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Palazzo Averoldi

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Palazzo Averoldi Via Moretto facciata Brescia
Palazzo Averoldi Via Moretto facciata Brescia

Palazzo Averoldi è un edificio storico di Brescia situato in via Moretto al civico numero 12. È stato costruito a partire dal XVI secolo in pieno centro storico sud, in quella che una volta era la cosiddetta quadra di San Giovanni. Edificato per volontà della potente e influente famiglia degli Averoldi, il palazzo nobiliare rappresenta uno dei maggiori esempi di produzione artistica bresciana in ambito civico e reca, nei suoi ambienti e nelle sale interne, importanti decorazioni ed affreschi di epoca cinquecentesca di pittori quali il Romanino e Lattanzio Gambara, due tra i maggiori protagonisti dell'arte bresciana fra Rinascimento e Manierismo. Verso la fine del XV secolo Giovan Paolo Averoldi, «homo costumatissimo e devoto», acquistò diversi terreni della famiglia Porcellaga in vicinanza delle mura cittadine, nell'allora contrada di santa Croce, detta anche contrada del Bue, o ancora «della fontana del bò». Egli, così facendo, si separò dagli altri rami della famiglia, i quali vivevano tutti nei pressi di quella che è conosciuta modernamente come via Marsala ed era una volta chiamata contrada di Monzia; in ogni caso, lo stesso Giovan Paolo scelse come area per edificare il suo palazzo la quinta quadra di San Giovanni, settore della città noto anche come borgo san Nazaro. L'area, che prendeva il nome dalla vicina porta San Nazaro ed era allora caratterizzata da una forte vocazione artigianale, si trovava appunto in vicinanza delle mura e costituiva, tra l'altro, un punto d'accesso privilegiato per chi faceva il proprio ingresso a Brescia tramite le mura urbiche. La costruzione del palazzo nobiliare, nondimeno, cominciò solo dal 1544 in poi. Furono i quattro figli del già citato Giovan Paolo Averoldi ad avviare la fabbrica della dimora: Giovan Andrea, Leandro, Mario e Fulgenzio, nella summenzionata data, stipularono infatti un contratto con gli architetti ed ingegneri militari bergamaschi Pietro Isabello e il figlio Marcantonio; i due progettisti furono incaricati, in tale sede, sia di progettare ex novo la nuova dimora che di adattare le casupole ed edifici preesistenti nell'area del cortile di servizio. È assai probabile, inoltre, che i lavori fossero condotti piuttosto celermente, anche in virtù del fatto che, sempre secondo i termini del contratto stipulato, il compenso non sarebbe stato reso se non in ottemperanza a certe tempistiche del cantiere. A distanza di pochi mesi dalla stipula del contratto, peraltro, lo stesso Giovan Andrea Averoldi, parlando anche a nome degli altri tre fratelli, si rivolse al Consiglio cittadino per chiedere la cessione di altra area pubblica, così che si potesse «far fabrica qual sia ben intesa e fatta secondo i canoni dell’architettura, e per quadrare il loro sito»; in cambio, inoltre, fu ceduta dagli Averoldi parte della loro proprietà sia a sud che a nord, in modo da far allargare la strada pubblica adiacente. L'ala orientale del palazzo fu realizzata con una certa celerità, dal momento che, a soli sei mesi dall'inizio dei lavori, essa risulta già ultimata. A riprova di ciò si deve anche considerare la testimonianza fornita dalle monache agostiniane del limitrofo monastero di santa Croce: queste ultime, proprio a seguito della costruzione della suddetta ala del palazzo, chiesero al Consiglio cittadino di poter alzare ulteriormente il muro perimetrale del loro edificio, in modo da non poter essere viste dalle finestre del palazzo stesso. I lavori della fabbrica, in ogni caso, non dovettero procedere molto speditamente: la testimonianza di Leandro Averoldi, risalente al 1548, riporta infatti che era ancora necessario sostenere ingenti spese per terminarne la costruzione; vent'anni dopo, poi, viene addirittura detto che vi era «anchora da fabricar più della mità». Alla fine del Settecento, nondimeno, il palazzo e in particolare il piano nobiliare furono interessati da una nuova fase di committenza edilizia e artistica: infatti, su volontà dei fratelli Giuseppe e Faustino Chizzola, allora proprietari dell'immobile, fu incaricato l'architetto Giovanni Donegani e artisti quali Giuseppe Manfredini, Giuseppe Teosa, oltre che ornatisti quali Saverio Gandini, Francesco Tellaroli e Ferdinando Pellizzari. Le stanze furono affrescate tra il 1788 e il 1796 e presentano, nel complesso, una rielaborazione in chiave preromantica di temi seicenteschi, riprendendo anche motivi e stilemi dell'arte classica. Essendo quella di palazzo Averoldi una fabbrica protrattasi molto nel tempo, non è semplice ricostruire sia l'aspetto originario dell'edificio che i vari interventi effettuati nei secoli. Nondimeno, l'impianto planimetrico della dimora si configura come un caso unico nel panorama delle residenze nobiliari cittadine, dal momento che esso presenta una pianta ad U, con il cortile di rappresentanza aperto verso sud. Altrettanto inusuale è il fatto che l'ingresso da nord immetta direttamente nel cortile di servizio, munito in origine di stalle, fienili e rimesse e costituito da murature in rustico; ulteriore elemento insolito è la mancanza, nel palazzo nobiliare stesso, di una facciata principale. Fausto Lechi afferma con una certa sicurezza che la facciata esterna della dimora, verso via Moretto, sia senza dubbio stata costruita non appena fu avviata la fabbrica, ossia nel 1544. Seppur incompiuta, tale facciata si presenta asimmetrica e presenta un portale in bugnato di una certa imponenza; esso è poi ornato semplicemente da due teste di Medusa scolpite in rilievo, senza presentare altri elementi degni di menzione. Spostandosi invece dal già citato cortile di servizio, passando per un ulteriore androne, si giunge invece nel cortile più interno della dimora nobiliare, il quale presenta, in questa sezione, un'impostazione sicuramente più ricercata e, appunto, nobiliare. Il cortile interno del palazzo, poi, è costituito da un portico coperto da volte a crociera e sorretto da colonne di ordine tuscanico in marmo di Botticino: lo stesso cortile presenta poi una scansione in cinque arcate nei due bracci laterali e sei invece nel corpo centrale; in quest’ultimo, il numero pari delle campate implica l'insolita soluzione del pieno di una colonna in asse, anziché del vuoto di un’arcata. Le summenzionate colonne, inoltre, sorreggono archi sopraccigliati a tutto sesto, mentre al piano superiore vi sono lesene ioniche nelle quali sono inscritte semplici finestre; il tutto è concluso poi da un cornice marcapiano con anche vistosi mensoloni. La scansione architettonica appena descritta, nel complesso, è stata attribuita da Fausto Lechi all'opera giovanile dell'architetto bresciano Lodovico Beretta, come sostenuto peraltro in numerose altre opere di studiosi locali. Lo stesso Fausto Lechi, analizzando la fabbrica del palazzo, ha avuto modo di notare alcune anomalie a proposito della facciata prospiciente contrada Santa Croce: in tal proposito, lo studioso aveva ipotizzato che originariamente il palazzo presentasse due livelli solo nel corpo centrale, mentre le ali laterali dovevano avere soltanto il piano porticato. Conferma di ciò sembrerebbe essere contenuta in alcuni documenti che testimoniano la costruzione, ad opera di Agostino Avanzo a metà Seicento, di un «partamento di fabrica» nell’ala occidentale del palazzo. Inoltre, una fotografia scattata dopo i bombardamenti del 1943 lascia vedere la trabeazione del corpo centrale, in cui si intravedono appena i fori effettuati per alloggiare le travi del soffitto. La giustapposizione solo in seguito dei corpi di fabbrica corrispondenti alle ali laterali, spiegherebbe anche la debole soluzione d’angolo nel livello superiore del cortile, dove la parasta sembra come incastrata. Lo studioso Fausto Lechi giudica difficile operare una netta distinzione tra l'opera del Romanino e quella di Lattanzio Gambara: l'ipotesi dello stesso Lechi, in ogni caso, è che i due artisti abbiano collaborato in maniera sostanzialmente omogenea ed univoca. La cooperazione dei due artisti bresciani, nondimeno, è riscontrata anche a palazzo Bargnani e nel convento di Sant'Eufemia, sempre a Brescia, e nel caso di palazzo Averoldi è accertata dalle fonti seicentesche, ma è stata precisata soltanto negli ultimi anni: gli affreschi cinquecenteschi sono databili all’inizio del sesto decennio e ornano le volte di cinque salette al piano terra, collocate nel corpo di fabbrica che separa il portico dal cortile retrostante, a cui si accede da via Moretto. Il ciclo pittorico, nondimeno, ruota attorno al salone d'onore sulla cui volta è ritratto il Carro di Fetonte, che con l'effetto ottico della pittura distende i limiti del soffitto stesso; questi stessi scorci si ispirano, evidentemente, al ciclo di affreschi eseguito dallo stesso Romanino nel castello del Buonconsiglio a Trento. L'opera in questione, comunque, è attribuita non senza riserve alla mano di Lattanzio Gambara, il quale sembra avere tratto ispirazione dalla lezione del pittore cremonese Giulio Campi, presso il quale aveva compiuto il suo apprendistato giovanile. Muovendosi poi verso le altre sale del pianterreno, in direzione ovest, si incontrano rispettivamente la Sala delle Stagioni e quella del Carro di Diana. La realizzazione di questi cicli d'affresco va in ogni caso attribuita in egual modo sia al Romanino che a Lattanzio Gambara, i quali diedero vita ad una «lineare spartizione delle incombenze»; la critica, infine, è concorde nell’assegnare al solo Romanino gli affreschi delle salette orientali, contrassegnati dalle figure di Minerva e dell’Abbondanza, la cui lettura risulta ostacolata da ridipinture e, in certi casi, da vere e proprie lacune nell’intonaco. Analogamente a quanto appena detto, anche le salette laterali presentano uno strato o patina bianca, la quale preclude in ogni modo un'analisi o lettura dell'apparato decorativo sottostante. Tra il 1788 e il 1796, come già detto in precedenza, ebbe inizio la seconda grande stagione decorativa di palazzo Averoldi, riguardante il piano nobiliare dell'edificio: questo stesso ciclo pittorico, che vide la partecipazione delle maggiori figure artistiche della Brescia settecentesca, rappresenta un importante punto di passaggio tra arte settecentesca e, in seguito, la vera e propria corrente neoclassica. In ogni caso, come emerge anche dai documenti rinvenuti nel fondo Averoldi, le stesse decorazioni delle varie sale costarono ai committenti la non indifferente somma di 60.905 lire. La cosiddetta sala cinese del palazzo, identificata anticamente come sala verde, costituisce un unicum nel territorio bresciano, specialmente per la decorazione a pannelli lignei laccati di soggetto orientale, realizzati con fondo verde e figure in ocra. A una prima osservazione essa si presenta, nel complesso, come apparentemente omogenea; risulta composta peraltro di una boiserie e di quattro dipinti sovraporte, una controsoffittatura lignea composta di dipinti su tavola e su tela, culminanti in un fregio con motivi a grottesche. Questo complesso apparato decorativo è stato attribuito dalla critica alla mano del Manfredini e del Teosa con una certa sicurezza, che considera degli originali cinesi le lacche componenti la boiserie, e, nello specifico, riconduce le sovraporte e il medaglione centrale della volta alternativamente a Manfredini (Tanzi) o Teosa (Cretella). In realtà più approfondite ricerche archivistiche condotte da Pietro Balzani per la redazione della sua tesi di laurea (proposta in bibliografia) hanno fatto emergere alcuni significativi elementi che mostrano come l'aspetto attuale della sala sia frutto di interventi cronologicamente distinti e ascrivibili a diverse personalità artistiche. Note al testo Fonti Filippo Piazza, Brescia nel secondo Cinquecento, Architettura, arte e società (PDF), in Filippo Piazza, Enrico Valseriati (a cura di), Annali di Storia Bresciana, schede a cura di Irene Giustina e Elisa Sala, Brescia, Morcelliana, 2016, pp. 297-299, ISBN 978-88-372-3015-9, SBN IT\ICCU\UBS\0007368. Camillo Boselli, Asterischi bresciani: la decorazione settecentesca di Palazzo Averoldi in contrada S. Croce in Brescia, in Arte Lombarda, vol. 17, n. 37, Vita e Pensiero, Secondo Semestre 1972, pp. 96-139, ISSN 0004-3443, JSTOR 43104924. Stefania Cretella, La grande stagione neoclassica a Brescia: il rinnovamento di palazzo Averoldi, in Ricche Minere, n. 6, Venezia, dicembre 2016, pp. 121-144, ISSN 2284-1717. Fausto Lechi, 3: Il Cinquecento nella città, in Le dimore bresciane in cinque secoli di storia, III, Brescia, Edizioni di Storia bresciana, 1975, pp. 312-330, SBN IT\ICCU\VEA\0078826. Barbara Bettoni, I beni dell'agiatezza. Stili di vita nelle famiglie bresciane dell'età moderna, Milano, Franco Angeli, 2010, pp. 45-124, ISBN 88-464-6868-6, SBN IT\ICCU\MIL\0685287. Paolo Brognoli, Nuova guida per la città di Brescia opera di Paolo Brognoli, illustrazioni di Pietro Bassaglia, Brescia, presso Federico Nicoli-Cristiani tipografo nel palazzo Avogadro a S. Alessandro, 1826, pp. 201-202, SBN IT\ICCU\RMRE\000817. Pietro Balzani, Elisa Bassini (a cura di), Palazzo Averoldi: arte e storia di una nobile dimora bresciana, Milano, Scalpendi, 2020, ISBN 978-88-322-0394-3, SBN IT\ICCU\UBS\0017431. Francesco Frangi, L’ultimo Romanino (e il primo Gambara), in L'ultimo Romanino: ricerche sulle opere tarde del pittore bresciano, Cinisello Balsamo, Silvana, 2007, pp. 17-39, ISBN 978-88-366-0770-9, SBN IT\ICCU\UBO\3268295. Stefania Cretella, Palazzo Averoldi, in Stefania Cretella (a cura di), Miti e altre storie: la grande decorazione a Brescia 1680-1830, Grafo, 2020, pp. 99-102, SBN IT\ICCU\TSA\1689768. Antonio Fappani (a cura di), PALAZZI della città, in Enciclopedia bresciana, vol. 11, Brescia, La Voce del Popolo, 1982, OCLC 163181589, SBN IT\ICCU\CFI\0293136. Francesco De Leonardis (a cura di), Guida di Brescia, La storia, l'arte, il volto della città, Brescia, Grafo, 2018, ISBN 9788873859918, OCLC 1124648622, SBN IT\ICCU\BVE\0818515. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Palazzo Averoldi Palazzo Averoldi, su fondoambiente.it. URL consultato il 16 dicembre 2021. Palazzo Averoldi, ora sede del Rotary Club, su centrobossaglia.it. URL consultato il 16 dicembre 2021. Palazzo Averoldi, Brescia, su lombardiabeniculturali.it. URL consultato il 16 dicembre 2021. Edoardo Lo Cicero, Sala cinese - Palazzo Averoldi, su centrobossaglia.it. URL consultato il 20 dicembre 2021.

Estratto dall'articolo di Wikipedia Palazzo Averoldi (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

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Palazzo Averoldi Via Moretto facciata Brescia
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Centro Storico Sud
Centro Storico Sud

Centro Storico Sud è un quartiere della città di Brescia. L'area del quartiere occupa la parte meridionale del centro storico cittadino, comprendente i quartieri che fanno riferimento alle parrocchie di san Lorenzo, dei santi Nazaro e Celso e, parzialmente, di Sant'Agata. Ad esso appartiene anche l'area compresa fra via XX settembre e la ferrovia Milano-Venezia, parte del complesso commerciale «Freccia Rossa» e il Palazzo di giustizia della città. Il territorio è fortemente urbanizzato, i suoi confini sono delimitati a nord da via Dante e via Cairoli, a est da via X giornate, corso Zanardelli e via San Martino della Battaglia, a sud dalla linea ferroviaria sopracitata e ad ovest da viale Italia, via Cassala e via Fratelli Ugoni. Il toponimo è di origine moderna, concepito per distinguere il quartiere dagli altri due del centro storico della città: Centro Storico Nord (in origine solo "Centro Nord") e Brescia Antica. L'area del quartiere occupa parte delle antiche quadre di San Giovanni e di Sant'Alessandro che furono comprese nella cinta muraria cittadina solamente nel Duecento. La zona fu caratterizzata dalla presenza di ospizi e nosocomi: in via Moretto, presso la Crocera di San Luca, ebbe sede l'Ospedale Maggiore poi trasferito nella prima metà dell'Ottocento nel convento di San Domenico e, dal 1954, al moderno edificio che si trova nel quartiere di San Rocchino-Costalunga. Per iniziativa di Alessandro Luzzago, sempre in via Moretto ma nei pressi della porta di San Nazzaro (attuale piazza Repubblica), fu aperta l'opera Pia «Casa di Dio», nata per ospitare orfani e malati. Nel 1854, fu aperta la stazione di Brescia della ferrovia Milano-Venezia nei pressi del borghetto detto di San Nazzaro. Questo quartiere era sorto al di fuori della porta anzidetta e fu sede municipale dell'omonimo comune che si estendeva sull'attuale area sud-orientale del comune cittadino. Con la riforma amministrativa del 1859, l'area occupata dal quartiere del Centro Storico sud corrispose alla parte meridionale del II Mandamento di Brescia con annessa Pretura, mentre l'area del borghetto San Nazzaro, appartenendo a un altro comune, fu assegnato al III Mandamento. Nel luglio 1880, il comune di San Nazzaro Mella fu aggregato alla città. Nel 1923, i mandamenti furono abrogati. Nel luglio 1972, il consiglio comunale votò la costituzione dei consigli di quartiere e istituì quello del "Centro Storico Sud" le cui elezioni si tennero il 24 novembre 1974. Tre anni dopo, la Giunta Trebeschi recepì la legge 278/1976 istituendo le nuove circoscrizioni: il quartiere del Centro Storico Sud fu aggregato alla Nona circoscrizione, assieme ai quartieri del Centro Nord e di Brescia Antica. Nel 2007, la giunta Corsini riformò la suddivisione circoscrizionale riducendone il numero a cinque: i tre quartieri del centro storico furono quindi assegnati alla nuova Circoscrizione Centro. Sette anni dopo, in conseguenza dell'abolizione delle circoscrizioni per i nuovi limiti imposti dalla legge 191/2009, la Giunta Del Bono decise di ricostituire gli organi consultivi di rappresentanza dei quartieri. Le prime elezioni del consiglio di quartiere si tennero in tutta la città il 14 ottobre. chiesa di san Francesco d'Assisi chiesa di San Lorenzo chiesa di San Luca chiesa della Madonna del Lino chiesa di santa Maria dei Miracoli chiesa dei santi Nazaro e Celso chiesa di sant'Orsola Palazzo di Giustizia Piazza della Vittoria stazione ferroviaria di Brescia Nell'area del quartiere sono operative due parrocchie di religione cattolica, appartenenti alla Diocesi di Brescia: quella dei santi Nazaro e Celso e quella di San Lorenzo. In piazza del Mercato, presso Palazzo Martinengo Palatini, ha sede il Rettorato dell'Università di Brescia. Nel territorio assegnato al quartiere si trova la stazione ferroviaria servita dalla ferrovia Milano-Venezia, la Brescia-Iseo-Edolo, Brescia-Bergamo, Brescia-Cremona e Brescia-Parma. La metropolitana di Brescia corre in sotterranea tra la stazione anzidetta e via Giuseppe Verdi. Stazione FS è l'unica fermata della metropolitana presente nel territorio del quartiere; quella di Vittoria si trova poco a nord del confine con il vicino quartiere del Centro Storico Nord. Il Centro Storico Sud è servito dalle linee 3 (Mandolossa - Rezzato), 7 (Caino - Roncadelle), 9 (Villaggio Violino - Buffalora), 12 (Fiumicello - San Polo), 13 (Gussago - Poliambulanza), 15 (Montini / Mompiano - Noce) e 17 (Costalunga - Castel Mella) della rete di trasporti urbani. La linea 4, diretta a Folzano, e la 14, diretta a Borgosatollo e Capodimonte, hanno il capolinea presso la stazione ferroviaria negli orari di punta. Lisa Cesco, Diego Serino, 30 anni di partecipazione: l'esperienza delle circoscrizioni a Brescia. Circoscrizione Centro, Brescia, Comune di Brescia, 2010. Maurillio Lovatti, Marco Fenaroli, Governare la città. Movimento dei quartieri e forze politiche a Brescia 1967-77, Brescia, Nuova ricerca editrice, 1978. Giovanni Boccingher, Brescia Andata e Ritorno. Le molte vite di una stazione, Brescia, 2016. Le elezioni dei Consigli di Quartiere a Brescia nel 2014 (PDF), su comune.brescia.it. URL consultato il 12 dicembre 2020 (archiviato dall'url originale il 13 giugno 2022). Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Centro Storico Sud

Chiesa di Santa Croce (Brescia)
Chiesa di Santa Croce (Brescia)

La chiesa di Santa Croce è una chiesa di Brescia, situata lungo via Moretto, poco più ad est del crocevia con l'omonima contrada di Santa Croce. Fondata alla fine del Quattrocento e completamente ricostruita tra il Seicento ed il Settecento, ospitava numerose e importanti opere pittoriche, tra le quali una tela di Girolamo Savoldo, oggi distrutta. Soppressa nel 1797 dal governo napoleonico, l'edificio viene abbandonato fino all'insediamento dei Salesiani nel 1818. Oggi, la chiesa ed il monastero attiguo sono gestiti dalle Ancelle della Carità, che utilizzano la chiesa solamente in occasione di importanti cerimonie. La fondazione della chiesa e del convento di Santa Croce risale al 1471 per volere di gruppo di monache Agostiniane provenienti da Verona. Il complesso, comunque, viene edificato su un terreno dove era già presente una chiesetta ed edifici annessi appartenuti alla congregazione cluniacense che aveva un piccolo monastero a Verziano, a sud della città. Gli ambienti vengono ampliati per ospitare la numerosa comunità di suore e il cantiere della nuova chiesa inizia nel 1488 per concludersi esattamente cento anni dopo. Nel 1479 Papa Sisto IV aggrega il convento di Santa Croce al monastero agostiniano attorno alla chiesa di San Barnaba: il fatto provoca una crisi fra le monache, tanto che alcune lasciano il monastero per fondare due nuove comunità, una nella chiesa di Santa Maria degli Angeli in città e una a Carpenedolo, in provincia. L'anno successivo, il complesso passa alle dipendenze della diocesi di Brescia, che invia in sua gestione la beata Laura Mignani, importante personaggio per la vita religiosa, spirituale e culturale bresciana: la sua presenza a Santa Croce conferisce grande prestigio al convento, che conosce prosperità anche nel secolo successivo. Tra il Seicento e il Settecento la chiesa viene interamente ricostruita, raggiungendo l'aspetto attuale. Nel 1797, però, il monastero viene soppresso e la chiesa spogliata di tutte le importanti opere custodite. Nel 1818 il monastero passa sotto la gestione dei Salesiani e riconvertito a collegio femminile. La chiesa, nell'occasione, muta intitolazione diventando "Santa Maria della Visitazione". Nel 1965 il complesso passa alle Ancelle della Carità e l'utilizzo della chiesa si riduce alle cerimonie di culto più importanti: tale situazione permane ancora oggi. Tutti gli affreschi della chiesa e dei locali adiacenti sono stati sottoposti a restauro tra il 1965 e il 1970. La facciata della chiesa, unica parte esterna visibile dalla pubblica via, risale al Settecento ed è molto semplice, decorata da lesene di ordine tuscanico suddivise su due ordini e reggenti come coronamento un frontone triangolare. Spicca notevolmente, sul prospetto piatto e modesto, il grande portale marmoreo, con frontone spezzato a volute rigonfie, molto aggettante. All'interno, l'edificio mantiene intatto il precedente impianto rinascimentale a navata unica, coperta da volta a botte. Alle pareti si aprono tre cappelle per lato entro grandi archi a tutto sesto incorniciati da lesene. Solamente due di queste, al giorno d'oggi, sono dotate di altare. Sull'altare maggiore della chiesa si trovava una Deposizione di Girolamo Savoldo, acquistata nel 1811 dalla famiglia Torri dopo la requisizione e poi venduta al Kaiser Friedrich Museum di Berlino nel 1875, dove andò distrutta da un incendio nel 1945. All'inizio dell'Ottocento era già stata sostituita da una tela di Sante Cattaneo del 1766 con la Visitazione di Maria, poi anch'essa trasferita in una chiesa di Costalunga. Oltre alla tela del Savoldo erano presenti opere di Grazio Cossali, Angelo Paglia e Antonio Gandino, oggi disperse o non più rintracciabili. La chiesa era inoltre decorata da un ciclo di affreschi di Paolo Zoppo raffiguranti episodi della vita di Cristo e di vari santi, scomparsi a causa dei troppi anni di abbandono e incuria. La decorazione della volta, composta da ampie quadrature, cornici e rosette di gusto neo-rinascimentale, è stata realizzata nell'Ottocento. Nella seconda cappella di sinistra, edificata nel 1513, è conservata l'Adorazione della Croce con i santi Costantino, Elena e Silvestro affresco attribuito a Paolo Caylina il Giovane, recuperato nel 1985 rimuovendo lo strato di intonaco che lo copriva. Sull'altare opposto campeggia una gigantografia dello stendardo delle Ancelle, che raffigura Santa Maria Crocifissa Di Rosa dinanzi al Crocifisso. Di grandi dimensioni è pure il crocifisso ligneo del Seicento collocato sull'altare maggiore, inciso da marmi policromi. Nella sagrestia sono visibili, sulla parete ovest, un altorilievo di marmo con la Natività di Gesù datato 1625 e, sul soffitto, un dipinto con la Gloria di Sant'Elena, del Settecento. Adiacente al lato ovest della chiesa è situato il coro delle monache, accessibile dal primo piano del monastero, dove si conserva un vasto ciclo di affreschi realizzati da Floriano Ferramola attorno al 1526. Lungo la parete est si trova la Crocifissione, a destra Sant'Agostino tra San Nicola da Tolentino e una Santa agostiniana, forse Santa Monica. A sinistra è dipinto un Compianto sul Cristo morto. Sulla parete ovest campeggia un trittico ricomposto su tela, un tempo conservato nei locali del monastero. Al centro è posta la Pietà con ai lati il Beato Giovanni Bono e un Giovane penitente, nello scomparto di sinistra è l'Incontro di Gesù con la donna Cananea, mentre in quello di destra la Preghiera di Giobbe. Lungo lo zoccolo inferiore della parete est sono posti riquadri ad affresco, datati 1523, con storie di santi e scene della vita di Maria, attribuiti a maestri bresciani del periodo. Sulla cantoria in controfacciata si trova l'organo a canne, costruito da Diego Porro nel 1910 e attualmente in stato di abbandono. Lo strumento, a trasmissione mista (meccanica per il manuale, pneumatica per pedale e registri), è completamente chiuso in cassa espressiva, senza canne di mostra, e dispone di 9 registri; la sua consolle ed ha una tastiera di 58 note ed una pedaliera dritta di 27. Marina Braga, Roberta Simonetto (a cura di), Verso porta San Nazaro in Brescia Città Museo, Sant'Eustacchio, Brescia 2004 Wikibooks contiene testi o manuali sulla disposizione fonica dell'organo a canne Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla chiesa di Santa Croce

Collegiata dei Santi Nazaro e Celso
Collegiata dei Santi Nazaro e Celso

La chiesa dei Santi Nazaro e Celso è una chiesa di Brescia, situata in corso Giacomo Matteotti, all'incrocio con via Fratelli Bronzetti. Ricostruita integralmente nella seconda metà del Settecento dall'architetto Antonio Marchetti sulla base di un edificio molto più antico, è oggi un grande esempio di architettura neoclassica unitaria a Brescia e una delle più grandi chiese della città. Contiene numerose e preziose opere d'arte, fra le quali spicca il Polittico Averoldi, capolavoro giovanile di Tiziano. Un luogo di culto nella zona dedicato ai santi Nazario (o Nazaro) e Celso è rilevabile già nelle annotazioni di Alberico da Gambara, che nel 1239 si occupa dell'ampliamento della cinta muraria urbana e dell'urbanistica delle nuove aree inglobate: il frate, infatti, nomina l'attuale corso Matteotti come "strada antiqua S.ti Nazarii". L'edificio originale, però, non doveva trovarsi dove sorge oggi la chiesa, bensì sul lato sinistro della via e un poco più a ovest, come si può dedurre dalla precisa individuazione delle vie del quartiere redatta negli atti duecenteschi del Liber Potheris. Il nucleo originario della chiesa attuale viene fondato da Berardo Maggi all'inizio del Trecento, spostando il culto in questa nuova chiesa, sicuramente più ampia e funzionale dell'edificio originale che, probabilmente, doveva trattarsi poco più di una cappella. Sempre per opera del Maggi, nella nuova chiesa si insedia un collegio composto da cinque sacerdoti, destinato ad ingrandirsi nei secoli. La collegiata conosce un primo, grande capitolo di rinnovo durante il Quattrocento sotto il capitolato di Giovanni Ducco e dei provosti successivi. Una sommaria descrizione della nuova chiesa, forse più un ampliamento che una ricostruzione totale, viene redatta da Giulio Todeschini nel 1566, il quale annota le sue imponenti dimensioni in altezza e lunghezza e il fatto che i muri fossero costruiti "alla moderna", cioè almeno quattrocenteschi, tardo gotici. L'architetto segnala anche un'iscrizione incisa su un pilastro di facciata recante la scritta "1455/85", che dovettero essere pertanto i due estremi temporali del cantiere avviato da Giovanni Ducco e dai successori. Già lo stesso Todeschini, peraltro, interpreta l'iscrizione in questo modo. Gli artefici della nuova fabbrica sono tutte personalità dell'architettura, dell'arte e dell'artigianato cittadini quattrocenteschi: dai documenti si rilevano i nomi di Jacopo da Milano, Tonino da Lumezzane, Giovanni Serina, Betino Crescimbeni, Pecino da Caravaggio, Merino da Noboli e Giovanni da Cavernago, anche se la direzione del cantiere dovette essere affidata ai due più esperti della materia: Tonino da Lumezzane e Pecino da Caravaggio, il primo più volte definito ingegnere negli atti municipali, mentre il secondo artefice di innumerevoli interventi in città e collaboratore di Antonio da Sangallo il Vecchio per la costruzione delle fortificazioni di Civita Castellana. Giulio Antonio Averoldi è il solo, nella letteratura artistica antica, a trattare direttamente dell'architettura di questa chiesa, scrivendo: "si comprenda l'antichità dell'insigne Basilica dalla gran nave lavorata a travatura, e catene, e con gli altari da una sola parte". Dallo scritto dell'Averoldi e da alcune testimonianze iconografiche, tra cui una pianta parziale del 1677, si può ricostruire l'originario aspetto dell'edificio come una grande chiesa a navata unica ad arconi successivi e tetto a vista, con profondo presbiterio a pianta quadrata e una fila di cappelle solamente sul lato destro. La minore lunghezza rispetto all'attuale generava un sagrato più profondo davanti alla facciata. Il rinnovo delle architetture e dei locali della collegiata, unito al notevole operato dei prevosti, rendono San Nazaro il secondo centro religioso urbano per importanza dopo la Cattedrale. Dopo un breve periodo di commenda affidata a Raffaele Riario nel 1496, le pressioni del popolo bresciano sulla diocesi portano il cardinale alla rinuncia dei propri privilegi nel 1504 in favore di Ottaviano Ducco, al quale si sostituisce Altobello Averoldi nel 1515. All'Averoldi si deve la commissione a Tiziano della grande opera che prenderà poi il suo nome, il Polittico Averoldi. Tale commissione è rappresentativa del grande impegno del prevosto mirato al rilancio di immagine della collegiata: la chiesa si arricchisce di sculture e dipinti della più contemporanea linea artistica rinascimentale, firmate da grandi autori quali lo stesso Tiziano, seguito da Paolo Caylina il Vecchio, Romanino, Moretto. A ciò si aggiungono le commissioni di nuovi arredi liturgici, il rifacimento dell'organo e delle cantorie, il restauro dell'abitazione del prevosto e soprattutto della preziosa Sala Capitolare. L'opera degli immediati successori, Fabio e Giovan Matteo Averoldi, non è da meno: nel 1553 si procede all'ampliamento e all'abbellimento della facciata con una nuova veste rinascimentale, mentre all'interno si completano la canonica e il secondo organo. Nella seconda metà del secolo, invece, viene ricostruito il campanile e l'architettura della chiesa dovette subire alcuni interventi per mano di Giulio Todeschini, in particolare nell'abside e in alcune cappelle laterali. Nel 1581 la collegiata riceve san Carlo Borromeo in visita apostolica, che rimane alquanto insospettito dalla complessa situazione giuridica e amministrativa del Capitolo. Nella relazione della visita, protratta per giorni, si leggono interrogatori, profonde indagini e, infine, numerosissime ordinanze, da concretizzarsi al più presto. Il collegio di sacerdoti, però, si rivelerà molto mal disposto verso le imperiose volontà del Borromeo, vanificando la maggior parte delle ordinanze. I lavori di abbellimento già avviati nella seconda metà del secolo precedente continuano anche all'inizio del Seicento, interessando soprattutto le cappelle laterali, fra cui quella del Santissimo Sacramento, legata all'importante e omonima confraternita, che viene abbellita da pitture di Ottavio Viviani. Nel frattempo, nella collegiata si affievolisce il fervore cinquecentesco: i prevosti sono quasi sempre assenti e agiscono per conto loro canonici e parrocchiani. La peste del 1630 reca ulteriori difficoltà e smorza qualsiasi cantiere all'interno e all'esterno della chiesa, con un minimo accenno di ripresa nel rifacimento della copertura di una cappella deliberato nel 1638. Anche negli anni successivi gli interventi, che pure si susseguono, sono tutti di trascurabile importanza, relegati a opere di manutenzione. Nel 1667, grazie alla donazione di un fedele, viene commissionato a Lelio Zucchi di Verolanuova il nuovo coro ligneo, terminato e infine installato entro tre anni. Il progetto diventa l'innesco per una serie di iniziative che finiranno per maturare, nell'arco di un secolo, l'idea di una completa ricostruzione dell'edificio: ancora prima del completamento del nuovo coro, il prevosto Giuseppe Franzini, per meglio accogliere l'opera, ordina il rifacimento della pavimentazione dell'intera chiesa, che viene completata, almeno nella zona absidale, prima dell'installazione dei nuovi seggi. A coro ultimato, viene proposto anche il rifacimento dell'altare maggiore per una migliore unitarietà formale dell'insieme: negli anni successivi, a ruota, vengono abbelliti o ricostruiti anche quasi tutti gli altari delle cappelle laterali. Nel 1679 si passa al restauro del portico sul sagrato, nel 1679 vengono sostituite le panche dell'aula e nel 1682 viene ricostruita la sagrestia. Alla morte del Franzini, a capo di tutti questi interventi, l'attività edilizia nella collegiata sembra improvvisamente cessare. Bisogna attendere circa un ventennio per rilevare nuovi interventi di abbellimento nella chiesa, coincidenti con l'inizio della prepositura di Giuseppe Antonio Martinengo Palatino: tra il 1706 e la metà del secolo vengono attuate numerosissime opere di restauro e ricostruzione, nonché commissioni di nuove opere d'arte. La grande ricostruzione dalle fondamenta della chiesa, però, si deve al prevosto Alessandro Fè d'Ostiani (1716-1791), vescovo titolare della Diocesi di Modone, che la volle fermamente durante tutto il suo capitolato, iniziato nel 1746. Nel 1748 viene steso il progetto per conto dell'architetto Giuseppe Zinelli, poi approvato da papa Benedetto XIV, e nel 1753 viene dato inizio al cantiere. Il progetto dello Zinelli, un canonico di fatto poco esperto in materia di architettura, subisce per volere del Capitolo una perizia da parte di Domenico Corbellini, personaggio di spicco dell'architettura contemporanea cittadina, circa cinque anni dopo, a cantiere già avanzato. Si tratta forse del primo segno di sfiducia nei confronti dello Zinelli che, infatti, l'anno successivo viene duramente estromesso dalla fabbrica, dopo quattro mesi di tensione con il Capitolo. Antonio Marchetti diventa il nuovo direttore dei lavori e porta il cantiere alla ripresa, dopo aver ritoccato il progetto originale. Nel 1767, mentre i lavori procedono, il Marchetti redige il progetto esecutivo per la costruzione della nuova abside con la contemporanea demolizione della precedente, fase molto rischiosa che doveva prevedere anche la connessione del campanile alle nuove murature. La fabbrica subisce un forte freno a causa dello scoppio della polveriera di Porta San Nazaro avvenuta il 18 agosto 1769: la vecchia chiesa, già indebolita dagli sventramenti e dalla ricostruzione, crolla quasi completamente e le nuove strutture subiscono estesi danni sia a causa dell'onda d'urto, sia per la pioggia di detriti, alcuni anche di grandi dimensioni, seguita all'esplosione. I lavori riprendono, infine, entro un paio d'anni e con maggior fervore, tanto che la nuova abside è conclusa all'inizio del 1774 e, negli anni successivi, si procede alacremente con la costruzione del muro e delle cappelle a nord e all'ultimazione delle coperture. La nuova chiesa viene finalmente riaperta al culto nel 1780. Il capitolo collegiale viene soppresso dalla Repubblica Bresciana nel 1797, mentre la chiesa rimane attiva e officiata. Il titolo di collegiata insigne viene comunque mantenuto dalla chiesa, da allora e in pianta stabile sede parrocchiale. La facciata neoclassica è imponente, e presenta otto colonne corinzie con a capo un timpano triangolare attorno al quale sono presenti sette statue richiamanti altrettante figure religiose di santi. L'interno è a navata unica con cinque cappelle minori per lato, un ampio presbiterio e un'abside semicircolare. In testa alla navata si apre un vasto pronao che fa da atrio d'ingresso alla navata stessa, dalla quale è separato mediante due colonne corinzie giganti che fungono da portale d'ingresso interno. La copertura è data da una volta a botte unghiata su tutta la navata, cupola su base ellittica sul presbiterio e infine semicupola sull'abside. Decora le pareti una successione unitaria di lesene corinzie che inquadrano le cappelle e sorreggono una trabeazione continua, sulla quale si imposta la volta. Nella chiesa e nei locali della collegiata sono custodite numerose e importanti opere d'arte, raccolte e commissionate dal Capitolo nel corso dei secoli e per la maggior parte preservate dopo l'integrale ricostruzione settecentesca. Fra di esse si ricordano: Il Polittico Averoldi, capolavoro giovanile di Tiziano, datato 1522 e commissionato da Altobello Averoldi, nunzio apostolico a Venezia. Opera di chiara derivazione michelangiolesca, è un polittico composto da cinque tavole raffiguranti il Cristo risorto (al centro), i Santi Nazaro, in basso a destra, e Celso, in basso a sinistra, accompagnato da San Sebastiano e dal committente Altobello Averoldi, mentre in alto troviamo la scena dell'Annunciazione a Maria divisa in due riquadri: l'Angelo annunciante a sinistra e la Vergine annunciata a destra. Cristo in passione con Mosè e Salomone del Moretto, terzo altare destro, databile al 1541-1542. L'opera, spesso giudicata di bassa qualità e tensione spirituale dalla critica storica e moderna, si colloca nella piena maturità artistica del pittore e cede ormai il passo a forme più manieriste, perdendo molte caratteristiche dell'arte rinascimentale giovanile. Eseguita su commissione della scuola del Santissimo Sacramento attiva nella chiesa, possiede un accento notevolmente didattico, dato in particolare dalle iscrizioni sulle lapidi rette dai personaggi. Incoronazione della Vergine con i santi Michele Arcangelo, Giuseppe, Francesco d'Assisi e Nicola di Bari del Moretto, secondo altare sinistro, databile al 1534 circa. Eseguita negli anni della sua maturità artistica, l'opera rappresenta il punto d'arrivo dell'evoluzione stilistica del Moretto in fatto di pale d'altare, diventando la maggiore opera di questo periodo e uno dei massimi capolavori di tutta la sua carriera artistica. Il dipinto era il pannello principale di un polittico, oggi smembrato e conservato parte nella chiesa e parte nella casa canonica. Adorazione dei pastori con i santi Nazaro e Celso del Moretto, quarto altare sinistro, databile al 1540 circa. Madonna col Bambino tra i santi Lorenzo e Agostino di Paolo da Caylina il Vecchio, databile tra il 1460 e il 1480. Polittico di San Rocco di Antonio Gandino, 1590 circa. Martirio di san Bartolomeo, di Antonio Zanchi, post 1680 Adorazione dei Magi di Giambattista Pittoni, 1740. Morte di san Giuseppe di Francesco Polazzo, 1738 Opere già nella chiesa: Santa Barbara e un devoto di Lattanzio Gambara, 1588. Sulla cantoria alla sinistra del presbiterio si trova l'organo a canne, frutto della stratificazione di interventi operati in epoche differenti sul primo strumento, costruito da Domenico da Urbino nel 1577 e ricostruito da Carolus van Boort nel 1579; la sua conformazione attuale, ripristinata con un restauro di Daniele Giani del 2012-2015, si deve al rifacimento di Luigi Amati del 1803, al quale seguirono modifiche apportate rispettivamente da Angelo Amati nel 1875, e da Diego Porro e Giovanni Maccarinelli nel 1889; nel 1924 Frigerio e Fusari riformarono l'organo rendendolo a trasmissione pneumatica. Lo strumento è alloggiato entro una ricca nicchia cassettonata incorniciata fra due lesene corinzie dipinte a finto marmo con dorature; il prospetto è costituito da un'unica cuspide con ali laterali formata dalle canne appartenenti al registro di principale 8'. L'organo è a trasmissione meccanica e dispone di 56 registri; la sua consolle, a finestra, ha due tastiere e pedaliera, con i registri azionati da manette a scorrimento laterale. La collegiata conserva un vasto tesoro composto da argenteria e paramenti liturgici. Spicca in particolare, per la sua antichità e preziosità, il pastorale di Altobello Averoldi, appartenuto all'alto prelato nella prima metà del Cinquecento. Note al testo Fonti Ivo Panteghini, Nel lume del Rinascimento: dipinti, sculture ed oggetti dalla Diocesi di Brescia, Catalogo della mostra tenuta a Brescia nel 1997, Brescia, Museo Diocesano, 1997, SBN IT\ICCU\MIL\0349151. Luigi Francesco Fè d'Ostiani, Storia, tradizione e arte nelle vie di Brescia, a cura di Paolo Guerrini, Brescia, Figli di Maria Immacolata, 1927, pp. 28-31, SBN IT\ICCU\VEA\1145856. Antonio Fappani (a cura di), NAZARO S., basilica, in Enciclopedia bresciana, vol. 11, Brescia, La Voce del Popolo, 1994, OCLC 955711986, SBN IT\ICCU\CFI\0293136. Francesco De Leonardis (a cura di), Guida di Brescia, La storia, l'arte, il volto della città, Brescia, Grafo, 2018, ISBN 9788873859918, OCLC 1124648622, SBN IT\ICCU\BVE\0818515. Valentino Volta, Le vicende edilizie della collegiata insigne dei Santi Nazaro e Celso, in La Collegiata insigne dei Santi Nazaro e Celso in Brescia, Banca San Paolo di Brescia, 1992, pp. 11-84, ISBN 88-350-8673-6, SBN IT\ICCU\UBO\4206205. Wikibooks contiene testi o manuali sulla disposizione fonica dell'organo a canne Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla collegiata dei Santi Nazaro e Celso Tiziano Vecellio Il Moretto Carlo Borromeo Itinerari Brescia, su itineraribrescia.it. URL consultato il 14 ottobre 2015 (archiviato dall'url originale il 9 maggio 2014). Santi Nazaro e Celso La Collegiata dei Santi Nazaro e Celso sul sito del Museo Diocesano di Brescia, su museodiocesano.brescia.it. URL consultato il 25 luglio 2023.