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Chiesa di Santa Teresa di Gesù

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Chiesa S. Teresa Torre Annunziata
Chiesa S. Teresa Torre Annunziata

La Chiesa di Santa Teresa di Gesù anche nota come Chiesa di Santa Teresa e di San Pasquale, è un edificio di culto cattolico di Torre Annunziata, situato in Piazza Ernesto Cesaro nel quartiere Terravecchia, facente parte del 13º decanato dell'Arcidiocesi di Napoli. Dedicata anche a Santa Maria di Costantinopoli, è conosciuta anche come chiesa di San Pasquale per la presenza dei Frati Alcanterini fino al 1866. Unitamente al convento fu costruita dalla famiglia Piccolomini, feudatari di Terravecchia di Boscotrecase nel 1639 e donata all'ordine dei Carmelitani scalzi il 3 aprile 1645. In seguito ad una lite tra la famiglia Balzano ed il Conte di Celano Giovanni Piccolomini, l'intera struttura fu restituita a quest'ultimo che, il 22 maggio 1651 la donò al figlio Ambrogio, padre dell'Ordine degli Olivetani. Con la soppressione degli ordini religiosi operata da Giuseppe Bonaparte il 13 febbraio 1807, il convento passò al Regio demanio e la chiesa fu lasciata alla popolazione per gli esercizi spirituali, ma nel 1811 anch'essa divenne proprietà demaniale ed adibita a laboratorio di fuochi per il Regio Esercito. Con la restaurazione borbonica, il Re Ferdinando II restituì la chiesa ai padri alcanterini nel 1844 ed il convento nel 1849, oltre ad un aiuto economico pari a 3000 ducati dal comune di Torre Annunziata. Fu riconsacrata nel 1853 dal Cardinale di Napoli Sisto Riario Sforza. Nel dicembre del 1867 il convento, in seguito alla legge eversiva n. 3036 del 1866, fu soppresso e trasformato in Ospedale. I pochi frati francescani rimasti occuparono solo un piccolo spazio della struttura per scomparire poi del tutto nel 1911. Nel 1932 fu richiesto all’amministrazione dell’Ospedale Civile di Torre Annunziata, l’acquisto di 150 mq di terreno per costruire un conventino sul lato destro della chiesa, sviluppato su tre piani, posto tra la parrocchia ed il palazzo Monaco del settecento. Il 15 maggio 1934 alla presenza del Cardinale Alessio Ascalesi, fu posta la prima pietra del convento e consegnato ai frati nel 1936. Filiana della Santuario dello Spirito Santo, fu elevata a parrocchia nel 1964 dal Cardinale Alfonso Castaldo. Nel 2010 il convento fu chiuso e gli ultimi tre frati rimasti furono trasferiti in altre strutture campane. Il 14 ottobre 2019 il Cardinale Crescenzio Sepe firmò il decreto che affidò la chiesa in solidum con la Parrocchia del Sacro Cuore di Gesù. Allargata nel XIX secolo, la chiesa, a pianta rettangolare, è formata da una sola navata di 28,2 x 9,4 metri. Addossati alle pareti vi sono 14 pilastri lisci di ordine corinzio con relativo cornicione. Il presbiterio si raggiunge salendo tre scalini, nell'abside, il trono è sormontato nel suo catino da una pala del '600 di autore ignoto, raffigurante Santa Teresa d'Avila che ottiene dalla Madonna lo spegnimento dell'incendio causato dall'eruzione del Vesuvio del 1631. A sinistra e a destra ci sono due cappelle larghe circa 4 metri fra le quali vi sono due arcate di circa 2 metri e cinque colonne rettangolari. Nella prima cappella a sinistra c'é una nicchia con la statua di San Francesco alla cui destra trova posto il Battistero. Nella seconda cappella vi sono tre nicchie con le statue di San Giuseppe col Bambino, dell'Immacolata e del Sacro Cuore. Nella prima cappella a destra ci sono le statue del Bambin Gesù, di Sant'Antonio con il Bambino e di Giovan Giuseppe della Croce. Nella seconda cappella le statue di Santa Rita, San Pasquale e dell'Addolorata. Nel convento è conservato un quadro del '700 raffigurante la glorificazione di S. Teresa d’Avila, di autore ignoto, ai piedi della santa si notano i committenti forse Giovanni Piccolomini, ed Eleonora Loffredo principessa di Maida. Carlo Malandrino, Torre Annunziata tra storia e leggenda, Napoli, Ed. Loffredo, 1970. Giovanni Di Martino, Carlo Malandrino, Torre Annunziata tra vicoli e piazze: storia di territorio e urbanesimo, Fuorni (SA), D'Amelio Editore, 1986. Fioravante Meo, Salvatore Russo, Torre Annunziata Oplonti (dalle origini ai giorni nostri), Torre Annunziata, Ed. Libreria Rosati, 1995. Giovanni Di Martino, Salvatore Russo, Torre Annunziata: la vocazione industriale e il canale conte di Sarno, Torre Annunziata, D'Amelio, 1983. Vincenzo Amorosi, Cristiano Soldaini, Visioni oplontine, Torre Annunziata tra chiese, strade e ville, Tricase (LE), Youcanprint, 2016, ISBN 978-88-92613-97-3. Chiesa di Santa Teresa di Gesù, su chiesadinapoli.it. Chiesa di Santa Teresa di Gesù, su BeWeB, Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici della Conferenza Episcopale Italiana.

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Chiesa di Santa Teresa di Gesù
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Chiesa S. Teresa Torre Annunziata
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Torre Annunziata
Torre Annunziata

Torre Annunziata (Torr'Annunziata in napoletano) è un comune italiano di 40 065 abitanti situato nella città metropolitana di Napoli, in Campania. Si estende nell'insenatura più interna del golfo di Napoli in uno stretto lembo di terra cinta tra il Vesuvio e il mare: è infatti municipalità della Zona rossa del Vesuvio, importante centro balneare e membro del Parco regionale del fiume Sarno, che ne delimita il confine meridionale con la sua foce. Fin dalla fondazione ha fatto della pesca, del commercio, del turismo e della produzione della pasta le principali attività, tanto da essere detta Capitale dell'arte bianca, per la massiccia produzione che toccò il picco nel primo dopoguerra, con oltre sessanta tra mulini e pastifici, di cui restano in attività, tra i più noti e premiati al mondo, i marchi Voiello e Setaro. È dal periodo della prima rivoluzione industriale, un importante centro produttivo, prima nel settore metalmeccanico e siderurgico, e, ad oggi, nautico e farmaceutico, oltre che portuale, accogliendo il terzo porto della regione per estensione. È inoltre sede dello Stabilimento militare Spolette, già Reale Fabbrica d'Armi sotto il regno delle due Sicilie, e oggi gestita dal Ministero della Cultura. Sorge sui resti dell'antica Oplontis, città residenziale imperiale e patrizia, sepolta dall'eruzione del Vesuvio del 79, di cui conserva l'attiva stazione termale e il sito archeologico, dal 1997 riconosciuto come patrimonio dell'umanità dall'UNESCO.

Palazzo Criscuolo
Palazzo Criscuolo

Il Palazzo Criscuolo (già Palazzo Gargano) è un edificio di Torre Annunziata, ubicato tra corso Vittorio Emanuele III e Piazza Giovanni Nicotera. Il palazzo fu eretto da Nicola Gargano, un imprenditore (commerciante di grano), intorno al 1860. Attualmente è sede dell'amministrazione comunale. Palazzo gentilizio, di due piani, è sviluppato intorno ad un cortile centrale, abbellito al piano terra da un piccolo portichetto ed al piano superiore da un ballatoio. Anni addietro, al primo piano, esisteva una cappellina privata, con la volta decorata da stucchi ancora oggi visibili in alcuni uffici comunali. Gli ambienti che danno su Largo Porto anticamente erano usati come deposito di grani, mentre oggi sono stati riqualificati ad uso degli uffici comunali. Nel 1880 il palazzo passò in proprietà ad Anassimene Criscuolo dal quale nel 1897 il Comune di Torre Annunziata ne acquistò una parte. Fu ulteriormente abbellito con due lampioni in ghisa e da un orologio a pesi, ancora oggi esistenti e funzionanti. Nel 2007 durante i lavori di restyling è scoppiato un incendio di lieve entità subito domato dai vigili del fuoco. Durante gli stessi lavori di ristrutturazione, sono venuti alla luce degli affreschi di interesse storico. Il suo uso è finalizzato ad un uso di rappresentanza istituzionale, in quanto il cuore dell'amministrazione comunale è dislocato negli uffici di via Dante. Giovanni Di Martino e Carlo Malandrino, Torre Annunziata tra vicoli e piazze. Storia di territorio e urbanesimo, D'Amelio editore, Torre Annunziata, 1986 Torre Annunziata Biblioteca comunale Ernesto Cesaro Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Palazzo Criscuolo Sito ufficiale del Comune di Torre Annunziata, su comune.torreannunziata.na.it.

Stazione di Torre Annunziata Città
Stazione di Torre Annunziata Città

La stazione di Torre Annunziata Città è una stazione ferroviaria gestita da Rete Ferroviaria Italiana sita nel centro storico del comune di Torre Annunziata. È posta sulla linea Napoli-Salerno, in prossimità del porto di Torre Annunziata, distante solo pochi minuti a piedi. La stazione è stata costruita nel 1841 per mano dell'ingegnere Armand Joseph Bayard de la Vingtrie ed inaugurata l'anno successivo: è stata la prima stazione in territorio italiano ad essere costruita su un viadotto ad arcate. Unitamente a quella di Napoli al Carmine fu concepita come stazione di prima categoria, essendo dotata di sala d'attesa per viaggiatori. Tale stazione fu capolinea della linea Napoli-Salerno per poco tempo, fino a quando la rete ferroviaria non raggiunse le nuove stazioni di Nocera Inferiore e di Castellammare di Stabia: il 4 agosto 1842 veniva infatti inaugurato il tronco successivo fino a Castellammare e due anni dopo, nel 1844, la diramazione che, passando per Pompei, Angri, e Pagani, raggiunse Nocera Inferiore. Seguendo le vicissitudini dell'infrastruttura su cui sorge, nel corso del 1863 la neonata SFM acquisì dalla Società Bayard la ferrovia Napoli-Salerno, la diramazione per Castellammare e le relative stazioni, tra cui quelle oplontine. Nel 1885, la Napoli-Salerno, la diramazione per Castellammare e le rispettive stazioni vennero affidata alla Società Italiana per le Strade Ferrate del Mediterraneo, fondata per l'occasione. Nel 1905 fu approvato un disegno di legge, la legge 22 aprile 1905, n. 137 (chiamata legge Fortis ed entrata in vigore il 1º luglio 1905), che diede inizio al processo di statalizzazione delle ferrovie italiane, che portò sotto il controllo diretto dello Stato anche la stazione di Torre Annunziata Città. Il 9 aprile 2001 vi fu l'affidamento della stazione a Rete Ferroviaria Italiana. Il 7 giugno 2000 invece si era costituito Trenitalia (già Italiana Trasporti Ferroviari), alla quale fu affidato invece il trasporto dei passeggeri. Il fabbricato viaggiatori della stazione è costituito da due corpi distaccati, entrambi aventi un piano terra ed un primo piano. Originariamente un fabbricato era per il servizio viaggiatori, l'altro per il caricamento e lo stoccaggio delle mercanzie. All'entrata i locali al piano terra erano suddivisi in: Ufficio ricevitore, demolito nel 1920 per ampliare piazza Giovanni Nicotera antistante la stazione; Ufficio dogana, demolito insieme all'Ufficio ricevitore; Sala d'attesa dei viaggiatori; Rimessaggio locomotiva e tender: al centro della stazione era dislocata la piattaforma girevole che permetteva il ricovero delle vetture e della locomotiva Bayard; Magazzino per carbon coke; Deposito dogana; Magazzino con vasca d'acqua; Magazzino mercanzie, dove grazie ad una piattaforma scorrevole era possibile portare al suo interno i vagoni ferroviari per il carico merci; Alloggio macchinista; Uffici del ricevitore, dello spedizioniere e del capostazione. Al primo piano del primo fabbricato c'era l'abitazione dell'Ispettore della stazione, mentre nel secondo fabbricato gli alloggi del personale. Il viadotto, noto come trincerone ferroviario o viadotto borbonico per il fatto di esser stato costruito in epoca borbonica, è una costruzione lunga 800 metri ed alta 10 metri, costituita da 59 arcate.. All'epoca della costruzione della linea ferroviaria, essendo la zona litoranea un susseguirsi ininterrotto di orti, giardini e terreni di diversi privati, si rese necessario dotare ognuno di essi di un passaggio che dalla parte interna portasse verso il mare, in quanto l'intera costruzione avrebbe separato il centro cittadino dal litorale marino. Quindi si decise per la costruzione delle arcate in numero tale da permettere ad ogni proprietario di avere libera circolazione verso l'arenile ed in epoca successiva verso il porto. Costruito con la stessa tecnica dei bastioni militari, la zona centrale del viadotto, priva di aperture, sostiene l'intera stazione. Prima di esso ci sono 37 arcate, di cui le prime 23 sono rinforzate con enormi blocchi di piperno aventi funzione di frangiflutti, in quanto all'epoca della costruzione era la parte a picco sul mare. A valle del viadotto centrale ci sono ulteriori 32 arcate che digradano man mano che ci si allontana dalla stazione. In una delle arcate del viadotto passava anche la foce del canale Conte di Sarno, che si riversava nel Mar Tirreno all'interno del porto di Torre Annunziata. Nel 2017 sono iniziati i lavori di riqualificazione del viadotto e delle arcate da parte di RFI con un piano intitolato Progetto di Restyling Waterfront Oplontino: tutto ciò è stato reso possibile grazie ad uno stanziamento europeo di 3,5 milioni di euro; sono interessati tutta l'area portuale di Torre Annunziata, compresa la dismessa stazione di Torre Annunziata Marittima. Nonostante la sua strategica posizione nel centro della città (è situata in piazza Giovanni Nicotera, dove ha sede lo storico edificio del Comune) e sebbene il traffico pendolare si sia mantenuto sempre su buoni livelli, la stazione, costituita da due binari passanti, a partire dai primi anni 2000 è stata lentamente declassata da Trenitalia a struttura di minore importanza in confronto alla geograficamente periferica stazione di Torre Annunziata Centrale, rendendola poco sfruttata dal traffico ferroviario: effettuavano fermata solo poche corse al giorno in direzione Napoli, Castellammare di Stabia e Salerno. Inoltre da allora non è più dotata di biglietteria presidiata.Alla fine del 2023, nel mese di dicembre, con l'entrata in vigore del nuovo orario invernale di Trenitalia, la stazione ha riassunto una nuova centralità grazie alla decisione di far effettuare fermata a tutti i treni in transito: sul binario 1 è possibile usufruire di treni metropolitani e regionali con capolinea a Castellammare di Stabia e Salerno, mentre sul binario 2 di convogli per Napoli Campi Flegrei e Napoli Centrale. La stazione dispone di: Sottopassaggio La stazione dispone di: Stazione taxi Vincenzo Amorosi, La stazione Bayard di Torre Annunziata, Tricase (LE), Youcanprint, 2017. ISBN 978-88-27817-61-2 1905. La nascita delle Ferrovie dello Stato, a cura di Valerio Castronovo, con saggi di Adriana Castagnoli, Andrea Giuntini e Sara Piccolo, e con una documentazione di Maria Rosaria Ostuni, Milano, Leonardo International, 2005, ISBN 88-88828-37-0. La gestione di Stato delle ferrovie italiane (1905-1955). Monografie, presentazione di Giovanni Di Raimondo, realizzazione della Sezione Documentazione del Servizio Personale ed Affari generali curata da Raffaele Meliarca, Renato Proia e Carlo Chini, Roma, Ferrovie dello Stato, 1956. Torre Annunziata Ferrovia Napoli-Salerno Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su stazione di Torre Annunziata Città Storia e immagini delle stazioni di Torre Annunziata, su stazionidelmondo.it. URL consultato il 13 giugno 2007 (archiviato dall'url originale il 30 marzo 2009).

Canale Conte di Sarno
Canale Conte di Sarno

Il Canale Conte di Sarno, conosciuto anche come Regio Canale, Fosso del Conte, Canale di Sarno ed Acqua della Foce era un corso d'acqua artificiale diramato dalla sorgente del fiume Sarno, fatto costruire dal 1592 fino al 1605 dal Conte di Sarno, Muzio Tuttavilla, per alimentare i propri mulini a Torre Annunziata. Fu progettato dall'architetto Domenico Fontana e partendo dalla sorgente di Sarno, attraversava gli attuali comuni di Palma Campania, Striano, Poggiomarino, Scafati, Boscoreale, Pompei e Torre Annunziata, per una lunghezza di circa 21 Km, sfociando poi nel mar Tirreno. Nel corso dei secoli, oltre che per i mulini, venne sfruttato soprattutto per irrigare i campi delle terre che attraversava. In origine il suo corso si alternava in tratti scoperti e tratti sotterranei, ma nel 1984 l'imbocco fu chiuso e successivamente, negli anni novanta, si pensò di ricoprirlo completamente trasformandolo in una fogna per acque miste.L'opera non è stata mai portata a termine ed è stata oggetto di una complessa vicenda giudiziaria. Ancora oggi (2023) il canale è in stato di totale abbandono diventando un problema ecologico a causa del suo condotto asciutto, senza sbocco e preda di scarichi abusivi di liquami. Nel consiglio regionale della Campania, tenutosi il 27 gennaio 2016, sulla questione "Grande Progetto Fiume Sarno", si è discusso di una sua possibile riqualificazione. Nel 1553 il conte di Sarno, Muzio Tuttavilla, esponente d'una delle più illustri famiglie del Regno di Napoli, acquistò il feudo di Torre Annunziata, dove immaginò di costruirvi dei mulini idraulici, ma non poteva alimentarli sfruttando l'acquedotto di Napoli in quanto verso la fine del XVI secolo, la città era cresciuta a tal punto che il suo condotto idrico non era più sufficiente. L'unica soluzione fu quella di far costruire un canale che avrebbe sfruttato le acque del lontano fiume Sarno. Uno di questi mulini, rappresentato su una mappa del 1651, dal Real Ingegnere e Tavolario Antonio Tangho, si trovava dove una volta c'era il mulino Corsea (suo diretto discendente) che fu distrutto dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale, riconvertito poi in un cine-teatro, il Metropolitan, oggi struttura abbandonata e fatiscente. Le acque del fiume Sarno hanno varie sorgenti provenienti dal monte Sant'Angelo: alcune di queste si riuniscono in un unico punto in località Foce di Sarno; altre invece vanno ad alimentare il fiume lungo vari punti. L'architetto Domenico Fontana, dopo svariati sopralluoghi sul posto progettò, in località Foce di Sarno (a circa 30 m s.l.m), una specie di diga alta 24 palmi (circa 6,35 m). In questo modo il canale sarebbe partito da un dislivello più alto rispetto al fiume Sarno, riuscendo così a portare le sue acque fino a Torre Annunziata. Questo nuovo corso d'acqua fu chiamato Canale del Conte ma spesso, a seconda del contesto storico, identificato con altri nomi quali: Regio Canale, Fosso del Conte, Canale di Sarno, ed Acqua della Foce. L'architetto calcolò che il canale doveva avere una pendenza di almeno 5 palmi (circa 1,32 m) per ogni miglio (circa 1,85 km) e nel caso in cui l'acqua dovesse attraversare condotti aperti, con pareti intonacate, dove sia impossibile la crescita di erba che possa rallentare il suo corso, sarebbe bastata anche una pendenza di 3 palmi (circa 79 cm). Inoltre nel caso in cui ci fosse stata la necessità di incanalare l'acqua in condotte chiuse o sotterranee, affinché questa possa risalire almeno di quanto sia scesa, bisognava creare degli sfiatatoi, uno ogni 10 canne (circa 26,45 m), lungo tutta la condotta. Su ogni sfiatatoio bisognava montare un sistema di chiusura a chiave girevole: nel momento in cui iniziava a fluire l'acqua, gli sfiatatoi restavano aperti solo fin quando l'aria non sarebbe uscita completamente dalla conduttura. La costruzione del canale fu molto complessa se solo si pensa che bisognava attraversare gli attuali comuni di Sarno, Palma Campania, Striano, Poggiomarino, Scafati, Boscoreale, Pompei e Torre Annunziata per una lunghezza di circa 21 Km. Gli studiosi ipotizzano che l'architetto Fontana abbia sfruttato un antico percorso del fiume Sarno che in seguito all'eruzione del Vesuvio del 79 d.C., la lava, modificando l'orografia della valle, spostò più a sud. Nonostante tutti questi accorgimenti, il Fontana non diresse i lavori e di conseguenza i tempi di realizzazione si dilungarono perché il suo progetto non fu messo in pratica correttamente e fu scelto un percorso diverso privo della pendenza adatta, tanto che l'acqua fluiva al contrario. Solo quando fu seguito il percorso progettato dall'architetto l'acqua — "per la strada buona già da me disegnata" — fluì verso Torre Annunziata con la velocità adatta ad azionare i mulini. La realizzazione del canale influì molto sullo sviluppo demografico dei paesi che attraversava con la nascita di nuovi centri abitativi come il caso della località Cangiani, attuale frazione di Boscoreale, e in particolare Taverna Penta, all'epoca borgo di Striano e successivamente divenuto Comune di Poggiomarino. In quest'ultimo caso gli operai, impegnati nella costruzione, dovettero stabilirsi nei luoghi creando delle abitazioni precarie che divennero via via più stabili, soprattutto quando, durante l'eruzione del 1631, le popolazioni vesuviane furono costrette a trasferirsi in un territorio più sicuro, contribuendo così alla crescita demografica del nuovo villaggio. Il corso d'acqua fu sfruttato dalle nuove popolazioni soprattutto per irrigare i campi delle terre che attraversava, infatti vennero costruite tre tipi differenti di "bocche d' irrigamento". In tutta la lunghezza del canale, se ne contavano 51, la cui indicazione progressiva era contrassegnata da numeri arabi, cominciando in ordine crescente da Torre Annunziata, fino alla sorgente ubicata nella località di Foce di Sarno. Le bocche di irrigamento ben presto vennero utilizzate per individuare e denominare i luoghi dove erano ubicate. Infatti, seppur oggi (2017) la maggior parte di esse sono state abbattute, ci sono delle contrade chiamate ancora con il numero indicativo della bocca di irrigamento, come la contrada Trentuno e la località Ventotto di Scafati. All'epoca della sua grande opera, Muzio Tuttavilla fu ostacolato dal Conte di Celano, D. Alfonso Piccolomini d'Aragona e dal Vescovo di Sarno, D. Antonio D'Aquino. Il primo perché il canale avrebbe impoverito le acque del fiume Sarno e di conseguenza i suoi mulini di Bottaro avrebbero subito un danno. Il Vescovo invece pensava di essere il padrone della sorgente di quelle acque perché provenienti dal monte Sant'Angelo. Nel 1554, con una sentenza della corte di Roma, le acque furono giudicate di proprietà del Vescovo, ma pochi anni dopo, per decreto del Collaterale di Napoli vinse la causa sia col Conte che col Vescovo. Nonostante ciò, per cautela, pensò di corrispondere un compenso annuo di 750 ducati al solo Vescovo. Non avendo più nulla da temere, riuscì a portare al termine la sua opera soltanto nel 1605 indebitandosi fortemente. Dopo mezzo secolo circa, i mulini entrarono a far parte del demanio reale così nel 1652 si pensò di aggiungere una Real Polveriera. Successivamente nel 1757 furono aggiunte una Regia Ferriera ed una Fabbrica d’armi che furono a lungo attivi contemporaneamente. Durante la catastrofica eruzione del Vesuvio avvenuta nel 1906, due muli del Conte furo distrutti da lave di fango, mentre alcuni tratti dell alveo del canale Sarno, restarono per molto tempo interrati. Nel corso dei secoli, oltre che per i mulini, il canale venne sfruttato soprattutto per irrigare i campi delle terre che attraversava. Nel 1901, tra Poggiomarino, Boscoreale e Torre Annunziata, le sue acque irrigavano circa 593 ettari di terreno. Tuttavia, molti proprietari terrieri e coloni, preferivano utilizzare i pozzi sorgivi, a causa dell'alto prezzo dell'acqua e anche perché spesso si verificavano ritardi nella distribuzione dell'acqua, tali da compromettere il raccolto. Il Canale fu amministrato dall'Orfanotrofio Militare di Napoli dal 1820 fino al 1979 e dal 1980 ad oggi è sotto la gestione della Regione Campania. Durante la costruzione del canale, tra le varie difficoltà tecniche dovute principalmente alla pendenza, ci fu quella di superare lo "sperone di lava" dell'attuale Pompei scavando una galleria di 1764 metri. Durante tale scavo furono rinvenuti monete e resti di edifici. Tale tratto sotterraneo segue il seguente tragitto: entra da oriente, presso la Porta del Sarno, passa a nord dell'anfiteatro ed accanto al Tempio d’Iside; passa poi per l’edificio d'Eumacchia, il Foro, il tempio di Apollo, e poi fuoriesce presso la strada dei Sepolcri. Anche se ci sono dei dubbi sul percorso dell'ultimo tratto di Pompei, resta comunque il mistero di perché ci fu molto silenzio sul ritrovamento dell'antica città sepolta. Ciò potrebbe essere spiegato dal fatto che il Fontana seguì il percorso di un acquedotto osco preesistente e pertanto i ritrovamenti furono rari. Inoltre in quel periodo il Fontana era appena fuggito da Roma, dove era stato architetto pontificio, perché Papa Clemente VIII lo aveva accusato di aver sperperato e truffato nella gestione dei lavori a lui commissionati. All'epoca il Santo Ufficio considerava "città maledette" e colpite da Dio, quelle distrutte in similitudine delle bibliche Sodoma e Gomorra, pertanto l'architetto Fontana non si sarebbe mai vantato di aver scoperto una “città maledetta” sepolta per irreligiosità dal fuoco del Vesuvio, attirando ancor più l’attenzione pontificia su di lui. I problemi seri del Canale Conte di Sarno iniziarono quando nella prima metà degli anni ottanta, vista l'aumentata richiesta d'acqua potabile, l'acquedotto campano, iniziò ad interrompere progressivamente, l'afflusso d'acqua nell'imbocco del canale, fino a chiuderlo completamente nel 1984. Tale decisione fu fatale in quanto, se prima l'acqua corrente riusciva a sopportare gli scarichi abusivi (addirittura scarichi fecali) sfociando nel mare, dal quel momento in poi l'alveo divenne una vera e propria fogna a cielo aperto. Oltre a tutto questo, durante le piogge torrenziali, la situazione peggiorava enormemente, in quanto la pioggia faceva riversare il contenuto inquinato della vasca Pianillo e vasca Fornillo (originariamente due vasche di raccoglimento di acque meteorologiche costruite in periodo borbonico) nel letto asciutto del Canale Conte di Sarno, nel tratto che attraversava Poggiomarino. Nel 1982 iniziarono varie proteste della popolazione, soprattutto per quanto riguarda la località Cangiani di Boscoreale e la località Trentuno di Scafati perché l'odore nauseabondo del canale provocava malattie viscerali e della pelle, oltre al proliferare di grosse colonie di insetti. La situazione precipitò quando nel settembre del 1983 gli abitanti di Cangiani sbarrano il corso d'acqua con una colata di cemento, proprio sotto il ponte della ferrovia della Circumvesuviana. Di conseguenza, a Poggiomarino, fu subito convocato un consiglio comunale d'urgenza perché c'era un pericolo di smottamento del ponte ferroviario e possibili allagamenti del centro abitato con conseguenze di malattie. Intanto il Pretore ordinò di abbattere la colata di cemento. Con delibera n 75/83 il sindaco di Poggiomarino ordinò a tutti i cittadini di chiudere tutti gli scarichi abusivi (la maggior parte scarichi fecali) che però non viene accolta né tantomeno furono presi provvedimenti. Intanto dopo l'abbattimento del muro di cemento, aumentano le tensioni fra il comune di Poggiomarino e quello di Boscoreale. Nell'estate del 1984, la Regione Campania approva un disegno di legge per la costituzione del "Consorzio Canale Conte di Sarno" per garantire un razionale utilizzo del Canale. Il tecnici del consorzio propongono un radicale intervento di pulizia del alveo e su come intervenire. Inoltre con urgenza bisognava impedire lo scarico delle acque luride da parte dei cittadini. Tutti buoni propositi che non vennero mai attuati. Un anno dopo nell'estate del 1985 la situazione precipita di nuovo a Cangiani: puzza insopportabile; colonie di insetti; malattie; bambini all'ospedale; scuole chiuse. Di conseguenza la popolazione sbarra di nuovo il canale con una nuova colata di cemento. A questo punto il comune di Boscoreale denuncia alla magistratura tutti gli organi responsabili: Regione Campania; il Consorzio Canale Conte di Sarno; e i Sindaci di Poggiomarino che nel frattempo si erano succeduti. Oggi (2017) dopo una complessa vicenda giudiziaria, il canale giace in stato di totale abbandono. Il suo condotto senza sbocco è preda di scarichi abusivi di liquami e durante la pioggia torrenziale, viene inondatato dall'acqua inquinata proveniente dall'esondazione delle due vasche di raccoglimento di Fornillo e Pianillo. Tutto ciò rappresenta un serio problema ecologico come lo è sempre stato da almeno trent'anni. Nella seconda metà degli anni Ottanta, la Regione decise di utilizzare parte dei fondi stanziati per la ricostruzione delle zone colpite dal sisma del novembre 1980 e del febbraio 1981 (legge 219/81). Il programma straordinario di edilizia prevedeva la costruzione di 20.000 alloggi con relative opere di urbanizzazione. Quindi si decise di aumentare la portata di acqua del canale realizzando un enorme scatolare in cemento armato (4 x 4 m) destinato a raccogliere sia le acque bianche che quelle nere. La cementificazione doveva interessare tutto il tragitto del vecchio alveo (circa 21 km), partendo dalla località Foce di Sarno fino a Torre Annunziata, bypassando l'area archeologica di Pompei in un tratto di galleria. Dopo una convenzione con il commissario straordinario di governo, presidente della Regione Campania, l'appalto fu affidato ad un raggruppamento provvisorio di imprese formato dal capogruppo mandatario “Consorzio Cooperative Costruzioni” (CCC) di Bologna e dal “Consorzio Cooperative di Produzione e Lavoro" (COONSCOOP) di Forlì, che già stava realizzando 653 alloggi popolari a Boscoreale. Il progetto iniziò ad ampliarsi e da un primo stanziamento di circa 15 miliardi di lire si arrivò prima a 89 miliardi, poi a 109 miliardi, quindi a 350 miliardi. L'ultimo progetto approvato (1706/91) prevedeva una spesa di 501 miliardi. I lavori di rifacimento del Canale del Conte avrebbero dovuto essere affidate, tramite ricorso, ad una nuova procedura di affidamento, perché si riferivano ad opere di edilizia diverse da quelle della ricostruzione straordinaria delle zone colpite dal sisma, pertanto la Magistratura si allertò iniziando le sue indagini. Intanto in Italia scoppia il caso tangentopoli con una serie di inchieste che rivelarono un sistema fraudolento che coinvolgeva la politica e l'imprenditoria. Alcune ditte interessate alla realizzazione dell'opera erano già implicate in questo “scandalo”. Il pentito Pasquale Galasso dichiarò, alla Commissione Antimafia, che per la realizzazione dell'opera di cementificazione del canale, furono pagate tangenti alla camorra. L'impresa fornitrice di calcestruzzo, a fronte della fornitura di "calcestruzzo a scarico", faceva risultare dalle fatture che si trattasse di "calcestruzzo pompato", notevolmente più caro. Alla fine dopo la spesa di 501 miliardi di lire, l'opera non fu comunque completata e giace abbandonata dagli anni novanta, anche perché emerse il problema del passaggio in galleria sotto gli scavi di Pompei. La Soprintendenza si oppose ad un'opera che avrebbe messo a rischio un patrimonio storico di oltre 2000 anni. Collezione delle leggi e de' decreti reali del Regno delle Due Sicilie, Semestre I, Napoli, Real Tipografia del Ministero di Stato degli affari interni, 1821. Lettera C (2354-3521) (PDF), in Nuova Biblioteca Pompeiana, Arbor Sapientiae Editore, 2012. Manifatture in Campania: dalla produzione artigiana alla grande industria, Firenze, Giunti Editore, 1983, ISBN 88-7042-237-2. Rendiconti del parlamento italiano. Sessione del 1867, 1. della 10. legislatura: Discussioni della Camera dei deputati, dal 7 giugno al 16 luglio 1867, Volume 2, p. 1343. Eduardo Ambrosio, Il fiume Sarno: storia geografia attualità, Parte II, 2006. Angeloandrea Casale e Antonio D'Errico, Via Canale Sarno, Via Muzio Tuttavilla e Via Domenico Fontana ('o canale d' 'o Conte - 'o sciummo 'e Zappella) (PDF), in L'informa Comune, n. 2, Boscoreale, Centro studi Archelogici di Boscoreale, Boscotrecase e Trecase, settembre 2006. 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Fiume Sarno Poggiomarino Storia degli scavi archeologici di Pompei Acque meteoriche Acque reflue Terremoto dell'Irpinia del 1980 Cooperative rosse Pasquale Galasso Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Canale Conte di Sarno Michele D'Avino, Qual è la verità sui lavori che riguardano il Canale Conte di Sarno?, in Il Graffio, n. 11, luglio-agosto 1988. Giovanni Conza, La guerra del canale, in Il Graffio n. 27, gennaio-febbraio 1991.

Scavi archeologici di Oplonti
Scavi archeologici di Oplonti

Per scavi archeologici di Oplonti si intende una serie di ritrovamenti archeologici appartenenti alla zona suburbana pompeiana di Oplontis, seppellita insieme a Pompei, Ercolano e Stabiae dopo l'eruzione del Vesuvio del 79: oggi l'area archeologica è situata nel centro della moderna città di Torre Annunziata e comprende una villa d'otium chiamata «di Poppea» e una villa rustica detta «B» o «di Lucius Crassius Tertius». Le prime campagne di scavi nell'area oplontina furono effettuate prima nel '700 e poi durante la seconda metà del XIX secolo, anche se i primi scavi sistematici si sono svolti dal 1964 riportando alla luce la Villa di Poppea. Nel 1974 è stata rinvenuta la Villa di Lucius Crassius Tertius: le esplorazioni delle due strutture sono tuttavia incomplete. Dal 1997 l'area archeologica di Torre Annunziata, insieme a quella di Pompei e di Ercolano è stata inserita nella lista dei patrimoni dell'umanità dell'UNESCO. Nel 2023 gli scavi hanno fatto registrare 50 957 visitatori. I primi scavi per il recupero dell'area dove sorgeva l'antica Oplontis, un insediamento suburbano della vicina Pompei, con diverse attività commerciali e ville d'otium, seppellita durante l'eruzione del Vesuvio del 79, furono condotti per la prima volta durante il '700 da Francesco La Vega, il quale scavando un cunicolo nei pressi del canale Conte di Sarno riportò alla luce parte di una costruzione che venne denominata Villa A, in seguito Villa di Poppea: gli scavi vennero ben presto abbandonati per l'aria malsana che si respirava nella zona. Nel 1839 vennero effettuati altri scavi che riportarono alla luce il peristilio del quartiere servile della Villa A, oltre ad una fontana: per mancanza di fondi l'opera di scavo venne sospesa nel 1840 anche se, riconosciuta l'importanza del sito, i resti rinvenuti vennero acquistati dallo Stato. Una campagna di scavi ordinata venne nuovamente iniziata nel 1964, sempre nel sito della Villa di Poppea, dove furono alzate le mura e i tetti e furono restaurati pavimenti e mosaici. Durante i lavori per lo scavo delle fondamenta di una scuola, nel 1974, a circa 250 metri dalla Villa venne alla luce un nuovo edificio su due livelli con un peristilio centrale: si tratta di una villa rustica a cui fu dato il nome di villa di Lucio Crasso Tertius o Villa B. Nei pressi di questa villa fu inoltre ritrovato un tratto di strada e diverse altre piccole costruzioni. Nel 1997 gli scavi sono stati dichiarati patrimonio dell'umanità dall'UNESCO. La villa di Poppea, in un primo momento denominata «villa A», è stata scavata per la prima volta nel '700 con alterne fortune, mentre un recupero più ampio e sistematico si è avuto solo a partire dal 1968: si tratta di una villa d'otium dove comunque non mancavano sale dedicate alla produzione del vino e dell'olio. La villa, risalente al I secolo a.C. ed ampliata nel corso dell'età claudia, viene attribuita a Poppea Sabina per l'iscrizione dipinta su un'anfora, indirizzata ad un liberto della moglie di Nerone; al momento dell'eruzione del Vesuvio la villa era disabitata, forse in fase di restauro a causa del terremoto di Pompei del 62 e tutti gli oggetti sono stati ritrovati accantonati in alcune stanze. Ad oggi la costruzione non è ancora interamente scavata: l'area riportata alla luce corrisponde alla zona orientale, mentre l'ingresso principale e la zona occidentale sono ancora da recuperare ostacolati anche dalla presenza di una strada moderna ed un edificio militare. La pianta della villa è molto complessa e ancora oggi non redatta con certezza in quanto non esplorata totalmente e viene convenzionalmente divisa in quattro parti: le zone nord, sud, ovest e est. Nella parte nord è presente un ampio giardino nel quale sono state rinvenute diverse sculture in marmo ed è stato possibile ricostruire i calchi delle radici di grandi alberi, ossia degli ulivi, anche se fino a poco tempo fa si credeva potessero essere o dei melograni o degli oleandri. Nella zona sud invece si trova un altro giardino circondato da un colonnato su tre lati: sono stati oggi piantati alberi di alloro, che si pensa fossero anche presenti al momento dell'eruzione. Nella parte ovest è presente l'atrio con un compluvium che raccoglieva l'acqua piovana nell'impluvium: le decorazioni della sala sono in secondo stile ed è molto utilizzata la tecnica del trompe l'oeil per raffigurare ambientazioni architettoniche e colonnati. La cucina presenta un banco in muratura con un ripiano sovrastante adibito a piano cottura, mentre nella parte sottostante piccoli vani con forma a semicerchio probabilmente contenevano legna da ardere; una vasca era probabilmente utilizzata per lo scarico di liquidi. Il triclinium, nella zona in cui si trovava probabilmente la mensa, è adornato con un mosaico con figure romboidali mentre nel resto della sala si riscontrano affreschi in secondo stile raffiguranti colonne dorate decorate con rampicanti: tra le decorazioni, una graziosa natura morta rappresentante un cestino con fichi. Seguono due saloni: uno aperto verso il mare con un'unica parete affrescata con rappresentazioni di un santuario di Apollo, pavoni e maschere teatrali, mentre nel secondo salone, più grande, sono rappresentati un cestino di frutta coperto da un velo semitrasparente, una coppa di vetro contenente melograni, una torta poggiata su un supporto e una maschera teatrale. La villa era dotata anche di un quartiere termale: il calidarium ha pareti affrescate in terzo stile, dove l'opera principale è il mito di Ercole nel giardino delle Esperidi; gli affreschi del tepidarium sono a fondo nero o rosso scuro, secondo quanto indicato dal quarto stile pompeiano. Nella zona ovest è inoltre presente un cubicolo dove è stato possibile ottenere i calchi della porta in legno e della finestra ed un piccolo peristilio le cui pareti sono decorate con fasce grigie e nere e dove è presente il larario decorato in quarto stile e con la trave di sostegno originale posta sopra la nicchia seppur carbonizzata. Nella parte est della villa sono presenti due sale poste in modo speculare una all'altra: nella prima non ci sono dipinti ma solo una zoccolatura in marmo ed una pavimentazione incompleta con alcune piastrelle in marmo, segno che la villa era in ristrutturazione; la seconda sala presenta decorazioni in quarto stile. Segue una sala priva di affreschi con le pareti in bianco, rosso, giallo e nero riservata agli ospiti, un piccolo viridario con decorazioni in secondo stile raffiguranti piante, fontane ed uccelli e due saloni speculari: il primo che presenta una nicchia semicircolare nella quale era alloggiata una scultura mentre il secondo è identico al precedente con la presenza di marmi alle pareti. Nella villa è infine presente una grande piscina di 61 metri di lunghezza e 17 di larghezza, pavimentata in cocciopesto e risultava adornata ai bordi con statue di marmo, copie di epoca romana di originali greci: attorno sorgeva un prato con platani, oleandri e limoni. La villa di Lucius Crassius Tertius risale al II secolo a.C. e deve il suo nome ad un sigillo in bronzo rinvenuto nell'area della costruzione, che reca proprio questo nome: scoperta nel 1974 a seguito dei lavori di costruzione di una scuola, si ritiene che sia una villa rustica, sia per il tipo di struttura sia per i reperti ritrovati. Lo scavo della villa non è ancora terminato e non è visitabile. La villa si sviluppa intorno ad un peristilio costituito da un porticato con due ordini di colonne doriche in tufo grigio: intorno al peristilio si aprono delle stanze adibite a magazzini, dove al loro interno sono state ritrovate suppellettili, pelli, ceramica, paglia carbonizzata ed una grande quantità di melograni utilizzati per la concia delle pelli. Inoltre è stato rinvenuto anche un fornello in pietra con una pentola contenente resine di conifere, utilizzata per la manutenzione delle anfore: infatti circa 400 anfore si trovavano nella villa al momento dello scavo e con molto probabilità venivano utilizzate per la lavorazione dei prodotti agricoli e il trasporto del vino. La villa era abitata al momento dell'eruzione; infatti nelle stanze adiacenti, caratterizzate da soffitto a volta, sono stati trovati i corpi di 54 individui e nelle loro vicinanze anche gioielli e monete, sia in oro che in argento, i cosiddetti Ori di Oplontis. Il piano superiore della villa invece era invece la zona residenziale della domus: gli ambienti sono decorati sia in quarto stile pompeiano sia in secondo con la tecnica schematizzata, risalente all'età repubblicana. Dal piano superiore proviene anche una scatoletta in legno contenente gioielli in oro ed argento, 170 monete, unguentari, stecche in osso e diversi monili: tra i gioielli si riconoscono orecchini di tipo a spicchio di sfera, a canestro con quarzi incastonati oppure pendenti con perle, collane molto lunghe con grani in oro e smeraldo, bracciali di tipo tubolare decorati con gemme e smeraldi ed anelli con gemme lisce o incise con figure di animali o divinità. A nord della villa sono presenti alcuni edifici a due piani: si tratta probabilmente di soluzioni indipendenti dalla villa, che si affacciano direttamente sulla strada. Con molta probabilità queste costruzioni venivano usate come botteghe con abitazione al piano superiore. Imponente villa, scoperta durante lo scavo della trincea per la costruzione della strada ferrata in prosecuzione da Portici verso Torre Annunziata, è quella di Caio Siculi. Fu riseppellita e troncata in due per detta strada ferrata e i reperti rinvenuti furono trasportati al Museo archeologico nazionale di Napoli. Noto l'affresco raffigurante il mito di Narciso ed Eco con lo sfondo del monte Parnaso. Le Terme del console Marco Crasso Frugi risalgono al 64 e i ruderi sono visibili lungo la via litoranea Marconi e all'interno delle attuali Terme Vesuviane, complesso termale fondato dal generale Vito Nunziante nel 1831 sul luogo delle antiche terme. Lorenzo Fergola e Mario Pagano, Oplontis - Le splendide ville romane di Torre Annunziata, Reggio Emilia, T&M 1998. ISBN 88-87150-02-8 Oplontis Torre Annunziata Cassata di Oplontis Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su scavi archeologici di Oplonti Sopraintendenza Archeologica di Pompei - Scheda su Oplontis e i suoi scavi, su pompeiisites.org. URL consultato il 28 ottobre 2009 (archiviato dall'url originale il 4 marzo 2016). Sito dei Beni Culturali - Villa di Poppea/Oplontis, su cir.campania.beniculturali.it. URL consultato il 3 novembre 2012 (archiviato dall'url originale il 17 novembre 2012).