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Palazzo Crivelli

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Portico cortile interno ponte
Portico cortile interno ponte

Palazzo Crivelli è un palazzo storico di Milano situato in via Pontaccio n. 12. La costruzione del palazzo risale alla fine del XVII e l'inizio del XVIII secolo, cioè tra quando don Flaminio Crivelli comprò un'area occupata rispettivamente da proprietà e palazzi delle famiglie Majno e Minola e quando ottenne nel 1705 l'autorizzazione a costruire il monumentale palazzo "invadendo" la strada, ovvero ad occupare col palazzo una porzione di strada. L'edificio superstite attuale era un tempo esteso per circa il doppio dell'attuale superficie, mentre il resto dell'isolato compreso tra le odierne via Solferino e via San Simpliciano era occupato da giardini e altre proprietà della famiglia. Il palazzo, impostato su due piani, presenta un portale con arco leggermente strombato, racchiuso tra lesene, architravato sormontato da mensole a doppia voluta a reggere un balcone in ferro battuto "rigonfio"; per il resto la decorazione del fronte è piuttosto scarna, specie per un palazzo dell'epoca, con finestre circondate da semplici cornici in stucco. Il cortile interno si presenta porticato su due lati con colonne di ordine tuscanico, mentre tra i migliori conservati a Milano è lo scalone d'onore a doppia tenaglia in pietra con parapetti riccamente scolpiti e inframezzati da pilastrini che reggono vasi. Notevole è la decorazione a fresco delle stanze padronali, fortunatamente scampata al devastante incendio che colpì il palazzo nel 1943. Paolo Mezzanotte, Giacomo Bascapè, Milano nell'arte e nella storia, Milano, Bestetti, 1968, ISBN non esistente. Ville e palazzi di Milano Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Palazzo Crivelli

Estratto dall'articolo di Wikipedia Palazzo Crivelli (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

Palazzo Crivelli
Via dei Cavalieri del Santo Sepolcro, Milano Brera

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Portico cortile interno ponte
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Basilica di San Simpliciano
Basilica di San Simpliciano

La Basilica di San Simpliciano (il cui nome originario paleocristiano è basilica virginum) si trova a Milano e sorge in piazza San Simpliciano, su un lato di corso Garibaldi. La costruzione della chiesa viene tradizionalmente attribuita al vescovo di Milano Sant'Ambrogio che nel IV secolo d.C. la eresse fuori dalla Porta Cumensis su una delle sei vaste aree cimiteriali esistenti in epoca romana. È una delle basiliche paleocristiane di Milano. Insieme alla basilica prophetarum, alla basilica martyrum ed alla basilica apostolorum, la basilica virginum è annoverata tra le quattro basiliche ambrosiane, ovvero imposte e fatte realizzare, come già accennato, da Sant'Ambrogio. Successivamente dedicata a san Simpliciano, venne edificata in epoca romana tardoimperiale nel periodo in cui la città romana di Mediolanum (la moderna Milano) era capitale dell'Impero romano d'Occidente (ruolo che ricoprì dal 286 al 402). Attorno alla basilica fu costruito nel IX secolo un monastero benedettino, di cui sopravvive il chiostro grande di San Simpliciano. Modifiche alla struttura furono apportate tra l'XI ed il XIII secolo; furono costruite le attuali volte e la cupola, in sostituzione dell'originaria copertura a capriate lignee. Furono tamponati i grandi finestroni di epoca romana per rafforzare la struttura. Fu riedificata l'abside, con dimensioni ridotte. L'interno dell'attuale chiesa sembra quindi possedere le linee di una costruzione romanica. Nel 1176 la basilica divenne famosa per la vittoria milanese nella Battaglia di Legnano combattuta tra l'esercito imperiale di Federico Barbarossa e le truppe della Lega Lombarda il 29 maggio 1176, perché secondo la tradizione, i tre martiri, che difendevano la cristianità romana in ambienti tipicamente germanici, vennero identificati in forma di colombe, le quali si posarono su un "sacro altare-carro", trainato da buoi, portante la santa croce della cristianità che si chiamava Carroccio e annunciava con la preghiera la vittoria in battaglia. Alla fine del Quattrocento, grazie al consistente lascito dell'abate commendatario Gian Alimento Negri, fu costruito il chiostro quattrocentesco e affrescato il catino absidale con la celebre Incoronazione della Vergine, capolavoro rinascimentale di Ambrogio Bergognone. Fra il 1838 e il 1841 su iniziativa del parroco per via di un generale deperimento dell'edificio, la chiesa fu sottoposta a pesanti interventi in stile neoclassico e neo-gotico dell'architetto Giulio Aluisetti. Dell'antica Basilica paleocristiana sono giunti solo a noi solo i resti di un sacello situato a nord dell'abside che oggi si trova in corrispondenza della moderna sacrestia. Con sant'Ambrogio iniziò un programma di costruzione di Basiliche dedicate alle varie categorie di Santi: una basilica dedicata ai profeti (la basilica prophetarum, in seguito ridenominata basilica di San Dionigi), una agli apostoli (la basilica apostolorum, che poi prese il nome di basilica di San Nazaro in Brolo), una ai martiri (la basilica martyrum, che divenne in seguito la basilica di Sant'Ambrogio), una dedicata alle vergini (la basilica virginum, ridenominata poi basilica di San Simpliciano). Erano infatti dedicate ciascuna ad una diversa famiglia di santi, dato che non esisteva ancora l'usanza di intitolare le chiese a un solo santo. Queste quattro basiliche sono conosciute con il nome di "basiliche ambrosiane". La Basilica di San Simpliciano sorse nel IV secolo sulla lunga arteria che, attraverso la Porta Comasina romana, si irradiava dalla città romana di Mediolanum (la moderna Milano) a Nord verso Como (Novum Comum) e poi, attraverso le valli del passo del San Bernardino e del passo del Settimo, conduceva in Germania. Venne quindi costruita in epoca romana tardoimperiale nel periodo in cui Mediolanum era capitale dell'Impero romano d'Occidente (ruolo che ricoprì dal 286 al 402). Nei pressi della Porta Comasina romana era presente sul luogo dell'attuale chiesa un precedente cimitero pagano documentato da are votive rinvenute in loco e pubblicate da Giovanni Labus nel 1841-1842; su quell'area cemeteriale la tradizione vuole che sant'Ambrogio abbia costruito la basilica Virginum, una delle quattro erette dal santo lungo le vie principali di uscita dalla città; la basilica era intitolata a Maria Vergine e tutte le Sante "Vergini". La questione dell'origine della basilica rimane, però ancora oggi, irrisolta: non viene infatti citata né nell'epistolario di Ambrogio né nella cronaca della vita del santo lasciata dal suo biografo diacono Paolino. Neppure Agostino, di cui Simpliciano fu precettore nella Fede e che ci ha tramandato molte indicazioni anche sulla vita di Ambrogio, ha lasciato testimonianze sull'erezione della Basilica. Alcuni studiosi negano che la basilica sia stata "voluta da Ambrogio" e preferiscono, invece, l'ipotesi che la sua erezione sia stata voluta e cominciata da Simpliciano, che qui abitava in vita ritirata e poi fu sepolto alla morte. Altri invece (si confronti Baroni, 1934) propendono per individuare nella basilica una delle quattro, costruite da Ambrogio, intorno a Milano come a creare una sorta di cerchio sacro a protezione della città. Non ci sono quindi notizie certe su come l'originario luogo di sepoltura di Simpliciano nel cimitero di Porta Comasina si sia poi mutato in Basilica, ma vi sono ipotesi e congetture diverse, ognuna suffragata da indizi e ricerche, che furono studiate e raccolte nei secoli. Vi è, invece, certezza, attraverso studi compiuti nel 1944 dallo storico dell'arte Wart Arslan, che la basilica si sia ampliata in epoca romanica sulla struttura di un edificio precedente, poi inglobato nelle strutture successive: le alte esili pareti originarie, costituite da una successione di arcate e aperte da ampie finestre, oggi tamponate, rendono infatti San Simpliciano affine alla basilica palatina di Treviri in Germania, e suggeriscono una datazione all'epoca costantiniana. Si può quindi concludere che la basilica abbia avuto una prima erezione nel IV secolo e che sia poi stata ampliata nella struttura da anonimi architetti di epoca romanica. A supporto di questa teoria c'è il ritrovamento di alcuni "tegoloni in terracotta" recanti il sigillo di Agilulfo (Agilulfus Rex), Re dei Longobardi e d'Italia datati tra il 591 e il 616 d.C. che furono rinvenuti in alcuni "muri" e nella "copertura della volta dell'abside", durante i restauri del 1841. Nel 1893 venne rinvenuto un altro tegolone mentre provvedevano ad isolare l'affresco di Bergognone; i rinvenimenti sarebbero, quindi, la prova che in epoca longobarda la chiesa fu oggetto di riparazioni eseguite tra il 590 e il 615 su un edificio, già esistente dopo le devastazioni e invasioni dei goti, inflitte durante l'assedio di Milano del 538-539. Alla morte di Ambrogio avvenuta nel 397 d.C. gli successe nella carica di vescovo il briviese Simpliciano (circa 320-401 d.C.) che depose nella basilica i corpi dei 3 martiri Martirio, Sisinnio ed Alessandro e poi a sua volta sepolti. I tre martiri erano chierici, originari della Cappadocia attuale Turchia, inviati da Ambrogio per evangelizzare l'attuale regione trentina, l'Anaunia (odierna Val di Non in Trentino Alto Adige), dove però furono uccisi dai pagani il 29 Maggio dell'anno 397. Il vescovo Vigilio di Trento si fece propagatore del loro culto e le loro reliquie vennero inviate al nuovo vescovo di Milano. Morto poi Ambrogio e Simpliciano suo successore, la Basilica, intitolata alla Santissima Vergine Maria e alle altre Sante Vergini, vide per devozione popolare modificato il titolo in "San Simpliciano", attuale chiesa milanese. La chiesa fu restaurata nel VII secolo, quando avvenne la divisione dello spazio interno in tre navate. Tra la facciata, le pareti esterne e il transetto venne realizzato un basso peribolo con finestre, destinato a ospitare quei penitenti che volevano partecipare alle funzioni religiose pur essendone esclusi. Nel IX secolo la basilica fu presa in possesso dai monaci benedettini cluniacensi, che fondarono l'attiguo monastero urbano. Nel 1176 la chiesa divenne famosa per la vittoria nella battaglia di Legnano, perché racconta la tradizione che i tre martiri, in forma di colombe, si fossero posati sul Carroccio annunciando la vittoria. Tra l'XI ed il XIII secolo furono apportate modifiche alla struttura, che al tempo si presentava come un edificio ad aula rettangolare, dotata di presbiterio aperto da due vani. Nello specifico, furono costruite le attuali volte e campate, nonché la cupola (dotata di tiburio), in sostituzione dell'originaria copertura a capriate lignee; furono tamponati i grandi finestroni di epoca romana per rafforzare la struttura; fu riedificata l'abside, con dimensioni ridotte. L'interno dell'attuale chiesa pertanto appare oggi definito in grandi linee dalla costruzione romanica. Al XII secolo risalgono invece gli interventi che, esternamente, interessarono il campanile e facciata a capanna. Alla fine del Quattrocento, grazie al consistente lascito dell'abate commendatario Gian Alimento Negri, fu costruito il chiostro quattrocentesco e affrescato il catino absidale con la celebre Incoronazione della Vergine, capolavoro rinascimentale di Ambrogio Bergognone. Nel 1517 la chiesa e il monastero passarono su disposizione di Leone X ai benedettini cassinesi che vi eressero nello stesso anno il convento; restarono sino al 1798, anno in cui il monastero, colpito dalle secolarizzazioni napoleoniche, fu trasformato in caserma. Nel XVI secolo il campanile fu fatto abbassare di circa 25 metri dal Governatore di Milano don Ferrante I Gonzaga, come la gran parte di quelli che sorgevano nelle vicinanze del castello sforzesco, affinché dall'esterno delle mura non fosse possibile vederne l'interno. La cupola ed i bracci laterali vennero modificati nel 1582. Fra il 1838 e il 1841 su iniziativa del parroco per via di un generale deperimento dell'edificio, la chiesa fu sottoposta a pesanti interventi in stile neo-classico e neo-gotico dell'architetto Giulio Aluisetti («sciagurato rinnovamento» lo definisce l'Arlsan nel 1947): l'architetto, già noto per lunghe vicende legate alla progettazione del Cimitero Monumentale di Milano, eresse nel 1839 l'attuale altare maggiore in dimensioni consistentemente superiori al precedente, tanto da oscurare l'affresco absidale di Bergognone; anche con l'intento di cancellare le aggiunte operate nel 1582 rimosse gli intonaci e i capitelli originali, intonacò pareti e volte con vivaci decorazioni neoromaniche e infine demolì quattro piloni romanici. La cupola venne adornata di affreschi del pittore Giovan Battista Zali e furono riposizionati gli organi musicali. Il rinnovamento fu oggetto di aspre critiche già durante i lavori anche per via del costo complessivo delle opere. In definitiva il restauro, secondo la critica moderna, falsificò del tutto l'aspetto della parte romanica della Basilica. La facciata della Basilica, che mantiene ancora gran parte dell'impianto originale, fu ricostruita nel 1870-1871 dall'architetto Maciachini (1818-1899), autore di molti interventi simili su Chiese milanesi; nel 1932 alle finestre della facciata furono apposte otto vetrate realizzate da Carlo Forni su cartoni di Aldo Carpi, raffiguranti episodi della vita di San Benedetto. Dopo la seconda guerra mondiale la chiesa venne liberata dalle "sovrapposizioni ottocentesche", dando origine ad un restauro conservativo. Gli ultimi imponenti lavori di revisione, che hanno riportato alla luce parte delle strutture paleocristiane e reso alla chiesa i caratteri romanici, sono infine terminati nell'anno 2004. Nel Giugno dell'anno 1517, i monaci benedettini della congregazione cassinese avevano preso possesso del monastero e della basilica della quale ne ampliarono il coro, per cui si rese necessario lo spostamento dell'altare maggiore che si trovava addossato alla parete della nicchia del coro. Durante lo spostamento, i frati rinvennero le casse contenenti le reliquie di Simpliciano, di Sisinio, di Martirio e di Alessandro e anche di Vigilio di Trento e di altri vescovi milanesi Antonino, Benigno, Ampelio e Geronzio. Non potendo assicurare una "traslazione" adatta all'importanza di quelle reliquie, il 21 Agosto dello stesso anno, esse vennero raccolte nel nuovo altare, collocate in "casse di piombo", separate. Nella "cassa di Simpliciano" fu posta una tavoletta lignea in cipresso con l'iscrizione: corpvs s.simpliciani archiepiscopi . mcxxvii . xxi avgvsti. In occasione di quella "traslazione", racconta Ignazio Cantù, "un fulmine scoppiò nel campanile mentre vi era radunata un gran folla che era raccolta intorno alle reliquie esposte dei tre santi". Il popolo attribuì la responsabilità colpa a quel fulmine, allo "sdegno di quei Santi", per essere stati disturbati nel "sonno eterno". La folla invase quindi, il convento per punire i benedettini, ma circolò immediatamente la voce che quel fatto fosse opera di pura "stregoneria". Vennero quindi eseguiti alcuni arresti dall'Amministrazione francese che in quegli anni amministrava la città di Milano (Governatore nel 1517 fu Odet de Foix). A quel tempo alcune donne giudicate "streghe" furono "bruciate sul rogo" a Ornago e a Lampugnano. Nel 1582 i monaci operarono una nuova trasformazione dell'altare maggiore e per permetterne lo spostamento nella nuova posizione, che è quella attuale, fu necessario rimuovere i Corpi Santi custoditi nel vecchio altare. La ricognizione e il riconoscimento ufficiale delle reliquie furono affidati al vescovo di Milano Carlo Borromeo che il 7 marzo 1581 le riconobbe come erano state disposte nel 1517. La traslazione solenne dal vecchio al nuovo altare avvenne il giorno 27 maggio del 1582, domenica parima della Pentecoste, con una cerimonia alla quale tutta la città di Milano concorse. Furono eretti altari e archi effimeri in diverse luoghi della città e di fronte alla chiesa. Nella grande processione chi si concluse a San Simpliciano sfilarono anche numerosi vescovi delle diocesi lombarde: Cesare Gambara di Tortona, Nicola Sfondrato di Cremona e futuro papa Gregorio XIV, Gerolamo Ragazzoni di Bergamo, Gabriele Paleotti di Bologna, Giovanni Dolfin di Brescia, Domenico della Rovere di Asti, Guarnero Trotti di Alessandria, Vincenzo Marino di Alba, Francesco Galbiati di Ventimiglia e Alessandro Andreasi di Casale Monferrato. Oggi è spesso sede di concerti di musica barocca e di mostre d'arte sacra. Dell'antica basilica paleocristiana sono giunti a noi solo i resti di un sacello situato a nord dell'abside e che oggi si trova in corrispondenza della moderna sacrestia. Il sacello ha una volta a botte; forse in origine era distaccato ed indipendente dal corpo architettonico della basilica e non fu costruito quando la basilica fu innalzata, ma poco dopo e comunque in un periodo antecedente il V secolo In origine serviva come luogo di sepoltura di illustri personalità religiose o come cella memoriae per la venerazione delle reliquie dei santi. La facciata è una delle meno alterate dagli interventi di fine XIX secolo e mantiene ancora in parte il suo aspetto originario romanico. Nella parte inferiore, le arcate che incorniciano i portali denunciano l'esistenza in antico di un portico, detto nartece. Il portale centrale conserva gli originali rilievi romanici (i quali raffigurano i santi Ambrogio, Satiro, Gervasio, Protasio, Simpliciano, Eustorgio), mentre i due portali laterali sono aggiunte moderne del Maciachini. La parte superiore, che appare invece più rimaneggiata, mostra due trifore laterali, due bifore centrali, una trifora in alto ed archetti decorativi. Sul fianco della chiesa vi è il campanile, che risulta tozzo a causa della mutilazione cinquecentesca. La cella campanaria dà verso l'esterno con quattro bifore rinascimentali. La parte più bassa del campanile ingloba resti di sepolture romane in serizzo. L'interno della basilica è a sala: le tre navate, separate da quattro pilastri circolari in mattoni, sono di uguale altezza, anche se le due navate laterali, come la centrale coperte con volta a crociera, appaiono più strette di quella maggiore. Questa peculiarità della grande sala composta da tre navate di eguale altezza che fanno perno sui pilastri della navata centrale creano un effetto luminoso distribuito assai peculiare, una soluzione analoga verrà poi ripresa in tutt'altro contesto dal Gotico Catalano. Le navate sono illuminate da sei grandi monofore a tutto sesto con vetrate policrome moderne. L'altare maggiore in forme classiche scolastiche fu eretto dall'Aluisetti nel 1839; ai lati due statue in marmo raffiguranti Sant'Ambrogio e Carlo Borromeo, entrambe di Alessandro Puttinati. In prossimità del presbiterio, sotto il tiburio ottagonale e nella campata precedente, vi è l'innesto del transetto a due navate. Al suo interno, due piccole cantorie in muratura fiancheggiano l'imbocco dell'abside e sorreggono gli organi e vi sono rappresentati Santi e Sante affrescati da Aurelio Luini, figlio di Bernardino Luini. Nel transetto destro, inoltre, vi è il dipinto Sconfitta del Cammolesi di Alessandro Varotari, detto "il Padovanino". Sulla parete del transetto opposto, invece, vi sono lo Sposalizio della Vergine, di Camillo Procaccini ed un affresco con la Deposizione dalla Croce di un maestro lombardo del XVI secolo. Il presbiterio, affiancato da due pulpiti lignei barocchi, accoglie il grande altar maggiore neoclassico in marmi policromi. Nel catino absidale, vi è l'affresco dell'Incoronazione della Vergine, capolavoro rinascimentale di Ambrogio da Fossano detto il Bergognone (1508). L'affresco occupa la volta su una superficie di circa 7 mq; nel centro della composizione spicca la figura del Padre Eterno, alta 4,25 m. L'affresco fu restaurato una prima volta intorno al 1840 dal pittore Knoeller in occasione della ristrutturazione dell'Aluisetti. Poi nel 1890, per via di gravi infiorescenze di salnitro che avevano reso quasi illeggibile la figura della Vergine, fu rifatta la copertura dell'abside per assicurare maggiore impermeabilità; nel 1892, infine, l'intero affresco fu sottoposto a ripulitura completa. Il coro ligneo, con legni intarsiati, fu disegnato dall'architetto e ingegnere milanese Giuseppe Meda e realizzato dai maestri Anselmo del Conte e il figlio Virgilio nell'anno 1588, quando il monastero era governato dal benedettino Serafino Fontana. Lungo le navate si aprono varie cappelle con decorazioni barocche, rococò e neoclassiche; fra queste la cappella del Rosario, costruita all'inizio del XVIII secolo. Dalla porta sotto la cantoria di sinistra, si accede al Sacello dei Martiri dell'Anaunia, basilichetta a croce latina con abside semicircolare, minuscolo transetto e cupoletta; la piccola costruzione potrebbe risalire al IV secolo. Nella basilica si trovano tre organi a canne: l'organo maggiore, situato sulla cantoria in controfacciata, è l'Ahrend opus 134, costruito nel 1990 prendendo come modello gli organi barocchi tedeschi; lo strumento è a trasmissione integralmente meccanica e dispone di 35 registri su tre tastiere e pedaliera; un secondo organo, costruito nel 1897 da Vincenzo Mascioni, è situato in fondo alla navata laterale di destra, nell'area del transetto; anch'esso a trasmissione meccanica, ha 22 registri su due tastiere e pedaliera; in posizione speculare, dall'altra parte dell'abside, vi è una cassa simmetrica, priva però di strumento al suo interno; a pavimento nell'aula, vi è l'organo a cassapanca Pinchi (opus 408), del 1996; è a trasmissione meccanica e dispone di tre registri con un unico manuale, senza pedaliera. Carlo Perogalli, Enzo Pifferi e Laura Tettamanzi, Romanico in Lombardia, Como, Editrice E.P.I., 1981. Enzo Fabiani, Enzo Pifferi e Maria Teresa Balboni, Abbazie di Lombardia, Como, Editrice E.P.I., 1980. Le nuove vetrate di San Simpliciano, in Milano. Rivista mensile del Comune, Anno 48, N. 7, Milano, Stucchi, Ceretti e C., luglio 1932. Wart Arslan, Osservazioni preliminari sulla chiesa di San Simpliciano a Milano, in Archivio Storico Lombardo. Giornale della società storica lombarda, Anno 10, Fascc. 1-4, nuova serie, vol. 10, Pavia, Tipografia del libro, 31 dicembre 1947. Costantino Baroni, S. Simpliciano. Abazia benedettina, Tiratura di 200 esemplari numerati, Milano, Archivio Storico Lombardo, 1934. Luca Beltrami, Basilica di S. Simpliciano : L'Incoronazione della Vergine, in Ufficio regionale per la conservazione dei monumenti in Lombardia (a cura di), Ambrogio Fossano, detto il Bergognone, Inventario dell'arte lombarda. Pittori, Milano, Tip. Lombardi, 1895, pp. 36-39. Vincenzo Brambilla, Grandiosi lavori a San Simpliciano, in Topografia Storica Di Milano Ossia Prospetto Delle Cose Principali Che Costituiscono La Rinomanza, Il Lustro Ed Il Benessere Della Metropoli Milanese, Vol. I, Milano, Tipografia di Gius. Bernardoni, 1844, pp. 220 e segg.. Vincenzo Forcella, Sedie corali della chiesa di S. Sempliciano in Milano, in La tarsia e la scultura in legno nelle sedie corali e negli armadi di alcune chiese di Milano e della Lombardia, Introduzione di Luca Beltrami, Milano, A spese dell'autore, 1895. Giovanni Pietro Giussano, Celebra la traslazione del corpo di S. Simpliciano e d'altri Santi, in Vita di S. Carlo Borromeo prete cardinale, Libro sesto, Roma, Stamperia della Camera Apostolica, 1610. Giovanni Labus, Intorno alcuni monumenti epigrafici gentileschi e cristiani scoperti nell'insigne basilica di S.Simpliciano, in Giornale dell'I. R. Istituto Lombardo di scienze, lettere e arti, Fasc. 8, vol. 3, N. 2, Milano, aprile 1842. Giuseppe Mongeri, S: Simpliciano, in L'arte in Milano: note per servire di guida nella città, Milano, Società cooperativa fra tipografi, 1872, pp. 67-76. Placido Puccinelli, Vita di S. Simpliciano Arcivescovo di Milano, Milano, Malatesti stampatori, 1650. Paolo Morigia, De corpi Santi che sono sepolti nella chiesa di S. Simpliciano, e l'altre sacre Reliquie, in La nobiltà di Milano, divisa in sei libri, Libro primo, capi. XXV, Milano, Nella stampa del quon. Pacifico Pontio, 1595, pp. 27-28. Diego Sant'Ambrogio, Il portale cluniacense della basilica di S. Simpliciano in Milano, in Il Politecnico. Giornale dell'ingegnere architetto civile ed industriale, Anno 54, vol. 36, Milano, Tipog. e litog. degli ingegneri, luglio 1906. Basiliche paleocristiane di Milano Chiostro grande di San Simpliciano Chiesa di San Simpliciano Minore Mediolanum Sant'Ambrogio San Simpliciano Wikibooks contiene testi o manuali sulla disposizione fonica degli organi a canne Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla basilica di San Simpliciano Sito ufficiale, su sansimpliciano.it. (EN) San Simpliciano, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. (EN) Basilica di San Simpliciano, su Structurae. Basilica di San Simpliciano, su BeWeB, Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici della Conferenza Episcopale Italiana. Basilica di San Simpliciano, su LombardiaBeniCulturali, Regione Lombardia.

Chiostro grande di San Simpliciano
Chiostro grande di San Simpliciano

Il chiostro grande di San Simpliciano, più semplicemente chiostro grande o talvolta chiostro delle due colonne, è un chiostro situato nel complesso della basilica di San Simpliciano a Milano. La costruzione del chiostro maggiore del complesso di San Simpliciano avvenne a partire dal sesto decennio del Cinquecento, qualche anno dopo l'affidamento della basilica ed il monastero all'ordine di San Benedetto: al 1559 e agli anni successivi risalgono le commissioni di uno svariato numero di colonne, in uno dei vari contratti più di cento, allo scultore Alessandro Rocchetto; colonne dalla descrizione del tutto simile a quelle del chiostro attuale. Oltretutto i registri del convento annotano ingenti ordini di mattoni a partire dal 1555, il che suggerisce che i lavori per il corpo del chiostro partirono proprio in quest'anno. Tra il 1621 ed il 1623 si ha notizia della ripresa dei lavori affidati a Francesco Maria Richini: non si sa se tuttavia questo furono semplici restauri o se i lavori non partirono mai del tutto, per cui l'aspetto del chiostro rimase sostanzialmente immutato. Il progetto complessivo del chiostro viene attribuito, seppur in maniera molto discussa, a Vincenzo Seregni. Il chiostro è formato da una serie di colonne binate di ordine tuscanico a reggere archi a tutto sesto: particolare della disposizione delle colonne, che dà anche il nome al chiostro, è che le colonne non sono accoppiate con asse parallelo ai lati del cortile, bensì con l'asso perpendicolare ad essi, soluzione decisamente più rara nell'architettura manierista. Tra l'ordine inferiore di colonne e quello del finto loggiato superiore vi è una fascia intermedia dove sono contenuti grandi triglifi che fungono da mensole per le lesene di ordine ionico dell'ordine superiore: tra le partiture individuate tra le lesene vi sono archi a tutto sesto poggianti su mensole rette da semicolonne semplici tra cui sono contenute delle finestre sovrastate da decorazione a fresco con Busti di santi. La decorazione ad archi a tutto sesto contenuti tra lesene è un chiaro omaggio al chiostro bramantesco del complesso di Sant'Ambrogio. Paolo Mezzanotte, Giacomo Bascapè, Milano nell'arte e nella storia, Milano, Bestetti, 1968, ISBN non esistente. Davide Tolomelli, Il chiostro cinquecentesco del monastero di San Simpliciano, in Arte Lombarda, n. 137, Milano, 2003. Basilica di San Simpliciano Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su chiostro grande di San Simpliciano

Porta Comasina (medievale)
Porta Comasina (medievale)

Porta Comasina (pronunciato Comàsina) o Porta Comacina era una delle porte maggiori poste sul tracciato medievale delle mura di Milano, che dava origine all'omonimo sestiere. La porta Comasina (o Comacina) medioevale si trovava sull'asse di via Ponte Vetero-via Mercato; era così detta perché la strada cui la porta dava/chiudeva accesso era/è indirizzata verso la città di Como. Non esistendo mappe antiche raffiguranti questa porta, per capire dove fosse situata si può fare riferimento alla mappa moderna riprodotta qui a fianco: "Mure e porte di Mediolanum" (pubblicata anche in Porte e pusterle di Milano), dove la porta Comasina è indicata col numero 7 (colore rosso). La porta medievale doveva essere collocata circa nel medesimo luogo di quella romana. Nel XVI secolo la porta, con la realizzazione delle nuove mura spagnole perse ogni funzione difensiva e venne abbattuta per fare spazio alle nuove fortificazioni circondanti il Castello Sforzesco. Le sculture che ornavano la porta, una raffigurante la Madonna e l'altra Sant'Ambrogio, sono oggi conservate nel museo del Castello Sforzesco. Dopo l'abbattimento della porta Comasina medievale la sua funzione fu poi svolta da un modesto edificio facilmente confondibile con una qualsiasi abitazione della zona; era posto, sul tracciato delle nuove mura spagnole, più esterno delle precedenti medievali rispetto al centro di Milano, al termine nord della strada che oggi ha il nome di corso Garibaldi. Oltre la porta la strada prosegue, ancora verso nord, con il nome di corso Como, attribuitole con delibera comunale del 1878. Solo nel 1826-27 il modesto edificio venne sostituito dalla monumentale porta che esiste tuttora (ma dal 1860 rinominata Porta Garibaldi), progettata dall'architetto Giacomo Moraglia. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Porta Comasina

Contrada dei Fiori
Contrada dei Fiori

La Contrada dei Fiori è stata una contrada di Milano appartenente al sestiere di Porta Comasina. I confini della contrada andavano dall'angolo di via Pontaccio e via del Mercato all'intersezione tra piazza del Carmine e via Brera, dove confinava con il sestiere di Porta Nuova. Il confine proseguiva poi fino alla Cerchia dei Navigli, che costeggiava fino a via Pontaccio. Entro i confini della contrada era situata la chiesa di San Carpoforo, ora sconsacrata, originariamente tempio pagano romano dedicato alla dea Vesta poi convertito in luogo di culto cristiano. Il nome della contrada richiama una nobile famiglia milanese, i de Flore. Nella Milano moderna esistono tre toponimi distinti che si riferiscono all'antico nome della contrada, associati a due tronconi consecutivi della stessa strada, "via dei Fiori Chiari e "via dei Fiori Oscuri", ed a una piccola strada laterale di via dei Fiori Chiari chiamata "vicolo Fiori". Nei suoi pressi era un tempo situata la via delle Vacche, forse richiamante l'omonimo mercato, che sorgeva poco lontano (ancora oggi, leggermente più a ovest di via dei Fiori Chiari è presente "via Mercato"). In precedenza via delle Vacche era denominata "via dei Fiori", visto che rappresentava la continuazione del moderno vicolo Fiori. Della contrada dei Fiori facevano però parte solo una parte dei toponimi menzionati, ovvero il tratto ovest di via dei Fiori Chiari fino al suo incrocio con vicolo dei Fiori e via della Madonnina. La restante parte di via dei Fiori Chiari e l'intera via dei Fiori Oscuri facevano parte del sestiere di Porta Nuova. L'etimologia di "Fiori Chiari e "Fiori Oscuri" è legata alla vicinanza di due porte cittadine che erano contraddistinte, come si è diffusamente parlato, da uno stemma, legato a sua volta al sestiere di riferimento: Porta Nuova, non lontana da via dei Fiori Oscuri, aveva nel suo stemma, il colore nero, da cui il nome della strada, mentre via dei Fiori Chiari era nei pressi di Porta Comasina, che aveva come tra i colori dominanti il rosso, che ha una tonalità più chiara del nero. Alessandro Colombo, I trentasei stendardi di Milano comunale (PDF), Milano, Famiglia Meneghina, 1935, ISBN non esistente. Milano Sestiere di Porta Comasina Contrade di Milano Nobile Contrada del Cordusio Contrada del Rovello Contrada dell'Orso (Milano) Contrada del Campo I sestieri e le contrade di Milano - Con le mappe delle antiche suddivisioni di Milano, su filcasaimmobili.it. URL consultato il 22 aprile 2018 (archiviato dall'url originale il 26 ottobre 2017).

Chiesa di San Carpoforo (Milano)
Chiesa di San Carpoforo (Milano)

La chiesa di San Carpoforo (gesa de San Carpofen in lombardo) è una chiesa sconsacrata situata nel centro storico di Milano, in via Formentini 10. La struttura originaria della chiesa di san Carpoforo apparteneva a un tempio pagano romano. Questa prima destinazione d’uso è testimoniata dal ritrovamento di diversi manufatti risalenti all'epoca romana: quattro colonne di porfido (spostate nel 1809 presso il Museo archeologico), diversi marmi preziosi, i resti di un edificio sotterraneo, un mosaico scoperto nell’ottobre del 1811 durante le operazioni di pavimentazione della piazza e un altare votivo dedicato ad una divinità portatrice di frutti (“carpofora”), poi identificata in Vesta. Vesta era la dea del focolare. In ambito pubblico il suo culto consisteva principalmente nel mantenere acceso il fuoco sacro nel tempio cittadino: le sacerdotesse legate al suo ordine, quello delle celebri vestali, avevano il compito di custodire la fiamma all'interno del tempio a lei dedicato, facendo sì che non si spegnesse mai. A livello privato Vesta era la protettrice dei panettieri, dei fornai e del focolare domestico: per questo motivo le erano sacri tutti i cibi cotti su di esso. La tradizione racconta che l'antico edificio milanese a lei sacro fu consacrato a San Carpoforo per mediazione di santa Marcellina, sorella del vescovo di Milano sant'Ambrogio, la quale visse nelle vicinanze insieme alla famiglia anche dopo la scomparsa dell'illustre parente fino al 404, anno della sua morte. La figura della donna ha lasciato traccia nella tradizione popolare sino a metà del XIX secolo: ancora in quegli anni, infatti, si riteneva che l'acqua (detta appunto "di santa Marcellina") fornita dal pozzo di una casa che dava sulla piazza possedesse proprietà miracolose. La prima testimonianza storicamente provata dell'esistenza della chiesa risale all'anno 813. La si ritrova già ampliata verso l'XI secolo, mentre dal secolo successivo risulta essere amministrata da due parroci, uno che si occupava della cura d'anime esternamente alle mura della città e l'altro internamente. L'edificio subì notevoli modifiche strutturali anche durante il XVI secolo. All’epoca Gian Giacomo Medici ottenne infatti una dispensa pontificia attraverso l’intercessione del fratello cardinale Giovanni Angelo (il futuro Papa Pio IV) e gli fu permesso di occupare il sagrato della chiesa per costruirvi un palazzo; dovette però mettere mano alla struttura e far spostare la facciata e l’ingresso dal lato orientale a quello occidentale, al posto della preesistente abside, secondo un’organizzazione degli spazi tramandata fino ad oggi. La chiesa, gravemente danneggiata dalla risistemazione e dall'incuria, fu poi completamente ricostruita per volere dell'arcivescovo Federico Borromeo, che vi compì una visita pastorale il 30 gennaio 1610. A partire dagli anni seguenti il 1624, l’architetto Angelo Puttini progettò e curò la realizzazione di una struttura con pianta a croce latina impreziosita anche da alcuni affreschi, oggi non più presenti, posti su parte dell’interno e della facciata. Malgrado questi interventi, la parrocchia era in piena decadenza e già nel 1760 essa appariva amministrata da un solo sacerdote; nell’ottica della risistemazione delle parrocchie milanesi e dei Corpi Santi essa fu infine soppressa il 24 dicembre 1787 e San Carpoforo divenne sussidiaria della vicina chiesa di Santa Maria del Carmine. Con decreto vicereale del 10 settembre 1809 il Regno d’Italia decretò poi la soppressione del luogo di culto. Entro la fine di ottobre esso fu riconvertita in archivio: si stabilì, infatti, che vi dovessero essere depositate le carte del Ministero della Guerra, per un totale di circa millecinquecento metri lineari di documentazione, mentre gli spazi rimasti liberi furono adattati ad uso d’ufficio e ad abitazione dei custodi.Nel settembre del 1854 i documenti militari vennero trasferiti altrove e San Carpoforo accolse quelli del Regio archivio governativo di deposito provinciale-civico. Già durante l’anno successivo, tuttavia, il rapido accrescimento dei fondi obbligò le autorità ad aumentarne la capienza mediante l’aggiunta di ulteriori scaffalature; sempre nel 1855, poi, il governo fece costruire sul lato meridionale dell’edificio una sala lunga sedici metri, larga sei e alta nove adibita ad archivio finanziario. Il 29 settembre 1864 il comune di Milano acquistò la proprietà dell’ex chiesa e subito dispose lo spostamento in altre sedi della documentazione di competenza statale; al termine della movimentazione, nel 1872, l’amministrazione del capoluogo sistemò nel corpo dell’edificio il proprio archivio di deposito e nella sala meridionale quello storico. Proprio in questa parte del complesso ebbe sede la Società storica lombarda a partire dai primi mesi del 1874 fino al 1897, quando si spostò presso il Castello Sforzesco. Nel castello di Porta Giovia furono trasferiti durante il 1902 anche i faldoni della sezione antica; rimase a San Carpoforo solo quella di deposito, poi distrutta dai bombardamenti alleati nell’agosto 1943. Negli anni successivi l'edificio passò sotto il controllo della Soprintendenza e nel 1993 fu concesso in uso gratuito all'Accademia di belle arti di Brera, che ancora oggi la utilizza come sede per i corsi di decorazione, restauro ed arte sacra contemporanea. Anna Salvini Cavazzana, San Carpoforo, in Maria Teresa Fiorio (a cura di), Le chiese di Milano, nuova edizione, Milano, Electa, 2006, ISBN 978-88-370-3763-5. Stefano Labus e Gentile Pagani, L'archivio civico di Milano. Estratto da "Cenni intorno agli istituti scientifici, letterari ed artistici di Milano pubblicati in occasione del II congresso delle società storiche italiane (Milano, 2 settembre 1880)", Milano, Tipografia Luigi di Giovanni Pirola, 1880, pp. 3-54, SBN IT\ICCU\LO1\1324341. Comune di Milano, Norme per l'archivio del Municipio di Milano, Milano, Tipografia Pietro Agnelli, 1874, SBN IT\ICCU\LO1\0154668. Gentile Pagani, L'archivio storico del municipio di Milano, Como, Tipografia Cooperativa Comense, 1899, SBN IT\ICCU\LO1\0114305. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla chiesa di San Carpoforo Chiesa di S. Carpoforo (ex), su lombardiabeniculturali.it. San Carpoforo, su chiesadimilano.it. di Mirko Guardamiglio (2018).