lanfranco, sul vicolo Silvestri. Casale del XVII secolo (1646). 41.876465°N 12.435237°E41°52′35.27″N, 12°26′06.85″E Progettato e decorato dal maestro Giovanni Lanfranco. Villino Cantone, su via della Casetta Mattei. Casale del XVII secolo. 41.861776°N 12.420683°E41°51′42.39″N, 12°25′14.46″E Serenello o Villa di Sant'Isaia, su via dei Martuzzi. Villa del XVII secolo. 41.856107°N 12.431612°E41°51′21.99″N, 12°25′53.8″E Casale al Divin Maestro, su via Portuense. Casale del XIX secolo. 41.851894°N 12.428188°E41°51′06.82″N, 12°25′41.48″E Complesso del Buon Pastore, su via di Bravetta angolo via Silvestri. Edificio del XX secolo (1929-43). Villa Castello, su via di Bravetta. Villa con torretta del XX secolo. 41.884032°N 12.42378°E41°53′02.52″N, 12°25′25.61″E Elegante edificio in stile neo-medievale, attuale sede dell'ambasciata in Italia del Vietnam. Cappella Fantini, su via Portuense angolo via della Casetta Mattei. Cappella del XVII secolo. 41.850982°N 12.423563°E41°51′03.54″N, 12°25′24.83″E Convento delle Mantellate al Corviale, su via della Fanella. Convento con chiostro del XIX secolo. 41.855002°N 12.431707°E41°51′18.01″N, 12°25′54.15″E Chiesa del Santissimo Crocifisso, su via di Bravetta. Parrocchia eretta il 21 ottobre 1937 con il decreto del cardinale vicario Francesco Marchetti Selvaggiani "Quo aptius". Al suo interno si trovano diverse opere di Publio Morbiducci tra le quali il grande crocifisso sopra l'altare maggiore. Chiesa di Santa Maria della Perseveranza, su via della Pisana. Parrocchia eretta il 27 ottobre 1959 con il decreto del cardinale vicario Clemente Micara "Neminem quidem latet". Chiesa di San Girolamo a Corviale, su via dei Buonvisi. Chiesa della Sacra Famiglia a Villa Troili, su via di Villa Troili. Parrocchia eretta il 31 gennaio 1962 con il decreto del cardinale vicario Clemente Micara "Neminem fugit quanto". Chiesa dei Santi Martiri Coreani, su via degli Aldobrandeschi. Annessa al Pontificio Collegio Coreano, è luogo sussidiario di culto della parrocchia della Sacra Famiglia a Villa Troili. Chiesa di San Bruno, su via della Pisana. Chiesa di San Paolo della Croce, su via Poggio Verde. Parrocchia eretta il 1º luglio 1977 con il decreto del cardinale vicario Ugo Poletti "Il Sommo Pontefice". Chiesa della Natività di Maria, su via di Bravetta. Parrocchia eretta il 28 novembre 1981 dal cardinale vicario Ugo Poletti. Chiesa di Santa Chiara a Villa York, su via Cardinal di York. Chiesa sconsacrata situata all'interno del parco di Villa York. Chiesa di Gesù Maestro, su via Portuense. Chiesa interna al complesso della fondazione "SGM Conference Center". Forte Aurelia Antica, su via di Bravetta all'incrocio con via Aurelia Antica. Forte del XIX secolo. Forte Bravetta, su via di Bravetta. Forte del XIX secolo. Cisterna romana, su via della Vignaccia. Cisterna dell'età imperiale. 41.874291°N 12.401662°E41°52′27.45″N, 12°24′05.98″E Riserva naturale della Valle dei Casali. 41.859742°N 12.427433°E41°51′35.07″N, 12°25′38.76″E Riserva naturale della Tenuta dei Massimi Fonte di Casal Ninfeo, su via dei Gattilusio. Fonte del XVII secolo. 41.874396°N 12.417289°E41°52′27.83″N, 12°25′02.24″E Ninfeo di villa Villa York, sul vicolo di Forte Bravetta. Fontana del XVII secolo. 41.869075°N 12.430466°E41°52′08.67″N, 12°25′49.68″E Fontana del Sole, su via di Bravetta. Fontana del XX secolo alimentata dall'acquedotto del Peschiera-Capore,edificata sotto il mandato del Sindaco Rebecchini (5 novembre 1947 – 2 luglio 1956). Nel territorio del suburbio Gianicolense si estendono le zone urbanistiche 15F Corviale, 16B Buon Pastore e 16C Pisana. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Gianicolense

Chiesa di Nostra Signora di Coromoto

La chiesa di Nostra Signora di Coromoto è un luogo di culto cattolico di Roma, situata nel quartiere Gianicolense, in largo Nostra Signora di Coromoto. Essa è stata costruita tra il 1976 ed il 1978 su progetto dell'architetto Massimo Battaglini (nato a Portici nel 1924), e fu inaugurata il 17 settembre 1978 dal cardinal vicario Ugo Poletti. La chiesa è sede della parrocchia omonima, istituita il 15 dicembre 1966 con decreto del cardinale vicario Luigi Traglia “Sanctissimus Dominus noster” col titolo di “San Giovanni di Dio”, mutato poi in quello attuale nel 1978. Alla chiesa è legato il titolo cardinalizio di “Nostra Signora di Coromoto in San Giovanni di Dio”, istituito il 25 maggio 1985 da Giovanni Paolo II, che aveva visitato la parrocchia il 15 marzo 1981. Il titolo della chiesa fa riferimento alla Vergine di Coromoto, la cui devozione è molto diffusa in Venezuela, di cui è patrona: la modifica del nome della parrocchia fu dovuta al contributo dato dagli italo-venezuelani alle spese di costruzione dell'edificio. L'edificio di culto si trova in posizione elevata, sopra una vasta terrazza in cemento armato cui si accede tramite due rampe di scale. Sulla terrazza si leva un'alta croce marrone in ferro, che nel 1988 sostituì quella precedente in legno. L'ingresso della chiesa è costituito da un grande portale, che fino a qualche tempo fa era sormontato dalla riproduzione fotografica di un'icona raffigurante Gesù Crocifisso con la Madonna e San Giovanni Evangelista tra i Santi Pietro e Paolo. Quest'immagine è ora sostituita da un mosaico con due angeli che sorreggono un clipeo entro il quale è una croce greca, dal cui braccio orizzontale pendono l'alfa e l'omega, prima e ultima lettera dell'alfabeto greco e perciò simboli di Cristo, principio e fine. Sotto la croce è l'iscrizione "Lucis et pacis". Il mosaico è opera del brasiliano padre Ruberval Monteiro da Silva, O.S.B., che ha realizzato anche le pitture della cripta e quelle della cappella dell'Adorazione eucaristica, al piano seminterrato sottostante la chiesa. L'edificio ha pianta irregolare, ed è costituito, all'interno, dall'aula esagonale con un'ampia abside poligonale sul lato opposto all'ingresso. Ai due lati di essa, si trovano due profonde cappelle laterali; in quella di destra è collocata la statua lignea policroma di Nostra Signora di Coromoto, accompagnata dagli stemmi musivi della Repubblica del Venezuela e degli Stati che la compongono; quella di sinistra è destinata alle confessioni dei fedeli, il cui raccoglimento è favorito dalla presenza del gruppo neogotico della Pietà, fiancheggiato da due angeli. La copertura dell'abside e dell'aula è costituita da un soffitto piano sostenuto da vistose travi lamellari in legno, mentre il paramento murario è in mattoncini ad eccezione dell'abside, che è ricoperta d'intonaco color crema. La bussola all'ingresso della chiesa comprende una vetrata serigrafata raffigurante l'Apparizione di Maria agli indios Coromoto (1988), mentre due vetrate policrome con scene bibliche, opera dell'artista Elisabetta Morelli, chiudono le asole di luce sulle pareti laterali. Su quella di sinistra si segnalano le statue in legno policromo di San Giovanni di Dio e di San Michele Arcangelo, quest'ultima dovuta ad artigiani di Ortisei. Intorno alla chiesa sono disposte le formelle in bronzo con le stazioni della Via Crucis, completate da quelle con la Resurrezione e il Battesimo di Gesù, il tutto dovuto al maestro Vincenzo Ingletti. Il presbiterio occupa quasi interamente l'abside sul lato opposto rispetto all'ingresso. Nell'area presbiteriale, rialzata di tre gradini rispetto al pavimento del resto della chiesa, si trovano l'altare maggiore, l'ambone, la sede e il tabernacolo, decorati con bassorilievi marmorei, nonché il fonte battesimale, sormontato da un gruppo in marmo del Battesimo di Gesù, di scuola romana della fine del '500; al centro dell'abside, sopra il tabernacolo, è un grande Crocifisso in terracotta smaltata, opera dello scultore Pio Fedi (Viterbo 1816 - Firenze 1892), che è fiancheggiato da due lampadari di scuola veneziana. Nel soffitto, in corrispondenza dell'altare, si apre un lucernario quadrato, suddiviso da una croce in quattro quadrati minori, che costituisce la maggiore fonte di luce naturale della chiesa. L'attuale sistemazione del presbiterio, che nel 1994 ha sostituito la precedente, dovuta a mons. Giuseppe Gulizia (parroco fino al 1990), è opera dell'ex parroco mons. Romano Rossi, dal 2008 al 2022 vescovo di Civita Castellana. La mensa dell'altare (dedicata il 27 settembre 2008) e il tabernacolo degli oli santi si devono all'attuale parroco, don Francesco Giuliani. L'organo della chiesa Ferraresi opus 43 è costituito da una consolle elettronica Viscount Hymnus 350 con registri campionati e da un corpo di canne da essa comandato situato sulla parete destra dell'aula liturgica, entro una cassa in legno. I registri reali sono dieci, per un totale di 854 canne, e sono distribuiti sulla prima e sulla seconda tastiera della consolle elettronica, che ha tre tastiere di 61 note ciascuna ed una pedaliera concavo-radiale di 32. Pierino Ratti (a cura di), Guida alle nuove Chiese di Roma, Gangemi Editore, Roma - Reggio Calabria 1990, pp. 92–93, n. 37. Claudio Rendina, Le Chiese di Roma, Newton & Compton Editori, Milano 2000. Mauro Quercioli, Quartiere XII. Gianicolense, in AA.VV, I quartieri di Roma, Newton & Compton Editori, Roma 2006. Nostra Signora di Coromoto in San Giovanni di Dio, 1978-2008: 30 anni di grazia, Parrocchia N.S. di Coromoto, Roma 2008. Rino Cammilleri, Tutti i giorni con Maria, calendario delle apparizioni, Milano, Edizioni Ares, 2020, ISBN 978-88-815-59-367. Nostra Signora di Coromoto Wikibooks contiene testi o manuali sulla disposizione fonica dell'organo a canne Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla chiesa di Nostra Signora di Coromoto Sito ufficiale della parrocchia, su coromoto.it. Scheda della parrocchia dal sito della Diocesi di Roma, su vicariatusurbis.org. URL consultato il 12 luglio 2012 (archiviato dall'url originale il 6 aprile 2013). L'organo , su audiorama.it.

Chiesa di Santa Maria del Carmine e San Giuseppe al Casaletto
Chiesa di Santa Maria del Carmine e San Giuseppe al Casaletto

La chiesa di Santa Maria del Carmine e San Giuseppe al Casaletto è una chiesa di Roma, nel quartiere Gianicolense, in via del Casaletto. In realtà, sono ben tre le chiese del quartiere dedicate a Santa Maria del Carmine e San Giuseppe. La primitiva chiesa fu edificata intorno al 1772 dal sacerdote Giuseppe Aluffi, ed eretta a parrocchia da Pio VI con il breve Divina virtutum dell'11 maggio 1781. Essa fu denominata “la parrocchietta” per le sue dimensioni, ma non certo per la vastità del territorio, che si estendeva su una superficie dal diametro di 32 chilometri. Per l'aumento della popolazione il piccolo edificio sacro non bastava più. Così, nel 1853, nelle sue vicinanze, fu edificata una seconda chiesa, mentre la primitiva (che per un certo periodo fu anche sconsacrata) continuava a servire da seconda chiesa parrocchiale, finché nel 1933, con la costruzione della terza chiesa, essa fu ceduta ai camilliani e da allora dedicata a san Camillo. La seconda chiesa venne dunque edificata, su progetto di Nicola Carnevari, nel 1853, a poche decine di metri dalla precedente, con le spese sostenute dallo stesso papa Pio IX, e fu consacrata il 26 maggio 1854. Nel 1857 in un terreno di proprietà della parrocchia venne eretto un cimitero, l'unico a Roma di proprietà di una chiesa, ove furono trasferite tutte le ossa che si trovavano nella prima chiesa parrocchiale. Tra il XIX ed il XX secolo la chiesa fu ingrandita con l'aggiunta di una navata sinistra e di una cappella dedicata alla Madonna della Salute. Nel luglio 1933, ai padri silvestrini, che avevano retto la parrocchia nei decenni precedenti, subentrarono i cappuccini bolognesi-romagnoli, i quali lasciarono la parrocchia nel 1994. Tali religiosi iniziarono subito i lavori per la costruzione di una nuova e più grande chiesa, capace di ospitare un migliaio di persone, e di un convento per la loro comunità. I lavori furono affidati agli architetti Tullio Rossi e Francesco Fornari e terminarono nel 1934 con la consacrazione e l'apertura al pubblico della nuova chiesa. Il precedente edificio sacro è ancora utilizzato dalla parrocchia attuale come teatro con il nome di "sala Santa Chiara". La nuova chiesa è affiancata dal battistero a sinistra e dal convento a destra. Essa è costituita da un'unica navata, con tre cappelle sul lato sinistro; la navata è suddivisa da archi, che sorreggono la copertura, in corrispondenza dei quali vi sono statue lignee che ritraggono santi dell'ordine francescano. In un altare laterale vi è l'immagine della Madonna della Salute, che in precedenza si trovava nella seconda chiesa. Nell'ultima cappella di sinistra si trova l'organo a canne Tamburini opus 681, del 1974, con 15 registri su due manuali e pedale e trasmissione mista. Nell'adiacente battistero vi è il fonte battesimale, dono di Pio IX, il cui stemma è incastonato nella vasca di marmo rosso, sorretta da una colonna di marmo cipollino.

Chiesa della Trasfigurazione di Nostro Signore Gesù Cristo (Roma)
Chiesa della Trasfigurazione di Nostro Signore Gesù Cristo (Roma)

La chiesa della Trasfigurazione di Nostro Signore Gesù Cristo è un luogo di culto cattolico di Roma, sede dell'omonima parrocchia, nel quartiere Gianicolense, in piazza della Trasfigurazione. Fu costruita, su progetto di Tullio Rossi, tra il 1934 ed il 1936, in una zona di Roma allora in crescente trasformazione ed urbanizzazione. È stata eretta in parrocchia il 18 giugno 1936 con decreto del cardinale vicario Francesco Marchetti Selvaggiani “Romanus pontifex”, ereditando titolo e dei redditi della soppressa parrocchia di San Rocco al Porto di Ripetta. Durante l'occupazione nazista di Roma, la parrocchia retta da mons. Giovanni Butinelli fu coinvolta nell'accoglienza degli ebrei voluta da Pio XII: a seguito del rastrellamento del 16 ottobre 1943, la parrocchia salvò dallo sterminio più di cento ebrei. Negli anni 70 e 80 ebbe un ruolo importante nei fermenti successivi al Concilio Vaticano II, con la creazione del gruppo e della rivista La Tenda, e nell'accoglienza degli esuli dalla dittatura militare in Argentina. Dal 2001 la parrocchia è sede del titolo cardinalizio della Trasfigurazione di Nostro Signore Gesù Cristo, di cui è titolare il cardinale Pedro Rubiano Sáenz, arcivescovo emerito di Bogotà. Di notevole valore artistico il portale in bronzo inaugurato in occasione del Giubileo del 2000, opera di Pierangelo Pagani, di 2,50 metri di larghezza e 5 m di altezza, che raffigura una grande croce che con le sue braccia divide il portale in quattro ante. All'interno, nell'abside, è collocata una copia della Trasfigurazione di Raffaello Sanzio. (DE) Luigi Monzo: croci e fasci – Der italienische Kirchenbau in der Zeit des Faschismus, 1919-1945. 2 vol. Karlsruhe 2017 (tesi di dottorato, Karlsruhe Institute of Technology, 2017), pp. 576-577. Claudio Rendina, Le Chiese di Roma, Roma, Newton & Compton Editori, 2000, p. 360, ISBN 978-88-541-1833-1. Valentina Cavalletti, Trasfigurazione. Una storia di desaparecidos, accoglienza e solidarietà, Roma, Archivio Storico Culturale del Municipio Roma XVI, 2006. Wikibooks contiene testi o manuali sulla disposizione fonica dell'organo a canne Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla chiesa della Trasfigurazione di Nostro Signore Gesù Cristo Il sito ufficiale della parrocchia, su trasfigurazione.it.

Ospedale Carlo Forlanini
Ospedale Carlo Forlanini

L'ospedale Carlo Forlanini è stato un ospedale di Roma fondato negli anni 1920 per trattare i malati di tubercolosi, e chiuso nel giugno 2015 con trasferimento delle sue funzioni nei vicini ospedali San Camillo-Forlanini sulla Circonvallazione Gianicolense e Lazzaro Spallanzani sulla via Portuense. Era intitolato a Carlo Forlanini, uno dei principali seguaci in Italia del professor Robert Koch, Premio Nobel per la medicina nel 1905 e scopritore dell'agente patogeno della tubercolosi. Fu inaugurato il 10 dicembre 1934. Fino alla metà del XX secolo non erano noti antibiotici efficaci sul micobatterio della tubercolosi, malattia incurabile e terribilmente contagiosa. Per questo motivo, intorno al 1925, il professor Eugenio Morelli ebbe l'idea di creare in ogni provincia italiana un sanatorio per curare e isolare i malati in modo che non contagiassero le persone sane; per la provincia di Roma, fu pensato il Carlo Forlanini, che doveva essere non solo il più grande e prestigioso istituto scientifico di riferimento, ma anche un grande centro di ricerca sociale sulla tubercolosi a livello mondiale. La decisione di costruire il sanatorio fu presa dopo che, nel giugno 1928, la Confederazione Fascista degli Industriali aveva destinato un contributo di tre milioni di lire alla costruzione, in particolare a Roma, di un istituto per lo studio e la cura della tubercolosi e delle malattie polmonari. La progettazione fu eseguita dall'Ufficio Costruzioni Sanatoriali dell'INFPS con a capo Galbi Berardi. Gli ingegneri invece furono Ugo Giovannozzi, per la parte artistica, Giulio Marconigi e Ferdinando Poggi, per la parte tecnica; quest'ultimo fu anche il primo direttore dei lavori, rimpiazzato poi nel 1934 a seguito di una nomina del presidente dell'INFPS Giuseppe Bottai. La prima pietra fu posata tra il novembre e il dicembre del 1930. La prima fase dei lavori fu quella di procedere ad uno scavo di quattrocentottantamila metri cubi seguiti poi dalla fase della chiusura parziale di alcuni sottostanti antichi firmici di tufo. Il materiale utilizzato per colmare tale baratro provenne dagli sbancamenti di via di Fori Imperiali. Il 30 marzo 1939 il comitato esecutivo deliberò l'erogazione di undici milioni di lire per completare gli aggiuntivi lavori in costruzione. Oltre a ciò ci fu anche un premio di acceleramento di cinquemila lire per ogni giorno di anticipo sul termine di ultimazione contrattuale assegnato alla Ditta Bassanini. La Cattedra universitaria di Roma con sede al Forlanini fu seconda nel mondo dietro soltanto a quella della Sorbona a Parigi; l'Ospedale Carlo Forlanini fu la prima grande struttura del mondo dedicata esclusivamente alla cura della tubercolosi; in esso infatti fu scoperto e messo a punto nel 1960 da parte di numerosi medici e ricercatori guidati e coordinati dal prof. Omedei Zorini, il metodo di "Chemio-Profilassi Anti- tubercolare mediante Isoniazide", risultato molto efficace e perciò applicato in tutto il mondo per la prevenzione della tubercolosi nelle persone ancora sane ma esposte al contagio (ad esempio ambienti familiari, miniere, manicomi, carceri). Proprio per tale motivo l'Ospedale Carlo Forlanini fu scelto dalla Organizzazione mondiale della sanità come sede di formazione dei medici, scelti dai vari stati, che avrebbero organizzato la lotta anti-tubercolare nel proprio Paese. Il Forlanini fu sede dell'IFA (International Forlanini Association), l'associazione costituita tra i medici stranieri che lì si erano perfezionati, oltre 600 ex-allievi di tutte le nazioni (India, USA, Sud-America, ecc.), che hanno diffuso in tutto il mondo il nome del Forlanini e le sue conquiste scientifiche. Il sanatorio, inizialmente chiamato "Istituto Benito Mussolini", fu inaugurato il 1º dicembre 1934. L'inaugurazione fu effettuata proprio dal capo del Governo Benito Mussolini, mentre il 17 aprile 1936 ci fu l'omaggio della visita del Re Vittorio Emanuele III e dalla consorte, la Regina Elena. All'inaugurazione erano presenti il senatore Luigi Federzoni, l'onorevole Costanzo Ciano, insieme ad altri come Balstrodi, Bruno Leoni e il sottosegretario conte Galeazzo Ciano. A questi si aggiungevano: Giuseppe Volpi conte di Misurata, il presidente della Confederazione Fascista degli Industriali, l'onorevole Bottai, il presidente dell'Istituto Nazionale Fascista della Previdenza Sociale e il direttore dell'Istituto stesso Medalaghi. Oltre a queste personalità convennero anche il Capo di Stato Maggiore della Milizia, generale Attilio Teruzzi, il cardinale del Papa, cardinale Marchetti Selvaggiani, molti senatori, il governatore di Roma, Francesco Boncompagni Ludovisi e il Governatore della Banca d'Italia, Vincenzo Azzolini. Dal punto di vista medico erano presenti tra i più illustri fisiologi dell'epoca tra cui il professor Fernard Bezancon segretario dell'Associazione europea per la lotta alla tubercolosi. Per la grandiosità dell'evento la cronaca dell'inaugurazione fu mandata in diretta sulla radio nazionale. Diverse foto testimoniano come nella giornata inaugurale del congresso del 1950, avvenuto nel teatro del Forlanini, fosse presente il professor Alexander Fleming. In quella sede, infatti, si ha memoria di una affermazione del professor Fleming inerente alla sua scoperta della penicillina. Fleming disse: Negli anni in cui fu inaugurato il sanatorio la tubercolosi era sì ben inquadrata da un punto di vista nosologico ma, nell'ambito farmacologico, non era ancora sufficientemente definita. Infatti prima della scoperta dei sulfamidici, da parte del prof. Gerhard Domagk, e della penicillina, grazie ad Alexander Fleming, la cura della tubercolosi si basava su terapie caratteriali con somministrazione di calcio ed estratti epatici, sull'elioterapia e su un'alimentazione ipercalorica ed iperproteica. Nel 1928 ad Oslo alla Conferenza Internazionale sulla tubercolosi fu presa con voto unanime la decisione di innalzare un obelisco di marmo bianco di Carrara in memoria del prof. Forlanini di fronte all'entrata del sanatorio. Questo obelisco non fu mai costruito, ma si poteva ammirare Carlo Forlanini nel plastico posto nell'atrio centrale. Nel piano sotterraneo del sanatorio si trovano i locali che un tempo erano adibiti a sala incisoria e a camera ardente, in quest'ultima tra il 1935 e il 1959 transitarono centoundicimila cadaveri. Il massimo numero di defunti si ebbe nel 1944 quando morirono milletrecento persone, circa centoundici malati al mese, quasi quattro malati al giorno Tale numero sommati ai morti avvenuti tra il 1960 ad oggi, ossia duecentotrentottomila persone, raggiunge la cifra di trecentocinquantamila morti. L'8 giugno 1955 scoppiò una violentissima rivolta all'interno del sanatorio, che ebbe inizio con uno sciopero proclamato il giorno prima dal personale salariato per alcune rivendicazioni sul trattamento pensionistico. Per rimpiazzare i circa mille dipendenti in protesta la Prefettura richiese l'intervento dell'esercito. Quando quella mattina sessanta soldati della sanità, insieme a reparti di Fanteria, Genio e Granatieri entrarono dal cancello di via Portuense, i malati cominciarono a rumoreggiare e a coalizzarsi, sia per appoggiare l'agitazione del personale sia per la preoccupazione di non vedere osservate le regole igieniche. La situazione degenerò e il Comandante si rivolse alla Questura centrale che circondò il sanatorio con decine di camionette della Celere. Tutto ciò, invece di spegnere il tumulto, provocò una reazione ancora più violenta da parte dei ricoverati. Ci fu una ressa indescrivibile non appena la sirena cominciò a suonare e alcune decine di malati furono addirittura presi a manganellate da parte della polizia. Questi malati risposero a tale attacco con il loro sputo misto a sangue tipico di un tubercoloso. Le proteste perdurarono fino al primo pomeriggio, finché in tarda serata la polizia fermò una trentina di persone che furono subito trasportate all'Ufficio politico della Questura e denunciate per oltraggio, violenza e resistenza alla forza pubblica. Il Forlanini per circa quarant'anni fu gestito a pieno titolo dall'INPS, ma nel 1968 con una legge proposta dall'onorevole Mariotti si decretava la fine del sistema mutualistico e si sanciva il diritto di tutti i cittadini alla tutela della salute attraverso il Servizio Sanitario Nazionale. Così ospedali appartenenti a enti pubblici furono classificati come Enti Ospedalieri Autonomi e il Forlanini fu degradato a ospedale. La separazione del Forlanini dall'INPS avvenne, di fatto, nel 1971 quando fu classificato “Ospedale Regionale per le malattie dell'apparato respiratorio”. Causa principale di tale cambiamento fu la debellazione quasi totale della TBC, che non necessitava più di lungodegenza sanatoriale, grazie all'introduzione e alla diffusione delle terapie antibiotiche. Dopo la separazione del Forlanini dall'INPS ci fu l'accorpamento con lo Spallanzani, definito allora il “Lazzaretto”, e con il San Camillo, dando così origine all'Ente Ospedaliero Monteverde. Quest'ultimo, però, ebbe vita breve dato che nel 1978 la legge 833 decretò l'istituzione del Servizio Sanitario Nazionale, e gli ospedali furono con ciò inseriti nelle Unità Sanitarie Locali. Il Forlanini fu inserito nella USL Roma 16 divenuta poi USL Roma 10. Agli inizi degli anni Novanta lo si volle intitolare ad un bambino americano morto in Calabria in circostanze drammatiche, così il suo nome divenne Ospedale "Nicholas Green". Però poco tempo dopo, nel 1992, grazie al decreto legislativo 502 ottimato nel 1994, l'Ente Ospedaliero Monteverde fu ratificato in Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini-Spallanzani. Ciò fu frutto del progetto iniziale del prof. Morelli basato sulla creazione di una "città Ospedaliera formata da tre istituti e con al centro proprio il Forlanini". Tale città doveva avere come limite di confine a nord ed a ovest via Bernardino Ramazzini, a sud via Portuense e ad est via Giacomo Folchi. L'unione San Camillo-Forlanini-Spallanzani durò fino al 1996 quando proprio quest'ultimo si divise dagli altri diventando Istituto Nazionale di Ricerca Scientifica. Dopo tale evento si diede vita all'Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini con al vertice un direttore generale. Nel corso degli anni, con il diminuire dei malati di tubercolosi, questa imponente struttura ha dovuto affrontare la trasformazione in struttura ospedaliera, dovendosi assimilare alle dolorose e disagevoli ragioni dei bilanci da quadrare: per molti anni i primi tagli di risorse si sono ripercossi sulla manutenzione degli aspetti esteriori, fino alla sua definitiva chiusura nel 2015. La chiusura è stata contestata anche da medici, compreso il primario prof. Massimo Martelli. Lo stesso prof. Martelli ha proposto infatti, già dal 2010, un piano di gestione del Forlanini che consentisse dei risparmi economici senza ostacolare la necessaria operatività della struttura. Il complesso è stato dichiarato patrimonio indisponibile alla vendita nel 2017. L'Istituto Carlo Forlanini costituì una cittadella autosufficiente: dall'approvvigionamento idrico al fabbisogno alimentare, dai trasporti interni al funzionamento energetico, il tutto, in una struttura urbanistica dotata di viali alberati e illuminati, chiese, campi di bocce, biliardi, cinema, teatri, centrale termica, scuole per bambini, emittente radiofonica, barbiere, parrucchiere, refettori, cantine per vino, canile, musei. L’istituto era inizialmente suddiviso in quattro grandi padiglioni "polmonari" situati in via Portuense, di cui due erano riservati alle donne e due agli uomini; successivamente nel 1941 si aggiunse un nuovo padiglione ortopedico costituito da duecentocinquantuno posti letto dedicati alle persone affette da forme tubercolari osteo-articolari. Oltre a questi vi erano altre degenze quali la pediatria, la laringologia, la chirurgia, l’ostetricia, la ginecologia e una clinica delle malattie dell’apparato respiratorio per un totale di ventotto reparti per assistenza ai malati e venticinque sezioni di settori scientifici. Nel complesso, la disponibilità del sanatorio ammontava a duemilasessanta posti letto nel 1938. Tale cifra risultò insufficiente quando, in seguito all'apertura di un nuovo reparto denominato clinica medica-donne avvenuta il 6 ottobre 1939, dal 1940 la frequenza dei ricoveri crebbe esponenzialmente arrivando a sfiorare, nel 1943, la cifra di quattromila malati. All'apertura del sanatorio, nel 1934, l’organico era formato da cento medici, diciassette tecnici specializzati, trenta caposala e ottantadue infermiere a cui aggiungere novecento salariati tra cui elettricisti, falegnami, lattonieri, magazzinieri, giardinieri e altri di cui molti provenienti dal sanatorio di porta Furba. Verso la fine degli anni quaranta cominciare a comparire i primi infermieri abilitati (futuri infermieri generici) dato che, fino ad allora, il personale di assistenza era composto esclusivamente da donne. Inoltre, tra le corsie operava anche il personale religioso formato da nove cappellani, quindici suore, venti suore-infermiere e alcune addette a servizi vari che alloggiavano direttamente all'interno del sanatorio in modo tale da essere facilmente reperibili. Nel complesso i dipendenti del Forlanini presero il nome di “sanatoriali”, col fine di distinguerli dai dipendenti degli altri ospedali. Il Forlanini era inoltre dotato di un sofisticatissimo sistema di cerca-persone con il quale contattare rapidamente i dipendenti. L'apposita rete alimentava oltre quaranta segnalatori ottici, opportunamente installati nei corridoi molto trafficati, azionati mediante chiamata da un qualsiasi apparecchio telefonico interno. I segnalatori ottici erano dotati ciascuno di cinque punti luminosi: verde, rosso, bianco, celeste e giallo, che si accendevano a seconda del padiglione di chiamata. Un campanello installato presso ciascun segnalatore ottico avvertiva della chiamata. Dati i numerosissimi frequentatori il cibo era preparato loro da sei diverse cucine; una cucina situata nel padiglione pediatrico, una per il personale religioso, una del padiglione ortopedico, la piccola cucina di smistamento, la cucina del padiglione Indenni e infine la cucina centrale. Quest’ultima era un salone di quasi milleottocento metri quadrati di superficie diviso da bassi tramezzi che circoscrivono i vari locali senza coprire la vista generale; il pavimento di porcellana bianca si presentava a grandi riquadri azzurri così come le pareti rivestite da maioliche. Un’importante caratteristica erano le colonne aereo-termiche installate a completamento del già moderno impianto di ventilazione ed eliminazione odori, che dalle torrette immettono l’aria pura esterna e allontanano in ragione di trentamila metri cubi all'ora l’aria maleodorante. Inoltre, la cucina centrale era dotata di sei grandi fuochi a gas, sette tavole calde a vapore e di due pentole per la cottura del latte dalla capacità di mille litri. Negli anni quaranta il consumo alimentare quotidiano ammontava a seicento chili di pasta, un quintale di condimenti, due quintali di verdure, duecento chili di grassi, oltre un quintale di pelati e pomodoro, settecentocinquanta chili di pane, seicentocinquanta litri di vino dei Castelli Romani, più di mille litri di acqua minerale, cento chili di biscotti, trenta chili tra cacao e cioccolato, dodici chili di caffè, settecento litri di latte, oltre cento chili di zucchero e un quintale e mezzo di frutta. Solo nel novembre del 1946 si consumarono inoltre sette quintali di carne suina, quattordici quintali di vitellone e quattro quintali di abbacchio per un totale di ventiquattromila pasti. La distribuzione e lo smistamento delle quaranta tonnellate di merce e sette di biancheria avveniva per mezzo di carrelli con comando a bottoneria attraverso il quale veniva individuato un itinerario di quasi tre chilometri tra i vari centri di smistamento. I carrelli viaggiavano orizzontalmente in pendenza su cremagliere; inoltre, grazie a modernissimi quadri di segnalazione, identici a quelli che erano in uso nelle stazioni ferroviarie, consentivano di individuare immediatamente la posizione e il viaggio effettuato dai singoli carrelli; infine, altri impianti di segnalazione avvertivano il personale dell’arrivo o della partenza di un carrello. La vasta capacità, l’ottima organizzazione e la grande praticità agevolata dagli apparecchi di metallo pregiato hanno reso tale cucina una tra le più grandi e moderne dell’Europa del tempo. Ciò nonostante, il maestoso salone giace ora in uno stato di abbandono e la cucina risulta sommersa dalle macerie. All'interno del sanatorio vi era anche un teatro da ottocento posti. Era dotato di un moderno impianto di luci graduabili capaci di simulare aurore e tramonti, pannelli fonoassorbenti, camerini e una sofisticata cabina di regia che rendeva il teatro usufruibile come sala cinematografica utilizzata tre volte a settimana per proiettare film. Inoltre, il teatro veniva utilizzato da sfondo per spettacoli vari, concorsi d’arte per i ricoverati e premiazioni degli studenti più meritevoli. Sempre all’interno del teatro sono stati organizzati il quinto Congresso italiano di Tisiologia, e dal 17 al 22 settembre 1950 il primo congresso internazionale dei medici specialisti delle malattie del torace sull’argomento della tubercolosi. Il monumentale Forlanini risulta anche costituito da moltissime sculture e opere architettoniche. Nel cortile retrostante alla ex casa suore è custodita una statua, posta a circa tre metri di altezza, di Claretta Petacci, l’amante di Mussolini. Oggi la statua si presenza senza testa, braccio destro, con il piede sinistro frantumato e con il fucile tenuto in mano, ossia il moschetto del 91 distrutto a causa di una bravata avvenuta durante l’inverno del 1986. In fondo ad uno degli atrii sono presenti due altorilievi di cultura fascista realizzati da Arrigo Minerbi in pietra di Saltrio raffiguranti il primo, situato verso dove c’era la clinica donne, il lavoro femminile e il secondo, nei pressi della clinica uomini, il lavoro maschile. Entrambi furono commissionati dall'onorevole Antonio Stefano Benni, allora presidente della “Confederazione generale fascista dell’Industria”. Con tali altorilievi l’autore ha voluto esprimere la solidarietà delle industrie italiana nella lotta alla tubercolosi. Nella costruzione dell’immenso sanatorio sono stati seguiti precisi criteri architettonici; difatti, sono stati utilizzati materiali più pregiati per le parti maggiormente rappresentative come la direzione sanitaria, gli atri, l’Aula Magna e il corridoio del museo anatomico. I due ingressi principali son stati costruiti con gli stessi rapporti di dimensione; inoltre i grandi cancelli di piazza Forlanini e di via Portuense si trovano in asse tra loro e il punto centrale di questa retta immaginaria è rappresentato dai giardini dall'esedra. Quest’ultima è stata modellata a “ferro di cavallo” in modo tale da favorire la circolazione dell’aria nelle ampie aree di degenza collegate tra loro da lunghe balconate. In questa grande esedra erano inoltre collocati i laboratori in posizione baricentrica quasi a significare il cuore del sanatorio. Essi erano distinti in quattro rami: il chimico, il batteriologico, l’istologico e il sierologico; ognuno di questi rami era inoltre dotato di un laboratorio. Oggi moltissimi reparti, laboratori, settori e stanze del Forlanini giacciono in uno stato di abbandono. Ogni camera per i pazienti era munita di una lunga veranda di quasi tre metri di profondità sufficientemente spaziose da accogliere lo sdraio dei malati; difatti, al fine di garantire la massima luce possibile durante il giorno erano direttamente esposte a mezzodì. Al tramonto le 192 serrande delle verande si abbassavano contemporaneamente grazie a un impulso elettrico centralizzato comandato da un grande orologio. In ogni camera, inoltre, si trovavano due crocifissi posti uno di fronte all’altro; nel complesso, all’interno del sanatorio vi erano ben novecento crocifissi. Ogni letto era dotato di una cuffia per l’ascolto della musica di Alberto Rabagliati, del trio Lescano, della Santa Messa, di alcuni consigli igienico-sanitari e, fino ad un certo periodo, anche dei comizi di Mussolini. La trasmissione radio era garantita da una centrale radiofonica posta inizialmente nelle vicinanze del centralino, poi trasferita nel piano sotterraneo della palazzina. Dopo la trasformazione del Forlanini da sanatorio ad ospedale, grazie alla legge Mariotti, il primo effetto a livello organizzativo fu l'apertura dell'attività clinica di accettazione a tutti i ricoveri, per cui si rese necessario l'apertura dei cancelli anche di notte, con relativo turno notturno per il personale del centralino e della sorveglianza. Il servizio di sicurezza era assicurato da un gruppo di trenta guardie armate di pistole custodite in una cassaforte della portineria di piazza Forlanini. Negli anni 1950 furono aggregati altri undici uomini scelti tra i reduci di guerra ed esonerati dai turni notturni. Il compito principale di quest'ultimi era quello di fare posti di blocco all'interno del sanatorio i quali erano collocati: nell'atrio dove poi fu collocato il Protocollo Generale, all'ingresso del primo padiglione-donne, al piano terra del secondo padiglione uomini, in alcuni sotterranei, nel guardaroba centrale, nella portineria di Via Portuense e nel centralino. Tra il personale addetto alla sorveglianza figuravano anche alcune donne che avevano il compito di perquisire il personale femminile in uscita. Nel Forlanini vi è un museo di Anatomia e di Anatomo-Patologia, citato da molti testi di studio e visitato da numerose scolaresche e scuole di Scienze Infermieristiche. Esso prende il nome di "museo anatomico Eugenio Morelli". Massimo Venanzetti, Anch'io fui studente al Forlanini. Una giornata con il suo fondatore tra segreti e curiosità, Roma, Scienze e lettere, 2012, ISBN 8866870072. Azienda ospedaliera San Camillo-Forlanini Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su ospedale Carlo Forlanini Sito dell'Azienda Ospedaliera S. Camillo - Forlanini, su scamilloforlanini.rm.it.