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Scuola europea di Varese

Pagine con mappeScuole a VareseSenza fonti - giugno 2010Senza fonti - scuole

La Scuola europea di Varese, fondata nel 1960, è una delle 14 scuole europee esistenti nell'Unione europea, l'unica in Italia. Si trova a Varese, nel quartiere Montello. Originariamente, la scuola venne realizzata per ospitare ed educare gli alunni figli di dipendenti del Centro comune di ricerca di Ispra, ma, nel limite dei posti disponibili, accetta anche altri studenti. Rispetto alle consorelle di Bruxelles e Lussemburgo, la Scuola europea di Varese ha una taglia media e ospita attualmente più di 1 350 studenti di 47 nazionalità diverse. È articolata in cinque sezioni linguistiche (italiana, inglese, francese, tedesca e olandese) e offre l'insegnamento della lingua materna di tutti i paesi membri dell'Unione europea. La scuola possiede anche una mensa molto ampia che ospita ogni giorno più di mille persone tra alunni, insegnanti e personale ATA. La struttura è divisa in tre sezioni distinte: la scuola materna, la scuola primaria e la scuola secondaria. L'attuale direttrice ad interim è Ariane Farinelle, di nazionalità belga.

Estratto dall'articolo di Wikipedia Scuola europea di Varese (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori).

Scuola europea di Varese
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21100 Varese, Miogni
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Luoghi vicini

Palasport Lino Oldrini
Palasport Lino Oldrini

Il palasport Lino Oldrini, dal 2023 denominato per ragioni di sponsorizzazione Itelyum Arena, è la più importante arena coperta della città di Varese; ospita le partite casalinghe della Pallacanestro Varese, maggiore club cestistico cittadino. Verso la metà degli anni 1960 l'interesse della popolazione varesina per il gioco della pallacanestro era in notevole crescita; di riflesso, la vetusta e poco capiente palestra XXV Aprile (fin dal 1945 campo di casa della principale squadra cittadina) non era più in grado di ospitare il volume di pubblico che desiderava seguire le partite. Ciò palesò la necessità di procedere alla costruzione di un nuovo palazzetto, il cui sito venne individuato nelle adiacenze dello stadio comunale, nel quartiere di Masnago. Il sindaco in carica Lino Oldrini promosse l'iniziativa e appaltò il progetto allo Studio di architettura Brusa Pasquè. I lavori partirono nel 1961 e durarono poco più di tre anni: il 6 dicembre 1964 l'edificio fu inaugurato con la disputa della partita di campionato Pall. Varese-Milano 1958 78-64. Il palasport fu intitolato allo stesso sindaco Oldrini (scomparso proprio nel 1964 a causa di un tumore); a seguito della stipula di contratti di sponsorizzazione, la struttura assunse via via i nomi ufficiali di PalaIgnis, PalaWhirlpool, PALA2A, Enerxenia Arena e Itelyum Arena Nel 1989 sono iniziati dei lavori di ampliamento atti a creare un secondo ordine di gradinate (denominato "galleria"), poi interrotti nel 1995 e da allora rimasti incompiuti. A partire dal 2011, grazie alla convenzione tra il proprietario dell'impianto ovvero il Comune di Varese e Pallacanestro Varese, il palazzetto è oggetto di un intervento di ristrutturazione, comprensivo di aumento dei posti a sedere, ridipintura delle opere murarie, ampliamento ed adeguamento delle strutture di servizio e dell'accessibilità a carico della società cestistica varesina. Tra la fine del 2017 e l'inizio del 2018 sono stati ultimati i lavori per la creazione del nuovo settore "courtside" e quelli per l'installazione del "jumbotron" (cluster di maxischermi sospeso sopra il campo). Il palazzetto dello sport di Masnago è suddiviso in diversi settori: Tribuna Gold Est Tribuna Silver Est Parterre Est (panchine e tavolo) Tribuna Galleria (settore est) Curva Nord Parterre Nord Tribuna Stampa (sotto la curva ospiti) Curva ospiti Parterre Sud Tribuna Silver A e B Tribuna Gold Ovest Tribuna Silver Ovest Parterre Ovest Oltre che per manifestazioni sportive, il palazzetto è usato anche per eventi di spettacolo come concerti, mostre, competizioni di eSports e conferenze. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su palasport Lino Oldrini Il progetto originale e l'ampliamento presentati dallo Studio Brusa Pasqué, su brusapasque.it. URL consultato il 31 luglio 2013 (archiviato dall'url originale il 4 marzo 2016). Il progetto originale sulla rivista VITRUM N. 161/1967 (PDF), su brusapasque.it. URL consultato il 31 luglio 2013 (archiviato dall'url originale l'8 settembre 2015).

Castello di Masnago
Castello di Masnago

Il Castello di Masnago (detto anche "Castello Castiglioni-Mantegazza"), è una fortificazione medioevale, trasformata in villa dalla famiglia Castiglioni nel XV secolo, e abbellito con un importante ciclo di affreschi profani in stile gotico cortese. Sito su un'altura, in posizione dominante, all'interno del parco omonimo in via Cola di Rienzo 12, è oggi di proprietà del Comune di Varese e ospita il Museo Civico d'Arte Moderna e Contemporanea. L'attuale castello ha origine da una torre di avvistamento, risalente al XII secolo, ancor oggi esistente. Originariamente inserito nel sistema di fortificazioni facenti capo alla torre di Velate, il castello apparteneva in principio alla famiglia dei Marliani. A questi ultimi subentrarono i Castiglioni, che fecero erigere una villa attorno alla torre. Rielaborazioni architettoniche si registrarono nei secoli XVI e XVII. Nel Settecento il marchese Giuseppe Castiglioni e la moglie Paola Litta lo trasformarono in villa di delizia, aggiungendo l’ala ovest e il giardino all'italiana. La famiglia Castiglioni Stampa, cedette il castello nel 1934 al varesino Angelo Mantegazza, che nel 1937, durante alcuni lavori di ristrutturazione, scoprì il celebre ciclo di affreschi. Nel 1981 fu acquistato dal Comune di Varese, e dal 1995 è aperto al pubblico quale sede del Museo Civico d'Arte Moderna e Contemporanea, che ospita opere di autori come Giuseppe Pelizza da Volpedo, Fontana e Balla. Il castello si presenta con un'ala tardomedievale, alla quale sono annessi alcuni rustici e un corpo di fabbrica seicentesco con pianta ad "L". Le varie strutture sono disposte in modo tale da formare un cortile quadrangolare, aperto in corrispondenza dell'estremità nord-occidentale dello stesso cortile. Nel 1937 furono scoperti i due cicli di affreschi del pian terreno e del secondo piano, che costituiscono uno dei più importanti cicli pittorici profani del gotico cortese in Italia (XV secolo). L'autore ne resta ignoto; è stato accostato, per affinità, dai critici, agli affreschi di Jacquerio nel Castello di Fenis, e al Maestro dei Giochi Borromeo di Palazzo Borromeo a Milano. Un altro nome proposto dagli studiosi è quello di Bonifacio Bembo. La Sala degli Svaghi, collocata al piano terra, secondo la critica fu affrescata verso la metà del Quattrocento, quando il castello fu abitato da Maria Lampugnani, vedova di Giovanni Castiglioni. Presenta una serie di scene di vita cortese medioevale: la partenza per la caccia con il falcone la gita in barca di tre dame, intente a scambiarsi dei fiori la colazione sull'erba di un gruppo di gentiluomini la partita ai tarocchi di un gruppo di dame su una piccola imbarcazione; una dama intenta a suonare l'organo sotto una tenda riccamente decorata, che reca in cima gli stemmi delle famiglie Castiglioni e Lampugnani. La Sala dei Vizi e delle Virtù è collocata al piano superiore del Castello, le pareti sono rigorosamente scandite da pilastrini dipinti, che formano una serie di riquadri architettonici, ciascuno dei quali occupato da gruppi di tre figure allegoriche, due Vizi e una Virtù. Fra le figure identificate vi sono la "Liberalità" tra l'"Avarizia" e della "Prodigalità", che sperpera le sue monete; la "Castità", con la "Lussuria" e la "Vanità" che si guarda allo specchio, l'"Ira", l'"Umiltà", con "Superbia" e "Arroganza", la "Carità", tra l'"Ipocrisita" e l'"Invidia"; la "Sollecitudine", tra la "Pigrizia" e l'"Accidia"; la "Temperanza", tra "Gola" e "Maldicenza", la "Fede", con il calice, la "Speranza" con un'ancora. Quali fonti letterarie per il ciclo pittorico, che non ha immediati paralleli in nessun'altra opera, sono stati indicati da L'Acerba di Cecco d'Ascoli, all'ideale della virtù nel mezzo di derivazione aristotelica. Nella cappella privata del castello, decorata a motivi geometrici, è affrescata una piccola Crocefissione con santi. La collezione del museo comprende opere di pittura, scultura e grafica che vanno dal Cinquecento al Novecento, provenienti dal territorio lombardo. La provenienza comprende donazioni, fra cui spicca la donazione della collezione dei coniugi Luigi De Grandi e Amelia Bolchini oltre ad acquisti grazie anche al lavoro del celebre critico d'arte Giovanni Testori. Fra le opere più importanti vi sono: Giacomo Balla, Bambina con fiori, 1902 Renato Guttuso, Torre di Velate Tranquillo Cremona, Ritratto di Carlo Villa, 1871 Tranquillo Cremona, Tra i fiori, ritratti di bambini, 1871 Francesco Hayez, Tamar di Giuda, 1847 Pietro Antonio Magatti, La Vergine fa giungere il viatico a una devota del Santissimo Sacramento Giovanni Migliara, Capriccio architettonico, 1815-1825 Pier Francesco Mazzucchelli, detto Morazzone, Compianto sul Cristo morto Carlo Francesco Nuvolone, Strage degli Innocenti Eleuterio Pagliano, Il libro di preghiere, 1857-1858 Giulio Cesare Procaccini, Resurrezione di Cristo Daniele Ranzoni, Ritratto di Luigi Villa bambino, 1872-1873 Daniele Ranzoni, Ritratto di Margherita Villa bambina, 1872-1873 Girolamo Romanino, Arazzo del Giudizio di Salomone Vincenzo Vela, Girolamo Ghirlanda, busto in marmo del 1851 Sculture provenienti dal Sacro Monte di Varese, attribuite a Martino Retti Il castello è oggi circondato da un parco all'inglese, esteso per quasi tre ettari. Sono rimaste poche tracce dell'antico giardino settecentesco, di cui si conservano a testimonianza due leoni in pietra, simbolo dei Castiglioni, in cima ai pilastri d’ingresso. All'interno sono ospitate oltre cento differenti varietà di alberi e arbusti: nella parte inferiore del giardino troviamo distese di prati con latifoglie, invece nella parte alta faggi, ippocastani, querce, carpini e cedri. Santino Langè, Ville delle province di Como, Sondrio e Varese, a cura di Pier Fausto Bagatti Valsecchi, Vol. Lombardia 2, Milano, Edizioni SISAR, 1968. Carlo Perogalli, Enzo Pifferi e Angelo Contino, Castelli in Lombardia, Como, Editrice E.P.I., 1982. G. Limido, Il ciclo dei vizi e delle virtù nel castello di Masnago, in Arte Cristiana, n. 73, 1985, pp. 385-404. Carlo Perogalli, Gli affreschi della Sala dei Vizi e delle Virtù nel «Castello» di Masnago, in Arte Lombarda, No. 80/81/82 (1-2-3), 1987, pp. 73-83. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Castello di Masnago Castello Castiglioni Mantegazza - Varese (VA), su lombardiabeniculturali.it. Dame e cavalieri in costume quattrocentesco, su lombardiabeniculturali.it. Civico Museo d'Arte Moderna e Contemporanea - Castello di Masnago, su lombardiabeniculturali.it. CASTELLO DI MASNAGO E PARCO MANTEGAZZA, su natureurbane.it. URL consultato il 29 aprile 2020 (archiviato dall'url originale il 3 febbraio 2019).

Stadio Franco Ossola
Stadio Franco Ossola

Lo stadio comunale Franco Ossola - velodromo Luigi Ganna è uno stadio polisportivo sito nella città italiana di Varese, utilizzato principalmente per la pratica del calcio: attualmente accoglie le gare casalinghe della principale squadra cittadina, il Città di Varese militante in Serie D nella stagione 2020/2021 Ha inoltre ospitato competizioni a carattere nazionale ed internazionale di ciclismo su pista e vari eventi di altri sport o extra-sportivi. Il progetto per l'edificazione di uno stadio polisportivo in località Masnago (da dedicare essenzialmente alla pratica di calcio, atletica leggera e ciclismo su pista) fu presentato all'Ufficio Tecnico del Comune di Varese il 3 gennaio 1935 e i lavori di costruzione furono conclusi entro la fine di quell'anno. Lo Stadio del Littorio fu quindi inaugurato l'8 dicembre, allorché la Varese Sportiva vi giocò la prima partita interna e abbandonò il vecchio campo di gioco in località Bettole (sul cui sito venne poi costruito l'ippodromo cittadino, precedentemente ubicato proprio a Masnago). Dopo la caduta del fascismo, l'impianto (che nel 1945 venne adibito a campo di prigionia temporaneo sotto la responsabilità del CLNAI) venne denominato informalmente Stadio di Masnago, per poi assumere l'intitolazione a Franco Ossola a seguito della tragedia di Superga, in cui perse la vita l'intera squadra del Grande Torino (ivi compreso il calciatore varesino). L'adozione di tale nome venne resa ufficiale il 3 settembre 1950 con la posa di un cippo presso la cancellata principale. La struttura originaria disponeva di una sola tribuna, posizionata sul lato est del terreno di gioco, attorno al quale si sviluppavano la pista di atletica leggera e il velodromo, costruito con un'impalcatura di ferro e calcestruzzo; gli spogliatoi erano seminterrati, ubicati in una bassa costruzione al di sotto della curva meridionale della pista ciclistica e l'accesso al campo era possibile mediante un tunnel che sbucava dietro il relativo lato corto del terreno di gioco. Successivamente l'impianto fu più volte rimaneggiato e dotato di spalti lungo pressoché tutto il suo perimetro: il 13 settembre 1959, in occasione dell’arrivo della Tre Valli Varesine, il sindaco Lino Oldrini inaugurò la tribuna coperta in cemento armato (poco prima era stata abbattuta la vecchia struttura d’epoca fascista); nella circostanza si giocò un’amichevole tra Varese e Torino. In seconda battuta si procedette alla costruzione delle due curve (nord e sud) e del settore distinti sul lato ovest, dapprima in legno e tubi d'acciaio e poi in calcestruzzo. Ciò consentì, negli anni delle maggiori fortune del Varese Calcio (che tra gli anni 1960 e 1970 disputò più volte il campionato di Serie A), di portare la capienza fino a 23.000 spettatori (complice il fatto che i posti non erano numerati e si permetteva agli spettatori di accomodarsi non solo sulle gradinate, ma anche sul velodromo o sulla pista di atletica). Per ragioni di sicurezza, la capienza massima dell'impianto venne via via stabilizzata a poco meno di 10.000 posti. Gli spogliatoi e i locali tecnici dello stadio vennero poi progressivamente trasferiti dalla curva sud (i cui locali finirono in abbandono o usati come deposito) all'interno della tribuna. Nel 1967 l'Azienda Autonoma di Soggiorno varesina commissionò all'architetto Luigi Vermi un progetto di sistemazione urbanistica della zona adiacente allo stadio (che non venne mai attuato). Esso prevedeva la creazione di una sorta di "quartiere polisportivo", comprendente un campo da hockey su ghiaccio, delle piscine e piste di atletica leggera, più altri spazi e locali pubblici. Nel 2007, dinnanzi alle necessità di adeguare lo stadio (le cui infrastrutture erano ormai obsolescenti) ai regolamenti in vigore per la Serie C2 (categoria in cui a quel tempo militava il Varese), l'amministrazione comunale e il club biancorosso decisero di chiudere la curva nord (obbligando i gruppi della tifoseria organizzata a spostarsi nei distinti) e ridurre la capienza complessiva degli spalti al di sotto dei 7.500 posti. Al fine di contenere ulteriormente i costi di gestione, negli anni successivi vennero attuate ulteriori chiusure di settori e limitazioni all'accesso del pubblico. Ulteriori difficoltà derivarono altresì dall'inefficienza dell'impianto di illuminazione (sia sul campo che sugli spalti e nelle pertinenze) Lo stadio poté essere riaperto nella sua quasi totalità solo a seguito della promozione del Varese in Serie B: in occasione dei play-off e soprattutto al termine della stagione 2009-2010, il comune di Varese si occupò infatti di implementare una sistemazione dell'impianto che, dopo alcune valutazioni, fu portato ad una capienza di 8 213 posti. Contestualmente fu rivista la mappa degli ingressi agli spalti (che vennero riverniciati e dotati di numerazione dei posti), al fine di separare il più possibile i tifosi a seconda del settore di appartenenza, fu potenziata la videosorveglianza e furono installate gabbie e tornelli elettronici per il prefiltraggio del pubblico. In tal modo curva nord e distinti poterono essere riaperti integralmente. In occasione delle gare di playoff della Serie B (nelle stagioni 2010-2011 e 2011-2012) la capienza delle tribune è stata ulteriormente aumentata, fino ad un massimo di 9 926 posti (ferma restando la necessità di mantenere chiuso uno spicchio degli spalti per dividere il settore dei distinti dalla curva sud). Contestualmente, tra il 2011 e il 2012 si provvide ad intitolare la tribuna centrale e la curva nord dello stadio rispettivamente a Bruno Arcari e Pietro Maroso. Nell'estate 2011 sono partiti altri lavori di adeguamento della struttura: installazione di ulteriori telecamere di videosorveglianza, ampliamento degli spogliatoi ed altri interventi di minore entità. Nel luglio 2013, su iniziativa del presidente in carica del Varese, Nicola Laurenza, alcuni writers hanno realizzato 88 graffiti di vario tema sulle mura esterne di recinzione. Nel 2015 la dirigenza societaria del Varese ha intrapreso una nuova opera di ristrutturazione dell'impianto, comprendente il risanamento del campo sterrato alle spalle del settore distinti e di quello in sintetico prospiciente la tribuna, la ristrutturazione dei locali siti al di sotto delle curve (trasformati in spogliatoi e spazi di servizio e per il settore giovanile) e la realizzazione di spazi dedicati a dirigenti e sponsor sulla tribuna centrale. Contestualmente, date le ridotte necessità di capienza richieste dal campionato di Eccellenza (donde il club è ripartito a seguito del fallimento della vecchia società), si è optato per aprire stabilmente al pubblico solo la tribuna e i Distinti, aggiungendo la curva sud solo in caso di un significativo afflusso di tifosi ospiti. La prassi è proseguita anche nei tre anni a seguire (addirittura nel 2019 l'accesso dovette essere ridotto alla sola tribuna per motivi di sicurezza). Nell'estate 2018 il Varese provvide ad attuare alcuni lavori sulla tribuna centrale, sostituendo i seggiolini e ritinteggiando le parti murarie rivolte verso il campo di colore rosso. A causa di una nuova crisi, tra la fine del 2018 e l'inizio del 2019, lo stadio venne lasciato privo da ogni manutenzione minima a causa del mancato pagamento delle utenze di metano e corrente elettrica, la cui interruzione obbligò a chiudere tutto l'impianto. Dopo circa un anno lo stadio fu riaperto per estemporanee partite di altre squadre cittadine, tra le quali il Città di Varese, erede informale del cessato Varese; proprio quest'ultima infine ne ottenne la concessione, consentendone la stabile riapertura. Negli anni 2000 la crescente obsolescenza dell'impianto stimolò il dibattito sull'ipotesi di effettuarvi un'opera di ristrutturazione o di praticarne la demolizione e successiva riedificazione ex novo in un'altra località. Nel dicembre 2005, durante la presidenza di Riccardo Sogliano, il Varese 1910 presentò un progetto preliminare per la riattazione dell'intera area del quartiere di Masnago ove sorge lo stadio. Essa prevedeva la realizzazione di un grande parco, che inglobasse il limitrofo palasport e la nuova arena, dotata di campo in erba sintetica, spalti capaci di contenere 9 900 spettatori, totalmente coperta (indoor) e con spazi contigui dedicati ad esercizi commerciali di vario genere. Il costo stimato di un tale intervento era di 150 milioni di euro. Negli anni successivi si continuò a parlare del suddetto progetto, e ne vennero altresì presentati altri (dapprima sempre durante la gestione Sogliano, poi rispettivamente dai presidenti Antonio Rosati, Nicola Laurenza, Alì Zeaiter e Gabriele Ciavarrella), senza che però si riuscisse ad arrivare ad alcun risultato concreto, complici anche i tre fallimenti patiti dal club nel corso dei primi anni del terzo millennio. Lo stadio presenta una configurazione a pianta ellittica. Gli spalti sono costruiti in calcestruzzo e cemento armato e si dividono nei seguenti settori: Tribuna Bruno Arcari, posizionata lungo il lato ovest del campo, è suddivisa in tribuna centrale (ove sono ubicati i posti d'onore), tribuna laterale nord, tribuna laterale sud, tribuna parterre e tribuna stampa (dedicata agli operatori giornalistici). È l'unico settore dotato di copertura e di posti provvisti di seggiolino e ospita al suo interno gli spogliatoi principali, la sala stampa e buona parte delle infrastrutture di servizio dello stadio. Curva nord Peo Maroso, di forma semicircolare, ospita usualmente i gruppi della tifoseria organizzata varesina. Distinti nord, costituisce lo spicchio orientale della curva casalinga ed è parte integrante del settore dei distinti. Distinti, posizionato lungo il lato est del campo, è il settore più capiente di tutto l'impianto. Al di sotto di esso, a livello del terreno di gioco, è ubicato il sotto-settore distinti parterre. Distinti sud, costituisce lo spicchio orientale della curva meridionale ed è usualmente chiuso al pubblico per ragioni di sicurezza. Curva sud, riservata alle tifoserie ospiti, ospita al di sotto di essa gli spogliatoi secondari dello stadio. Curve e distinti (seppur aventi altezza e capienza differenti) sono raccordate tra loro e costituiscono di fatto un'unica struttura, mentre la tribuna è un settore a sé stante, del tutto separato ed indipendente dal resto degli spalti. Tutti i posti dello stadio sono a sedere e numerati. Le tribune sono separate dal campo da gioco (la cui superficie è in erba naturale) dall'ex pista di atletica (ormai usurata) ora coperta in asfalto e da un velodromo scoperto in cemento, lungo 446 metri e dedicato al ciclista varesotto Luigi Ganna. L'illuminazione dello stadio è garantita da quattro torri faro angolari. Le pertinenze dello stadio comprendono inoltre tre campi da gioco laterali, più piccoli del principale (utilizzati essenzialmente dalle squadre giovanili del Varese) e alcune abitazioni originariamente destinate all'alloggio del custode, che dal 2015 ospitano la sede legale ed operativa del Varese e dell'associazione dei tifosi del club. Il 1º novembre 1970, si disputò al Franco Ossola una partita della Nazionale Under-23 contro i pari età dell'Austria. Il risultato finale fu di 3-1 a favore dell'Italia. Il 1º giugno 1988, la Nazionale italiana disputa al Franco Ossola un'amichevole contro il Lugano, chiusa sul punteggio di 4-1 per l'Italia. Il 10 agosto 2011 lo stadio ospitò per la terza volta una partita di una Nazionale italiana: l'amichevole tra l'Italia Under-21 e i pari età della Svizzera, terminata 1-1. Nel 1971 il velodromo Luigi Ganna ha ospitato i campionati mondiali di ciclismo su pista (assegnati a Varese congiuntamente a quelli di ciclismo su strada, svoltisi nella vicina città svizzera di Mendrisio). In tale occasione la pista ciclistica venne integralmente ricostruita, con un aumento della pendenza delle curve. Il 7 luglio 2012 la struttura ha ospitato la Vª edizione dell'Italian Superbowl, la finale del campionato di Serie A1 IFL di football americano, vinta dai Panthers Parma. Lo stadio è servito dagli autobus della rete urbana dei trasporti di Varese, gestiti dalla società Autolinee Varesine, tramite le seguenti linee e fermate: E Palasport-Bizzozero (fermate di via Daniele Manin, via Giovanni Borghi, via Giuseppe Bolchini, via Severo Piatti e via Aurelio Saffi) H Scuola europea-San Fermo, P Olona-Velate (fermate di via Giuseppe Bolchini, via Stadio e via Vellone) Z Bregazzana-Calcinate degli Origoni (fermata di via Sorrisole). Nei giorni di gara le linee talora modificano i loro percorsi e sono affiancate da servizi suppletivi dedicati. Masnago PalaWhirlpool Varese Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su stadio Franco Ossola GLI STADI DI 1a e 2a DIVISIONE (PDF), su lega-calcio-serie-c.it, F.I.G.C. Lega Italiana Calcio Professionistico, 200. URL consultato il 03-04-2009 (archiviato dall'url originale il 15 aprile 2012). Stadio comunale "Franco Ossola" Archiviato il 18 febbraio 2019 in Internet Archive. - comune.varese.it Lo Stadio Franco Ossola - varese-calcio.it Stadio - varese1910.it

Palace Hotel (Varese)
Palace Hotel (Varese)

Il Palace Grand Hotel (ex Kursaal) è un albergo situato a Varese sul colle Campigli, esempio di edilizia monumentale liberty. L'albergo fa parte dei Locali storici d'Italia. L'albergo fu progettato da Giuseppe Sommaruga nel 1911 e costruito in due anni. Il complesso (che inizialmente comprendeva una linea funicolare, un teatro, tiro al piattello, sale giochi e vari altri divertimenti) venne gravemente mutilato nella seconda guerra mondiale: alcune bombe destinate allo stabilimento Aermacchi, che sorgeva ai piedi del Colle Campigli, nell'aprile 1944, distrussero il complesso del Kursaal e la funicolare, lasciando intatta solo la stazione superiore di quest'ultima (adibita attualmente a bar estivo) e le fondazioni. L'albergo fu fortunatamente risparmiato e riprese la propria funzione originale di hotel. A differenza di altre strutture ricettive varesine (come il Grand Hotel Campo dei Fiori) il Palace non risentì eccessivamente della crisi turistica del secondo dopoguerra, riuscendo a proseguire l'attività. Al 2013 la gestione è affidata alla "Società Grandi Hotel", di proprietà della famiglia Castiglioni. Nel 2016 la proprietà della struttura è passata alla società milanese “finalba seconda s.p.a.” con la gestione alberghiera a carico della società “GHP”(finalba group). Oggi fa parte del gruppo alberghiero I Palazzi Hotels. Si accede all'albergo dalla centrale via Silvestro Sanvito, nel rione di Casbeno, mediante una strada a tornanti (via Luciano Manara) che si inerpica sul colle Campigli. Lungo la salita si nota un'anonima struttura semicircolare grigia di pietra: le fondamenta del già citato Kursaal, distrutto nel 1944 dal bombardamento della vicina Aermacchi. Durante la salita l'albergo rimane nascosto alla vista da una fitta pineta, rivelandosi solo una volta raggiunta la cima della collina. La struttura dell'albergo è sostanzialmente rimasta la stessa concepita dal Sommaruga nel 1911: un massiccio parallelepipedo, dalle mura color malta, senza intonaco, con una torre laterale, che gli conferiscono l'aspetto di un maniero. Alcune finestre sono dotate di balconi, le cui ringhiere sono opera di Alessandro Mazzucotelli, come del resto le grondaie del tetto e i lampioni nel parco circostante. Sul lato della torre, un'imponente colonnato coperto conduce alla vecchia stazione della funicolare. Si notano ancora le strutture della linea del vecchio trenino, distrutto anch'esso dalle bombe del 1944. Guida Touring Club Italiano, Varese e Provincia. Palacento 1913-2013, Maggioli Editore (collana Politecnica) Luigi Ambrosoli, Varese, storia millenaria, Macchione Editore. Funicolare del Kursaal Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Palace Hotel Sito ufficiale, su varese.ipalazzihotels.com.

Villa Baragiola
Villa Baragiola

La Villa Baragiola, detta anche Villa Baragiola Tedeschi o Villa Emma è una villa in stile eclettico eretta dal nobile comasco Andrea Baragiola De Bustelli con il nome di Villa Emma in omaggio alla moglie Emma Ronzini, a Masnago presso Varese. La villa fu edificata da Andrea Baragiola De Bustelli, noto per la costruzione del vicino ippodromo, a partire dal 1892, su proprietà appartenenti alla famiglia Baragiola De Bustelli, trasformando i fabbricati rustici in villa padronale e i fondi agricoli in parco paesaggistico. L’edificio presentava una pianta quadrata, con al centro il vano della scala intorno a cui si articolano vari ambienti: biblioteca, armeria, il salone d’onore, illuminato da una grande vetrata che affacciava vasto parco. Nel corso del Novecento, la villa divenne proprietà dapprima del banchiere Giacomo Tedeschi e, successivamente, fu trasformata nel Seminario arcivescovile della città, fino al 1991. A questo momento risalgono ulteriori modifiche all’edificio come la costruzione di un sopralzo e nel 1951 venne edificato il lungo edificio rettangolare che ospitava le aule dei seminaristi. Nel 1932 il Tedeschi fece costruire la dacia ungherese, Chalet in legno che svetta sul colle al centro del parco. Il vasto parco all’inglese, caratterizzato da rarità botaniche, berceaux, viali curvilinei e sinuosi con una lunga scalinata prospettica sul modello tardo-rinascimentale di Villa Cicogna a Bisuschio, e un lago artificiale da percorrere anche con barche, fu completamente snaturato a seguito del riadattamento a seminario. Oggi è aperto al pubblico. Notevole, al suo interno, la Sequoia gigante. Langè S. e Vitali F., Ville della provincia di Varese, MIlano, Rusconi, 1984, p. 443. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Villa Baragiola

Museo Tattile Varese

Il Museo Tattile Varese è un museo sito all'interno della Villa Baragiola in località Masnago a Varese, in Lombardia. Fondato nel 2011, ospita una collezione di modelli tattili di paesaggi, architetture, opere d'arte, reperti archeologici e pezzi di design. Il museo offre anche percorsi e installazioni multisensoriali. Il museo è stato pensato per permettere alle persone con disabilità visiva di poter conoscere luoghi, oggetti e opere d'arte, ma prevede anche percorsi bendati per utenti normovedenti. Il museo è nato nel 2011 per volere di Livia Cornaggia e dell'Istituto dei Ciechi di Milano. Il percorso di visita del museo è strutturato in cinque sezioni: particolari architettonici, storia dell'architettura, vie d'acqua e mulini, modelli geografici e paesaggistici, guide turistiche tridimensionali. Questa sezione comprende opere scultoree, pittoriche, architettoniche e infrastrutture con modelli che riproducono i diversi particolari architettonici, utili a identificare differenti stili architettonici. La sezione dedicata alla storia dell'architettura ospita modelli che riproducono chiese, monumenti e altri edifici rappresentativi di differenti periodi della storia dell'architettura, consentendo ai visitatori con disabilità visiva di conoscere le peculiarità degli elementi strutturali e architettonici di questi edifici. Il questa sezione viene illustrata una delle caratteristiche del territorio del Varesotto, ovvero la grande quantità di mulini e di corsi d'acqua. I modelli presenti in questa sezione permettono di comprendere la struttura di questi edifici, ma anche i meccanismi che consentono il funzionamento dei mulini ad acqua. Qui si trovano anche modelli che raccontano i corsi d'acqua naturali e artificiali del territorio. I modelli tattili di questa sezione descrivono l'orografia del terreno, la conformazione delle coste, la forma del corso di un fiume e altre caratteristiche naturali del paesaggio. Altri modelli permettono invece di conoscere il paesaggio antropico proponendo alcuni esempi quali un acquedotto, un ponte, uno svincolo autostradale, un viadotto, eccetera. La sezione dedicata alle guide turistiche tridimensionali ospita modelli tridimensionali che permettono di conoscere la pianta di alcune città turistiche italiane, al fine di facilitare la successiva visita delle stessa da parte di persone con disabilità visiva. Gli edifici più significativi e le strade principali presentano indicazioni in braille. Sito ufficiale, su museotattilevarese.it. Museo Tattile Varese, su beniculturali.it, Ministero della cultura.

Villa Torelli Mylius
Villa Torelli Mylius

Villa Torelli Mylius, comunemente nota solo come Villa Mylius, è una villa della città di Varese. Di proprietà del comune, l'ampio parco della villa è utilizzato come giardino pubblico. La costruzione dell'edificio risale al XVIII secolo. Nelle mappe catastali degli anni venti e trenta del Settecento la maggior parte del terreno sul quale sorge la villa apparteneva ai Padri Gesuiti di Varese, mentre il resto era ripartito fra le monache romite ambrosiane ed altri privati. Il terreno circostante, che in seguito sarebbe divenuto il parco della villa, era all'epoca una zona erbosa coltivata a vigneti e gelsi. Nel 1773 papa Clemente XIV soppresse la Compagnia di Gesù, i beni dei religiosi furono dunque espropriati e i loro terreni andarono al notabile Francesco Torelli, che nel 1808 commissionò una serie di interventi architettonici: gli edifici originali furono ampliati e il piano terra trasformato in una filanda. Nel 1905 Enea Torelli vendette la proprietà all'industriale del tessile Carlo Giorgio Mylius (titolare dell'azienda fondata dai fratelli Frederich ed Enrico Mylius). Fu il nuovo proprietario a rimodernare ad abbellire definitivamente l'edificio, trasformandolo in una villa di delizia. La trasformazione, commissionata ad Achille Majnoni d'Intignano, fu intrapresa a partire dal 1908. Alla morte di Carlo Giorgio Mylius la proprietà andò agli eredi, che la vendettero nel 1946 all'industriale Achille Cattaneo, il quale vi apportò ulteriori modifiche architettoniche, dando alla villa il suo aspetto finale. Nel dicembre del 2007 la Fondazione Cattaneo ha donato villa e parco al comune di Varese, che da allora l'ha trasformato in un parco pubblico intitolato ad Achille Cattaneo, come espressamente imposto all'atto della donazione. Situato ai piedi del Colle dei Miogni, il parco si estende su una superficie di 78.000 mq, di cui 64.750 mq verdi, e l'odierno giardino paesaggistico romantico è una ristrutturazione voluta da Mylius nei primi anni del 1900 su progetto del paesaggista milanese Marchese: vasti prati punteggiati di conifere esotiche e latifoglie mediterranee o ornamentali. Sulla sommità della collina alle spalle della villa è stata realizzata una piscina ad albero, risalente alla metà del 1900, in sostituzione dell'esistente, opera del paesaggista Pietro Porcinai. Il progetto della piscina risale al 1952 e quasi corrisponde al progetto attuale, che considera anche la piscina circolare interna in erba e il trampolino come un "pezzo unico", disegnato da Porcinai per la villa. Il progetto terminò il 30 maggio 1955, interessando l'assetto complessivo dell'area montuosa. A sud del parco, intorno agli anni '80, furono aggiunti campi sportivi e altri servizi che possiamo trovare ancora oggi. Il parco della villa ospita un nutrito gruppo di specie arboree, con alcuni esemplari che raggiungono dimensioni monumentali. Di seguito l'elenco delle specie più significative. Abete rosso Acero palmato Alloro Carpino bianco Castagno Cedro dell'Himalaya Cedro del Libano Cipresso di Lawson Cedro rosso del Giappone Faggio Farnia Mirto crespo Leccio Magnolia sempreverde Mirabolano porporino Pino domestico Pino silvestre Pino strobo Pioppo cipressino Pioppo euroamericano Platano ibrido Quercia da sughero Tasso Santino Langè, Ville delle province di Como, Sondrio e Varese, a cura di Pier Fausto Bagatti Valsecchi, Vol. Lombardia 2, Milano, Edizioni SISAR, 1968, pp. 332-333. Paolo Cottini, I Giardini della Città Giardino, Edizione Lativa, 2004. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Villa Torelli Mylius

Villa Craven di Seyssel d'Aix
Villa Craven di Seyssel d'Aix

Villa Craven di Seyssel d'Aix è un complesso settecentesco che sorge nel centro di Varese circondato dal parco privato più esteso della città, misurando 90.000 metri quadrati circa. La villa è opera dell’Architetto Giuseppe Antonio Bianchi che in Varese aveva elaborato solo due progetti: Villa Craven appunto e, quattro anni prima, il Palazzo Estense oggi Municipio di Varese. Il primo impianto della casa risale a metà del '600, come si evince dall'iscrizione su marmo ancora presente nella corte dietro la villa. A metà del '700 fu rimaneggiata dal Conte di Azzate Giulio Cesare Bossi che in seguito la vendette al Marchese di Siziano Antonio Molinari. Nel 1770 il Molinari diede l’incarico di riprogettare la villa nella forma in cui la conosciamo oggi all’Architetto Giuseppe Antonio Bianchi, che pochi anni prima, a un centinaio di metri di distanza da Villa Craven, aveva costruito Palazzo Estense. Negli ultimi anni del '700 il poeta Giuseppe Parini era spesso ospite del Conte Molinari a Villa Craven e quando nel 1790 vi incontrò la principessa Giuseppina Teresa, vedova di Vittorio Amedeo, principe di Savoia-Carignano, le dedicò il sonetto “La festa silvestre”. Nel 1870 (o 1860) la villa fu acquistata da Lord Walter Arthur Keppel Craven (1836-1894), un alto ufficiale della marina britannica imparentato con i reali inglesi. Era infatti figlio di Lord George Augustus Craven e di Georgina Smythe, nipote di Maria Anne Smythe, moglie morganatica del Re d'Inghilterra Giorgio IV. Inoltre i Craven erano discendenti diretti di Re Giacomo I d'Inghilterra. Il nonno di Lord Walter era William Craven, I conte di Craven, aiutante di campo di Re Giorgio III. La bisnonna di Lord Walter invece era Elisabeth Craven, principessa di Berkeley, che fece edificare la Villa Craven di Napoli, un grandioso palazzo nobiliare che sorge sulla collina di Posillipo. Lord Walter Craven, grande amante dell’Italia, aveva sposato la Contessa Elisa Oldofredi, figlia del Conte Ercole Oldofredi Tadini, Senatore del Regno d’Italia e della Marchesa Maria Terzi. Acquistata la dimora di Varese in precario stato di conservazione si dedicò ad una nuova impostazione del parco e al completo restauro della villa. Qui si stabilì con la moglie e insieme ai figli la abitò per tutta la vita. I tre fratelli Craven vivevano tutto l'anno a Varese, l'estate invece la passavano nella loro villa di Sulzano sul Lago d'Iseo. Nel 1956, alla morte dell'ultima di loro, essendo i tre fratelli senza figli, Villa Craven passò ai loro primi cugini Seyssel d'Aix, figli del Marchese Artem di Seyssel d’Aix di Sommariva Bosco e della Contessa Giulia Oldofredi Tadini. I loro nipoti ne sono ancora oggi proprietari. Nel 2020 le facciate vengono completamente restaurate mantenendo l'intonaco antico e riportando Villa Craven al suo aspetto e colore originale risalente al 1770. L'edificio principale della villa di quattro piani progettato dal Bianchi misura circa 1 800 m². Villa Craven si configura come una tipica villa di delizia dell’aristocrazia settecentesca con un impianto classico a pianta rettangolare con corpo scala centrale e privo di corte interna. Presenta un’austera facciata caratterizzata da quattro paraste e da un balcone posto sopra il portone centrale. Di elevato pregio architettonico sono anche le facciate intonacate a calce compositivamente classiche e simmetriche con lesene e decorazioni in pietra di viggiù. La villa presenta diversi elementi di particolare pregio architettonico come l’androne di ingresso, numerose sale con stucchi e decorazioni. Dall’androne, diviso da un arco sorretto da due colonne, parte lo scalone affrescato che conduce al piano nobile. Da qui si sviluppa su due piani il salone cinese progettato dal Bianchi, che deve il suo nome alla tappezzeria di carta e seta con scene di vita e paesaggi orientaleggianti, ancora perfettamente conservata. Questo salone richiama chiaramente la sala di Palazzo Estense di Varese costruito dal Bianchi per Francesco III d'Este. Questa la descrizione dello studioso di araldica Giacomo Bascapé: «La vera gemma della casa è il salone. Altissimo, esso abbraccia due piani, con due ordini di finestre; in alto corre su quattro lati una balconata di ferro di ottimo disegno; la volta è affrescata a temi architettonici di squisita fattura, dai colori freschi e brillanti, mentre il medaglione centrale ha motivi geometrici chiarissimi, sì che sembra molto alto. In un angolo della volta si legge: “Toscani pinx.1775”».. Nel 1985 Villa Craven viene dichiarata di "interesse particolarmente importante" ai sensi della legge del 1 giugno 1939 n. 1089 e, come tale, viene assoggetta al vincolo della soprintendenza. Fanno parte del complesso settecentesco di Villa Craven vari rustici un tempo adibiti a scuderie e ad abitazioni del personale di servizio che fino alla seconda guerra mondiale superava le 30 persone. Villa Craven è immersa, pur essendo in centro città, in una vasta proprietà che va dal colle Campigli sino ai confini del territorio di Masnago. Il parco all'inglese voluto da Lord Craven è completamente cintato e si estende per circa nove ettari tra boschetti, prati, e centinaia di alberi secolari tra cui faggi, sequoie, cedri, querce e castagni alcuni dei quali superano i 300 anni di età. Per forma e grandezza è notevolissimo il Fagus sylvatica purpurea accanto al giardino all'italiana. Vicino all'orto si trova invece un centenario Cephalotaxus harringtonii, molto raro in Europa. Il lato est della villa si affaccia sul giardino all’italiana progettato dal Bianchi, costituito da un parterre di prato all'inglese, circondato da una doppia siepe formale di bosso che racchiude sentieri in erba ornata da 48 sfere centenarie anch'esse di Buxus sempervirens. Fino alla seconda guerra mondiale tre ettari di parco erano adibiti a vigneto e frutteto. Nel parco la biodiversità floristica è notevolissima, si contano infatti più di 2000 varietà di specie botaniche. La fauna selvatica che vive indisturbata nel parco annovera numerose specie tra cui picchi, fagiani, starne, colombacci, astori, poiane, tassi e scoiattoli rossi. Da qualche anno anche una famiglia di volpi ha eletto i giardini di Villa Craven a propria dimora. M. Bertolone, Varese le sue castellanze e i suoi rioni, Arturo Faccioli Editore, Milano 1952, pp.59-60 G. C. Bascapè, Palazzi storici a Varese, Gramante Editrice, Milano 1963, pp.66-67 Santino Langè, Ville delle province di Como, Sondrio e Varese, a cura di Pier Fausto Bagatti Valsecchi, Vol. Lombardia 2, Milano, Edizioni SISAR, 1968. P. Cottini, I giardini della città giardino, Edizioni Lativa, Varese 2004, pp. 54 -56 P. Macchione, Casbeno, i Casbenàt, il Circolo, Edizioni Macchione, Varese, 2015, pp. 47- 51 Dattiloscritto fornito dalla famiglia proprietaria Palazzo Estense William Craven, I conte di Craven Castello dei Seyssel d'Aix Giuseppe Antonio Bianchi Villa Craven Craven Cottage Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Villa Craven di Seyssel d'Aix