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Santuario di Maria Santissima Incoronata dei Bagni

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Il santuario della Madonna dei Bagni (intitolato a "Maria Santissima Incoronata") è un santuario del comune di Scafati in provincia di Salerno, nella contrada omonima. Il santuario si trovava precedentemente nel comune di Angri e passò a Scafati nel 1928 come compensazione per l'istituzione di Pompei come comune autonomo. La devozione alla Madonna dei Bagni nacque in seguito alle guarigioni dalle malattie cutanee avvenute dopo il bagno in una fonte. Vicino alla fonte venne costruita una cappella votiva, sostituita in seguito da una chiesa. La chiesa ha una facciata del primo Settecento in stile tardo barocco con campanile, e un interno a tre navate coperto con volte e cupola. Vi si conservano un crocifisso ligneo, il dipinto della Madonna dei Bagni di Simone Villano e tele nella cupola con scene della fonte di Giancarlo Pignataro. Il dipinto di maggiori proporzioni e di maggiore importanza è quello della cupola, opera della pittrice romana Rosanna Lancia. Negli intradossi dei quattro archi che reggono la cupola sono dipinte figure di Profeti. Nei pennacchi invece sono dipinte figure allegoriche di virtù. La pittrice della cupola ha impostato il suo lavoro nel gruppo degli Apostoli che attorniano la tomba vuota, nella quale è rimasta la sindone bianca simile ad un bozzolo vuoto dal quale, pare, sia volata via la farfalla. Al lato sinistro del gruppo degli Apostoli tre figure muliebri rappresentano estasi, stupore e preghiera, i sentimenti suscitati nell'umanità dalla definizione dogmatica della gloriosa Assunzione della Vergine. Tutt'intorno, nella restante parte del cerchio, sono disposti i Santi che nei loro scritti hanno celebrato il dogma: San Bernardino da Siena, San Tommaso d'Aquino, Sant'Alfonso Maria de Liguori, San Giovanni Damasceno, San Bonaventura da Bagnoregio, Sant'Antonio di Padova; al centro, tra questi Santi si erge la figura di Pio XII, il Papa della proclamazione del dogma, ed a lui San Francesco d'Assisi presenta, in modellino, la chiesetta della Porziuncola dalla quale uscì l'Ordine dei Frati Minori, cavalieri dell'Assunta. Al centro della cupola è la Madonna che ascende estatica verso l'infinito. La chiesa inoltre dispone di un organo. La fonte si trova vicino alla chiesa. Secondo la leggenda ogni anno la notte prima della festa un angelo scende a benedirla e per accoglierlo la fonte viene ornata di fiori. A causa dell'inquinamento è chiusa alla balneazione, ma accessibile ai pellegrini per la preghiera. Notizie sul sito della provincia di Salerno, su turismoinsalerno.it. URL consultato il 23 ottobre 2013 (archiviato dall'url originale il 2 marzo 2013). Scheda sul sito "i luoghi del cuore" (FAI), su iluoghidelcuore.it. URL consultato il 23 ottobre 2013 (archiviato dall'url originale il 27 gennaio 2013). giovanidellatammorradibagni.com, http://www.giovanidellatammorradibagni.com/GTBSantuario.html.

Estratto dall'articolo di Wikipedia Santuario di Maria Santissima Incoronata dei Bagni (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori).

Santuario di Maria Santissima Incoronata dei Bagni
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Luoghi vicini

Abbazia di Santa Maria di Realvalle

L'abbazia di Santa Maria di Realvalle è un'abbazia cistercense del XIII secolo che si trova nel comune di Scafati (SA). L'abbazia fu eretta nel 1274 per volontà di Carlo d'Angiò a commemorazione della vittoria decisiva, con l'appoggio papale, nella battaglia di Campo San Marco presso Benevento (1266) su Manfredi e quindi sul dominio svevo nel regno di Sicilia. L'abbazia, ricchissima di dotazioni regie, prosperò fin quando regnarono a Napoli gli Angioini; ma già prima che subentrassero gli Aragonesi era iniziata un'irresistibile decadenza, aggravata dal grande terremoto che nel 1456 ne distrusse in gran parte le strutture. Essa riuscì tuttavia a sopravvivere fino alla soppressione degli ordini religiosi benedettini e loro derivazioni, ordinata da Gioacchino Murat nel 1808, con l'incameramento da parte dello Stato dei loro beni e la successiva vendita. Alla fine dello stesso secolo, a seguito di un lascito, il complesso pervenne alle Suore Francescane Alcantarine. Dal 2022, però le Suore Francescane Alcantarine non risiedono più nella struttura. Convivono a Realvalle testimonianze di fede che spaziano sull'arco di oltre sette secoli, e memorie architettoniche che vanno dal gotico francese, attraverso il barocco, fino all'Ottocento e ai tempi moderni con la nuova cappella di Santa Maria di Realvalle nel convento delle suore francescane alcantarine, dello scultore Angelo Casciello. La struttura nel corso del XV e XVI secolo, fu affidata a diversi commendatari. Negli anni 1590-1597 il priore Don Martino riuscì ad erigere una chiesetta per la messa e a riparare parte dell'ala conversi. L'abbazia è articolata in blocchi strutturali, correlati tra loro e disposti intorno all'immenso chiostro d'epoca angioina, fulcro dell'intera organizzazione spaziale: dell'ala monaci disposta ad est restano pochi elementi, come pure del refettorio con le cucine, forse posizionato nell'ambiente denominato sala a pilastri, mentre l'ala conversi s'è interamente conservata, anche se è stata oggetto di rimaneggiamenti. Dal prospetto principale, l'accesso all'ala conversi è caratterizzato da un ambiente imponente, con volte a crociera, che introduce al cortile colonnato, denominato corte dei conversi, da cui è possibile raggiungere il chiostro. A nord e a sud dell'ingresso si dispongono alcuni ambienti utilizzati come magazzini per le derrate alimentari e stalle per il ricovero dei cavalli. Accanto al prospetto dell'ala conversi è disposta la facciata principale della chiesa settecentesca, per la quale alcuni ambienti dell'impianto gotico furono ampliati: negli anni 1740-1748 fu, infatti, eretta la cappella con abside a pianta semicircolare, modificata dopo il 1834 per assumere l'attuale configurazione di chiesa ad aula unica, con copertura di volta a botte. Tornando al fulcro del complesso abbaziale, gli elementi superstiti visibili del chiostro sono tre muri - quello settentrionale in cui s'intravedono le alte monofore che illuminavano la chiesa abbaziale, quello occidentale in comune con l'ala conversi, quello meridionale in cui un tempo s'apriva una porta d'accesso al refettorio - ed i peducci, sui quali erano impostate le volte a crociera, che coprivano un porticato aperto sullo spazio centrale, di cui non si è conservata alcuna traccia. A nord del prospetto principale dell'abbazia si raggiungono la masseria sette-ottocentesca, che conserva in un ambiente a piano terra un forno in pietra, ed il muro della chiesa abbaziale con le gotiche monofore in blocchi lapidei, arricchite da raffinati capitelli a foglie d'acanto e croquet. La sala scoperta, la cosiddetta sala a pilastri, posta a sud del chiostro, è caratterizzata dalla presenza di grossi pilastri quadrati di lato 1,3 m ed è preceduta da un vestibolo coperto con volte a vela, impostate su pilastri della medesima dimensione, e da un altro vano notevolmente trasformato agl'inizi del XX secolo. La sala è identificabile con una parte dell'antico refettorio, rimaneggiato tra XVI e XVIII secolo per edificare nuovi ambienti, che avrebbero dovuto ospitare i monaci e che non vennero mai ultimati. Angelo Pesce, Santa Maria di Real Valle. Un'abbazia cistercense del Duecento a San Pietro di Scafati, Castellammare di Stabia 2002. Abbazia Cistercense di Santa Maria di Realvalle, su rotaryscafatiangrirealvalle.it. L'abbazia dimenticata di Santa Maria di Realvalle, su lacittadisalerno.it. Abbazia di Santa Maria di Realvalle, su loquis.com. Realvalle, su cistercensi.info. Restauro del Centro S. Francesco nell'Abbazia di Santa Maria di Realvalle, su archilovers.com.

San Pietro (Scafati)
San Pietro (Scafati)

San Pietro, con i suoi circa 15.000 abitanti, è la maggiore frazione della città di Scafati, in provincia di Salerno. Situata ad est nel comune di Scafati, ricalca principalmente i confini dell'omonima parrocchia incardinata nell'8°decanato della 3 zona pastorale della Diocesi di Nola.Situata nell'area dell'agro nocerino sarnese, dista circa 35 km da Napoli, circa 30 km da Salerno e circa 30 km da Nola. Collegata con l'autostrada A3 Napoli-Salerno, con la Strada statale 268 del Vesuvio e con la Strada statale 18 Tirrena Inferiore. Lambita dal fiume Sarno. È servita dalla linea Napoli-Pompei-Poggiomarino della rete ferroviaria locale Circumvesuviana con la fermata San Pietro. Nell'alto Medioevo la zona dove è sito il villaggio di San Pietro si presentava paludosa e malsana; il fiume Sarno, detto il "Dragone" per la sua forma sinuosa, proveniente dal monte "Saro", composto da diversi affluenti quali "Rio Palazzo", la sorgente di Santa Marina e quella di "Foce", attraversava tutta la valle. La zona improvvisamente ebbe un aumento demografico, almeno così ci perviene dal Codice Longobardo, infatti in quel periodo erano i Longobardi a dominare questa terra. Questi ultimi rifiutando il lavoro ''vile'' della terra ed esaltando invece quello delle armi e della guerra, costrinsero feudatari ed ecclesiastici del luogo a stipulare dei contratti con gli abitanti della zona che vivevano prevalentemente di agricoltura. I contadini versavano annualmente al signore del luogo un canone (si parla di enfiteusi), in via piuttosto simbolica, inoltre perviene traccia ai nostri giorni persino di un contratto denominato "AD PASTINANDUM" con il quale il proprietario terriero prestava piante, alberi o sementi da piantare; i frutti del raccolto poi venivano divisi tra i due, un'usanza ancora presente in queste zone. In questo contratto era essenziale che l'area assegnata al colono fosse fertile, per aree invece di tipo paludoso c'erano altri tipi di contratti ad esempio "AD MELIORANDUM", la caratteristica principale era che questo contratto durava fino a quando l'area assegnata al colono non diveniva fertile, da paludosa che era. L'arrivo della legge, come ci insegna la storia, crea classi sociali, nello specifico venivano considerati uomini "liberi", coloro che avevano la facoltà di stipulare contratti e godevano di diritti come possedere, lavorare o migliorare il terreno. Grazie all'opera di questi coloni e delle leggi longobarde, a partire dal IX secolo l'agricoltura divenne florida. Secondo alcuni studiosi è proprio a questo fermento che si deve la nascita della chiesa di San Pietro Apostolo ad Erceca presente dal X-XI secolo. La chiesa di San Pietro Apostolo ad Erceca era governate dai monaci benedettini di Cassino (era infatti presente anche un convento), ed in quel periodo dipendeva dall'abbazia di Sant'Angelo in Formis; intorno alla chiesa pian piano si formò un piccolo centro urbano che verrà poi chiamato il Casale di San Pietro. Attualmente nello stesso luogo sorge la chiesa di San Pietro Apostolo, appartenente alla diocesi di Nola. Insomma nel 1200 la vallata di San Pietro offriva un habitat perfetto per lo stile di vita del periodo, il tutto immerso nella Silva mala. Con quest'ultimo termine ci si riferiva al fitto bosco che circondava queste zone, l'appellativo pare sia dovuto a Federico II di Svevia, il quale separò questa zona da Ottaviano e la adibì a zona di caccia reale (l'animale maggiormente cacciato era il falcone). La "Silva mala" (sorvegliata dai Bauli, guardie speciali del re) era piuttosto estesa tant'è che vi sono ancora comuni che riportano il suo nome come Boscoreale o Boscotrecase. Il Casale di San Pietro era completamente autonomo fino a quando il re Carlo I d'Angiò decise di donare quest'ultimo all'abbazia di Santa Maria di Realvalle da lui fondata. Il Casale però apparteneva all'abate di Cassino, pertanto Carlo I d'Angiò, come si legge dal decreto dato in Logopesole il 3 agosto dell'anno 1274 propose una permuta ("si Abbas Cassinensis voluerit eam permutare loca curie que vocantur Hecla et Campanara"). Nel XVI secolo le terre di San Pietro furono acquistate dal duca di Nocera Alfonso dei Carafa. Il comune di San Pietro nel 1810 venne accorpato al comune di Scafati di cui ancora oggi fa parte. Con circa 15.000 abitanti S.Pietro è la frazione più popolosa della provincia di Salerno. La frazione contiene una serie di luoghi di interesse religioso tra cui: Chiesa di San Pietro Apostolo, sede dell'omonima parrocchia. Abbazia Santa Maria di Realvalle, abbazia cistercense del XIII secolo. Cineteatro S.Pietro Scafati Parrocchia San Pietro Apostolo di Scafati, su parrocchiasanpietro.org. URL consultato il 2 agosto 2007 (archiviato dall'url originale il 28 settembre 2007).

Chiesa di Santa Maria delle Grazie (Angri)
Chiesa di Santa Maria delle Grazie (Angri)

La chiesa di Santa Maria delle Grazie è un luogo di culto cattolico di Angri, in provincia di Salerno. La parrocchia locale in precedenza era situata nella prima chiesetta che sorgeva lontano dal centro abitato, nelle campagne di Angri, ora inagibile. Attualmente la parrocchia e le funzioni religiose sono state spostate nella nuova chiesa sorta qualche centinaio di metri distante dall'antica struttura religiosa. L'antica chiesetta di Santa Maria delle Grazie o Madonna delle Grazie è una piccola chiesa, con una stanza, che sorge nelle campagne di Angri, in via del Maio. Al suo interno vi è oltre alla stanza delle cerimonie, la stanza connessa della sagrestia, posta vicino al suo unico ingresso principale, visibilissima anche dall'esterno dell'edificio. La sua costruzione dell'edificio è stata voluta dalla famiglia Montefusco nel XIX secolo. La Madonna delle Grazie alla quale è dedicata la chiesetta, è stata dichiarata protettrice delle Manifatture Cotoniere Meridionali (MCM) nel 1830 (anno di fondazione delle industrie nel suolo angrese). Furti alla cappella La chiesa si presenta di modeste dimensioni, sopra alla sua facciata era presente una piccola campana in ferro battuta con affissa una croce, ora mancante perché trafugata dai ladri il 24 agosto del 2020. Le prime ristrutturazioni Nel 1947 venne effettuato un primo piano di restauro della cappella, di cui vi è attestato grazie ad una lapide che vi si trova al suo interno. Recupero della cappella Nel 2013 è stata lanciata una petizione per il recupero e la ristrutturazione della chiesetta perché, attualmente versa in stato di abbandono da circa un ventennio. Angri Madonna delle Grazie Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su chiesa di Santa Maria delle Grazie Chiesa di Santa Maria delle Grazie, su BeWeB, Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici della Conferenza Episcopale Italiana.

Scafati
Scafati

Scafati è un comune italiano di 47 940 abitanti della provincia di Salerno in Campania. Di fatto inglobato nella conurbazione napoletana, costituisce un unico agglomerato urbano con i comuni limitrofi di Pompei e Castellammare di Stabia. Questa vicinanza con l'immediato hinterland partenopeo lo rende legato ad esso anche dal punto di vista sociale e culturale, nonostante faccia parte della Provincia di Salerno. Prima città dell'Agro nocerino-sarnese per numero di abitanti. La sua superficie pianeggiante è ubicata alle pendici del Vesuvio ed è attraversata dal fiume Sarno, che separa in due zone distinte il popoloso centro urbano. Fa inoltre parte dell'area denominata Valle del Sarno in quanto situata nella vasta piana del fiume Sarno, tra i poli urbani di Napoli e Salerno e presenta una buona accessibilità dall’esterno. Il centro abitato di Scafati si trova ad una'altitudine di 12 metri sul livello del mare: l'altezza massima raggiunta nel territorio comunale è di 34 metri s.l.m., mentre la quota minima è di 6 metri. s.l.m. Classificazione sismica: zona 2 (sismicità media), Ordinanza PCM. 3274 del 20/03/2003. A Scafati si riscontra un clima mite, caldo e temperato. La vicinanza del mare fa sì che vi sia un clima mediterraneo tipico del meridione italiano. Il tasso di umidità è abbastanza elevato, soprattutto in estate dove la temperatura percepita, in passato, ha raggiunto anche i 45°. L'inverno ha molta più piovosità dell'estate. In accordo con la classificazione dei climi di Köppen e Geiger il clima è stato classificato come Cs-a (Cs: climi temperati con estate secca, a: temperatura media del mese più caldo superiore a 22 °C). La temperatura media annuale di Scafati è 16.0 °C. La piovosità media annuale è di 1143 mm. Il mese più secco è Luglio con 18 mm mentre con una media di 190 mm il mese di Novembre è quello con maggior Pioggia. L'umidità relativa più alta si misura a Novembre (77.06 %). Il più basso ad Agosto (66.50 %). Dicembre (giorni: 13.73) ha in media i giorni più piovosi al mese. Il minor numero di giorni di pioggia si registra ad Luglio (giorni: 3.40 days). Il toponimo Scafati si dice derivi dal termine scafa, ossia "battello fluviale", che a sua volta deriva dal latino scapha. Tali mezzi, chiamati poi lontri, simili alle gondole, ma con fondo piatto, erano fondamentali mezzi per la navigazione del fiume Sarno. Ed è proprio per questa ragione, ma anche per il fatto che i palazzi del centro si affacciano pittorescamente sul fiume, che la città di Scafati era un tempo indicata con il nome di Piccola Venezia. Secondo altre fonti, la città, come spesso accadde a località sorte sulle rive di un corso d'acqua, prese il nome da Scaphatum, cioè da quello che una volta assumeva il fiume Sarno nell'attraversare il territorio dell'odierna Scafati; forse perché in quel tratto le sue acque diventavano sensibilmente più calde (nap. scarfato, ‘riscaldato’). La città, chiamata sino al Settecento perlopiù col suo nome italiano volgare di Scafatta (infatti in castigliano era Scaphata), vedrà poi nell'Ottocento prevalere definitivamente quello suo latino originario di Scafati, o meglio di ciò che resta di vicus Scaphati (‘il borgo del fiume Scafato’). Ecco infatti quanto per esempio si legge in un'antica cronaca della guerra che, a partire dal 1132, Ruggiero II di Sicilia mosse in Campania contro il conte Rainulfo d'Alife e Roberto di Capua, potenti feudatari normanni che non lo volevano accettare come loro nuovo re: … Cum ergo ad fluvium Sarni, ubi Scaphatum dicitur, pervenissent… … Deinde turris, quae erat in praefato flumine, quod Scaphatum dicitur, continuo turricolis… … Quam ob rem comes Ranulphus, non pauco costipatus numero galearum, ad praememoratum Scaphatum pergit… Fonte: Alexandri abbatis telesini, Rogerii Siciliae regis rerum gestarum libri quatuor in Giovambattista Carusio, Bibliotheca historica Regni Siciliae sive historicorum etc. Tomo I, libro II, pp. 272, 279. Palermo, 1723. Non si ha notizia della presenza di un insediamento umano, nell'odierna Scafati, durante la prima età del ferro (IX-VII sec. a.C.); in base ad alcuni scavi eseguiti nella valle in epoche diverse si ha motivo di ritenere che la popolazione del protostorico, nel corso del proprio dislocamento lungo il Sarno, non s'insediò nell'area che oggi appartiene al comune di Scafati, benché una citazione dell'Eneide identifichi i "sarastra" come abitanti dell'odierna Scafati. La ragione è da ricercarsi nel fatto che il primo nucleo abitativo di Pompei era stato fondato da genti osche dedite al commercio più che all'agricoltura. Il fiume Sarno era il naturale tratto d'unione fra la costa campana e il suo entroterra; su esso, già dai tempi della civiltà osca, correvano le imbarcazioni mercantili. I primi segni di attività economica nel territorio di Scafati si ebbero sul fiume prima che nei campi. Due avvenimenti politici segnarono l'estendersi dell'agricoltura verso Scafati: il primo fu conseguenza della politica commerciale di Napoli che orientò le proprie attività verso il retroterra vesuviano, il secondo va collegato a un fenomeno di riversamento dei sanniti più poveri delle montagne verso zone rimaste scoperte. Durante le guerre sannitiche Roma legò Nocera ai suoi interessi economici e militari mediante un patto federale, grazie al quale il territorio della confederazione nocerina sarebbe rimasto esente da ogni influenza di legislazione romana, insomma, in piena autonomia economica e amministrativa. Il territorio pompeiano continuò a godere dei benefici della feracità del suolo e la popolazione a fruire delle conseguenze degli intensi scambi commerciali con le altre regioni italiche, finché il terremoto del 62 e l'eruzione del 79 vennero a turbare una vita fondata sul lavoro e sull'agiatezza. Nella storiografia locale, tutta la campagna dell'Ager Nucerinus viene associata alla stessa sorte delle campagne pompeiane, ma in realtà le cose dovettero andare in altro modo. Infatti i ritrovamenti nella zona dimostrano che essa costituì una via di scampo, dove, chi era riuscito a salvarsi ha potuto rifarsi una vita. Quindi la vita economica riprese a dispetto di ogni difficoltà, e la produttività agricola crebbe al punto di destare le mire dei duchi napoletani a partire dal VI secolo. La valle continuò a gravitare nell'area bizantina, finché, nel 601, Arechi, duca di Benevento, l'occupò dopo feroci devastazioni. Nel 652 Sarno passava sotto la dominazione longobarda. Il corso del fiume Sarno cessò di essere la linea di delimitazione tra i due principati. Fu così che il territorio di Scafati rimase ancora assegnato al Ducato di Napoli, ma la separazione fra i due stati non garantiva una pace sicura alle popolazioni poste lungo la linea di confine. Infatti, alcuni mutamenti politici portarono alla ridefinizione dell'assetto territoriale e dall'anno 848 il territorio di Scafati entrò a far parte della valle del Sarno, passando dalla dominazione bizantina a quella longobarda del principato di Salerno. Nel 1140 Ruggiero II divenne re di Sicilia e di Puglia. Ciò portò sicurezza nelle campagne, perché determinò la cessazione delle furibonde guerre combattute fra i conti e i principi. Il Catalogus baronum riporta notizia di un Signore a Lettere e di un altro a Nocera, e nulla più. L'assenza di altri baroni nella valle conferma l'ipotesi della demanialità della zona, che era sottoposta a particolare amministrazione per ciò che concerneva il rendimento dei terreni e la loro concessione, ma a nessuna soggezione politica. Quando quella terra si avviò a ridiventare coltivabile e una popolazione iniziò a fermarsi per lavorarla e abitarvi, fu donata a Riccardo Filangieri. Estintasi la famiglia Filangieri, la terra di Scafati ritornò al regio demanio e segnatamente alla corona angioina. La nuova situazione non fu certo migliore: alla tolleranza degli Svevi si sostituì un'ostinata e crudele intransigenza che impedì all'Italia meridionale e alla Sicilia di raggiungere lo splendore che aveva cominciato ad annunciarsi sotto la caduta dominazione. La presenza di una monarchia stabile a Napoli, però, determinò miglioramenti nelle condizioni di vita nella città e un nuovo e più intenso rapporto con la vicina campagna. L'agro nocerino sarnese, si trovò così investito di più larghe e frequenti richieste di vettovagliamento, il che dette impulso allo sviluppo e all'incremento dell'agricoltura. Nel 1284, Carlo II d'Angiò concesse la terra di Scafati al monastero di S. Maria di Realvalle come un feudo nobile. L'abbazia tenne il feudo sino ad alcuni anni prima del 1355, quando la regina Giovanna I lo concesse al Gran Siniscalco del Regno, Niccolò Acciaiuoli. Da qui il feudo tornò nuovamente nelle mani dell'abbazia alla quale fu tolto definitivamente nel 1464 per donazione fattane da papa Pio II a suo nipote Antonio Piccolomini, liberatore della terra scafatese. Con quest'ultimo passaggio si chiuse la lunga serie di infeudazioni cui fu esposta la terra di Scafati. Intorno all'anno 1532 si verificarono alcuni fattori favorevoli al miglioramento dell'economia agricola: ai terreni vulcanici fertilissimi, si aggiunsero quelli ricavati dalla riduzione dell'area boschiva, rendendo così possibile l'estendersi dell'area messa a coltura; furono impiantati opifici e mulini feudali in località Bottaro e fu aperta la strada regia, lungo la quale si intensificò il traffico commerciale. Erano i segni della nuova mentalità rinascimentale e dell'influenza economica e finanziaria della scoperta dell'America, seguita dal rialzo dei prezzi e dalla rivalutazione dei terreni. Scafati ne fu direttamente investita e così il suo territorio assunse un'importanza mai avvertita prima che la posizionò al centro dei commerci e dei transiti nella valle del Sarno, nel momento in cui i traffici si incrementavano e il passaggio delle merci sul fiume avvertiva un proficuo sviluppo. Questa situazione di benessere richiamò, sul posto più vicino al fiume, nuova gente, e avrebbe di lì a poco dato inizio a una floridezza economica senza precedenti, se il signore di Scafati non avesse modificato l'alveo del fiume, causando il disastroso impaludamento di buona parte dei terreni. Connessa all'incremento demografico ed economico fu l'estensione dell'insediamento urbano. Il centro storico, che ancora oggi viene chiamato Vitrare, cominciò invece a sorgere e a svilupparsi nella seconda metà del XVIII secolo. Infatti il fiscalismo spagnolo, la degradazione ecologica della valle da Scafati a Sarno, il calo della popolazione e le epidemie del secolo, non poterono certo incoraggiare uno sviluppo urbanistico. Nel biennio 1647-48 la valle fu teatro della guerra fra le forze popolari e quelle baronali come riflesso immediato della rivolta di Masaniello, scoppiata pochi mesi prima a Napoli. La sua caduta in mano alle forze baronali segnò l'inizio di un triste periodo di sottomissione alla volontà dei baroni. Un secolo e mezzo dopo, l'ideale rivoluzionario della repubblica partenopea, nell'Agro e a Scafati in particolare, ebbe vita brevissima. Le classi intellettuali rimasero indifferenti o volutamente estranee al movimento delle idee e non si lasciarono travolgere dai fatti. In questa zona la repubblica fu una ventata insignificante che non vide più rivivere l'ardore e il coraggio testimoniati dall'aspra guerra contadina del tempo di Masaniello. Scafati venne travolta nel 1707 dalla caduta abbondante di piroclasti del Vesuvio insieme ai comuni di Striano, Torre del Greco e Boscotrecase. Danni alle coltivazioni, centinaia di feriti. Fu importante centro industriale tessile e dell'armeria sotto il Regno delle Due Sicilie. Infatti, l'allora re Ferdinando II istituì un polverificio e realizzò un'opera di rettifica del basso corso del fiume Sarno per il trasporto delle polveri da sparo dall'opificio verso il mare, intervento che risolse anche diversi problemi per la popolazione legati alle continue esondazioni del fiume. Inoltre, sempre sotto la reggenza di Ferdinando II, fu costruito uno scalo ferroviario sulla storica linea Napoli - Portici, la prima ferrovia d'Italia, quando questa fu allungata fino a Nocera Inferiore. Il 29 marzo 1928 la frazione "Valle di Pompei" fino ad allora facente parte di Scafati, venne scorporata e insieme ad altre porzioni di territori cedute da altri quattro comuni, divennero comune autonomo, e in cambio Scafati "ricevette" la frazione di Bagni dalla cittadina confinante, Angri. Durante la seconda guerra mondiale, in Italia molte piccole città non furono toccate dal conflitto. La città di Scafati era una di queste, finché un giorno una pattuglia britannica e una tedesca si scontrano nelle sue strade. In quel periodo Scafati era una città di 15 000 abitanti circa. Come oggi (2014) c'era il ponte di pietra che attraversa il fiume Sarno che divide la città in due. In periferia c'erano molte piccole masserie dalle quali dipendeva l'economia della cittadina. Scafati quindi di per sé era un posto tranquillo, ma siccome si trovava sulla strada principale per Napoli, nei suoi vicoli stretti e tortuosi, i tedeschi avevano deciso di ritardare l'avanzata delle unità corazzate britanniche che erano penetrate attraverso le montagne a nord di Salerno. Verso le 11:00 del 28 settembre 1943, le pattuglie blindate inglesi si avvicinarono alla cittadina, muovendosi con cautela, attraverso le campagne. A sud della città furono fermate da alcuni abitanti alquanto esaltati, facenti parte del primo gruppo armato di resistenza del meridione d'Italia, denominato Gruppo 28 Settembre: alcuni portavano fucili e indossavano bracciali con sopra cucite delle croci rosse. Altri possedevano delle bombe a mano che avevano rubato ai tedeschi. I partigiani informarono il comandante britannico che il ponte davanti a loro era stato minato e assediato dalle mitragliatrici tedesche. Comandante britannico era il tenente colonnello irlandese Michael Forrester (31 agosto 1917 – 15 ottobre 2006), al comando del 1/6° del Queen's Royal Regiment, meglio conosciuto come i "Topi del Deserto" (Desert Rats). Egli posizionò uno dei suoi carri armati all'altezza di una curva nella strada che portava in città nelle cui vicinanze c'era il ponte. Un tommy (soprannome che gli inglesi davano ai propri soldati) salì in cima a una casa per osservare di vedetta, individuando un cannone anticarro in piazza vicino al ponte, puntato su di loro. A questo punto un Bren Gun Carrier (piccolo veicolo corazzato cingolato inglese) espose il “naso di ferro” oltre la curva avanzando ma venendo subito raggiunto da raffiche di proiettili di mitragliatrice. Nel frattempo, alcuni italiani si offrirono di guidare un piccolo gruppo di soldati britannici per la città ritornando poi attraverso il fiume. Sopraggiunsero molti veicoli mentre un gruppo di ufficiali e soldati si era raccolto dietro un carro armato per discutere della situazione. Il tenente colonnello prese un tommy gun (soprannome inglese del mitra Thompson) e portò con sé due dei suoi uomini nella casa più vicina al ponte. Dal tetto, individuarono un cannone anticarro e un carro armato Mark III vicino al ponte. Aprirono il fuoco sui serventi al pezzo costringendoli a disperdersi. Anche il carro armato indietreggiò attraverso il ponte. A questo punto l'ufficiale scese giù e ordinò di convertire la casa in un posto di osservazione. Nello stesso istante, una squadra mortai britannica si spostò iniziando a sparare lontano. Due soldati americani, S/Sgt. Don Graeber di Salt Lake City, e Pvt. John Priester di New York, erano seduti in una jeep a guardare il procedimento con molta attenzione. I due erano lì per riportare indietro i prigionieri tedeschi per l'interrogatorio. Gli inglesi stavano avendo la meglio sui tedeschi, così i Jerries (soprannome inglese per i soldati tedeschi) andarono via dal ponte. Il ponte non era stato minato, come si era temuto, ma c'erano diverse scatole di esplosivo ad alto potenziale sparse qua e là. La battaglia si spostò così verso l'altro lato della città. Furono avvistati altri tre carri armati tedeschi mentre quelli britannici si preparavano ad affrontarli. Sul lato liberato del ponte, gli italiani stavano arrivando entusiasti dalle case trasportando frutta e vino. Attraverso il ponte la lotta era ancora in corso, ma i tedeschi iniziavano a soccombere. Un gruppo di tre famosi corrispondenti di guerra seguì a piedi il corso della battaglia. Il Bren Gun Carrier li precedeva dietro l'angolo, ma fu completamente distrutto dal colpo di un carro tedesco Mark III e con esso i tre corrispondenti britannici rimasero uccisi. Gli inglesi risposero al fuoco spingendo i tedeschi fuori da Scafati, in direzione di Napoli. Non appena l'ultimo carro armato tedesco ebbe lasciato la città, iniziò a cadere la pioggia che ebbe una sorta di effetto rilassante sulla cittadinanza. Finalmente i tedeschi erano andati via, ma erano rimaste le cicatrici della battaglia. Quindi furono esaminati gli edifici in frantumi e i corpi straziati che si trovavano nelle strade. Poi i cittadini tornarono tranquillamente alle loro case per riprendere le loro vite da dove erano state interrotte. I tre corrispondenti di guerra che persero la vita erano Alexander Austin, Stewart Sale e William Munday. Le loro salme, alla fine del conflitto, furono trasportate nel Salerno War Cemetery, uno dei più grandi cimiteri di guerra inglese, che si trova a Salerno sulla Strada statale 18 presso Montecorvino Pugliano. Il cimitero ospita le spoglie di 1653 inglesi, 27 canadesi, 10 australiani, 3 neozelandesi, 9 sudafricani, 33 indiani, 111 non identificati per un totale di 1846 militari caduti in Italia Meridionale. I tedeschi spinti verso Napoli passarono per il comune di Poggiomarino dove, nella scuola in contrada Tortorelle, avevano allestito un ospedale militare per i feriti. Nel cortile adiacente alla scuola vennero seppelliti i morti che successivamente, dopo la guerra, furono esumati e portati in patria. Lo stemma e il gonfalone del comune di Scafati sono stati concessi la prima volta con decreto del presidente della Repubblica del 5 aprile 1995. In seguito all'elevazione al rango di Città avvenuto nel 1997, gli attuali stemma e gonfalone della Città di Scafati sono stati concessi con decreto del presidente della Repubblica del 31 luglio 1997. Vi è rappresentata la torre merlata, eretta nel IX secolo in riva al fiume presso il ponte per difendere l'abitato dalle scorribande saracene, diventata simbolo del luogo e che fu abbattuta nei primi anni del XIX secolo, laddove sorge il Palazzo Mayer, attuale sede del municipio. Il gonfalone comunale costituisce il simbolo più elevato dell'istituzione locale. L'uscita del gonfalone dalla casa comunale e la sua esposizione in pubblico è limitata alle manifestazioni e cerimonie di elevato valore istituzionale e sociale e deve sempre essere autorizzata dal sindaco. Il gonfalone della città di Scafati è di colore giallo a tinta unita. Scafati è tra le città decorate al valor militare per la guerra di liberazione, insignita di alcune onorificenze per i sacrifici delle sue popolazioni e per l'attività nella lotta partigiana durante la seconda guerra mondiale: È costruito interamente in stile tardo-barocco napoletano, annunciando in diversi tratti anche un pieno stile rococò, che tuttavia influenzò in minor modo la regione. La facciata, che nelle diverse linee ondulate, per rientranze e sporgenze, risente pienamente del barocco, presenta un portale centrale e altri due minori che fanno accedere al sagrato del santuario; da qui si passa all'entrata. L'imponente struttura è costituita da tre navate ben sviluppate, di cui la principale è sormontata da un affresco raffigurante la Risurrezione di Cristo. Al di sopra dell'entrata vi è l'organo, decorato da porcellana e palme in bronzo, il tutto per accogliere le alte canne che si protendono verso l'alto, nel tipico stile del '600. La bassa cupola è affrescata con scene della vita popolare, specialmente di scene della fonte miracolosa e dei miracoli operati dalla Madonna. Anche l'altare che ospita il bellissimo dipinto della Vergine dei Bagni è in pieno stile barocco, per la presenza dei coloratissimi marmi che si accomunano opportunamente ai due quadri del '900 ai lati del presbiterio. La caratteristica festa, verso la fine di maggio, è un'attrazione per tutta la piana: si organizza il classico carrettòn' 'e vagne e si rende omaggio alla Madonna alla miracolosa fonte dove circa 200 anni prima accaddero miracoli inspiegabili. Una tradizione vuole che, sempre durante la festa, si debba passare la mano sull'altare perché impregnato del sudore della Madonna. La Chiesa di Santa Maria delle Vergini è il più importante edificio di culto di Scafati. Costruita nel XV secolo, è in stile rinascimentale. La storia narra che la Madonna delle Vergini era destinata ad un paese diverso da Scafati, ma la statua, arrivata sul ponte, iniziò ad appesantirsi e i buoi che la trasportavano non riuscirono più a muoversi, così si decise di portare la statua nella vicina chiesa. Di chiaro stile rinascimentale la chiesa della Madonna delle Grazie, detta anche Madonna dei Muroli, è a croce latina a navata unica con una cupola bassa sul transetto; nell'area del presbiterio si innalza il trono di Santa Maria delle Grazie, dove si venera l'omonima statua che, secondo quanto vuole la leggenda, ha cacciato via tutti gli insetti che devastavano il raccolto. La statua è stata scolpita da scalpello anonimo, in legno policromo, attorno al 1700. La raffigurazione della Vergine è anomala, infatti la Madonna porge una mela al figlio che ha tra le braccia, mentre un angelo con due grappoli d'uva invita i fedeli all'adorazione. La chiesa ospitava quadri e opere di pregevole fattura che sono andati persi con un furto agli inizi del Novecento. È molto spoglia anche se la navata centrale è decorata da altorilievi, come l'interno della cupola e il presbiterio. Nel transetto di sinistra si innalza l'altare privilegiato del Sacro Cuore di Gesù. La chiesa ha anche quattro cappelle lungo la navata centrale; a destra abbiamo la cappella del Crocifisso e quella di Sant'Antonio da Padova. A sinistra una nella quale c'è il confessionale e un'altra dove si venera san Giuseppe. Nel transetto di destra abbiamo l'Assunta e nel presbiterio San Vito e san Vincenzo Ferreri. La piccola chiesa di San Francesco di Paola sorge nel bel mezzo del corso Nazionale; essa ha un imponente facciata riccamente decorata risalente al XIX secolo. L'interno è a croce greca, il soffitto presenta affreschi con scene di vita di san Francesco ed una vetrata colorata sul lato destro. Anche se l'edificio è molto piccolo un tempo era il principale luogo dove si venerava il santo a Scafati (che poi è stato trasferito nella nuova chiesa); esso era posto sull'altare maggiore, oggi è luogo della venerazione del Santissimo Sacramento. La nuova chiesa di San Francesco di Paola a pianta centrale, è costituita da un corpo che va a restringersi man mano che si arriva al presbiterio. La parte iniziale è costituita in alto da una grande vetrata (presente anche sul lato destro) molto colorata e la parte bassa da grandi portoni riccamente decorati. La statua in legno policromo del santo è anonima e non si ha nessuna data su quando sia stata realizzata. Di pregevole fattura il quadro della vergine che si trova nella parte alta del lato sinistro. La chiesa di San Francesco di Paola è la più recente chiesa costruita a Scafati. Ciò che resta dell'antica struttura dell'abbazia di Santa Maria di Realvalle lo si può visitare a San Pietro. L'abbazia è stata per metà distrutta a causa di un disastroso terremoto nel 1564; essa fu costruita da Carlo I d'Angiò per celebrare la vittoria nella battaglia di Benevento nel 1270. La struttura è composta dal corpo dell'abbazia ed una chiesa, con stili architettonici che vanno dal gotico al barocco; la nuova abbazia sorta vicino a quella antica, è affidata alle suore francescane alcantarine. Oggi si trova in un grave stato di degrado ed è fortemente pericolante. Secondo alcuni studiosi nata sulle resta dell antica chiesa di San Pietro Apostolo ad Erceca presente dal X-XI secolo. L'antica chiesa di San Pietro Apostolo ad Erceca era governata dai monaci benedettini di Cassino (era infatti presente anche un convento), ed in quel periodo dipendeva dall'abbazia di Sant'Angelo in Formis. Chiesa di Sant'Antonio Vecchio, chiesa del XX secolo, eretta per volere popolare. Sulla facciata esterna nel 1980 è stata posta una lapide dedicata ad Antonio Testa, fautore principale della costruzione. Chiesa Croce Santa; Chiesa S. Francesco d'Assisi; Chiesa SS. Vergine del Suffragio; Chiesa San Vincenzo Ferreri (XX secolo). L'ex Real polverificio Borbonico è un'antica struttura dove si analizzava la polvere da sparo prima di passare nelle officine. Ferdinando II di Borbone, ultimo sovrano di Napoli, ne ordinò la costruzione nel 1851, con l’intenzione di sostituire la Real Fabbrica di Polveri e Nitri di Torre Annunziata nella produzione di polvere da sparo. La struttura è formata da una imponente facciata, con all'interno la cappella di santa Barbara patrona degli artificieri, oggi sconsacrata, è usata come auditorium. Nel febbraio 2017, parte del giardino retrostante, di 11 ettari, è stato soggetto ad un incendio. Il palazzo Mayer era l'antica casa della famiglia Mayer, una delle più grandi famiglie tessili nella valle del Sarno. Costruito attorno al XIX secolo, oggi è la casa comunale. La Villa comunale o Parco Wenner, (prima metà dell'800) conserva un esemplare di Jubaea spectabilis che per dimensioni è il più grande in Europa . L'opera è stata realizzata dall'artista Francesco Jerace, originario di Polistena. Si trova tra via Roma e via Guglielmo Oberdan ed è composto da parti in marmo e bronzo. Il monumento poggia su un basamento decorato con conchiglie e meduse, e si erge un gruppo scultoreo in bronzo. Questo gruppo è composto da due soldati in azione e dalla figura di una vittoria alata. La vittoria alata tiene un gladio e un ramoscello d'ulivo nelle mani, simboli di forza e pace. Simbolo della città, anticamente il fiume era attraversato dal Pons Sarni, ponte in legno di età romana. Nel 1753 Pompeo Piccolomini, feudatario di Scafati, decise l’abbattimento dell’opera in legno e la costruzione di un ponte in muratura. Il fatto venne documentato da una lapide apposta sulla base del pilastro d'accesso. La Popolazione di Scafati ha registrato una crescita costante fino al 2011. Da quel momento si registra una diminuzione della popolazione. Cronologia degli abitanti censiti Secondo i dati ISTAT al 31 dicembre 2022 la popolazione straniera residente era di 2 122 persone. Le nazionalità maggiormente rappresentate in base alla percentuale sul totale della popolazione residente sono: Marocco 1021 Ucraina 449 Romania 176 Bulgaria 127 Cina 93 Polonia 54 La maggioranza della popolazione è di religione cristiana appartenente principalmente alla Chiesa cattolica; il territorio comunale ricade sotto la giurisdizione di 3 diocesi. La chiesa madre e la maggior parte delle parrocchie del comune sono amministrate dalla diocesi di Nola. La chiesa della Madonna dei Bagni è amministrata dalla diocesi di Nocera Inferiore-Sarno. La parrocchia del Sacro Cuore (Mariconda) è amministrata dall'arcidiocesi di Sorrento-Castellammare di Stabia. L'altra confessione cristiana presente è quella evangelica con una comunità: Chiesa evangelica pentecostale ADI. Fra altre confessioni religiose è presente anche quella dei testimoni di Geova con una Sala del Regno in cui si radunano quattro congregazioni (di cui anche una di Pompei). Ogni settimana la Sala del Regno di Scafati è frequentata in totale da circa 500 persone. La "tammurriata" utilizza particolari strumenti musicali: la già citata tammorra, formata da una pelle tesa su un cerchio di legno su cui sono fissati dei sonagli detti "'e cicere" o "'e cimbale"; le castagnette o nacchere, intagliate nel legno e costituite da due parti unite fra loro da un cordoncino. In alcune zone le castagnette vengono distinte in "maschio" e "femmina" a seconda che vengano suonate rispettivamente con la destra o con la sinistra. «Questo esempio riporta ad un'antica simbologia del corpo secondo la quale l'uomo, il suo corpo in genere, è per metà maschile e per metà femminile. Una visione del genere, tipica del mondo antico ed orientale, si ritrova però anche nella concezione della divinità nel Meridione. Alcune Madonne, ad esempio, hanno nella raffigurazione iconografica il sole (sulla destra) e la luna (sulla sinistra), ovvero il "maschile" e il "femminile"» (Sergio De Gregorio, nell'opuscolo allegato all'LP Musica e canti popolari della Campania - vol. 1). Alla tammorra e alle castagnette si possono aggiungere anche: il putipù o caccavella (tamburo a frizione costituito da una pentola di terracotta o scatola di latta ricoperta da una pelle, su cui è fissata una canna); il triccheballacche o scetavajasse (composto da tre martelletti di legno di cui quello centrale fisso, martelletti ai quali possono essere applicati anche dei sonagli); la tromba degli zingari o scacciapensieri o marranzano. Il rappresentante illustre della "Tammurriata" è Antonio Matrone ('O Lion) col suo gruppo definito "A Paranza do' Lione". L'altra grande forma di musica popolare è "A Fronna e Limone" (fronda di limone). Quest'ultima è una particolare forma di canto campano, eseguito a distesa e senza accompagnamento strumentale. Per quel che riguarda i testi, in genere si attinge ad un vasto repertorio di "fronne" che però, a seconda della circostanza, possono essere variate, rimescolate o improvvisate in parte dall'esecutore (e ciò avviene massimamente quando le "fronne" sono articolate tra due o tre persone che si rispondono e dialogano con tali canti). Per questa loro disponibilità al dialogo, le "fronne" sono state anche utilizzate come comunicazione con i carcerati. Infatti per il passato, era abbastanza frequente sentir cantare sotto le carceri alcuni tipi di "fronne", articolate da parenti o amici di reclusi. Spesso erano informazioni che si davano al carcerato, messaggi d'amore, parole di conforto, il tutto articolato con un linguaggio oscuro e gergale che sfuggiva anche alla comprensione dei secondini. Nella tradizione più classica, esiste, un repertorio di "fronne" più ritualizzate, le cui tematiche si riferiscono all'amore, a fatti sessuali e alla morte. Il protagonista indiscusso di questa particolare forma di canto e "Zì Giannino Del Sorbo" senza ombra di dubbio il più grande frondaiolo vivente. Una festa considerata emblematica per tutto l'agro nocerino sarnese è la festa della "Madonna dei Bagni", si svolge a Bagni, località agricola situata in periferia di Scafati al confine con Angri. Una festa tipicamante primaverile che si consuma nei suoi rituali nelle masserie dove si canta e si danza a ritmo di "tammorra" e "castagnette" (tamburo e nacchere). Scritti antichi ci riportano ai festeggiamenti per i quali la plebe rurale traeva ispirazione dalle "Feste Ilarie", che celebravano la morte e resurrezione di Attis. Antropologicamente nell'antichità pagana il dio della natura rinasce in questo periodo. Festeggiamenti quindi per l'alterna vicenda della natura che fiorisce a nuova vita. Morte e vita, nel mondo rurale si identificano: dalla morte del seme consegue la nascita della pianta. Altro elemento di vita è l'acqua. Su queste premesse si innesta il rito religioso che nei giorni della festa dell'Ascensione, sulla Statale 18, nei pressi del seicentesco Santuario, si celebra in onore della "Madonna dei Bagni". La festa, secondo autorevoli studiosi, rientra nel culto delle "Sette Madonne" in Campania. A Bagni, oltre al Santuario di S. Maria Incoronata dei Bagni, risalta la fonte ('o fuosso) che contiene l'acqua ritenuta miracolosa; dove una vecchietta intinge una penna di gallina nell'olio santo, unge e benedice la gente. Altre peculiarità del "fosso" sono: la camomilla, i papaveri e "'o Vacille cu' 'e rrose", bacinella con petali di rose maggiaiole che vengono, secondo la leggenda, benedetti da un "Angelo" che passa nei campi la notte precedente l'Ascensione, donando ai fiori tipici della festa proprietà taumaturgiche e purificatorie. Icona mobile della festa “Il Carrettone”. Anticamente i signorotti del napoletano raggiungevano Bagni con il "Bleak", vettura di lusso trainata da cavalli dove prendevano posto le "maeste ncannaccate", signore con vistosi gioielli al collo. I contadini invece si servivano dei comuni carretti che per l'occasione "annoccavano" (addobbavano) con fronde e fiori di carta velina, per copertura, come riparo dal sole, venivano sistemate delle lenzuola. Da tali carretti deriva il nome "'O Carrettone 'e Vagne". Tale mezzo di viaggio, la cui ultima apparizione risaliva al lontano 1954, è stato riproposto, nel pieno rispetto dell'antica tradizione, dal 1982 al 1987, fino a quando la festa non ha subito un processo di trasformazione con l'immissione di elementi spurii che non hanno nessuna congruenza culturale - antropologica con la memoria autentica. Il "Carrettone" era preceduto, nel suo "viaggio", da un folto gruppo di ragazzi che indossavano "antrite", collane di noccioline e castagne e che "guidavano" il tipico "chirchio", cerchio di bicicletta o di botte, anch'esso "annoccato" con fiori di carta, penna di gallina e immaginetta della Madonna. La Festa della Madonna dei Bagni conserva oggi il suo fascino in ragione delle esibizioni spontanee della gente che rimane protagonista autentica quando accompagnandosi con le inseparabili "castagnette" si disinibisce e si esprime a lungo in una frenetica "tammurriata" collettiva. Scafati si contraddistingue per la sua profonda e radicata tradizione di musica popolare: nelle sue periferie ancora a vocazione fortemente agricola, si conservano la suggestioni della "Tammurriata" che prende il nome dal tamburo che scandisce il ritmo, detto "tammorra" o "tammurro". Originario di Scafati sarebbe stato, secondo la tradizione, Felippo Sgruttendio (detto per questo "de Scaphato") autore di una raccolta di sonetti e canzoni in dialetto napoletano dal titolo "La tiorba a taccone", pubblicata per la prima volta nel 1646. N. Sapegno così ebbe a definire l'opera: "un canzoniere in vita e in morte di una Cecca, gustosa parodia, ricca di pittoreschi quadretti di vita popolana, dei modi e dei temi della lirica amorosa contemporanea". A Scafati sono state girate delle scene del film Bob & Marys - Criminali a domicilio in Piazza Vittorio Veneto e all'interno della Chiesa di Santa Maria delle Vergini. A Scafati è stato girato quasi interamente il primo episodio della serie Missione Fashion Style, con protagonista Federico Lauri e con l'aiuto di Ginta Biku, in un negozio di parrucchiere situato nel comune. La serie va in onda su Real Time. L'antico centro cittadino si sviluppa a ridosso del fiume Sarno. Qui vi troviamo la piazza Vittorio Veneto su cui affaccia la chiesa di Santa Maria delle Vergini, patrona della città. Da piazza Vittorio Veneto parte la strada più importante della città che la congiunge con il centro della vicina città di Pompei, un rettilineo denominato fino al confine tra le città Corso Nazionale. Sempre da piazza Vittorio Veneto, attraversando il ponte sul fiume, a pochi metri è possibile raggiungere il palazzo della Casa Comunale denominato Palazzo Mayer. Alle spalle di quest'ultimo si trova la Villa Comunale chiamata Parco Wenner. Parallelamente a Corso Nazionale, corre una strada chiamata via Martiri d'Ungheria. Il centro storico, che si sviluppa dei dintorni della piazza Vittorio Veneto è denominato quartiere Vitrare, poiché nel 1700 gran parte degli abitanti erano dediti alla vetrificazione delle stoviglie di terracotta. Il manufatto di terracotta (stoviglie, tegami etc.) veniva calato a mano in una tinozza, al cui interno c'era un composto di piombo (l'abbaiacca), e poi veniva infornato ad altissime temperature. La città è suddivisa in varie frazioni: Bagni; Sant'Antonio Vecchio; Mariconda; Mortellari; San Pietro San Vincenzo; Trentuno; Ventotto; Marra-Zaffaranelli. Le due frazioni "Ventotto" e "Trentuno" si chiamano in tal modo, poiché si fa riferimento alla numerazione delle cabine dell'acqua che anticamente servivano per irrigare i campi, che si trovavano lungo l'ex canale Conte di Sarno. Le principali strade extraurbane che attraversano il territorio sono: Strada Statale 18 Tirrena Inferiore Strada Provinciale 5 Pendino-Bivio San Marzano (Confine Poggiomarino). Strada Provinciale 127 Innesto SP 5 (S.Marzano)-Trav. Badia-via Torino-Innesto SP 96 (Tricino). Strada Provinciale 185 Via Longa-Innesto SS 18-Ortoloreto-Ortalonga-Innesto SS 367. Strada Provinciale 287 Innesto SS 18 (Scafati)-confine centro abitato di Angri. Strada Statale 268 del Vesuvio (Scafati) È servita dalle seguenti linee ferroviarie: Linea Napoli-Pompei-Poggiomarino della rete Circumvesuviana mediante la stazione di Scafati e la stazione San Pietro Linea Napoli-Salerno della rete RFI mediante la stazione di Scafati. Fra il 1911 e il 1952 Scafati era servita dalla tranvia Salerno-Pompei, esercita dalla società Tranvie Elettriche della Provincia di Salerno (TEPS). Scafati ha alle sue spalle una forte tradizione sportiva, che si esprime in differenti discipline, tra le più rilevanti calcio, pallacanestro e pallamano. In occasione dei XX Giochi Olimpici Invernali di Torino 2006 la fiamma olimpica attraversò le vie della città. Scafati è stata proclamata Città Europea dello Sport per l'anno 2016 dall'ACES (Associazione delle Capitali Europee dello Sport). La principale squadra di calcio della città è la Scafatese Calcio 1922, che conta anche due partecipazioni in Serie B. La squadra di pallacanestro è la società Scafati Basket 1969, tra le principali dell'Italia meridionale, che milita in Serie A. La compagine di pallamano Cierre Scafati è stata campione d'Italia nella stagione 1983-1984. Altri sport praticati sono la pallavolo e il calcio a 5, nel comune infatti ha sede una società femminile di pallavolo: la Volley Scafati fondata nel 1967. Dal 2015, presso il Centro Sportivo Gymnasium, la città ospita il trofeo di Nuoto per Salvamento "Trofeo Gymnasium Scafati". Stadio 28 settembre 1943 PalaMangano, con una capienza di 3700 spettatori. PalaGymnasium Cimmelli Vittorio, Storia di Scafati e di S..Pietro suo villaggio, 1997 Agro nocerino sarnese Valle del Sarno Fiume Sarno Canale Conte di Sarno Canale Bottaro Consorzio di bonifica integrale comprensorio Sarno Battaglia di Nocera Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Scafati Wikivoyage contiene informazioni turistiche su Scafati Sito ufficiale, su comune.scafati.sa.it. Scafati, su sapere.it, De Agostini.

Chiesa di Santa Maria delle Vergini (Scafati)
Chiesa di Santa Maria delle Vergini (Scafati)

La chiesa di Santa Maria delle vergini è il più importante edificio di culto della città di Scafati (SA). Essa sorge su una costruzione preesistente e raggiunge la sua forma attuale attorno al XV secolo. Tutta la sua architettura (specialmente la facciata) è pienamente in stile rinascimentale mentre l'interno, a tre navate con quella centrale riccamente affrescata, ospita numerose opere. Il transetto è sormontato da una decoratissima cupola affrescata da Vincenzo Galloppi e rappresenta una vivacissima scena del paradiso con al centro la trinità nella gloria dei beati e degli angeli. A sorreggere la cupola quattro affreschi raffiguranti quattro profeti. Nelle ali della croce, a destra e a sinistra, vi sono affreschi raffiguranti scene bibliche, mentre, la mezza cupola del presbiterio è arricchita da scene importanti per la storia ecclesiastica. La chiesa ha una pianta a croce latina con un'ala, l'arciconfraternita, che si apre sulla navata di destra volta ad ospitare la statua di santa Maria delle Vergini. Molte sono le opere che l'interno della chiesa ospita. La più grande è certamente l'imponente polittico attribuito a Decio Tramontano che orna l'altare realizzato tra il '400 e il '500 con scene della vita di Cristo. Altra grande opera è la Madonna del Rosario. Attorno alla vergine del rosario si affollano papi, principi, re, e guerrieri; il quadro è stato attribuito a Pompeo Landolfo realizzato forse nell'ultimo decennio del '500. Un'altra grande opera è la "madonna e le anime purganti" che reca la firma di Fedele Fischetti e la data del 1759. Altri grandi quadri sono "l'adorazione dei pastori", la "purificazione di Maria","la presentazione di Gesù al tempio" tutti di autori del XV secolo. Attribuiti a Giuseppe Bonito sono due tondi dell'altare che raffigurano l'Angelo custode e San Michele arcangelo. Gli affreschi della navata centrale e del transetto risalgono al 1800. Di fattura pregiata è anche la Madonna del Carmelo che risale al pieno rinascimento, anch'essa è di autore ignoto. Nel mezzo del transetto si innalza la cupola riccamente affrescata con una scena assai animata del paradiso con al centro la Trinità. Da annoverare è anche il fonte battesimale settecentesco che si trova nella seconda arcata della navata sinistra. Anticamente nel tempio si venerava la Madonna del parto per cui l'immagine al centro del polittico raffigura la vergine incinta. La Madonna delle Vergini è una statua in legno policromo scolpita, come riportato alla base, nel 1713 da mani ignote, attribuita però a Nicola Fumo. Secondo una leggenda la statua, in viaggio per una diversa destinazione su un carro trainato da buoi, arrivata sul ponte a Scafati si appesantì fin quasi a sprofondare. Si prese allora la decisione di trasferire la statua nel vicino tempio. Nel 1800 venne edificata l'arciconfraternita di santa Maria delle vergini. La statua raffigura la Vergine giovane con un viso molto dolce, che accoglie sotto il suo manto due altre vergini, una ricca e perciò la Madonna l'accoglie coprendola poco, ed una povera, che la Madonna copre molto. Sono tanti i doni che il popolo di Scafati ha dato alla sua patrona, tra cui l'antica corona del 1840, e lo stellario del 1906; la nuova corona con l'apposito stellario del 2006; un grande medaglione del 1840 e altri due medaglioni del 1854 e del 1954 per riconoscenza per le grazie che la Madonna ha recato ai suoi pellegrini. Si narrano molti episodi attribuiti alle capacità miracolose della statua di S. Maria delle vergini. Tra questi si racconta che nel corso dell'eruzione del Vesuvio del 1906, si prese la decisione di portare la Madonna innanzi alla colata lavica che stava per investire la città. Accadde così che il flusso lavico si fermò e la città di Scafati venne risparmiata. Non un lapillo o cenere infatti colpì l’area scafatese, facendola così anche diventare un punto di accoglienza per tutti i paesi che invece ne erano stati colpiti pienamente. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su chiesa di Santa Maria delle Vergini Chiesa di Santa Maria delle Vergini, su BeWeB, Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici della Conferenza Episcopale Italiana.

Cappella di San Nicola di Bari (Angri)
Cappella di San Nicola di Bari (Angri)

La cappella di San Nicola di Bari è un luogo di culto cattolico situato ad Angri, in provincia di Salerno. La cappella gentilizia venne fatta costruire su proposta del nobile angrese Riso De Risi nel 1321, dedicandola a san Nicola di Bari, dopo che egli si appropriò delle terre dove sorge la struttura religiosa. Dal nome del nobile derivò il toponimo, rimasto invariato nel tempo, di borgo Risi. La facciata della cappella alla sua fondazione era di stile romanico. Vi sono attualmente su di essa due piccole finestre dalle quali è possibile accedervi dal suo 'interno. L'interno si presenta con un unico ambiente e vi è un solo altare maggiore per le celebrazioni eucaristiche inoltre, vi è un nartece dal quale oggigiorno è possibile accedervi solo dal secondo piano di una parte dell'annesso istituto delle suore compassioniste serve di Maria. Dietro l'altare maggiore c'è una nicchia (l'absidiola), nella quale è custodita una statua della Madonna di dimensioni umane e un deambulatorio nel quale vi è anche il locale della sacrestia, dal quale si può accedere da due porte presenti nell'abside. Sopra la porta alla destra dell'Altare maggiore, si osserva un'opera pittorica raffigurante Gesù e suor Maria Maddalena Costanza Starace (Beata) da giovane e un'altra opera, invece, è posta sopra la porta che sta alla sinistra dell'Altare maggiore che raffigura (di profilo) la predetta fondatrice dell'Ordine delle suore compassioniste, ma questa volta la si può ammirare in età avanzata. Entrambe queste opere pittoriche sono state inserite nella Cappella dopo la sua annessione all'Istituto. Dopo la creazione del vicino Istituto delle suore, venne creata anche una porta nell'aula della chiesa ove si trova sulla parete che è situata tra la porta d'ingresso e alla sinistra dell'Altare maggiore, per consentire l'accesso, nella chiesa, direttamente dalla portineria del vicino convento delle suore. Nel '700 la cappella venne ricostruita interamente in puro stile barocco. Con la creazione del vicino Istituto delle suore compassioniste serve di Maria, la cappella divenne proprietà dell'istituto e venne annessa come cappella privata del convento oltre a mantenere le funzioni liturgiche anche verso la popolazione. Nel 1944 il pittore angrese Lorenzo Iovino realizzò nell'abside della cappella alcuni affreschi tra i quali vi sono: delle scene della Vita di san Nicola di Bari, della personificazione umana di Dio e della Madonna venerata, terminati nell'anno 1956 come riportato di fianco alla sua firma. Il primo dipinto è posto sulla porta e sopra al dipinto che si trova alla destra dell'altare maggiore, il secondo è collocato sopra la statua della Madonna che si trova dietro l'abside, infine il terzo sulla porta e alla sinistra dell'altare maggiore. Angri San Nicola di Bari

Collegiata di San Giovanni Battista (Angri)
Collegiata di San Giovanni Battista (Angri)

La collegiata di San Giovanni Battista è la chiesa madre della città di Angri, comune in provincia di Salerno, situata nell'omonima piazza e nelle adiacenze del Castello Doria di Angri. Vengono custoditi al suo interno la statua lignea di san Giovanni Battista e il busto argenteo del medesimo santo, i quali sono oggetto di antichissima venerazione da parte della popolazione angrese che dura da molti secoli. In alcuni locali posti al sud della collegiata alcuni fedeli angresi crearono due secoli dopo la fondazione della chiesa una confraternita intitolata a Santa Margherita di Antiochia, tuttora esistente e attiva. La fondazione della chiesa La chiesa fu fatta costruire una prima volta nel 1181 da un sacerdote locale, un certo Giovanni de Miro, e dedicata inizialmente a Sant'Angelo (si intende san Michele arcangelo). Il sacerdote Giovanni de Miro vissuto nel XII secolo non deve essere confuso con un sacerdote suo omonimo, appartenuto presumibilmente anche al medesimo casato e vissuto nell'XI secolo, sempre ad Angri. Tale Giovanni de Miro fondò, secondo alcune fonti, la prima chiesa di Angri, quella dedicata a San Benedetto da Norcia, in uno dei due più antichi rioni della città, il rione Ardinghi. La chiesa quando venne eretta era di dimensioni più piccole di quelle che si possono ammirare oggi. Il motivo per il quale il nome della chiesa venne intitolato inizialmente a San Michele arcangelo è che all'epoca la popolazione locale e successivamente quella longobarda era molto devota agli angeli custodi ed in particolare allo stesso san Michele, capo delle milizie celesti. Infatti, anche i longobardi, giunti in Italia secoli prima, e dopo la loro conversione dall'arianesimo al cristianesimo, adottarono san Michele arcangelo come loro patrono e santo protettore.Varie fonti riguardanti la fondazione dell'antica chiesa di Sant'Angelo Secondo alcune fonti scritte trasmesse fino a noi dagli storici dell'epoca, indicano che esisteva una chiesa sorta poco dopo un altro edificio religioso e intitolata a Sant'Angelo. L'altro edificio religioso secondo tali testimonianze era un monastero e vi era al suo interno un eremo. Entrambi gli edifici sarebbero sorti nell'VIII secolo o forse anche anni prima della fondazione della prima chiesa di Angri. Il monastero era gestito dai monaci benedettini e al suo interno vi svolgevano delle celebrazioni liturgiche sia private e sia verso la popolazione locale. Poco dopo la fondazione di questi edifici, passarono sotto il governo del priorato dell'abbazia di Cava De' Tirreni. Sempre secondo questi testi inoltre, entrambi questi edifici erano situati sopra Angre, in loco qui dicitur Curbaru (sopra la città di Angri, in località di Corbara). Corbara infatti confinava e confina tuttora con le terre di Angri andando verso sud e si estende ai piedi dei Monti Lattari. Le testimonianze di questi storici però, non indicano se questi edifici si trovassero in territorio di Corbara o al confine fra le due città, poiché oggigiorno, non esistono più. Sempre secondo queste fonti, ad Angri c'era anche una località che veniva chiamata nel Medioevo alli santi Angeli o alli beati santi Angeli (ai beati e santi angeli), ed era situata nel fundo Marciani (fondo Marciano), poi rinominata e chiamata ancora oggi con il nome di rione Casalanario. Anche nel Codex diplomaticus avensis (codice diplomatico Cavese) in merito ad Angri, si descrive l'esistenza effettiva di una chiesa annessa ad un'antica masseria e dedicata ancora a Sant'Angelo. Questo complesso di edifici inoltre, era situato sempre secondo ciò che narra il codice in terra d'Angri e più esattamente sempre nel fondo Marciano. Si racconta sempre secondo il codice che questa masseria fu di beneficio dell'abbazia di S. Massimo di Salerno e nel IX secolo dell'Episcopio di Stabia e di Paestum. Secondo una lettera, la nº 72 del papa San Gregorio Magno, conservata dal monsignor. su-eccellenza Martini, (del gennaio 1846), dal libro XI, epistolario LXXII, indice IV, Cfr. Italia Pontificia, V. Sorrento, indirizzata dal papa S. Gregorio Magno all'abate del monastero di Sorrento, di nome Agapito, lo invitava ad accogliere tutti i monaci del monastero di Sant'Angelo del fondo Marciano nel suo perché, anche il papa venne a sapere che il monastero andò completamente distrutto a causa di alcuni guerrieri Longobardi, andati lì per saccheggiare e distruggere quelle terre. Inoltre, sempre nella lettera, Gregorio Magno invitò Agapito ad unire entrambi i monasteri finché, non si sarebbero rivendicate le terre del fondo Marciano e ripristinato l'intero complesso religioso andato completamente distrutto. Nel frattempo, il monastero del fondo sarebbe andato sotto la giurisdizione del vescovo di Nocera dei Pagani che se ne sarebbe occupato nel farlo ripristinare (cosa che non avvenne più neanche a distanza di secoli). Infine sempre nelle ultime parti della lettera del papa, obbligò sempre il vescovo Agapito, ad inviare al più presto dei monaci al monastero distrutto finché continuassero con le celebrazioni liturgiche in quelle terre di Angri. Secondo l'archivio diocesano, dei vari testi correlati e di alcuni storici dell'epoca in cui venne eretta la chiesa di Sant'Angelo, la località esatta dell'erezione della struttura, non è la stessa della quale sorge l'attuale collegiata di San Giovanni Battista ma, si troverebbe in un altro luogo di Angri ovvero in una qualche località montana, venne infine cambiata la sua funzione passando da quella di parrocchia a quella di collegiata, col nuovo nome indicante San Giovanni Battista, anche nuovo patrono della città. Altri storici affermano invece che l'antica chiesa di Sant'Angelo, venne eretta nel perimetro dell'attuale collegiata.Il culto degli angeli custodi nella vicina città di Corbara Anche nella vicina città di Corbara era molto sentita la venerazione degli angeli custodi tanto che, dalla metà del 1800, ogni 2 giugno (ricorrenza dell'onomastico di Sant'Erasmo di Formia) è nata una vera e propria festa religiosa che vede ancora oggi la rappresentazione della calata dell'arcangelo San Michele appeso a delle funi, da uno strapiombo fino alla chiesa principale del paese dove salva la vita di Sant'Erasmo. Quest'ultimo, insieme a San Bartolomeo, sono patroni della città e titolari della chiesa dove si svolge la ricorrenza della festa. La sede parrocchiale Nel 1887 la sede parrocchiale della cappella di San Giuda Taddeo apostolo di Angri venne trasferita a quella della collegiata di San Giovanni Battista di Angri; la parrocchia contava in totale 7707 fedeli. Nel 1860 circa viene menzionato nelle delibere della confraternita di Santa Margherita di Antiochia Vergine e Martire che la collegiata divenga la chiesa madre di Angri. Altre informazioni Nel 2004 è stata creata una nicchia di fronte alla collegiata, nella piazzetta limitrofa, con all'interno un mosaico raffigurante un giovane San Giovanni Battista, similmente raffigurato come il busto argenteo del San Giovanniello presente all'interno della collegiata, per volontà dell'abate Alfonso Raiola. L'ultimo abate della collegiata di San Giovanni Battista è stato don Alfonso Raiola, che ha eseguito le funzioni liturgiche al suo interno per ben 51 anni, fino all'avvenuta morte.Le prime ristrutturazioni e ampliamenti Nel 1302 fu fatta ricostruire dal conte di Romano Orsini di Nola e dedicata all'attuale santo patrono di Angri, di cui prende il nome, in stile romanico e con una pianta a croce latina. Nel 1475 sulla bolla papale di papa Sisto IV, la chiesa ricevette il titolo di "Insigne Collegiata", ovvero venne elevata a rango di abbazia e retta da un abate e da un collegio di otto canonici. Nello stesso periodo, la facciata della chiesa venne rinnovata ed abbellita in stile rinascimentale e con i profili spioventi della copertura e, rivestita esteriormente nella facciata in bugnato di piperno liscio tagliato a cuscino (unico esempio di facciata nel mondo come chiesa, insieme a quella del Gesù Nuovo di Napoli che ha invece una copertura esterna di bugnato di piperno tagliato a diamante). Sempre sulla facciata, sono incastonati tre splendidi portali marmorei e anticamente, 3 rosoni polilobati, autentici fiori in pietra d'arte catalana, che ha pochi simili in Europa. Oggi si è conservato solo quello centrale poiché gli altri due sono andati danneggiati durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale e sostituiti con delle semplici finestre circolari trasparenti.Opere artistiche conservate al suo interno È stato aggiunto tra il XIII e il XIV secolo, accanto all'altare maggiore, un crocefisso ligneo. Nel 1501 fu fatto costruire un polittico incassato nella parete di fondo della tribuna della chiesa dall'artista Simone da Firenze. Nel 1540 furono aggiunti i 3 portali ancora oggi esistenti; nella lunetta sovrastante comparivano la vergine Maria con in braccio il Bambin Gesù ed i santi Giovanni l'evangelista e Giovanni Battista. Oggi questa lunetta non è più esistente perché è andata distrutta sempre dai bombardamenti della seconda guerra mondiale. Nel 1630 è stata commissionata una tela al pittore angrese Domenico De Marinis rappresentante la Madonna con in braccio il Bambino Gesù posta tra san Giacinto Odrowąż e gli angeli tutti intorno. Tra il 1678 e il 1683 venne incaricato il pittore Angelo Solimena di dipingere un quadro che raffigura l'estasi di santa Rosa da Lima. Nel '700 la chiesa venne ricostruita e rimodernata all'interno in puro stile barocco. Nel 1743 sant'Alfonso Maria dei Liguori passò per Angri e venne accolto nella collegiata di San Giovanni Battista, dove disse anche una messa. Sopra al quarto altare minore alla destra di quello maggiore della collegiata è presente un dipinto raffigurante la Madonna Addolorata seduta su una roccia mentre guarda il cielo. Alla sinistra dell'altare maggiore, dove c'è l'altare minore di Sant'Anna, vi è un antico tabernacolo ribattezzato tabernacolo di Sant'Anna, in marmo bianco di dimensioni di cm. 70 x 70. È formato da una cornice in alto, dove sono rappresentate tre teste di cherubini con vicino delle ali pennute; sulle due cornici laterali vi sono due angeli con mani giunte in atto di preghiera, con i capelli lunghi, indossano lunghe vestiti e sono presenti in due nicchie. Ai piedi degli angeli sono poste in prospettiva delle piccole formelle che rappresentano sei corolle piene di fiori. La porticina del ciborio è fatta in rame sbalzato e rappresenta un grande calice, dal quale spunta un'ostia emanante raggi. Nel mese di aprile del 2019 il tabernacolo è stato spostato e messo in esposizione vicino ai due bianchi marmi restaurati tra la fine dell'anno 2017 e la prima metà del 2018, situati nello spazio dove si trova il quarto altare minore a destra di quello maggiore. Nella navata centrale è possibile scorgere un soffitto in ligneo dorato e un cassettone contenente 3 tele settecentesche che illustrano, la vita di San Giovanni Battista, la confraternita di Santa Margherita e la sagrestia. L'interno della chiesa ha avuto una serie di rimaneggiamenti nel corso dei secoli e così comparvero le 3 navate con cappelle laterali che oggigiorno possiamo ancora ammirare. Durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale, più in particolare nel settembre del 1943, la collegiata subì diversi danni, tra cui quello della lunetta centrale della facciata della collegiata con la distruzione di una statua in marmo di San Giovanni Evangelista e il danneggiamento di quella di San Giovanni Battista e della Madonna con in braccio il Bambino Gesù. Il 31 ottobre del 1972, su volontà dell'abate Alfonso Raiola, venne fatta affiggere una lapide commemorativa in ricordo del passaggio di sant'Alfonso Maria dei Liguori ad Angri e nella collegiata di San Giovanni Battista.L'ampolla-reliquia col sangue del santo patrono San Giovanni Battista conservata nella collegiata All'interno della sagrestia, è conservata un'ampollina con funzione di reliquia conservata in un nuovo e moderno reliquiario, voluto dall'abate della collegiata mons. Alfonso Raiola, nel 1965. Una fonte conferma che l'ampollina è stata conservata in un apposito reliquiario con indoratura (cassetta contornata di oro) fatto preparare appositamente, nell'anno 1890 circa. L'ampolla-reliquia di vetro contiene il presunto sangue di San Giovanni Battista, avente una strisciolina di carta indicante la frase in latino Sangui S. Joann. Bapt (sangue di San Giovanni Battista). Vi è un sigillo in ceralacca rosso posto sull'ampolla non decifrato ancora, inoltre non è stato possibile ritrovare alcun documento che ne attesti la veridicità della reliquia e della sua provenienza, sia negli archivi concernenti la città di Angri, sia nella stessa collegiata e pure nella biblioteca nazionale Vittorio Emanuele III. Nel 1965 venne trafugata l'ampolla sacra con altre refurtive religiose da un gruppo di ladri ma vennero recuperate pochissimo tempo dopo. Il monsignor Alfonso Raiola venne accompagnato sul luogo del furto dal gruppo di carabinieri per certificare l'esattezza della merce trafugata, e gli sembrò in quell'occasione che l'ampollina brillasse di luce propria. Dopo essere stata riportata in collegiata poi, il mons. iniziò la consuetudine di impartire le benedizioni al popolo angrese, durante le sacre cerimonie con la suddetta reliquia, fino a che rimase in carica. Nuovi studi questa volta sul sigillo arcivescovile in ceralacca rossa dell'ampolla hanno portato il rintracciamento del suo proprietario, si tratta infatti dell'arcivescovo Antonio Salomone che tra il 1858-59 pose il suo sigillo sull'ampolla, dopo essere passato per Angri, in visita pastorale. Secondo questo nuovo studio la reliquia apparterrebbe quasi certamente ad un gruppo di oggetti sacri lasciati in dono come ex voto dal re Carlo I d'Angiò, nel 1265, alle monache dell'ordine benedettino del monastero di Sant'Arcangelo di Baiano (attualmente non più esistente). Secondo la narrazione storica della vita del santo, il sangue o una parte di esso sarebbe stato trasportato dal luogo di morte alla città francese di Bazas, da qui il regnante angioino lo avrebbe poi portato a Napoli insieme ad altre preziose reliquie. Successivamente le reliquie divennero parte del patrimonio di re Carlo III di Borbone nel 1759 e poi della collezione di re Ferdinando I di Borbone. Ristrutturazioni avvenute all'interno e all'esterno della collegiata nel corso degli anni Nell'anno 2000 è stata fatta restaurare dal sacerdote della collegiata don Vincenzo Leopoldo Battista l'antica torre parrocchiale-campanaria con l'orologio solare, annessa ad un altro antico edificio religioso e facente parte tuttora della collegiata, dallo gnomonista Giovanni Paltrinieri. Tra il 2017 e la prima metà dell'anno 2018 sono state restaurate due delle tre statue in marmo di Carrara presenti anticamente nella lunetta della collegiata di San Giovanni Battista, datate XVI secolo e collocate all'interno della collegiata, vicino al quarto altare minore alla destra di quello maggiore. Nonostante il restauro, alcune loro parti sono andate perdute come la testa del Bambino Gesù o il braccio sinistro di San Giovanni Battista, a causa delle esplosioni delle bombe che colpirono la città di Angri durante il settembre del 1943. Dopo il sisma del 23 novembre 1980 vennero effettuati degli interventi di ristrutturazione urgenti alla facciata della collegiata seguiti dalla sovrintendenza ai monumenti ed il provveditorato alle opere pubbliche della Campania e alla sovrintendenza del B.A.A.A.S. (beni ambientali, architettonici, artistici e storici) delle provincie di Salerno e di Avellino però, solo nel 1984 vennero eseguiti dei lavori di consolidamento e di ristrutturazione dell'intera struttura della collegiata tra cui anche i locali della confraternita di Santa Margherita di Antiochia. Tra il mese di settembre del 2019 sono partiti i lavori di restauro del campanile della collegiata e sono terminati all'inizio del mese di gennaio del 2020.Furti, ruberie e danneggiamenti all'interno della collegiata Per la forzata chiusura a seguito del terremoto del 23 novembre 1980, la collegiata ha subito diversi furti di opere d'arte e di alcuni suppellettili. Nella notte del 9 novembre del 2013 il sottotetto della collegiata venne colpito da un fulmine che creò un principio di incendio che venne subito domano dai vigili del fuoco accorsi immediatamente sul posto. L'incendio non provocò grossi danni e il sottotetto della collegiata nei giorni successivi venne fatto aggiustare.La festa patronale e la ricorrenza della decapitazione del santo Ogni 24 maggio, un mese prima della nascita di San Giovanni Battista, c'è una ricorrenza religiosa nella quale vengono alzati dei quadri con la sua immagine nelle vie più antiche e principali della città. Il sabato della settimana del 24 maggio viene indetta una messa serale dopo la processione religiosa in via Crocifisso dove viene alzato e scoperto un quadro raffigurante la statua lignea di San Giovanni Battista. Ogni due settimane prima della ricorrenza della festa patronale di San Giovanni Battista, la statua del santo viene spostata dalla sua nicchia e viene messe sull'altare maggiore dove successivamente viene rivestita di un alto mantello rosso che fino agli anni '70 con il quale esce durante le processioni. Tutti i 24 giugno viene celebrata la natività di San Giovanni Battista sia come festa parrocchiale che come festa patronale. I festeggiamenti durano circa una settimana durante la quale la statua del santo esce dalla chiesa madre e compie la tradizionale peregrinatio (peregrinazione) nelle vie principali cittadine, delle chiese e nelle zone periferiche di Angri. Era consuetudine fino agli anni '60 di appendere al mantello della statua le banconote delle offerte dei fedeli. È anche consuetudine far indire una messa nella villa comunale con la statua di San Giovanni Battista sulla montagnella (piccolo rilievo) durante questo periodo della peregrinazione. Al termine della festa, la statua di San Giovanni Battista viene riportata nella collegiata ed esposta al pubblico sull'altare maggiore per l'adorazione dei fedeli, ogni 24 giugno fino al 29 agosto e ne viene tolto anche il rosso mantello. Con la conclusione delle festività vengono anche calati i quadri rappresentanti il santo dalle vie cittadine e viene riposizionata la statura del sento nella sua nicchia personale che si trova alla sinistra dell'altare maggiore. Tutti i 29 agosto viene ricordata la sua decapitazione ad opera di Erode Antipa. Festività di San Giuda Taddeo apostolo Ogni 28 ottobre, viene celebrata la natività di san Giuda Taddeo apostolo all'interno della collegiata, con solenne messa e processione della statua del santo. La processione ha inizio dalla cappella dove la statua è conservata tutto l'anno, giungendo poi alla collegiata di San Giovanni Battista e, successivamente, con il rientro della statua del santo nella sua cappella originaria. L'ubicazione della chiesa e la sua composizione esterna L'attuale collegiata di San Giovanni Battista è stata eretta su una precedente chiesa dedicata a San Michele arcangelo, più piccola di dimensioni. Lungo la parte sud-est della chiesa vi erano le mura e il fossato, entrambe scomparse dopo l'espansione della città, intorno al XIX secolo. La chiesa aveva una struttura limitrofa, era la casa parrocchiale nata nel XV secolo, ora diventata una sagrestia, sul lato sud, mentre sul lato nord sorse una struttura campanaria tuttora esistente. Una piccola piazza sorge intorno e nei pressi della collegiata ribattezzata con il nome dello stesso santo patrono di Angri, in essa vi è un'edicola sacra di grandi dimensioni chiusa da un cancelletto di San Giovanni Battista in mosaico policromo. La sua facciata è unica in tutto il meridione, essendo stata rifatta in bugnato di piperno liscio tagliato a cuscino. Alla sua fondazione venne eretta in stile architettonico romanico presentando una facciata a salienti. Nel 1475 venne completamente ristrutturata e ampliata in stile rinascimentale e re intitolata a San Giovanni Battista, successivo patrono locale di Angri. In quest'anno la chiesa ottenne il titolo di collegiata.Il campanile Sul lato nord della collegiata è presente il campanile annesso. È formato da una torre rettangolare suddivisa in quattro ordini (parti), oltre ad una parte 5 basamentale. Vi sono poi delle cornici aggettanti (che sporgono di fuori dai bordi) e con aperture ad arco ai 4 livelli della torre campanaria. La struttura in muratura continua è direttamente collegata al muro perimetrale della collegiata, in corrispondenza della prima cappella interna di destra. Il campanile, così come la collegiata è realizzata attraverso la continuità della cortina muraria che esisteva anticamente nel centro storico di Angri. È stato oggetto di restauro tra il mese di settembre 2019 e terminato a fine del mese di gennaio del 2020. Durante quest'ultimo restauro è stata creata un'edicola sacra che raffigura il Cristo risorto, posta quasi presso la base e di dimensioni umane. La statua del patrono La statua lignea, secondo una leggenda, fu costruita da un marinaio di una flotta bizantina in viaggio verso la costa campana; durante la traversata, si dice che alcuni marinai di un'altra nave rubarono la statua, mossi dall'invidia per la velocità del battello su cui il prezioso legno era collocato. Gli invidiosi marinai tentarono di bruciare la statua, ma invano; non contenti di ciò, essi misero il legno su di un carro, che, trainato da buoi, si fermò in aperta campagna. In quel punto esatto fu eretta la collegiata dedicata al Battista. Al giorno d'oggi la statua lignea, adornata da un manto rosso e oro, è il principale elemento di venerazione da parte della popolazione angrese. A San Giovanni Battista gli si attribuiscono molti miracoli tra cui l'aver salvato gli angresi da calamità naturali quali la peste del '600 e i propizi e abbondanti raccolti. È ancora vivo nel ricordo degli anziani, il miracolo compiuto dal Battista durante l'ultima eruzione del Vesuvio del 1944. Angri fu colpita da una incessante pioggia di lapilli che minacciava non solo l'incolumità degli abitanti ma anche i raccolti. Appena San Giovanni apparve sul sagrato della Collegiata, la pioggia di lapilli, cessò improvvisamente. Fino agli anni'60 nella processione di giugno, l'antica statua lignea di San Giovanni Battista, ricoperta interamente da banconote, veniva accompagnata da San Giovanniello il busto argenteo del Patrono, che veniva posto nel Maio un particolare carro allegorico intessuto con la paglia, che serviva a raccogliere le primizie dei campi. A conclusione dei festeggiamenti, le primizie venivano date alle donne gravide, come segno di protezione e benedizione da parte del Santo. La tradizione vuole che il volto del Battista, sia stato "oscurato" dal fumo di migliaia di batterie, fatte esplodere ogni anno al Suo passaggio. Il legno rappresenta altresì la statua processionale, che in occasione della festa del 24 giugno, esce dalla chiesa madre e compie la tradizionale "peregrinatio" per l'intera città, sia nelle vie cittadine, sia nelle zone periferiche. Successivamente, viene riportata nella collegiata ed esposta al pubblico per l'adorazione dei fedeli. Nel 2007 la statua del santo patrono ormai corrosa dal tempo è stata restaurata presso l'università Suor Orsola Benincasa di Napoli. Il 15 giugno 2016 grazie alla generosità del comitato dei solenni festeggiamenti è stato fatto un nuovo manto che San Giovanni indosserà quando sarà esposto nel suo simulacro. In ogni messa serale, per tradizione dopo di essa si recita una preghiera dedicata interamente al santo patrono di Angri.Il busto argenteo Il busto argenteo, invece, di valore ancor più importante della statua lignea, è un capolavoro di arte scultorea. Esso fu scolpito nel 1719 dagli argentieri napoletani dell'epoca e raffigura il Battista con l'agnello, la croce e la mano indicante il Cristo "agnello di Dio"; dopo il sisma del 1980, tale agnello, ricoperto di oro, fu trafugato da ignoti. Nel dicembre 2013, nella Collegiata si è tenuta una celebrazione, presieduta dal vescovo diocesano, durante la quale un nuovo agnello dorato è stato riposto nella sua collocazione originale: l'operazione è stata possibile grazie al contributo di un finanziatore locale. Il busto è stato esposto in una mostra dell'oreficeria napoletana tenutasi in Brasile nel 2014.Gli altari L'altare maggiore è di notevole bellezza artistica; la mensa, collocata al centro di un largo presbiterio, è in posizione sopraelevata rispetto al piano dei fedeli; sul lato sinistro dell'altare troviamo l'ambone (di recente costruzione) e il crocifisso ligneo risalente al XIII-XIV secolo. La zona accessibile ai soli presbiteri è racchiusa da alcune colonnine in marmo di Carrara, sormontate da coppette, che ospitano spesso composizioni floreali. Stando a documenti storici rinvenuti in archivio, nell'Ottocento venivano celebrate presso questo altare quasi 800 messe. Alla destra dell'altare maggiore, è situato l'altare del Santissimo Sacramento e di San Giovanni Battista. Il tabernacolo, costituito da marmi, oro e pietre dure, è incastonato all'interno di un altare che vede alla sua sommità la nicchia che ospita la statua processionale del Santo patrono di Angri. Il suddetto tabernacolo, di ingente valore economico, è stato voluto fortemente dall'attuale parroco della Collegiata, monsignor Leopoldo, ed è stato portato a termine nel febbraio 2013. La teca alla sommità dell'altare, che ospita la statua lignea, è accessibile anche dal retro, ovvero dalla sagrestia. Nella parte opposta dell'altare del Santissimo, ovvero alla sinistra dell'altare maggiore, è presente l'altare di Sant'Anna, che ospita una statua lignea raffigurante la santa, nonna di Gesù Cristo. La statua, mai esposta al culto da vicino, è racchiusa anch'essa in una teca (non accessibile dal retro), e posta alla sommità di un altare del tutto simile a quello di San Giovanni, ma diverso per l'assenza del tabernacolo. La suddetta statua è stata riportata all'antico splendore nell'anno 2021 per volere del parroco mons. Vincenzo Leopoldo, che intuendone il valore artistico e storico, ne ha commissionato il restauro. Oltre a questi tre altari maggiori, lungo tutte le cappelle sono presenti otto altari minori. Questi, un tempo molto più in considerazione di oggi, ospitano complessivamente sette tele ed una statua, quella di Sant'Alfonso Maria De' Liguori. Nei secoli passati, ognuno di questi altari ospitava funzioni liturgiche ed era singolarmente curato da un "sagrista" o "sagrestano (anche detto sacrestano)". Le tele situate sui vari altari minori raffigurano: nella navata sinistra, l'Addolorata, Sant'Antonio, la Madonna di Montevergine e Santa Margherita d'Antiochia, mentre nella navata destra, San Gaetano, Santa Rosa da Lima e San Giuseppe (su questo lato è presente l'altare con la statua di Sant'Alfonso). Il polittico e le tele del soffitto La collegiata possiede alcune tele, un certo numero delle quali sono disposte nel polittico situato nel retro dell'altare maggiore ma in posizione sopraelevata, altre incorniciate nel cassettone, riccamente decorato da fregi e motivi vari. Nella parte inferiore del politico è raffigurata la Madonna incoronata da due angeli e seduta in trono con il Bambino benedicente, con a lato San Giovanni Battista e San Giovanni Evangelista; ai lati di questo quadro ci sono due tele, una che raffigura San Paolo con la spada ed il libro e l'altra raffigurante San Pietro con le chiavi ed il libro. Nella parte superiore del complesso pittorico sono presenti altre due tele: il Cristo morto in un lenzuolo trasportato al sepolcro da Nicodemo e Giuseppe di Arimatea alla presenza della Madonna e il Cristo risorto in piedi nel sarcofago tra i soldati. Ci sono poi quattro tele minori: il profeta Daniele, il profeta Isaia, l'arcangelo Gabriele con il giglio e la vergine Annunziata con la colomba dello Spirito Santo.L'organo a canne È presente un antico e grande organo a canne situato per tradizione sopra l'ingresso principale della collegiata, ovvero di fronte la navata principale, la cantoria, accessibile da 2 scale a chiocciole opposte, situate nei pressi dell'ingresso principale della collegiata. Le scale si trovano entrambe chiuse da 2 porte interne. La fondazione della confraternita Intorno all'anno 1302 un cittadino angrese, un certo Ammiranti insieme a dei suoi accoliti devoti a Santa Margherita di Antiochia, chiesero ed ottennero dal clero locale il permesso di creare un altare minore, in alcuni locali posti a sud della collegiata di San Giovanni Battista. L'altare minore venne intitolato alla loro santa protettrice e successivamente i fedeli creeranno anche una confraternita ad Angri chiamata Santa Margherita di Antiochia vergine e martire. Storia Il 6 gennaio 1562 l'abate della collegiata mons. Gian Vincenzo Barba effettua una ricognizione del cappellone (cappella minore all'interno di una chiesa dedicata ad un santo protettore di una confraternita religiosa) e questa viene annotata, è la prima notizia più antica e ufficiale dell'esistenza della confraternita. È stato registrato nei registri ecclesiastici della collegiata che ci sono stati degli aumenti del tributo di due ducati annui per le messe celebrate sull'altare di santa Margherita diverse volte nella storia della confraternita fino all'estinzione ufficiale del debito avvenuta nel 1814. Secondo lo storico canonico angrese Pasquale Pannone riferisce che la collegiata istituì un Monte dei Morti nel 1629, ovvero la possibilità ai confratelli di avere dei vantaggi rispetto al resto dei fedeli cattolici quali: possibilità di essere sepolti in chiesa, messe dedicate, preghiere e altro, pagando una retta mensile alla stessa confraternita. In data 25 febbraio 1631 viene redatto un contratto da il notaio D. Domenico D'Antonio Graziano nel quale, viene detto che la collegiata di San Giovanni Battista concede la gestione del Monte dei Morti alla confraternita, in cambio l'abate e i canonici della collegiata riceveranno i proventi generati dal Monte, ciò avverrà fino al 1801. A causa della peste del '600 il numero degli iscritti alla confraternita di Angri diminuisce sostanzialmente per le molte morti di cui è colpita anche la comunità angrese. Nel 1704 si registra che la quota di ingresso nel Monte dei Morti è fissata in 10 grani. Viene registrata un'importante donazione alla confraternita nell'anno 1753 di un terreno retrostante il braccio meridionale della crociera della chiesa di San Giovanni Battista, in tal modo gli adepti riescono anche a costruire la cripta e il cimitero della confraternita l'anno seguente. Il 21 luglio dello stesso anno si sancisce un disposto borbonico, la confraternita presenta al re Carlo III di Borbone l'istanza dell'approvazione dello statuto emanato da lui. Nell'anno 1784 si registrano la celebrazione di 78 messe annue per l'anima dei confratelli defunti che costano 15 ducati e 6 carlini. Inoltre, da un istrumento del 12 luglio di quest'anno redatto dal notaio Giuseppe De Vivo, si scopre che la fondazione della confraternita risale al XIV secolo inoltre, viene riscoperto dallo stesso notaio attraverso un rogito vecchio che un suo collega notaio del passato, il notaio Giovannandrea Graziano, in data 13 ottobre 1591 stabilì per contratto il mantenimento della confraternita a 10 ducati annui. Viene stabilito sempre dal notaio Giuseppe De Vivo sempre nel 1784, con lecito accordo fra l'abate della collegiata di san Giovanni Battista e i membri della confraternita che debbano pagare per il mantenimento della stessa 10 ducati e 3 carlini annui, poi con un accordo successivo sempre fra le parti si passa a 15 ducati annui, la scadenza del pagamento viene fissata in data 8 settembre di ogni anno. Nel 1805 vengono celebrate 360 messe annue, 78 messe sono dedicate ai confratelli spirati, vengono poi divise le due contabilità della confraternita, quella del Monte dei Morti e quella inerente alle messe generiche. Durante l'occupazione napoleonica del Regno di Napoli Giuseppe Bonaparte nel 1806 con un decreto si dispose la confisca dei beni e la soppressioni di numerosi istituti ecclesiastici su tutto il territorio del regno e il patrimonio della confraternita venne incamerato nell'erario statale. Fino a quest'anno si riscontra una celebrazione di 720 messe annue per le anime dei confratelli morti. Con un decreto datato 23 gennaio 1812 i beni della confraternita vengono destinati alla pubblica beneficenza del regno. Un altro decreto regio datato 1814 dispose la cessione dei beni della confraternita al Regio Liceo di Salerno contro l'obbligo di pagare annualmente alla confraternita la somma di ducati 171,40 per le spese di culto religioso. Nel 1829, vengono assegnati dei censi e vari appezzamenti di terreno tramite un rogito stilato da un notaio di Salerno, in questo modo si inizia a ricostruire il patrimonio della confraternita. Nel 1849 si pagano 10 ducati al clero per l'accompagnamento del defunto facente parte in vita della confraternita da casa sua alla chiesa con l'obbligo dei confratelli di cantare una litania religiosa la libera in casa e in chiesa e di celebrare 18 messe piane e 2 cantate. Con la circolare nº 7701 del 1º ottobre 1856, il Consiglio Generale degli Ospizi richiede a tutte le confraternite del principato Citeriore di trasmettere gli atti di fondazione delle loro confraternite, allo scopo di definire, in base all'anno di costituzione di ogni sodalizio, l'ordine da dare nelle processioni. Viene data una risposta al consiglio che gli atti richiesti sono andati persi e che si chiede la sanatoria firmata direttamente dal re, il re Ferdinando II di Borbone la firma di persona il 25 luglio del 1857. Il 24 marzo 1860 si delibera alle autorità ecclesiastiche superiori di chiedere il cambio del titolo da confraternita ad arciconfraternita. Il 27 luglio 1863 il prefetto incaricato di analizzare la richiesta del passaggio da confraternita ad arciconfraternita nega questo cambio perché reputa che i requisiti della confraternita di Santa Margherita siano insufficienti. Dopo l'applicazione della disposizione del governo italiano nel quale viene detto che viene applicato un divieto perenne di seppellire i propri morti nelle cripte delle chiese, il 3 febbraio 1878 la confraternita decide di creare una propria cappella al cimitero vecchio di Angri, per la costruzione di tale cappella al cimitero si decide di utilizzare il denaro investito nel libro del debito pubblico della confraternita, viene chiesta l'autorizzazione alle autorità competenti, l'stanza però non viene accolta. Il 17 luglio 1890 viene promulgata una legge che obbliga le varie confraternite religiose a darsi uno statuto interno, una bozza dello statuto era già stato stilato il 21 luglio del 1753 ma una ufficiale non ancora, per la promulgazione del nuovo statuto lo studio richiederà alcuni anni. Con la disposizione prefettizia nº 11979 del 23 aprile 1926 viene stabilito che tutti i salariati e stipendiati della confraternita sono tenuti a prestare giuramento alla corona savoiarda con una formula fatta preparare in merito. Nel 1914 viene stilato il nuovo statuto della confraternita. Nel 1926 viene ridisegnata la nuova pianta organica della confraternita. Nel 1978 venne effettuati dei lavori di ampliamento del cimitero angrese si delibera per la costruzione di una cappella privata della confraternita per la sepoltura dei confratelli scomparsi. L'opera viene fatta iniziare dal priore dell'epoca Nicola D'Antuono e i lavori eseguiti per la creazione della cappella cimiteriale terminano il 30 maggio 1980. Composizione interna ed esterna della confraternita Per accedere alla confraternita di Santa Margherita si poteva entrare dall'oratorio situato nella stessa collegiata di San Giovanni Battista, più specificamente nel transetto dell'altare minore dedicato a Santa Margherita d'Antiochia, il secondo accesso alle sale della confraternita si trova invece nella strada dietro la collegiata, in via canonico Alfonso Maria Fusco, vi è un cancello con dietro una gradinata, dopodiché c'è una porta che conduce ad un androne dal quale, a destra, si accede nuovamente alla sala dell'oratorio, a sinistra invece, saliti alcuni gradini, prima della sagrestia e attraverso questa, nell'archivio dotato di servizi della toilette. Al disotto della sagrestia, con accesso diretto alla strada, ci sono dei locali destinati ad uso abitativo. Al disotto dell'oratorio vi è un locale che in precedenza era destinato alla sepoltura dei soli confratelli associati alla confraternita, ovvero il cimitero della confraternita, vi si può accedere solamente passando dalla chiesa di San Giovanni Battista mediante una coppia di scale simmetriche che partono dal transetto poste ai lati dell'altare di Santa Margherita. Anche in questo locale vi è un piccolo altare situato nella parte meridionale, la parte che affaccia alla via canonico Alfonso Maria Fusco. Ci sono degli scolatoi per i cadaveri (gli scolatoi permettevano il degrado naturale dei corpi umani fino a farli diventare solo ossa) posti lungo le pareti ed il cimitero dal quale si accede mediante una botola. Nel locale che si trova aprendo la botola non è più possibile entrarci perché è stato ricolmo di terra. Manutenzione, ristrutturazioni e decorazioni artistiche L'odierno immobile di Santa Margherita è il frutto dei rimaneggiamenti di una struttura precedentemente costruita intorno alla seconda metà del '700, nonostante questo però ha conservato gran parte dell'impronta originaria della struttura religiosa precedentemente costruita, ovvero i locali adibiti ad uso religioso nella chiesa di sant'Angelo. Nel corso dei secoli i confratelli hanno fatto eseguire degli interventi di miglioramento artistico oltre che strutturale, in particolare al cappellone e alla stanza dell'oratorio. Secondo gli storici il canonico angrese Pasquale Pannone e Alfonso Falcone, nel 1540, venne realizzata la prima ristrutturazione della collegiata di San Giovanni Battista e fu realizzato per l'occasione anche il cappellone della sede della confraternita di Santa Margherita. In quell'occasione venne realizzato anche un altro locale all'interno della confraternita chiamato spogliaturo (spogliatoio), per consentire ai confratelli di potersi cambiare prima delle cerimonie religiose e delle processioni. In questi anni sotto l'ara (l'altare) della confraternita venne inizializzata in questo periodo la sepoltura dei confratelli defunti. Non si hanno ulteriori notizie fino al 1753 quando, nel terreno della confraternita retrostante il cappellone, si costruisce il nuovo cimitero e la cripta. Nel 1754 si iniziano i lavori di realizzazione dell'oratorio e termineranno solo nel 1757. Per erigere l'oratorio vengono utilizzate poi dei materiali provenienti da una vecchia chiesa sconsacrata e abbattuta intitolata a San Sebastiano, situata in località Pizzone, tra via Salice e Campora (oggi con nomi diversi). Da un rogito scritto dal notaio Francesco Bardelli di Napoli, datato 19 gennaio 1785 si evince che i lavori per la creazione del nuovo altare di marmo nel cappellone vengono eseguiti dall'artista Antonio di Lucca di Napoli e dai suoi figli Carlo, Gennaro e Giuseppe. Nel 1791 si commissiona al pittore Fedele Fischetti una tela d'altare della Vergine Maria tra gli angeli e le nuvole che mostra Gesù Bambino con Santa Margherita di Antiochia alla sua sinistra e San Giovanni Battista alla sua destra in ginocchio. Nel 1837 viene annoverata la restaurazione di un crocifisso ma non si è scritto se è quello dell'oratorio. Nel 1847 vengono fatti costruire dei cancelli in ferro e due sedili in noce. Nel 1851 si arricchisce il cappellone con dei nuovi marmi. Nel 1852 viene contattato l'artista e restauratore Luigi Capone per riparare il tetto e la tela grande sopra l'altare (di cui non si è trovata traccia negli archivi della confraternita), viene realizzata la sagrestia e vengono contattati Giovanni Desiderio (stuccatore) e Carmine Pantalone, infine vengono richiamati dei mastri falegnami e fabbri per eseguire delle restaurazioni varie all'interno dei locali. Nel 1858 viene contattato il marmista Salvatore Mansione per eseguire dei lavori nella sede della confraternita. Nel 1861 viene stipulato un contratto con lo scultore Ottaviano Travaglieri per la realizzazione dell'altare nell'oratorio. Nel 1916 il vescovo Romeo della diocesi di Nocera Inferiore-Sarno dispone la ricostruzione del pavimento dell'oratorio perché sconnesso ma, l'intervento di ricostruzione verrà eseguito solo il 18 dicembre del 1925 e verrà eseguito dal marmista Francesco Pagano e diretto dall'ingegnere Gaetano De Angelis di Napoli. L'archivio della confraternita Vi è un archivio privato della confraternita di libri inerenti, perlopiù carattere teologico, custoditi sia all'interno della sagrestia e che in quelli dell'ufficio, con una raccolta di volumi che arrivano al numero di 250, sono volumi che risalgono alla metà del secolo XXI°. Per la conteggia dei volumi vi è un carteggio ben ordinato e di facile consultazione disposto in due ordini: del tipo amministrativo e di corrispondenza varia. In alcuni di questi volumi sono presenti le rette versate a partire dall'anno 1866, dal 1700 sono conservate un considerevole numero di fonti, tipo: ipoteche, rendiconti e ricevute varie, controversie con gli affittuari, elenchi dei censi, assegnazione di dottaggi o maritaggi a favore delle consorelle della confraternita. Sono anche presenti nello stesso archivio e su mobili diversi: registri di protocolli, timbri di varia natura, e documentazione risalente gli inizio del secolo XXI°. Regole della confraternita Le regole della confraternita sono state inizializzate e trascritte in un codice conservato ancor oggi nell'archivio della confraternita datato anno 1753. Alcune regole della confraternita riguardavano che in tutti i giorni di festa i confratelli si radunassero per svolgere le attività religiose, che si proibissero a tutti gli associati di effettuare delle opere servili (non degne della vita cristiana), che ogni prima domenica del mese i confratelli frequentassero insieme la santa messa prendendo insieme i Santissimi Sacramenti della confessione e della comunione, inoltre, se un confratello non si presentava per i soliti esercizi spirituali il priore della confraternita faceva in modo di ammonirlo fortemente. Per tutti i credenti che volevano entrare nella confraternita si annovera che dovevano versare 10 carlini, se il nuovo iscritto aveva d'età dai 20 ai 44 anni invece, versava all'ingresso 20 carlini e se supererà i 45 anni infine ne doveva versare 30, successivamente il novizio doveva eseguire un noviziato che durava 6 mesi, dopodiché il priore lo proponeva agli altri confratelli che proposto all'intera congregazione e con maggioranza dei voti veniva infine accettato altrimenti respinto. Se il novizio veniva a mancare prima di diventare un confratello gli veniva assegnata la sepoltura gratuita all'interno del cimitero della confraternita. Ogni mese tutti i confratelli dovevano pagare 2 grane e mezzo e se uno degli adepti mancava al pagamento veniva reso in contumacia e avrebbe perso i vantaggi della sepoltura consueta come per gli altri confratelli. Ogni ultima domenica del mese di agosto si assisteva all'elezione di 3 ufficiali che accompagnavano il priore, infatti, ogni anno ne veniva eletto uno nuovo tra gli associati, dopodiché i 3 ufficiali eleggevano altri 3 ufficiali tra i confratelli a loro volta e successivamente si votava per chi sarebbe dovuto diventare il nuovo priore. Una volta eletto il nuovo priore gli assistenti di quest'ultimo eleggevano tutti gli altri ufficiali minori come i tesorieri, i mastri dei novizi, i mastri di cerimonie. Ogni volta che il priore era assente se fuori paese o per malattia veniva sostituito temporaneamente dal primo assistente, se mancava anche quest'ultimo si procedeva al secondo assistente. Il suo sostituto inoltre si impegnava almeno 1 volta a l'anno a leggere in presenza degli altri confratelli le regole della confraternita. La delibera nº 12 del 1899 dice che tutti i nomi dei confratelli presenti in essa dovessero essere ordinati per cognome. L'architettura della confraternita La struttura architettonica della confraternita di Santa Margherita è parte integrante della collegiata di San Giovanni Battista. Il suo oratorio è stato realizzato allungando il braccio meridionale della crociera della collegiata, ha una pianta ellittica ed è lungo 16.60 ed è largo 8.70 metri, l'altezza all'interno, misurata tra il pavimento, la volta e la cupola è di 13.35 metri. Il tetto è a capriate di legno e tegole con coppi a più falde che convergono sui centri dell'ellisse. Lo spessore delle pareti, costruite in muratura piena, è pari a metri 1.20 (1.55 nella parte centrale), sono assenti pilastri o archi. La struttura all'esterno si presenta intonacata ed ha tinte giallo pallido e grigio, in corrispondenza dell'abside vi è un'edicola votiva. All'interno sono identificabili tre livelli, nel primo (dal pavimento fino a metri 2.50) con altare, sedili e stalli di legno, nel secondo (da metri 2.50 a metri 5.70) gli otto stucchi, raffiguranti delle sante, sei finestroni rettangolari ed infine, nel terzo livello (da metri 5.70 a metri 13.35) altre sei finestre ovali. La cripta, seminterrato per due terzi, ha il soffitto articolato su tre cupolette a catino, su cui sono presenti degli affreschi, sorrette da otto pilastri binati che hanno la funzione di supportare anche il pavimento superiore. Al disotto della cripta vi è il cimitero vero e proprio, attualmente inagibile. Tra gli anni 1963 e 1964, sono stati creati dei locali ad uso abitativo. Al disotto dell'oratorio vi sono altri due locali (cripta e cimitero) mentre, sul versante occidentale sussistono infrastrutture ad uso abitativo (piano stradale), la sagrestia si presenta come un ufficio (si trova al piano superiore) mentre vi è un salone per scopi sociali (si trova al secondo piano). I locali ed il salone adiacenti al lato occidentale dell'oratorio sono collegati fra di loro da una scala. Opere artistiche conservate al suo interno Nell'androne vi è una nicchia contenente una statua a mezzo busto di San Giuseppe con in braccio il Bambino Gesù. L'oratorio è decorato con marmi policromi, possiede un altare in legno con tre nicchie che custodiscono le statue in legno della Madonna delle Grazie al centro, di San Giovanni Battista a sinistra e Santa Margherita di Antiochia a destra di esso. Nella quasi totalità della stanza sono posti dei sedili in legno di antica e pregevole fattura, quello del priore della confraternita e dei suoi due assistenti, occupano la posizione opposta all'altare in questa stanza dell'oratorio. Nell'oratorio ci sono otto stucchi raffiguranti: santa Barbara, santa Caterina d'Alessandria, sant'Apollonia, santa Cecilia, sant'Agnese, santa Irene, santa Lucia e sant'Orsola. Vi sono sempre all'interno della stanza anche un crocifisso ligneo e decorazioni varie in alto nella volta. Restauri alle opere d'arte conservate nella collegiata Nel maggio del 2018 dopo essere stato ultimato il restaurato del dipinto raffigurante la Madonna con in braccio il Bambino Gesù posta tra san Giacinto Odrowąż e gli angeli tutti intorno, è stato riportato nella collegiata e posto nel terzo altare minore, alla sinistra di quello maggiore. Il dipinto non era più presente in collegiata per via del terremoto del 1980, ed era stato custodito nella certosa di Padula fino al suo trasferimento nella collegiata di San Giovanni Battista di Angri. Angri; San Giovanni Battista; Santa Margherita di Antiochia. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Collegiata di San Giovanni Battista Collegiata di San Giovanni Battista, su BeWeB, Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici della Conferenza Episcopale Italiana.

Cappella dei Santi Cosma e Damiano (Angri)
Cappella dei Santi Cosma e Damiano (Angri)

La Cappella dei Santi Cosma e Damiano è situata nella parte più antica del centro storico della città di Angri. È conosciuta anche col nome di Cappella Pisacane, dal nome dei loro primi proprietari e fondatori, ma anche col nome di Cappella di Montevergine, dal nome della pala d'altare presente al suo interno e raffigurante la Madonna di Montevergine. Di origini medievali, sorge inglobata in un antico edificio che risale al XVIII secolo, accessibile dal piano terra dello stabile, nella strada più antica della città, in via di Mezzo, più precisamente nella traversa est chiamata via dell'angelo (perché intitolata a San Giovanni apostolo l'evangelista). Le prime notizie storiche sulla fondazione della cappella La cappella sorse per volontà del nobile Baldassare Pisacane, per questo motivo venne chiamata anche con il cognome del fondatore Pisacane, ma successivamente anche con il nome della Madonna di Montevergine, poiché venne creata una pala d'altare proprio con questo nome alla fine del XV secolo. I danneggiamenti dovuti al terremoto del 23 novembre 1980 La cappella venne danneggiata, sebbene in misura molto limitata, una prima volta durante il terremoto dell'Irpinia del 23 novembre 1980, e da allora non è stata ancora messa dovutamente in sicurezza. Altre problematiche Nel mese di luglio 2013, è stato improvvisamente e inspiegabilmente tolto il gradino in pietra posto davanti alla Cappella Pisacane dei SS. Cosma e Damiano, non si sa se per furto. Successivamente è stato messo un nuovo scalino al suo posto, ma questa volta di ferro. La chiusura della cappella a causa di cedimenti strutturali del soffitto L'8 settembre 2017 il comune di Angri affidò mediante un'ordinanza, la n. 8 del 2017, l'inizio dei lavori di ristrutturazione della cappella alla collegiata di San Giovanni Battista di Angri, dichiarando inoltre che la cappella non era di propria competenza. Il comune di Angri informò anche la curia vescovile di Nocera Inferiore-Sarno e il parroco della collegiata di San Giovanni mons. Vincenzo Leopoldo dei problemi strutturali dell'edificio e sul da farsi per metterla in sicurezza ma, nonostante la cappella Pisacane fosse un bene immobile della chiesa, la curia rispose prontamente che la cappella non era di loro dominio e che non esistevano nemmeno degli atti che lo provassero. La stessa cosa venne ribadita anche dal monsignor. Vincenzo Leopoldo, e aggiunse che la Chiesa non si sarebbe resa responsabile per danni a persone o cose se il comune di Angri o qualcun altro avesse incominciato i lavori di restauro nella cappella. Il sindaco Cosimo Ferraioli fece eseguire alcuni interventi necessari all'interno della cappella e dichiarò pure che in futuro la cappella, sarebbe stata acquisita ed inserita nei beni immobili del comune, ma per quell'anno, nessuna delle due parti tirate in causa per i lavori ristrutturazione procedette. Il 14 marzo 2018 il sindaco Cosimo Ferraioli con l'ordinanza n° 60 del 14/03/2018, deliberò la chiusura definitiva della cappella al pubblico e a tutte le funzioni liturgiche. Una nuova riapertura della cappella ma non per le funzioni liturgiche Agli inizi del 2019 la cappella è stata riaperta al pubblico ma non alle funzioni liturgiche dall'attuale custode. L'ubicazione della cappella e la sua composizione esterna La cappella sorge nel primo nucleo abitativo della città di Angri annessa a un edificio settecentesco. Composizione interna della cappella All'interno della cappella ci sono diverse statue quattrocentesche in cartapesta e si possono annoverare: le sette statue dei sette Santi dormienti di Efeso, poste in una teca verticale di vetro, uniche in Italia e in Europa per dimensioni, una statua della Madonna di Montevergine, messa alla destra dell'ingresso in una nicchia, una statua in cartapesta di Sant'Antonio da Padova, posta nella seconda nicchia alla sinistra dell'altare maggiore; alla sinistra dell'altare maggiore vi sono invece le due statue dei Santi Cosma e Damiano. Primi restauri apportati alle statue in cartapesta dei sette Santi dormienti Nella sera del 5 maggio 2012 venne organizzata una cena di beneficenza dal sindaco di Angri Pasquale Mauri nel Castello Doria di Angri, per la raccolta di soldi da destinare successivamente per la restaurazione delle statue in cartapesta dei sette Santi dormienti. I soldi raccolti quella sera vennero dati poi all'associazione Panacèa durante la ricorrenza della festa dei Santi Cosma e Damiano, titolari della cappella Pisacane. Nel 2013 l'associazione Panacèa e l'associazione culturale dei Santi Cosma e Damiano di Angri-cappella Pisacane procedettero a far eseguire un primo restauro ad una delle quattrocentesche statue in cartapesta dei sette Santi dormienti (chiamati anche con il nome di sette santi dormienti di Efeso), uniche in campania e in Italia, per le grandi dimensioni. La statua del santo, una volta restaurata venne poi esposta presso l'altare maggiore della cappella durante la ricorrenza della festività dei santi Cosma e Damiano. Tra il 2017 e il 2018 sempre su proposta dell'associazione culturale dei Santi Cosma e Damiano di Angri, si procedette alla restaurazione delle altre 6 statue dei santi dormienti. Angri; San Cosma e San Damiano. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su cappella dei Santi Cosma e Damiano